Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO di Marilena Marino
“Memore della dignità della parola di Dio e dell’importanza del suo ufficio, il lettore curi assiduamente le modalità di una corretta dizione e pronunzia, affinché la parola di Dio sia chiaramente percepita dai partecipanti. Quando poi annunzia agli altri la divina Parola, la accolga docilmente anche lui e la mediti con attenzione, cosi da darne testimonianza con il suo comportamento” (dal Cæremoniale Episcoporum n. 32).
Quello che il nostro servizio sta facendo è qualcosa di importante: la parola di Dio merita la massima precisione.
Mettiamo la nostra voce e la nostra bocca al servizio della Parola che merita il nostro assoluto rispetto.
Quindi è evidente che le letture ispirate da Dio necessitano di essere pronunciate ed enunciate in modo perfetto, cosicché il suo messaggio al mondo possa essere chiaramente e perfettamente comunicato ai suoi figli.
Durante una qualsiasi conversazione il nostro controllo sulla pronuncia delle parole che formuliamo non è sempre attento ed attivo, le nostre conversazioni a volte possono essere anche informali, amichevoli, leggere.
Ma se mettiamo la nostra voce su un materiale importante come la parola di Dio allora dobbiamo aggiungere impegno e precisione alla nostra consegna per rispetto alla parola di Dio e perché chi ci ascolta debba percepire un messaggio completo e senza ambiguità.
Parlando di “pronuncia” dobbiamo capire cosa si intende. La pronuncia significa articolare bene una sillaba o una parola nel modo “accettato” o accettabile dalla comunità che usa quella lingua.
Ci sono tanti dizionari che cercano di precisare le pronunce giuste di ogni parola anche se ogni lingua cambia nel corso del tempo e le pronunce di alcune parole nella consuetudine possono leggermente variare.
La “dizione” è fondamentalmente una tecnica che facilita l’uso della struttura muscolare della bocca. Una buona dizione è quella che fa uscire dalla propria bocca dei suoni puliti, chiari, che tutti possono comprendere.
Le consonanti sono le strutture portanti di una parola. Bisogna appoggiarsi a esse come a dei pilastri. Le vocali danno colore e ritmo alle parole.
Tutte queste componenti sono essenziali per apprendere la tecnica di una buona lettura pubblica. A esse bisogna aggiungere le pause che permettono una leggera inspirazione e quindi interrompono il fluire continuo delle parole, e la respirazione che si compie solo a frase conclusa, quando si fa una pausa più prolungata.
Gli errori di pronuncia piu comuni sono quando permettiamo ai nostri dialetti regionali di deformare le parole della lingua che usiamo; i difetti principali possono essere quando omettiamo, aggiungiamo o scambiamo certe consonanti o enfatizziamo sillabe sbagliate, o accenti sbagliati, ecc.
Quando PROCLAMIAMO ad alta voce o, con un altro termine, ENUNCIAMO, si intende il modo di pronunciare le parole in modo chiaro e scandito per ogni sillaba.
Gli errori che possiamo fare in questa zona sono quelli di inghiottire la fine delle parole, o tronchiamo le vocali o le sillabe finali di alcune parole, o ancora fondiamo due parole insieme, ecc.
Leggendo la parola di Dio potremmo essere tentati di dire che l’importante è il messaggio spirituale che passa in queste parole e che non è importante la pronuncia dei testi o il suo modo di enunciarle. Ma gli errori di cui parlavamo prima possono causare alcuni problemi non così insignificanti:
– L’ascoltatore potrebbe non aver capito bene una parola magari troncata da una enunciazione imperfetta e aver perso il senso di tutta una intera frase.
– Pronunce sbagliate proclamate ufficialmente potrebbero diffondere una ripetizione virale di errori di pronuncia.
– Altre persone che conoscono la pronuncia corretta potrebbero essere distratte dall’errore e perdendo il filo del discorso perderanno qualcosa che magari potrebbe essere importante e fondamentale per la loro crescita spirituale.
L’Assemblea non può essere considerata sempre come una assemblea omogenea di “paese” dove tutti capiscono il dialetto locale, ma in un mondo ormai globalizzato anche in un piccolo paese possono essere presenti famiglie non native locali, ma provenienti dal sud o dal nord o da altri stati europei o extraeuropei che già potrebbero avere difficoltà a comprendere la lingua italiana ben pronunciata e figuriamoci che difficoltà potrebbero avere se la deformiamo con gli accenti dialettali.
Questo atteggiamento è sbagliato denota una certa chiusura campanilistica che è contraria ai comandi molto universali di Gesù e della Chiesa:
“Ora io dico: Non hanno forse udito? Tutt’altro: per tutta la terra è corsa la loro voce, e fino ai confini del mondo le loro parole” (Romani 10,18).
“Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo” (Marco 13,27).
“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15).
“A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,18-20).
“… e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (Atti 1,8).
Un’altra difficoltà è che anche alcuni dizionari biblici provano a fissare la pronuncia di alcune parole particolari ma la Bibbia ha attraversato numerose traduzioni per cui diventa un compito veramente difficile quasi impossibile trovare la soluzione giusta alla pronuncia di tutte le parole.
Ci sono anche parole che possono essere pronunciate in diverse modalità e tutte valide. Comunque l’uso di alcuni dizionari biblici è fortemente raccomandato per un Lettore della parola di Dio.
Ma anche importante è studiare attentamente tutti i segni e le modalità di marcatura delle parole o dei rimandi che sono presenti in genere sulle note e le appendici alla fine del Libro Sacro o all’inizio.
Per concludere il discorso sulla pronuncia dobbiamo essere coscienti dell’importanza di di ogni “lettera” contenuta nelle parole e se ci sono dobbiamo usarle nella modalità giusta; se notiamo o qualcuno ci fa notare che abbiamo dei difetti di pronuncia o nell’enunciazione deformiamo qualche cosa, abbiamo il dovere di procedere ad un’autocorrezione.
Alcuni semplici suggerimenti possono essere:
Se incontri qualche parola che usi molto raramente e non sei sicuro di come va pronunciata, allora devi utilizzare un dizionario specializzato o un supporto come una guida alla pronuncia.
Questo impegno, direi quasi un’educazione della pronuncia, è un lavoro quotidiano; inizia dal prestare attenzione anche durante le normali conversazioni di come vengono pronunciate le singole parole.
Un aiuto notevole in questo settore è l’uso di registratori vocali che ci riportano fedelmente come gli altri sentono i nostri discorsi, la nostra pronuncia e possiamo giudicare da noi stessi la presenza di eventuali errori.
Comporta chiaramente uno spirito critico, un autocontrollo sulle nostre modalità di parlare, ma può essere fondamentale per scoprire se riusciamo a pronunciare perfettamente ogni parola, ogni sillaba.
Fai attenzione se alla fine di ogni parola riesci ad articolare e pronunciare e dare la giusta forza all’ultima sillaba di ogni parola.
Questo è un errore comune a molte persone che bruciano o pronunciano con debolezza l’ultima sillaba di alcune parole pregiudicandone la comprensione.
Un altro errore in cui molti cadono è quello di parlare molto rapidamente e questo modo veloce ci porta istintivamente a troncare, accorciare, pronunciare in modo abbreviato le parole compromettendo la comprensione e l’intelligibilità di chi ascolta.
Non sto dicendo di rallentare in modo forzato e innaturale ma sto suggerendo di parlare con una velocità giusta per dare tempo alla nostra lingua, alla nostra bocca e soprattutto alla nostra respirazione di enunciare perfettamente ogni singola parola senza omettere nessun carattere e dando la forza giusta ad ogni singola sillaba.
Se ogni lettore si impegna e applica le giuste correzioni al proprio modo di parlare otterremo una consegna del messaggio efficace; per verificare questo abbiamo bisogno a volte di qualche feedback a campione, che ci confermi che i nostri ascoltatori abbiano ascoltato comodamente e senza distrazioni il messaggio e abbiano capito perfettamente quello che è stato proclamato.
Per finire e al fine di un perfezionamento ulteriore rimando ai miei corsi online di www.nuovavoce.style che riguardano la preparazione della voce, la dizione, il parlare in pubblico, la declamazione, fino al canto e alla terapia con la voce e molti altri argomenti sempre riguardanti la VOCE e la comunicazione.
Piccola Guida elementare di Dizione e Pronuncia
In italiano le vocali pronunciate sono 7 (non 5) poiché cambia il loro modo di pronunciarle:
“a”, “e aperta”, “e chiusa”, “o aperta”, “o chiusa”, “i”, “u”.
Sia la e, sia la o hanno un diverso accento fonico, cioè una pronuncia chiusa o acuta (é,ó) (es.: perché, cristianésimo, cortéccia, cicaléccio, intréccio… amóre, cróce, feróce, atróce, fóce, nóce, nón, nói) ed una aperta o grave (è, ò) (es.: chièsa, lènto, vènto, arcière, bandièra, diètro, insième, liève, mièle, niènte, piède, sièdi… sacerdòzio, cuòre, uòmo, stòria, conservatòrio, demònio, auditòrio, bòria, baldòria, petròlio, sòcio, memòria, , orològio, vittòria, negòzio, òzio, glòria). Sono molto riconoscibili e il loro suono dà un senso molto diverso alle singole parole.
Bisogna rispettare inoltre l’accento tonico delle vocali e cioè appoggiare la voce sulla vocale giusta (vocale tonica), in modo che le parole vengano pronunciate nel modo corretto:
tronche (es.: verità, virtù, libertà, colibrì, Cantù, tribù, lunedì, mangiò, caffè),
piane (es.: etèrno, banàna, àcqua, canòtto, giornàle, tartarùga, paròla, càsa),
sdrucciole (es.: àlbero, tàvolo, èsile, pùbblico, pàllido, dèroga, pùgile),
bisdrucciole (es.: rùminano, àpplicano, àbitano, òccupano),
trisdrucciole (es.: telèfonaglielo, òrdinaglielo, òccupatene, comùnicamelo ).
Le difficoltà si hanno soprattutto per alcune parole “difficili”, nel senso che la posizione dell’accento cambia il significato della parola (es.: “Nicòtera” e non “Nicotèra”; “gratùito” e non “gratuìto”; “mollìca” e non “mòllica”; “dissuadére” e non “dissuàdere”; “rubrìca” e non “rùbrica”; “Eugànei” e non “Euganèi” ecc.).
Le vocali e e o, quando non sono toniche, hanno accento fonico chiuso.
Anche alcune consonanti hanno diverse sfumature di pronuncia che non sono però segnalate da accenti ma sono frutto di consuetudini: ci sono due “s” e due “z”.
Nella pronuncia italiana queste vocali e consonanti creano le varietà di pronuncia che attraverso le diverse inflessioni regionali possono creare ambiguità; e sono:
La “e” (aperta o chiusa)
La “o” (aperta o chiusa)
La “s” (sorda o sonora)
La “z” (sorda o sonora)
Per segnalare la pronuncia corretta vengono usati dei segni fonetici così riusciamo a identificare ogni modalità di pronuncia:
Accento grave:
per la “e” aperta: è (sèlla, fèrro, sièpe, prèsto, lièto, dièci, lièvito, dièta)
per la “o” aperta: ò (còro, òro, buòno, pòco, bòccia, còccio, balòcco, òcchio)
Accento acuto:
per la “e” chiusa: é (féde, perché, céra, vétro, tré, carnéfice, cortéccia, capéllo)
per la “o” chiusa: ó (colóre, dolóre, fattóre, candóre, sópra, signóre, tenóre)
“s” per la “s” sorda (passo, sole, salute, sera, seggio, sasso, preso, risorgere)
“ʃ” per la “s” sonora (geloʃia, caʃo, musʃica, chieʃa, paeʃino, goloʃo, naʃo )
“z” per la “z” sorda (zia,facezia, terzo, anziano, divorzio, ozio, astuzia)
“ʒ” per la “z” sonora (ʒero, pranʒo, raʒʒo, ʒoo, ʒaino, ʒodiaco, ʒelante)
Ci aiutano poi alcune regole anche se alcune hanno delle eccezioni:
La “e” aperta (è)
In italiano la “e” aperta (è) nei casi seguenti:
Nelle terminazioni verbali dei condizionali in -èi, -èbbe, -èbbero: canterèi, saprèi, andrèi… andrèbbe, avrèbbe, berrèbbe, benedirèbbe… saprèbbero, sarèbbero, abolirèbbero, affronterèbbero…
Nei diminutivi in -èllo e nei nomi che terminano in -èllo, -èlla: carrèllo, cestèllo, bidèllo, carosèllo, portèllo… novèlla, donzèlla, zitèlla, sèlla, Grazièlla, bretèlla…
Nei nomi che terminano in -èma: tèma, scèma, sistèma, poèma, teorèma…
Nei nomi che terminano in -ènda: aziènda, agènda, tènda, bènda, leggènda…
Negli infiniti in -èndere: scèndere, spèndere, difèndere, offèndere, attèndere, prèndere, rèndere, tèndere…
Nei verbi in -èndo: rèndo, scèndo, spèndo, vèndo, attèndo, scorrèndo…
Negli aggettivi in -ènse, -ènso, -ènte, -ènto: circènse, ostiènse, forènse, ricompènse… immènso, melènso, dènso, intènso, propènso… coerènte, esènte, impellènte, commovènte, cosciènte, furènte… attènto, contènto…
Nel participio presente in -ènte: unènte, avènte, facènte, cedènte…
Nei nomi che terminano in -ènza: lènza, utènza, Cosènza, latènza, udiènza
Nei nomi e aggettivi in -èrio, -èria: refrigèrio, desidèrio, semisèrio, Valèrio, battèrio, saltèrio… matèria, artèria, macèria, misèria, Impèria, Sibèria…
Nei numerali in -èsimo: tredicèsimo, dodicèsimo, ventèsimo, centèsimo…
Nei nomi e aggettivi in -èstre, -èstro, -èstra: campèstre, silvèstre, terrèstre, finèstre, orchèstre… canèstro, capèstro, maldèstro, dèstro, sequèstro… balèstra, ginèstra, palèstra, maldèstra, centrodèstra…
Nei nomi in –èzio, -èzia: boèzio, scrèzio, trapèzio… Venèzia, Lucrèzia, facèzia, spèzia, inèzia, Svèzia…
Nel dittongo -iè: frontièra, dièci, mièle, cavalière, carrièra, Pièra, sièpe…
Nei nomi tronchi d’origine straniera: aloè, bignè, caffè, tè, mosca tsè-tsè…
La “e” chiusa (é)
In italiano si ha sempre la “e” chiusa (é) nei casi seguenti:
Nei monosillabi: che, me, re, te (pron. personale), tre (pronuncia: ché, mé, ré, té)
Nei polisillabi tronchi che chiudono in -é accentata: fumé, giacché, perché, trentatré, paté, sauté, demodé…
Nei nomi e aggettivi terminanti in -éccio: léccio, libéccio, caseréccio, pateréccio, villaréccio, pescheréccio, goderéccio, cicaléccio, …
Nei nomi e aggettivi terminanti in -éfice: artéfice, oréfice, pontéfice…
Nei nomi e verbi in -éggio, -éggia: campéggio, noléggio, solféggio, borséggio, sortéggio… schéggia, réggia, puléggia, tintéggia, lampéggia.
Nelle forme verbali in -éi, -ésti, -é, -émmo, -éste, -érono: saréi, avréi, verréi, ameréi… avésti, andrésti, cadésti, sarésti… poté, detené, splendé… dovémmo, avémmo, sedémmo, traémmo, vivrémmo… diréste, potréste, cadréste… abbattérono, combattérono, ottenérono, trattenérono…
Nell’infinito dei verbi in -ére: sedére, dovére, avére, cadére, volére, temére.
Nei nomi in -ésa: frésa, marchésa, discésa, spésa, imprésa, cineprésa, chiésa…
Negli aggettivi in -ésco: fanciullésco, principésco, trecentésco, studentésco…
Nei nomi in -ése: mése, arnése, maltése, maionése, intése, paése, contése…
Nei nomi in -éssa: abadéssa, studentéssa, méssa, leonéssa, Vanéssa…
Nelle forme verbali in -éssi, -ésse, -éssero: corréssi, avéssi, ridéssi, leggéssi, voléssi… piangésse, elésse, temésse, vivésse, leggésse… eréssero, cadéssero, ridéssero, dicéssero, perdéssero…
Nelle forme verbali in -éte: sentiréte, miéte, cadréte, saréte, godréte, faréte, piangéte, corgéte, soffriréte…
Nei nomi e diminutivi in -étto, -étta: architétto, gétto, létto, ométto, ziétto, tubétto, murétto… ariétta, saétta, uvétta, burlétta, vedétta, fétta, vétta, ricétta…
Nelle forme verbali in -éva: béva, avéva, cadéva, ridéva, sapéva, scrivéva, tingéva, crescéva, voléva…
Nei nomi in -ézza: pézza, brézza, carézza, purézza, bellézza, giovinézza…
Negli avverbi in -ménte: eticaménte, pazzaménte, gioiosaménte, fedelménte, loquaceménte, fortémente…
Nei nomi in -ménto: ceménto, laménto, ferménto, rapiménto, torménto…
Nelle forme verbali in -rémo, -réte: trémo, sprémo, agirémo, potrémo, saprémo, avrémo… faréte, diréte, andréte, apriréte, sapréte, vedréte…
Nella terminazione in -ésimo: cristianésimo, battésimo, umanésimo, feudalésimo, medésimo, incantésimo, paganésimo, crocianésimo…
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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino.
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