«Maschio e femmina li creò»

«Maschio e femmina li creò»

Quattro anni fa il Vaticano smontava la teoria del gender

Nel febbraio 2019, la Congregazione per l’educazione cattolica firmava un importante documento, intitolato «Maschio e femmina li creò», che in 57 punti mostrava il carattere innaturale, antiscientifico e perfino antiecologico dell’ideologia del gender.

Pochissimi ricordano che quattro anni fa, nel febbraio 2019, il Vaticano firmò un fondamentale documento (poi pubblicato nel giugno di quell’anno), di natura sia etica che pedagogica, intitolato con parole che per alcuni andrebbero espunte dal dizionario: «Maschio e femmina li creò». Il sottotitolo era: «Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione».

Il tono di fondo del testo è misurato e riflessivo, secondo la dinamica dialogica fatta propria dalla Chiesa di papa Francesco. E tuttavia il documento, firmato dal cardinal Giuseppe Versaldi a nome della Congregazione per l’educazione cattolica, faceva chiarezza su tante questioni importanti e decisive che oggi sono diventate ancor più impellenti e ineludibili.

Si pensi al mondo della scuola e alla pretesa del cambio di nome da parte dello studente che si auto-percepisce del sesso opposto, la cosiddetta carriera alias; si pensi alla stessa prassi medica che ormai ha sdoganato una serie di farmaci per correggere la natura umana. Gli ormoni che bloccano la differenziazione sessuale dei minorenni e le chirurgie alla Frankenstein, le quali, come se nulla fosse, asportano organi sani (ovaie, seni, testicoli, utero, etc.), se in contrasto con la “transizione di genere” desiderata. Ma anche lo Stato e la legge civile sono vittime del totalitarismo arcobaleno che si diffonde ovunque, non solo a Sanremo. «Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla differenza biologica fra maschio e femmina» (n. 22).

Il documento, in 29 pagine e 57 punti, mostra quanto c’è di innaturale, antiscientifico e se vogliamo antiecologico nelle ideologie del gender, in quanto esse vorrebbero dimostrare che l’identità sessuale, «ha più a che fare con una costruzione sociale che con un dato naturale o biologico» (n. 8). La storia insegna che i periodi di maggiore crisi etica coincidono con quelli di maggiori dubbi sulla validità delle acquisizioni scientifiche ed empiriche. Si vedano i deliri razziali nazisti, “scientificamente” fondati sulla misurazione dei crani di varie tribù. Oppure i deliri classisti sovietici, per cui perfino le teorie cosmologiche di Georges Lemaître e Albert Einstein andavano rigettate perché frutto di “scienza borghese”. Il gender, nel quadro dell’edonismo assoluto e del relativismo etico imperante, fa esattamente lo stesso. Azzera la biologia, la psicologia, l’anatomia, la genetica e le altre scienze. E se mi sento queer, o gender fluid, bisessuale o poliamoroso, affari miei. Anzi, si pretende che lo Stato assecondi le mie pulsioni.

Secondo il Vaticano, in una «crescente contrapposizione tra natura e cultura», in cui per paradosso è la natura il nemico dei finti green, si legittima come normale una «dimensione fluida, flessibile, nomade» di sessualità. Senza nulla di stabile, neppure, ad esempio, i ruoli di padre e madre nella famiglia. Anzi essi sarebbero da rimuovere, perché frutto di pregiudizio sociale, moralismo cattolico, “Ur-fascismo” (Eco). In questa logica, si apre al “poliamore”, ovvero un’unione affettiva con «più di due individui» (n. 13). Progresso o ritorno alla tribù? Il matrimonio, su cui si fonda la famiglia che la nostra Costituzione definisce «società naturale», sarebbe un mero «retaggio della società patriarcale» (n. 14).

Andrebbe riletto e ristudiato con attenzione l’intero documento, qui ci limitiamo ad alcuni tratti salienti. Dopo la legittimazione dell’ideologia del gender da parte degli Stati e delle nazioni civili, che cosa resterebbe della missione educativa dei genitori e della scuola? Nulla di concreto. Solo la (sempre più insignificante) non discriminazione. Tranne, in verità, verso chi vuole la Tradizione, verso cui ogni tolleranza è bandita. Anche il particolare anti-materialismo (gnostico) dell’ideologia del gender è imbarazzante. Dire che il genere sessuale è svincolato dalla corporeità vuol dire che il corpo è “materia inerte”, manipolabile all’infinito. Anche per questo la filosofia del gender, se piace alla sinistra radicale e agli anarchici alla Cospito, garba anche alle lobby farmaceutiche, use alla manipolazione. Più si manipola e si trasforma, vendendo prodotti sempre più costosi, meglio è.

Papa Francesco, più citato che letto, insegna che «apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere se stessi» (citazione al n. 35). Frase che indica un concetto capitale. Altro che mutilare il corpo delle parti sgradite per sentirsi liberi. Non si può infine risanare e restaurare l’ambiente naturale, senza risanare in parallelo la società degli umani. E non si può risanare la società, senza promuovere la famiglia secondo natura. L’unica istituzione perenne, universale, educativa, che richiede in modo equo e paritario, l’impegno duraturo di un uomo (XY) e di una donna (XX).

O con la scienza, la natura e il Vangelo o con i capricci di un mondo senza Dio. Tertium, purtroppo o per fortuna, non datur.
 di Fabrizio Cannone https://lanuovabq.it/it/quattro-anni-fa-il-vaticano-smontava-la-teoria-del-gender

Documento vaticano sul gender: sì al dialogo sugli studi, no all’ideologia

Uno strumento per affrontare il dibattito sulla sessualità umana e le sfide che emergono dall’ideologia gender, in un tempo di emergenza educativa. Questo vuol essere il documento “Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione” a firma del cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, e dell’arcivescovo Vincenzo Zani, segretario del Dicastero

Debora Donnini – Città del Vaticano

L’obiettivo del documento “Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione” è di sostenere quanti sono impegnati nell’educazione delle nuove generazioni ad affrontare “con metodo” le questioni oggi più dibattute sulla sessualità umana, alla luce del più ampio orizzonte dell’educazione all’amore. In particolare è diretto alle comunità educative delle scuole cattoliche e a quanti, animati da una visione cristiana, operano nelle altre scuole, a genitori, alunni, personale ma anche a vescovi, a sacerdoti e religiosi, a movimenti ecclesiali e associazioni di fedeli. La Congregazione per l’Educazione Cattolica, che ha preparato il testo, parla di “un’emergenza educativa”, in particolare sui temi dell’affettività e della sessualità davanti alla sfida che emerge da “varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che nega la reciprocità e le differenze tra uomo e donna, “considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale”. L’identità verrebbe, quindi, consegnata ad “un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo”. Si parla di “disorientamento antropologico” che caratterizza il clima culturale del nostro tempo, contribuendo anche a destrutturare la famiglia. Un’ideologia che, tra l’altro, “induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina”, si evidenzia citando Amoris laetitia. Questo il contesto in cui si colloca il Documento che vuole promuovere, appunto, una “metodologia articolata nei tre atteggiamenti dell’ascoltare, del ragionare e del proporre”. Un testo che si ispira al documento “Orientamenti educativi sull’amore umano. Lineamenti di educazione sessuale” del 1983 ed è anche arricchito da citazioni di Papa Francesco, Benedetto XVI, San Giovanni Paolo II, ma anche del Concilio Vaticano II, della Congregazione per la Dottrina della Fede e di altri documenti.

Dialogo con ascolto, ragionamento e proposta

Nell’intraprendere la via del dialogo sulla questione del gender nell’educazione, il Documento opera una distinzione fra “l’ideologia del gender e le diverse ricerche sul gender portate avanti dalle scienze umane”, notando che l’ideologia “pretende, come riscontra Papa Francesco, di ‘rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili’ ma cerca ‘di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini’ e quindi preclude l’incontro”, mentre non mancano delle ricerche sul gender che cercano di approfondire adeguatamente il modo in cui si vive nelle diverse culture la differenza sessuale tra uomo e donna. Il Documento specifica quindi che “è in relazione con queste ricerche che è possibile aprirsi all’ascolto, al ragionamento e alla proposta”.

Nel breve excursus storico sull’avvento delle concezioni gender nel XX secolo, si rileva come all’inizio degli anni ’90 si sia arrivati perfino a “teorizzare una radicale separazione fra genere (gender) e sex (sesso), con la priorità del primo sul secondo. Tale traguardo viene visto come una tappa importante dell’evoluzione dell’umanità, nella quale ‘si prospetta una società senza differenze di sesso’”. E in “una crescente contrapposizione fra natura e cultura”, le proposte gender confluiscono nel “queer”, cioè in una “dimensione fluida”, “al punto da sostenere la completa emancipazione dell’individuo da ogni definizione sessuale data a priori, con la conseguente scomparsa di classificazioni considerate rigide”.

Punti di incontro e criticità

Quindi, il Documento individua “alcuni possibili punti di incontro per crescere nella comprensione reciproca” nel quadro delle ricerche sul gender. Si apprezza l’esigenza di educare i bambini a rispettare ogni persona nella sua peculiare e differente condizione in modo che “nessuno, a causa delle proprie condizioni personali (disabilità, razza, religione, tendenze affettive, ecc.), possa diventare oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste”. Si sottolinea che un altro punto di crescita nella comprensione antropologica sono “i valori della femminilità, che sono stati evidenziati nella riflessione sul gender”. Si rileva l’immensa disponibilità delle donne a spendersi nei rapporti umani, specie a vantaggio dei più deboli: le donne realizzano “una forma di maternità affettiva, culturale e spirituale, dal valore veramente inestimabile, per l’incidenza che ha sullo sviluppo della persona e il futuro della società”.

In merito alle criticità che si presentano nella vita reale, si evidenzia che le teorie gender – specialmente le più radicali – portano ad un allontanamento dalla natura: “identità sessuale e famiglia” divengono fondate su “una malintesa libertà del sentire e del volere”. Il Documento si sofferma, poi, sugli argomenti razionali che chiariscono la centralità del corpo come “elemento integrante dell’identità personale e dei rapporti familiari”: “il corpo è soggettività che comunica l’identità dell’essere”. Il dimorfismo sessuale, cioè la differenza sessuale fra uomo e donna, è infatti comprovato dalle scienze, ad esempio dai cromosomi. Si rileva anche “il processo di identificazione è ostacolato dalla costruzione fittizia di un ‘genere neutro’ o ‘terzo genere’”. Ci si richiama poi ad alcuni esempi di analisi filosofica. La formazione dell’identità si basa proprio sull’alterità: nel confronto con il “tu”, si riconosce il proprio “io”. Ad assicurare la procreazione è proprio la complementarietà fisiologica, basata sulla differenza sessuale, mentre il ricorso a tecnologie riproduttive può consentire la generazione ma comporta “manipolazioni di embrioni umani”, mercificazione del corpo umano, riduzione del bambino a “oggetto di una tecnologia scientifica”. Ricordata anche l’importante prospettiva di un dialogo fra fede e ragione.

Proporre l’antropologia cristiana

Il terzo punto è l’offerta della proposta che nasce dall’antropologia cristiana. Il primo passo consiste nel riconoscere che l’uomo possiede una natura che non può manipolare a piacere. Questo è il fulcro dell’ecologia integrale dell’uomo. Si ricorda, quindi il “maschio e femmina li creò” della Genesi e che la natura umana è da comprendere alla luce dell’unità di anima e corpo, in cui si integra la dimensione orizzontale della comunione interpersonale e quella verticale della comunione con Dio. In merito all’educazione si sottolinea, quindi, che il diritto-dovere educativo della famiglia non può essere totalmente delegato né usurpato da altri, che il bambino ha diritto a crescere con una mamma e un papà e che proprio all’interno della famiglia possa essere educato a riconoscere la bellezza della differenza sessuale. Da parte sua la scuola è chiamata a interagire con la famiglia in modo sussidiario e a dialogare rispettandone la cultura. In questo processo educativo, centrale è a anche ricostruire un’alleanza fra scuola, famiglia e società, che possono articolare “percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità finalizzati al rispetto del corpo altrui”, per accompagnare i ragazzi in maniera sana e responsabile. In questo senso si mette in luce l’importanza che i docenti cattolici ricevano una preparazione adeguata sui diversi aspetti della questione del gender e siano informati sulle leggi in vigore e in discussione nei propri Paesi.

Via del dialogo percorso per trasformare incomprensioni in risorse

Nelle conclusioni si ribadisce che “la via del dialogo – che ascolta, ragiona e propone – appare come il percorso più efficace per una trasformazione positiva delle inquietudini e delle incomprensioni in una risorsa per lo sviluppo di un ambiente relazionale più aperto e umano” mentre “l’approccio ideologizzato alle delicate questioni del genere, pur dichiarando il rispetto delle diversità, rischia di considerare le differenze stesse in modo statico, lasciandole isolate e impermeabili l’una dall’altra”. Si ricorda anche che lo Stato democratico non può ridurre la proposta educativa a pensiero unico, sottolineando la legittima aspirazione delle scuole cattoliche a mantenere la propria visione della sessualità umana. Infine, si ricorda anche, per i centri educativi cattolici, l’importanza di “un percorso di accompagnamento discreto e riservato”, con cui si vada incontro anche “a chi si trova a vivere una situazione complessa e dolorosa”. La scuola deve, quindi, proporsi come un ambiente di fiducia, “specialmente in quei casi che necessitano tempo e discernimento” e creare “le condizioni per un ascolto paziente e comprensivo, lungi da ingiuste discriminazioni”. 

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-06/documento-gender-congregazione-educazione-cattolica.html

Rosario Meditato Mese Mariano

Rosario Meditato Mese Mariano

La parola Rosario significa “Corona di Rose”. La Madonna ha rivelato che ogni volta che si dice un’Ave Maria è come se si donasse a Lei una bella rosa e che con ogni Rosario completo Le si dona una corona di rose.

Il Rosario è una lunga catena che lega il cielo alla terra… con il Rosario si può ottenere tutto.
(SantaTeresa di Lisieux)

Marilena canta Niente ti turbi

Terzo mistero della gioia: Gesù, il figlio di Dio, nasce dalla Vergine Maria.

Spazio Riflessioni

Dal Vangelo secondo Luca (2,1.4a.6-7)

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per [Maria] i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

Grazie ai misteri contenuti nella recita, alle Litanie e ai versetti della Sacra Scrittura, l’autrice ha voluto dedicare al Rosario Mariano un ‘ispirazione, desiderando gettare, nel profondo, uno sguardo su questa antica devozione che tutti gli anni, nel mese di Maggio, coinvolge puntualmente la sensibilità popolare. Si è chiesta molte volte come fare per incastonare nella storia umana questa amatissima perla della tradizione, voleva cercare un modo perchè la splendida preghiera che tutti amano moltissimo non rimanesse solo un’ancora sospesa nel cielo, ma che potesse maggiormente attraccare anche alla terra!

“Gettare una luce sul sentiero della ricerca interiore che ci porti a Cristo e si rifletta anche nel tempo della nostra vita”..

“Formulando questo pensiero e seguendo il suo filo conduttore per arrivare, alla fine, alla soluzione-racconta l’autrice-piano piano ho delineato un percorso.. poi tutto, a un certo punto, è apparso chiaro, facile da intraprendere e persino incoraggiante.

Recitando il rosario, facendolo entrare nella mia realtà , mi sono accorta che ogni mistero di questa bellissima recita poteva riflettersi anche nelle mie comuni attitudini di vita…quella formula ritmata più volte non sembrava più ripetitiva, routinaria, anzi.. snocciolava mille riflessioni, punti di domanda, suggeriva in crescendo anche uno stimolo costruttivo e affascinante di vita.

Stava diventando quasi un itinerario, un iter da seguire come una strada con tanti cartelli stradali…

Ogni passo del Vangelo, ogni versetto della Parola che si appoggiava alla meditazione, recava in se un germe di vita potente, un mistero da svelare, un seme a volte anche un po’ nascosto, certe volte, che chiedeva prima di essere interiorizzato, poi sviluppato e infine donato anche agli altri!

Di questo passo, mi son detta, la vita vissuta alla luce della Parola di Dio può trovare una collocazione anche nella concretezza della storia e il Rosario con i suoi misteri rientra in questa attualizzazione che è l’esperienza concreta della vita

Ecco quello che cercavo, la sapienza divina trasferita nelle molteplici azioni di tutti i giorni che mi permettesse di capire i misteri del rosario non solo in modo intellettivo ma col cuore e in modo semplice, esperienziale e diretto!

Spirituale e pratico assieme!

Era possibile, dunque, ricercare, applicare e arrivare a questo traguardo.. altrimenti la preghiera mi sarebbe servita, certo, ad elevare il cuore a Dio, a cercare Maria, invocarla, ma quanto sarebbe durato l’effetto, la costanza del pregare sempre e incessantemente? E se, poi, il fuoco, lo zelo, si sarebbero affievoliti.. se pregare non raggiungeva anche la mia vita, non la trasformava più di tanto…che fare?

Avvalersi di strumenti di conoscenza antichi e nuovi, fondere tradizione, fedeltà al magistero e al tempo stesso liberare la vena artistica mescolandola alla componente umana, nel mio caso femminile…volevo percorrere questa strada, far risuonare quest’armonia dentro di me, farla ascoltare fuori, cercare e unire il vecchio e il nuovo, proprio come nel Vangelo si dice a proposito di quel padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.

Bisognerebbe, anche, mi ripetevo spesso, fare più silenzio, lasciar molte più pause di riflessione dopo l’enunciazione di ogni mistero per riflettere e consentire al Signore, proprio in questo lasso di tempo, di portarci a Maria, lei che conosce il vino nuovo delle nozze di Cana, che sa parlarci della nuova primavera dello Spirito, che cerca, come il Figlio, adoratori di spirito e verità, lei che permette anche a noi, al nostro cuore, l’accesso a un rinnovato modo di pensare, agire, ascoltare,

Maria che resta la fedele umile ancella del Signore.

Tutti cerchiamo in mille modi di recitare il rosario…in tutti i tempi la storia di questa antichissima devozione ci è stata tramandata nelle più svariate forme…chi non conosce il rosario….lo si recita sempre, non solo a Maggio, in ogni ora e in ogni mese per chi lo vuole….ma se dovessi chiedermi veramente cosa sia esso per me, risponderei, anche, che corrisponde all’invito accorato di Dio e della Madonna a fermarmi, a sospendere tutti gli impegni, anche solo per un po’ per rientrare in me stessa, per chiedermi chi sono, dove vado, cosa cerco.. come se mi sussurrassero…vuoi lasciarti seriamente attraversare da quel potente fascio di luce che ti ferisce il cuore sì o no? .. Ogni grano della coroncina, scommetto che, mentre lo scorri tra le dita, vorresti ti parlasse, ti suggerisse un po’ la formula di come vivere, e magari ti desse persino la soluzione per ogni tuo problema, come la lampada di aladino, più o meno.. o quasi.. anche nella quotidianità…perche’ no…e non hai del tutto torto, anzi…molte volte non sai come fare se hai un problema, se c’è una necessità, è vero, c’è Maria che scioglie i nodi…poi la preghiera smuove le montagne, certo, domanda, chiede, ottiene...è vero anche che dal chiedere incessantemente, senza stancarsi mai, ne deriva una certa sapienza se insisti.. vivere ogni giorno con fede il quotidiano, questa è la cosa più difficile da realizzare..

Scommetto che questa dolce catena che ti rannoda come un vincolo d’amore nei momenti d’intimità col Signore, vorremmo fosse eterna e ci avvincesse anche tutti i giorni, tutti i momenti della vita, anche quando, dopo aver finito di pregare, usciamo fuori dal nostro spazio riservato e intimo e ci immergiamo nei mille problemi della vita …vogliamo sentire piu’ vicini i passi di Maria che si mette alla nostra ricerca, sempre…guidandoci verso suo figlio.. come possiamo, allora, colmare queste distanze per non sentirli lontani? Che linguaggio useremo nel rosario, quale dono delle lingue?

Entrare a pieno nel mistero di Maria e di Dio sarà sempre difficile se non impossibile, sicuramente, ma possiamo pur sempre con spirito di desiderio tentare di avvicinarci all’incontro tra Gesù e l’uomo pellegrino grazie alla preghiera del rosario che accomuna tutti nella continua ricerca del cielo mentre siamo ancora su questa terra. Invochiamo Maria che ci indichi la via e ricordiamo che il Rosario raggiungerà il suo effetto, se, pregato e incarnato, riuscirà a sviluppare in noi tutta la vita del Cristo, dal suo concepimento, alla sua missione definitiva.

CHARITAS CHRISTI URGET NOS!

Marilena Marino Vocedivina,it
“Gridatelo dai tetti..”

Papa Giovanni Paolo II nella Lettera Ap. “Rosarium Virginis Mariae” definisce così il Rosario: «Il Rosario è contemplare con Maria il volto di Cristo, per conformarsi sempre più a lui» (RVM 3 e 15).

Il nostro momento di preghiera della recita del Rosario vuole rendere evidente questa dimensione contemplativa, come ci suggerisce il Papa (cf. RVM 26-38), accompagnando l’enunciazione di ogni mistero con un brano della Parola di Dio corrispondente, seguita da un pensiero meditativo e da una pausa di silenzio. Particolare importanza e significato dovrà avere la recita del Padre nostro, perché dal Padre parte ogni dono di grazia. Le 10 Ave Maria poi dovranno avere un ritmo tranquillo per favorire la meditazione ed il Gloria dovrà costituire come il culmine della contemplazione e della lode. Ogni mistero si concluderà con una preghiera, volta ad invocare frutti specifici per la vita quotidiana.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

– O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto.    Gloria…

– Gesù, perdona le nostre colpe. Preservaci dal fuoco dell’inferno. Porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia.

– O Maria, Madre di misericordia, prega per noi!

– O Sangue ed Acqua, che scaturisti dal Cuore di Gesù come sorgente di misericordia per noi, confido in te!

(Segue: l’enunciazione del mistero, una pausa di silenzio, 1 Padre nostro, 10 Ave Maria, 1 Gloria, l’invocazione “Gesù, perdona…”, la preghiera conclusiva. Alla fine del Rosario, si aggiunge la Salve Regina, le Litanie alla Madonna, un Padre, Ave e Gloria secondo le intenzioni del Papa e un Eterno riposo per le anime del Purgatorio.

MISTERI DELLA GIOIA (Lunedì e Sabato)

Ricordare Cristo con Maria!

“Meditare i misteri «gaudiosi» significa entrare nelle motivazioni ultime e nel significato profondo della gioia cristiana. Significa fissare lo sguardo sulla concretezza del mi-stero dell’ Incarnazione e sull’oscuro preannuncio del mistero del dolore salvifico. Maria ci conduce ad apprendere il segreto della gioia cristiana, ricordandoci che il Cristianesimo è innanzitutto evanghelion, «buona notizia», che ha il suo centro, anzi il suo stesso contenuto, nella persona di Cri-sto, il Verbo fatto carne, unico Salvatore del mondo” (RVM 20).

Primo mistero:

L’Annunciazione dell’Angelo a Maria Vergine

“L’angelo Gabriele entrò da Maria e le disse: «Ti saluto, o piena di grazia. Il Signore è con te… Darai alla luce un Figlio, che chiamerai Gesù…». Maria rispose: “Ecco la serva del Signore: avvenga di me secondo la tua Parola” – (Lc 1, 28-38).

“A questo annuncio approda tutta la storia della salvezza, anzi, in certo modo, la storia stessa del mondo, che in qualche modo è raggiunto dal divino favore con cui il Padre si china su Maria per renderla Madre del suo Figlio” (RVM 20).

PREGHIAMO.

Vergine santa, aiutaci ad accogliere la Parola di Dio come te, con fede e disponibilità.

Pater, 10 Ave Maria, Gloria al Padre e “Gesù mio…

 Secondo mistero:

La visita di Maria alla cugina Elisabetta

“In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta” (Lc 1, s9-40).

“All’insegna dell’esultanza è la scena dell’incontro con Elisabetta, dove la voce stessa di Maria e la presenza di Cristo nel suo grembo fanno ‘sussultare di gioia Giovanni (cf. Le 1, 44)” (RVM 20).

PREGHIAMO.

Vergine benedetta, ottienici di portare Cristo ai fratelli, attraverso la testimonianza della nostra fede e della nostra carità.       

 Pater, 10 Ave Maria, Gloria al Padre e “Gesù mio…”

Terzo mistero:

La nascita di Gesù nella grotta di Betlemme

“Ora, mentre essi si trovavano là, giunse per lei il tempo di partorire. Ed essa partorì il suo Figlio primogenito. L’avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non vi era posto nell’albergo” (Lc 2,6-7).

“Soffusa di letizia è la scena di Betlemme, in cui la nascita del Bimbo divino, il Salvatore del mondo, è cantata dagli angeli e an-nunciata ai pastori proprio come ‘una grande gioia’ (Lc 2,10)” (RVM 20).

PREGHIAMO.

Vergine purissima, ottienici un cuore capace di accogliere, noi pure, il Cristo, nostra unica “via, verità e vita”(Gv 14, 6).

Pater, 10 Ave Maria, Gloria al Padre e “Gesù mio…”

Quarto mistero:

La presentazione di Gesù al Tempio

“Quando furono giunti i giorni della purificazione, secondo la Legge, lo portarono a Gerusalemme per offrirlo al Signore” (Lc 2, 22).

“La presentazione al Tempio mentre esprime la gioia della consacrazione e immerge nell’estasi il vecchio Simeone, registra anche la profezia del ‘segno di contraddizione’ che il Bimbo sarà per Israele e della spada che trafiggerà l’anima della Madre (cf. Lc 2, a4-3s)” (RVM 20).

PREGHIAMO.

Vergine misericordiosa, aiutaci a caricarci, come te e come Gesù, delle gioie e delle sofferenze degli altri.   

Pater, 10 Ave Maria, Gloria al Padre e “Gesù mio…”

Quinto mistero:

Il ritrovamento di Gesù nel Tempio

“E quando Egli ebbe dodici anni […] mentre essi se ne ritornavano a casa, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme. […] Lo ritrovarono dopo tre giorni mentre disputava nel Tempio con i dottori” (Lc 2, 42- 46).

“Gesù qui appare nella sua divina sapienza, mentre ascolta ed interroga […]. La rivelazione del suo mistero di Figlio tutto dedito alle cose del Padre è annuncio di quella radicalità evangelica, che pone in crisi anche i legami più cari dell’uomo, di fronte alle esigenze assolute del Regno” (RVM 20).

PREGHIAMO.

Vergine fedele, aiutaci a mettere le cose di Dio al di sopra di tutto; e dona a coloro che cercano Cristo, di trovarlo nella sua Parola e nei suoi Sacramenti.

Pater, 10 Ave Maria, Gloria al Padre e “Gesù mio…” Salve Regina…

Idea Progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it

Primo Maggio-Festa del Lavoro

Primo Maggio-Festa del Lavoro

PRIMO MAGGIO: SANT’ESCRIVÀ E IL LAVORO DA SANTIFICARE

Un’occasione per rileggere le parole del santo Josemaría Escrivá, de Balaguer fondatore dell’Opus Dei, canonizzato nel 2002 da Papa Giovanni Paolo II.

Come santificare il lavoro quotidiano.

“Se mi dicono che Tizio è un buon cristiano,  ma un cattivo calzolaio, che me ne faccio? Se non si sforza di imparare bene il suo mestiere, o di esercitarlo con cura, non potrà santificarlo né offrirlo al Signore; perché la santificazione del lavoro quotidiano è il cardine della vera spiritualità per tutti noi che — immersi nelle realtà terrene — siamo decisi a coltivare un intimo rapporto con Dio”.

 Raccontava così Josemaría Escrivá, de Balaguer fondatore dell’Opus Dei  canonizzato nel 2002 da papa Giovanni Paolo II. A molti il primo maggio festa del lavoro viene in mente tutta la sua predicazione sul lavoro e la santificazione del lavoro. Non a caso l’Opus Dei contribuisce affinchè “persone di tutte le razze e condizioni, cerchino di amare e servire Dio e gli altri attraverso il loro lavoro”. Sono numerosissimi gli insegnamenti sul lavoro del santo che affermava “Chi pensasse che la vita soprannaturale si edifica volgendo le spalle al lavoro, non comprenderebbe la nostra vocazione; per noi infatti il lavoro è il mezzo specifico di santificazione” .
Scegliere tra le sue parole sull’impegno quotidiano di uomini e donne è un percorso difficile ma al contempo entusiasmante per lo sguardo nuovo e vivificante  che regalano sulle fatiche, le ripetitività, i fallimenti che ognuno vive nelle proprie giornata lavorative.   “Noi vediamo nel lavoro, nella nobile fatica creatrice degli uomini”, diceva, “non solo uno dei valori umani più elevati, lo strumento indispensabile per il progresso della società e il più equo assetto dei rapporti degli uomini, ma anche un segno dell’amore di Dio per le sue creature e dell’amore degli uomini fra di loro e per Dio: un mezzo di perfezione, un cammino di santità.”

Ma vi proponiamo altri pensieri per imparare ad  alzare lo sguardo dal livello orizzontale della vita di tutti i giorni e coniugarla con il Bene che aiuta ad impegnarsi con occhi nuovi. Un compito difficile, forse irraggiungibile, ma che dà nuovo senso alla vita:

È tempo che i cristiani dicano ben forte che il lavoro è un dono di Dio e che non ha alcun senso dividere gli uomini in categorie diverse secondo il tipo di lavoro; è testimonianza della dignità dell’uomo. (E’ Gesù che passa n.47). 

 • Davanti a Dio, nessuna occupazione è di per sé grande o piccola. Ogni cosa acquista il valore dell’Amore con cui viene realizzata. (Solco, n.487).

    Siamo venuti a richiamare di nuovo l’attenzione sull’esempio di Gesù che visse trent’anni a Nazaret lavorando, svolgendo un mestiere. Nelle mani di Gesù il lavoro, un lavoro professionale simile a quello di milioni di uomini in tutto il mondo, si converte in impresa divina, in attività redentrice, in cammino di salvezza. (Colloqui con Monsignor Josemaría Escrivà de Balaguer, n.55). 

 Lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un’università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro. (Omelia: Amare il mondo appassionatamente).

 Fate tutto per Amore. – Così non ci sono cose piccole: tutto è grande. – La perseveranza nelle piccole cose, per Amore, è eroismo. (Cammino, n.813).

  Insisto: nella semplicità del tuo lavoro ordinario, nei particolari monotoni di ogni giorno, devi scoprire il segreto – nascosto per tanti – della grandezza e della novità: l’Amore. (Solco, n.489).

    Non possiamo offrire al Signore cose che, pur con le povere limitazioni umane, non siano perfette, senza macchia, compiute con attenzione anche nei minimi particolari: Dio non accetta le raffazzonature. Non offrirete nulla con qualche difetto, ammonisce la Sacra Scrittura, perché non sarebbe gradito [Lv 22, 20], Pertanto, il lavoro di ciascuno, il lavoro che impiega le nostre giornate e le nostre energie, dev’essere un’offerta degna per il Creatore, operatio Dei, lavoro di Dio e per Dio: in una parola, dov’essere un’opera completa, impeccabile. (Amici di Dio n.55)

Vivi la tua vita ordinaria, lavora dove già sei, adempi i doveri del tuo stato, e compi fino in fondo gli obblighi corrispondenti alla tua professione o al tuo mestiere, maturando, migliorando ogni giorno. Sii leale, comprensivo con gli altri, esigente verso te stesso. Sii mortificato e allegro. Sarà questo il tuo apostolato. E senza che tu ne comprenda il perché, data la tua pochezza, le persone del tuo ambiente ti cercheranno e converseranno con te in modo naturale, semplice — all’uscita dal lavoro, in una riunione di famiglia, nell’autobus, passeggiando, o non importa dove —: parlerete delle inquietudini che si trovano nel cuore di tutti, anche se a volte alcuni non vogliono rendersene conto. Le capiranno meglio quando cominceranno a cercare Dio davvero. (Amici di Dio n.273).     Tutto ciò in cui interveniamo noi, piccoli uomini – perfino la santità – è un tessuto di piccole cose, le quali – secondo la rettitudine d’intenzione – possono formare un arazzo splendido d’eroismo o di bassezza, di virtù o di peccato. I poemi epici riferiscono sempre avventure straordinarie, mescolate tuttavia a particolari di vita domestica dell’eroe. – Possa tu sempre tenere in gran conto – linea retta! – le piccole cose.(Cammino, n.826).

   Pensate che con il vostro lavoro professionale svolto con senso di responsabilità, oltre a sostenervi economicamente, prestate un servizio direttissimo allo sviluppo della società, alleggerite i pesi degli altri e mantenete tante opere assistenziali — locali e universali — a beneficio delle persone e dei popoli meno fortunati. (Amici di Dio n.120). • Quando avrai terminato il tuo lavoro, fa’ quello del tuo fratello, aiutandolo, per Cristo, con tale spontanea delicatezza che egli non avverta neppure che stai facendo più di quanto devi secondo giustizia. – Questa sì che è fine virtù di un figlio di Dio. (Cammino, n.440).

COME POSSIAMO SANTIFICARE IL LAVORO E SANTIFICARCI NEL LAVORO?

Opus Dei: Come possiamo santificare il lavoro e santificarci nel lavoro?
https://www.famigliacristiana.it/articolo/un-lavoro-da-santificare.aspx
Il Poema delle 4 Notti

Il Poema delle 4 Notti

La notte della Pasqua i cristiani la celebrano attorno alla mensa dell’agnello, mangiano il pane della vita e devono il calice della salvezza, nutriti quindi del corpo e del sangue di Cristo.
Pane azzimo dell’ostia e calice del vino sono nel segno della continuità dell’eucarestia con il banchetto pasquale ebraico pur nella novità della presenza reale del Signore Gesù.
Perciò la liturgia della Veglia pasquale canta così: “Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti del Cristo dall’oscurità del peccato e della corruzione del mondo, li consacra all’amore del padre e li unisce alla comunione dei santi.. Questa è la notte in cui Cristo , spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro.

Nel dialogo tra padre e figlio (Es.13,14) seduti intorno alla mensa del Pessach risuona una domanda : “ Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti ?”
Perché si fa memoria della schiavitù di Egitto , ci si dispone a gustare il sapore della libertà bevendo alle quattro coppe della salvezza.

Quattro, come le tipologie di figli, e di benedizioni, identificate dal midrash e che rappresentano la varietà di posizioni raggiunta nel tempo dalle generazioni, alla quale il genitore deve adeguatamente rispondere: il saggio, il malvagio, il semplice, colui che non sa porre domande. Il figlio saggio, che non esclude se stesso dall’obbligo di eseguire i comandamenti di Dio e che riconosce le sue radici; il malvagio, che considera quei “riti” irrilevanti per lui, autoescludendosi dalla comunità (secondo l’Haggadah è l’unico non meritevole della liberazione dalla schiavitù, l’unico che sarebbe stato lasciato in Egitto); il semplice, il quale domanda “che significato ha tutto questo?”, merita una risposta altrettanto semplice, lineare, elementare sulle ragioni dell’Esodo; infine il figlio che non sa porre domande: è disinteressato, non ribelle, e quindi — a differenza del malvagio — secondo la Torah è meritevole lo stesso della ritrovata libertà anche solo per la semplice appartenenza (non rinnegata) al popolo ebraico.

La notte di Pessach è la notte che rivela le innumerevoli meraviglie di salvezza che l’altissimo ha operato: quattro, dalle quali derivano tutte le altre e tutte e quattro si sono compiute nella notte e nel buio del cuore, la luce è venuta a salvarci.
Il racconto delle quattro notti è riferito nella tradizione ebraica in rapporto alla benedizione ( o qiddush) delle quattro coppe in un antico documento che ne parla ed è il TARGUM ONKELOS a Es. 12,42.”In realtà quattro notti sono scritte nel libro del memoriale. LA PRIMA NOTTE fu quando il Signore si manifestò nel mondo per crearlo: il mondo era deserto vuoto e la tenebra si estendeva sulla superficie nell’abisso ma il Verbo del Signore era la luce e illuminava. Ed egli la chiamò notte prima (QIDDUSH della prima coppa) .

LA SECONDA NOTTE fu quando il Signore si manifestò ad Abramo dell’età di cento anni,mentre Sara sua moglie ne aveva novanta,affinché si compisse ciò che dice la scrittura : certo Abramo genera all’età di cento anni e Sara partorisce all’età di novant’anni. Isacco aveva trentasette anni quando fu offerto sull’altare. I cieli si abbassarono e discesero e Isacco ne contemplò la perfezione e i suoi occhi rimasero abbagliati per le loro perfezioni. Ed egli la chiamò : notte seconda (QIDDUSH della seconda coppa).
LA TERZA NOTTE fu quando il Signore si manifestò contro gli egiziani durante la notte : la sua mano uccideva i primogeniti di Egitto e la sua destra proteggeva i primogeniti di Israele per compiere la parola della Scrittura : Israele è il mio primogenito (Es. 4,22) Ed egli la chiamò : la notte terza ( QIDDUSH della terza coppa).

LA QUARTA NOTTE sarà quando il mondo giungerà alla sua fine per essere redento. Le sbarre di ferro saranno spezzate e le generazioni degli empi saranno distrutte.E Mosè salirà dal deserto e il Re dall’alto: e il Verbo camminerà in mezzo a loro ed essi cammineranno insieme., E’ la notte di Pasqua nel nome del Signore ,notte predestinata e preparata per la redenzione di tutti i figli d’Israele in ogni generazione (QIDDUSH della quarta coppa).”

Far memoria di queste quattro notti aiuta ad entrare intensamente nella notte di Pasqua, culmine e fonte della salvezza nostra e di tutte le creature che sono al mondo. Come quattro tappe esse scandiscono il cammino, teso a fare sempre più di noi , per tanti aspetti figli della notte, i figli della luce redenti dall’Amore.

Giovane Jewish mentre mangia una matzah e una matzah ball soup

Perché questa notte è diversa dalle altre? Perché non mangiamo pane lievitato ma solo pane azzimo non lievitato? E perché erba amara al posto delle normali verdure? Festa della libertà ritrovata (dopo la liberazione dalla schiavitù in Egitto), festa della primavera (Torah e Talmud collocano l’avvenimento nella stagione dal clima migliore), Pesach — la Pasqua ebraica — è anche festa dei bambini. Le loro domande, durante le due cene del Seder (rito che apre gli otto giorni di celebrazione), sono frutto dello stupore di trovarsi davanti una tavola apparecchiata in modo differente, dopo che l’intera famiglia, per giorni, ha eliminato scrupolosamente dalla casa ogni forma di alimento lievitato. Le risposte le troveranno nell’Haggadah, la raccolta di interpretazioni rabbiniche narranti gli eventi che hanno portato all’Esodo, dalle dieci piaghe d’Egitto all’apertura del Mar Rosso guidati da Mosè, dalla manna scesa dal cielo ai dieci comandamenti. È infatti quasi sempre il più giovane, generalmente un bambino, a recitare e cantare i brani più significativi.

CANTO DEI BAMBINI NELLA VEGLIA DI PASQUA - Melodia ebraica

Nishtanah (Cosa differenzia questa sera dalle altre sere?), il testo con le tradizionali “quattro domande”. In quel preciso “ordine” (traduzione italiana del termine Seder), in quella sequenza di atti di intensa partecipazione, i più giovani scoprono le origini, una parte essenziale della loro storia.

Pesach, “passare oltre”, come fece il Signore (Esodo, 12, 13) vedendo il sangue d’agnello su stipiti e architravi delle case dei figli d’Israele — era stato Dio stesso a dire a Mosè e ad Aronne di segnare le porte in questo modo — la notte in cui colpì ogni primogenito nella terra d’Egitto. Ed è così che quel giorno, il quattordicesimo del mese di Nissan, è diventato per gli ebrei l’inizio, un “memoriale” (zikkaron), rito perenne da celebrare di generazione in generazione. Quest’anno, secondo il calendario ebraico, che è calcolato su base lunare, Pesach comincerà la sera del 27 marzo per concludersi il 4 aprile. La meticolosa preparazione al Seder è dunque già cominciata, preceduta dalla pulizia della casa, dalla quale deve scomparire qualsiasi residuo di lievito. Quella sera, la prima, sulla tavola imbandita compariranno piatti decorati dove non devono mancare — prodotti rigorosamente kasher — il pane non lievitato (matzot), a ricordare la precipitosa fuga dall’Egitto, un gambo di sedano, erba amara, il maror (i romani sono soliti mettere delle foglie di lattuga), a rappresentare la durezza della schiavitù, una zampa di capretto (a simboleggiare l’agnello sacrificato al posto dei primogeniti del popolo ebraico), un uovo sodo, per il lutto ma anche per la vita che ricomincia, il charoset, impasto che ricorda l’argilla per comporre i mattoni, e poi quattro bicchieri di vino.

Intorno alla tavola si riuniscono le famiglie, si invitano gli amici, anche gli ospiti di passaggio. Al termine, l’augurio “l’anno prossimo a Gerusalemme” con la speranza, anzi la certezza, di rivedersi al Pesach successivo. Dalla schiavitù alla libertà. Il testo dell’Haggadah è pieno di frasi che inducono a rinnovare questo passaggio. Una di esse si trova proprio all’inizio: «Chi ha fame venga e mangi, chi ha necessità venga e faccia Pesach (con noi)». La libertà, spiega il rabbino Giuseppe Momigliano su “Moked”, «non è un bene che si risolve nel privato, non ci autorizza a chiuderci in noi stessi; la celebrazione del Seder ci ricorda che libertà è anche “invitare a fare Pesach”, cioè condividere con chi è materialmente privo del necessario per la festa, e coinvolgere chi, per circostanze della vita, si trova in solitudine, fisica o esistenziale». Come l’arrivederci a Gerusalemme, Leshanà habbà beJerushalaim, che conclude la cerimonia, non è semplicemente un auspicio ma la promessa, il richiamo a una città, osserva ancora Momigliano, «luogo aperto e accessibile, di preghiera e di incontro per tutte le genti e per ogni fede».

L'ebraismo in breve spiegato ai bambini

Un breve video per aiutare anche i più piccoli ad incominciare a conoscere questa antica tradizione e a confrontarsi con culture diverse.

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2021-03/quo-067/pesach-la-liberta-onorata.html

Idea Progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it

Il matrimonio civile unisce la coppia ma la rende incompleta

Il matrimonio civile unisce la coppia ma la rende incompleta

Da

 Rosalia Gigliano

Una delle preoccupazioni che sorgono a molte coppie, che non hanno scelto il rito religioso, è proprio quello di sentire un senso di inadeguatezza

matrimonio

Ha maggior validità il rito civile o quello religioso? Nel caso del solo matrimonio civile, cosa manca effettivamente alla coppia? Un sacerdote chiarisce le idee.

Matrimonio civile e non religioso?

Sposarsi solo con il rito civile ha meno valore di quello religioso? Perché, dopo questo tipo di matrimonio, alcune coppie si sentono “mancare di qualcosa”? Una fedele ha chiesto consiglio a Padre Angelo: “Sono una donna di 30 anni cresciuta con la classica educazione cattolica di facciata, nel senso che, come accade spesso, ho fatto tutti i sacramenti fino alla Cresima perché andavano fatti […] Negli anni ho avuto un rapporto di tira e molla con la fede, ma senza essere mai realmente convinta né in un senso né nell’altro” – inizia a spiegare la donna.

Da qualche mese, infatti, sto però attraversando un periodo particolare, e penso che la leva sia stata il mio matrimonio avvenuto, per coerenza solo civile: mio marito è entrato nella mia vita in un momento particolare […] mi ha fatto di nuovo credere nell’amore, e non ho mai avuto alcun dubbio sui miei sentimenti per lui e su quanto mi sia sentita fortunata (o forse benedetta?) per l’averlo incontrato.

Ecco, nonostante questo mi sono ritrovata ad affrontare il periodo immediatamente precedente e subito successivo al matrimonio con grossa difficoltà, grossi dubbi, addirittura voglia di fuggire. Calmate le acque mi sono resa conto, però, di qual è il problema, e cioè che nella nostra unione manca qualcosa, ossia il consolidamento davanti a Dio.

Sto avendo anche difficoltà a vivere l’intimità con lui, perché sento che non è una situazione regolare, e la vivo doppiamente male perché ho la consapevolezza che potremmo tranquillamente risolverla” – continua la donna.

“Sento di dover intraprendere un cammino spirituale. E se dovessi sposarmi anche in chiesa?”

Mio marito tra l’altro è agnostico (come lo ero anch’io fino a poco tempo fa), e pur avendo profondo rispetto per la fede altrui non ha vissuto la mia stessa crisi spirituale. Ecco, io sento di dover intraprendere in primis un percorso spirituale personale, ma per un percorso finalizzato a un autentico.

Immagino che sia imprescindibile la condivisione spirituale nella coppia. Pregherò affinché anche per lui la fede si manifesti e gli dia la forza di intraprendere questo percorso, ma qualora non fosse possibile si può ricorrere a un rito misto?” – spiega la donna.

Padre Angelo cerca di darla una risposta quanto più completa possibile: “Eri all’inizio di un rapporto ritrovato con Dio. E ritrovato subito dopo aver contratto un matrimonio civile. Dici che senti che manca ancora qualcosa al tuo matrimonio. È vero, manca quella benedizione che rende immortale a tutti gli effetti la vostra donazione vicendevole.

Certamente vi è donazione fra voi. C’è il desiderio da parte vostra che questa donazione sia immortale. Ma l’immortalità effettiva, e non soltanto auspicata, può venire solo da Colui che è il Signore della vita. Quando ti sarai sposata col matrimonio sacramento sentirai che le cose stanno diversamente. Vi sentirete una cosa sola in Dio immortale ed eterno”.

Padre Angelo cita, anche, Tertulliano

Il sacerdote, continua, citando anche uno scrittore cristiano del II sec. D.C, Tertulliano: “Come sarò capace di esporre la felicità di quel matrimonio che la Chiesa unisce, l’offerta eucaristica conferma, la benedizione suggella, gli angeli annunciano e il Padre celeste ratifica? Quale giogo quello di due fedeli uniti in un’unica speranza, in un unico desiderio, in un’unica osservanza, in un unico servizio!

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Entrambi sono figli dello stesso Padre, servi dello stesso Signore; non vi è nessuna divisione quanto allo spirito e quanto alla carne. Anzi, sono veramente due in una sola carne e dove la carne è unica, unico è lo spirito”.

Padre Angelo: “Il valore del matrimonio sacramento”

Un pensiero, quello di un matrimonio anche religioso, del tutto approvato anche dal sacerdote: “Fai bene a pensare al matrimonio sacramento con tuo marito. Penso che sia tuo desiderio e sia desiderio anche di tuo marito sentire quelle parole divine che hanno il potere di rendervi una cosa sola, indistruttibile: “E ciò che Dio ha unito l’uomo non lo divida”. Uniti per sempre! Una cosa sola per sempre: nella preghiera, nell’offerta, nel servizio di Dio!”.

Padre Angelo continua la sua risposta, citando anche citando San Paolo, “Il servizio di Dio si esprime nella dedizione vicendevole, nella preghiera comune e talvolta anche nella sopportazione reciproca che Dio stesso ripaga per tutte e due con una ricompensa eterna: “Le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi”.

Fai bene ad aspirare a quella perfetta unione nella quale non vi sarà alcuna divisione tanto nello spirito quanto nella carne e vi sentirete tutti e due sono figli dello stesso Padre e servi dello stesso Signore.

Sì, prega perché il Signore ti conceda presto di poter vivere una simile unione con tuo marito. Chiedi a Maria che intervenga per te davanti a Gesù come è intervenuta un giorno a Cana di Galilea. Quando è la Madonna che chiede la grazia è certa” – conclude Padre Angelo.

Fonte: amicidomenicani.it

ROSALIA GIGLIANO

La fede nuziale nasconde un tesoro che pochi conoscono

La fede nuziale nasconde un tesoro che pochi conoscono

Da

 Rosalia Gigliano

L’anello simbolo dell’unione sponsale racchiude in sé un valore grandissimo, grazie a Papa Giovanni XXIII, che i coniugi sono invitati a scoprire.

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Marito e moglie hanno il compito di riscoprire quel SI detto davanti a Dio ogni giorno della loro vita, a partire proprio dallo sguardo alla loro fede nuziale. Una storia particolare ci spiega il perché.

Il valore della fede nuziale

Una storia molto particolare è quella che stiamo per raccontarvi e ci fa comprendere come, al di là del puro e semplice oggetto quale è, la fede nuziale è qualcosa di molto molto più grande. Il suo valore è immenso, perché sancisce l’unione dei coniugi davanti a Dio.

Più che una storia, è un dramma teatrale, pubblicato su una rivista polacca da un autore poco conosciuto in quel settore, ma che noi, qualche anno più avanti, avremmo conosciuto come Karol Wojtyla, o meglio ancora Giovanni Paolo II.

Giovanni Paolo II ce lo insegna attraverso un’opera teatrale

Ha come titolo “La bottega dell’orefice” e racconta alcune storie sul matrimonio e su come è possibile meditare su di esso. L’orefice che vi lavora all’interno, è la voce della Divina Provvidenza che interviene a svelare le coscienze dei protagonisti, che cerca di indirizzarli sulla retta via e tornare sui propri passi, quelli del matrimonio. L’attenzione che il futuro Pontefice pone a questi dialoghi e a queste storie, ci fa capire come gli sposi siano sempre stati al centro di tutto il suo ministero.

Una di queste storie è quella di Anna che, nel suo dialogo con l’orefice appunto, dichiara di essere stanca del proprio matrimonio: “Una volta, tornando dal lavoro, e passando vicino all’orefice, mi sono detta – si potrebbe vendere, perchè no, la mia fede (Stefano non se ne accorgerebbe, non esistevo quasi più per lui. Forse mi tradiva – non so, perchè anche io non mi occupavo più della sua vita. Mi era diventato indifferente” – racconta il dialogo.

La giovane Anna e il valore della sua fede nuziale

Anna pensava in un tradimento possibile del marito: “[…] L’orefice guardò la vera, la soppesò a lungo sul palmo e mi fissò negli occhi. E poi decifrò la data scritta dentro la fede. Mi guardò nuovamente negli occhi e la pose sulla bilancia…. poi disse: “Questa fede non ha peso, la lancetta sta sempre sullo zero e non posso ricavarne nemmeno un milligrammo d’oro. Suo marito deve essere vivo – in tal caso nessuna delle due fedi ha peso da sola – pesano solo tutte e due insieme”.

Una risposta che la donna, di certo, non s’aspettava. Una fede che Anna voleva dar via perché per lei non aveva più peso. Ma che l’orefice, invece, le aveva fatto capire che, da sola, non valeva nulla, ma insieme a quella del marito, valeva molto di più.

Giovanni Paolo II, scrivendo ciò, ha posto al sua attenzione proprio a quel “cerchietto di metallo”: non è un semplice oggetto, ma un qualcosa che vale molto di più, un legame indissolubile con l’altra persona.

La preghiera di Giovanni XXIII

Sarà anche Giovanni XXIII, uno dei predecessori di Wojtyla, a porre l’attenzione sulla fede nuziale: “E’ necessario che gli sposi scoprano ogni giorno il significato della fede nuziale che portano al dito, lo bacino ogni giorno promettendosi entrambi il rispetto, l’onestà dei costumi, la santa pazienza del perdonarsi nelle piccole mancanze” – diceva. Quasi come fosse una sorta di piccola indulgenza da praticare e recitare sempre.

Fonte: aleteia