Come gli italiani festeggiano Ognissanti e i Defunti
Conosciuta come La Festa di Ognissanti – non è solo una solennità cattolica (un giorno di festa di altissimo rango) è anche un giorno festivo pubblico per il quale le scuole, gli uffici governativi e le imprese chiudono.
Oggi, 2 novembre, la Chiesa celebra la Commemorazione dei defunti, un giorno dopo la celebrazione della sua festa gemella, quella di Ognissanti.
L’origine di Ognissanti risale al VII e VIII secolo d.C. come modo per onorare tutti i santi, conosciuti e sconosciuti, che sono in paradiso. Anche la Festa dei Defunti, celebrata il giorno successivo, è una festa antica. È stata istituita per favorire l’offerta di preghiere e messe per le anime dei fedeli defunti del Purgatorio.
Come tende ad accadere nei paesi cattolici, le feste e le usanze secolari tendono ad accompagnare, e in alcuni casi a sostituire, la festa religiosa. Mentre i fedeli cattolici assistono alla Messa nel giorno di precetto, altri usano il tempo per diversivi più secolari.
Rispecchiando la diversità culturale di un paese che si è unito fino alla fine del XIX secolo, diverse regioni d’Italia celebrano Ognissanti in modo diverso. Come tanti altri eventi in Italia, le festività coinvolgono invariabilmente il cibo.
In Puglia, si ricorda una tradizione locale in cui i vicini lasciavano del cibo sul tavolo della cucina durante la notte tra l’1 e il 2 novembre per l’anima dei loro cari. Conosciuta come Tavola dei Morti , su ogni tavola veniva posto un cartoncino con l’immagine del defunto e una preghiera sul retro.
La Fiera dei Morti . Risalente a 750 anni fa, la fiera di Perugia era una delle fiere più importanti d’Europa. Nell’Alto Medioevo durava fino a un mese e offriva a persone di diversa estrazione l’opportunità di incontrarsi per commerciare oltre a mescolarsi culturalmente e socialmente. In questi giorni si svolge durante la festa di Ognissanti ed è un’occasione per assaggiare piatti a base di cibi appena raccolti o raccolti come castagne, tartufo bianco, olive e olio d’oliva, funghi e uva.
Nelle Marche, la gente del posto prepara un tipo di biscotti noto come Fave dei Morti . Fatto di mandorle e nocciole, con il legume ha a che fare solo con la sua forma. Altri sostengono che risalga all’epoca romana quando le fave simboleggiavano le anime dei defunti.
Una tradizione affascinante è quella con cui gli italiani mandano gli auguri alle persone nel loro giorno onomastico , o omonimo. Ad esempio, il 4 ottobre, chiunque si chiami Francesco può aspettarsi di ricevere telefonate e messaggi con gli auguri . Le donne di nome Francesca, la forma femminile di Francis, possono aspettarsi lo stesso. Il 1° novembre è il giorno in cui tutti ricevono una chiamata del genere.
Il Giorno dei Morti è formalmente conosciuto come il Giorno dei Morti, spesso abbreviato semplicemente in i Morti . In questo giorno gli italiani visitano i cimiteri dove trascorrono del tempo con i propri cari: il crisantemo colorato, luminoso e allegro è il fiore preferito lasciato sulle tombe italiane.
In questa occasione, sopra l’ingresso, appena sotto la croce, si trova spessissimo la parola RESURRECTURIS. Significato: “A coloro che risorgeranno”, ci ricorda la nostra speranza. Nonostante le tradizioni e i costumi che vanno e vengono – così come anche i ricordi umani dei defunti – Dio non dimenticherà mai l’anima di ogni persona anima che ha creato.
Questo è il messaggio delle Feste di Tutti i Santi e di Tutti i Defunti: che i corpi di coloro che sono morti in Cristo dormono, aspettando di risorgere e noi li vedremo di nuovo!
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO” SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024 LO STILE DI EMMAUS COME STILE DI DISCERNIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO di Rosalba Manes Consacrata dell’ordo virginum e biblista (Pontificia Università Gregoriana) La Bibbia ebraica si conclude con questo invito al viaggio: «Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!» (2Cr 36,23). Qual è la meta del salire di ogni membro del popolo di Dio? È detto poco prima nello stesso versetto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda”». Il Signore vuole che Gerusalemme sia la meta di attrazione di tutto il suo popolo. A partire da questa conclusione, si può affermare davvero che «la Bibbia ebraica si pone interamente sotto il segno del pellegrinaggio»1. E siccome la Bibbia ebraica confluisce negli scritti cristiani, anche il Nuovo Testamento è posto sotto questo segno. I cristiani sono pellegrini, senza fissa dimora. Essi, come ricorda la Lettera a Diogneto, «vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera»2. I cristiani di ogni tempo e di ogni età sono pellegrini muniti di una ricca collezione di parole, la Bibbia, che si offre sempre come casa “portatile”. I giovani e la vita come viaggio Anche la pericope evangelica di Luca relativa al viaggio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) offre lo spunto per pensare la vita umana come un pellegrinaggio3. Le vite dei due discepoli, come di tutti i personaggi che la Bibbia ci consegna, più che essere modelli, sono «vite in evoluzione»4, investite in un pellegrinaggio che può essere percorso in modo spento oppure dinamico, a seconda della compagnia e della meta. E questo ci fa pensare soprattutto alle vite dei giovani che sono così tanto in evoluzione a motivo della crescita, della loro curiosità e del desiderio di mettersi alla prova coinvolgendosi nelle esperienze più disparate. Luca invita i suoi lettori a immedesimarsi con i suoi due pellegrini5, quasi ad offrire una sintesi del suo vangelo6. Si tratta, però, di due pellegrini coinvolti in un viaggio drammatico, che si 1 J.-P. SONNET, Il canto del viaggio, Qiqajon, Magnano (Bi) 2009, 12. 2 A Diogneto, Città nuova, Roma 2008, V,5, 83. 3 «Con ogni probabilità, questo insistente richiamo al tema del cammino ha la sua spiegazione nel fatto che il cammino di cui parla l’evangelista altro non è se non la vita del cristiano recepita a mo’ di pellegrinaggio e che esso ha bisogno della presenza del Risorto per non diventare alienante e triste» (V. PASQUETTO, «L’apparizione del Risorto ai discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)», in M. LACONI E COLLABORATORI, Vangeli sinottici e Atti degli apostoli, Elle di ci, Leumann (To) 1994, 438). 4 G. BONIFACIO, «Emmaus e il secondo annuncio», Esperienza e teologia 30 (2014), 26. 5 «Leggere la Bibbia sino in fondo è diventare pellegrini; diventare pellegrini biblici è accogliere il libro della Scritture come guida delle nostre strade, divine e umane, da percorrere sino alla Gerusalemme di Dio» (J.-P. SONNET, Il canto del viaggio, 12). “CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO” SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024 muove, cioè, in direzione opposta a Gerusalemme. Essi, infatti, dopo aver smarrito l’entusiasmo durante i tristi eventi della Passione, decidono di lasciarsi la città santa alle spalle, di dimenticare il cammino fatto fino a quel momento, di tornare indietro, al punto di partenza, quando una parola “altra” li aveva affascinati, interpellati e mossi a salire a Gerusalemme. Vogliono riabbracciare la vita di un tempo, prima che la precarietà della sequela venisse a ritmare il cammino, prima di investirsi in un percorso che ha condotto ad un vicolo cieco. I due partono risoluti verso Emmaus, ma non è mai piacevole ritornare a casa senza premi o trofei e un senso di sconfitta fa capolino interiormente: il cuore è gonfio di tristezza e il passo si fa pesante, lento. Solo alla fine dell’intreccio narrativo, che ha un Sitz im Leben7 squisitamente liturgico, dopo un incontro illuminante attraverso il quale il cuore si riaccende e gli occhi sono in grado di riconoscere il Risorto e di vedere la novità, essi potranno riprendere lieti la marcia, consapevoli di accogliere una chiamata e una missione rinnovate che hanno ancora una volta a che fare con Gerusalemme, luogo dove germoglia la chiesa madre8. Luca ci ricorda così che tutta la vita è un cammino di uscita incontro agli altri, un esodo dalla tirannia dei bisogni, che porta a concentrarsi su di sé, alla ricerca appassionata della libertà da sé per scoprire la forza del desiderio che allarga gli orizzonti, rende cercatori di senso e permette di gustare la piena fioritura dei propri doni personali. La vita è un viaggio verso di sé, a contatto con la propria vocazione più profonda, alla scoperta di un volto che interpella con la sua parola e con la sua presenza, in un graduale apprendistato delle relazioni che porta chi non teme le salite e i sentieri impervi alla scoperta della storia di alleanza e di salvezza di cui fa parte. La vita è un viaggio meraviglioso che contempla, tuttavia, deragliamenti e battute d’arresto, prima di diventare un «cammino di giustizia» (Sal 23,3) o «sentiero della vita» che è «gioia piena» e «dolcezza senza fine» (Sal 16,11) Chiamati a mettere «ali come aquile» L’evangelista Luca offre ai destinatari della sua diḗghēsis («resoconto ordinato»)9 l’occasione di riflettere sulla vita come occasione di incontro con un Dio pellegrino che non aspetta che la creatura umana gli vada incontro, ma che si mette sulle sue tracce, la intercetta, l’accompagna dispiegando la forza del suo eterno Io-con-te (cfr. Es 3,12; Sal 23,4) e si fa suo commensale (cf Gen 18,1-15). 6 «Lc 24 contiene… la storia biblica: leggendo questo capitolo, si attraversano tutte le promesse, tutte le Scritture. Capitolo enciclopedico, gravido di tutto il passato: di Gesù e della storia che lo precedeva. […] Inizio e fine del vangelo si corrispondono… In Lc 1, il narratore e l’angelo avevano invitato a rileggere la storia dei patriarchi e dei profeti. In Lc 24, l’invito è lo stesso, esplicito stavolta; d’altronde non si tratta più di allusioni sparse qua e là, ma di una rassegna completa: “E incominciando da Mosè e tutti i profeti, interpretò loro in tutte le Scritture ciò che lo riguardava” (v. 27; cfr. anche v. 44)» (J.-N. ALETTI, L’arte di raccontare Gesù Cristo. La scrittura narrativa del vangelo di Luca, Queriniana, Brescia 1991, 153). 7 Espressione tedesca che indica il «contesto vitale», cioè la situazione storica, sociale e culturale della comunità primitiva. 8 I due discepoli di Emmaus «“descrivono” un cammino plausibile con cui confrontarsi, aprendo una possibilità di incontro con il Risorto, che resta a disposizione di chi si lascia intrigare dal racconto» (G. BONIFACIO, «Emmaus e il secondo annuncio», 27). 9 Si tratta del termine con cui l’evangelista in Lc 1,1, all’inizio del prologo, designa il suo vangelo. “CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO” SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024 Dalla carenza di energia sperimentata da chi cammina con le sue sole forze il Dio pellegrino dà a chi cammina in sua compagnia la possibilità di acquisire misteriosamente «ali come aquile», com’è descritto all’inizio del Libro della Consolazione di Isaia10. Questa forza supplementare, queste «ali di aquile» (Es 19,4), la Sacra Scrittura desidera offrirle ai suoi lettori e in modo speciale ai giovani perché diventino atleti dello Spirito del Risorto, pieni dell’energia che viene dalla Parola, dall’Eucaristia e dalla comunione con gli altri. Per questo il Sinodo dei giovani ha privilegiato l’icona biblica dei discepoli di Emmaus e l’ha letta alla luce del cammino di accompagnamento dei giovani11. Il racconto evangelico che ne parla non è tanto un racconto di apparizione ma piuttosto il «racconto della trasformazione di due discepoli a partire dal riconoscimento del Risorto»12. Non il vedere qualcosa è al cuore del racconto di Luca, ma il riconoscere qualcuno. Non sono, infatti, le cose che trasformano il cuore di un giovane che si apre alla vita, ma un incontro con una Persona che si incide per sempre nella memoria del cuore, creando un prima e un dopo. Si tratta di un’esperienza simile all’innamoramento che aiuta a distinguere la vita da tutto ciò che è una sua copia sbiadita13 e mette le ali ai piedi… La delusione del vivere: i giovani in cerca di senso Lc 24,13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme. Il racconto di Luca parte da due discepoli increduli e delusi che si stanno separando da Gerusalemme e dalla comunità. Si potrebbe parlare di un cammino di «de-vocazione»14. Gli eventi della Pasqua hanno scandalizzato i seguaci di Gesù, al punto che alcuni di loro decidono di mettere una pietra sopra alla loro esperienza di discepolato per ritornare alla vita di un tempo. È il sopravvento dello scoramento che prende quanti si sentono feriti da un’esperienza sulla quale avevano proiettato tante attese, ma che poi ha lasciato l’amaro in bocca. L’evangelista Luca ci parla, in particolare, di due discepoli che lasciano Gerusalemme per riprendere la strada di casa, compiendo il viaggio inverso a quello che domina l’intero Vangelo di Luca. Sono diretti ad Emmaus, città non molto lontana (forse 7 km), ancora oggi di difficile identificazione15. Attratti dalla parola di Gesù ed estratti dal loro ambiente, avevano intrapreso il cammino della sequela, riponendo nel maestro di Nazareth le loro attese e soprattutto le loro 10 «Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,29-31). 11 FRANCESCO, Christus vivit, Esortazione Apostolica Postsinodale ai giovani e a tutto il Popolo di Dio, LEV, Città del Vaticano 2019, nn. 156; 236; 292; 296. 12 L. MANICARDI, Raccontami una storia. Narrazione come luogo narrativo, Messaggero, Padova 2012, 189. 13 «Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza» (C. YANNARÁS, Variazioni sul Cantico dei cantici, Servitium, Milano 1997, 25). 14 Così viene chiamato il cammino dei due discepoli di Emmaus in L. MANICARDI, Raccontami una storia, 192. 15 Questo cammino da Gerusalemme a Emmaus appare anche simbolico: Emmaus è la cittadina dove Giuda Maccabeo nel 167 a.C. aveva sconfitto Gorgia, generale di Antioco IV Epifane (cfr. 1Mac 3,40.57; 4,3), quindi luogo della vittoria contro un nemico di Israele. Dalla città della Pasqua i due discepoli scelgono di dirigersi alla città della vittoria e della prospettiva messianica. “CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO” SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024 speranze messianiche. Dopo gli eventi della Pasqua, però, non restano in loro che delusione e tristezza per un’operazione non andata a buon fine, per un piano naufragato nel peggiore dei modi. Non resta che dimenticare, rimuovere il dolore per il fallimento e tornare alle sicurezze di un tempo, quando il senso del vivere era dettato dal bisogno di procurarsi i mezzi di sussistenza e prepararsi un futuro di benessere. Vi è un regresso che porta il cuore all’oblio dell’esperienza fallimentare per cercare sostegno nel “mondo conosciuto”. La delusione, infatti, è nemica della memoria e quando la memoria sbiadisce si perde il senso della propria chiamata, si azzera anche tutto il bene che si è potuto sperimentare e ci si sente attratti a vivere «soltanto di pane» (Dt 8,3; cfr. Lc 4,4). Questo è lo sconforto che porta molti giovani a passare frettolosamente da un’esperienza all’altra, senza il coraggio e la pazienza di rileggere ogni evento per «distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile» (Ger 15,19). La grazia del condividere: superare il mutismo dei giovani Lc 24,14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Inizia il viaggio di ritorno. I due se ne vanno da Gerusalemme, quella città che avrebbe dovuto profumare di pace – come dice il suo nome, che contiene la parola shalom – e che invece è satura di odio. Imboccano la strada del ritorno, ma il silenzio fa paura e iniziano a conversare, accendono il dialogo che libera la forza della compagnia che sola tiene a bada le angosce del cuore umano. È la vittoria della relazione sul silenzio della solitudine, il trionfo della parola che sfida la morte, che vuole aggrapparsi alla vita, nonostante la tristezza abbia preso il sopravvento nel cuore. Parlano i due discepoli e parlano di tutto ciò che è accaduto nella città santa. Hanno voglia di parlare, forse perché il silenzio li mette in un contatto troppo ravvicinato con la propria interiorità o forse perché, pur volendosi sganciare al più presto dall’esperienza che li ha delusi, si sentono ancora intimamente connessi ad essa. La situazione iniziale del brano si caratterizza per un viaggio di ritorno scandito dalle parole di una conversazione tra amici. Il parlare dei due discepoli presenta dei tratti particolari: Luca usa il verbo omiléo, «discorrere», che proviene dal contesto liturgico (cfr. At 20,11), e il verbo syzetéo, «cercare insieme», che evidenzia un conversare orientato a trovare una soluzione comune (cfr. At 15,7). Questo conversare manifesta la grazia di condividere, tenendo i cuori connessi l’uno all’altro. Parlano i due amici, praticano l’arte salutare e salvifica del racconto16 e testimoniano che c’è ancora un soffio di vita nel loro cuore indolenzito per via della grande delusione. 16 «la magia fondamentale della narrazione sta nella sua capacità di dare senso. Non è la cronaca dei fatti o la mera registrazione di ciò che accade, ma solo la loro narrazione che produce senso e quindi rende vivibile e sopportabile il mondo. Nel racconto i fatti divengono umani, cioè una trama di eventi significativi. Il racconto umanizza il tempo. […] Così la vita si fa somigliante a un testo, a un tessuto, a un tappeto, per esempio, che è costituito da una trama infinita di segni ciascuno dei quali, preso in se stesso, è privo di senso, ma che insieme agli altri forma un disegno misterioso e affascinante. Il racconto crea ordine nel caos, crea unità fra le dimensioni del passato, del presente e del futuro […] strappa l’uomo alla tirannia del presente…» (L. MANICARDI, Raccontami una storia, 25-26.27). “CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO” SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024 Anche qui si coglie il bisogno impellente che i giovani hanno di raccontarsi esperienze, problemi, paure, ignari a volte di non disporre tra coetanei di tutti i mezzi utili ad avanzare. Parlano i due pellegrini che lasciano la città santa e gli altri amici, ma non come chi parla al vento. Questa parola è suono che qualcuno riesce ad ascoltare… La grazia del camminare insieme: vincere la solitudine e lo smarrimento dei giovani Lc 24,15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Il racconto lucano presenta una complicazione per via dell’apparizione di un terzo personaggio, Gesù, che innesca la tensione drammatica del processo di riconoscimento. Mentre il lettore ne conosce l’identità, i due discepoli la ignorano. Il Risorto, che è lo straniero per eccellenza, il pellegrino che si lascia trovare mentre è vicino (cfr. Is 55,6) ed itinera lungo i nostri sentieri, in cerca della pecora (cfr. Lc 15,4-7), della dracma (cfr. Lc 15,8-10) e dei figli (cfr. Lc 15,11-32) smarriti, si fa loro compagno di viaggio, anche se “in borghese”. I loro occhi, però, non vedono o meglio non sanno riconoscere e senza riconoscenza, si smarrisce anche la conoscenza del Maestro e non è possibile il suo riconoscimento. Gli occhi dei discepoli sono chiusi alla fede, «incapaci di leggere la storia alla luce della fede»17. La pedagogia del Risorto sarà allora proprio quella di aiutarli a riconoscerlo, riaccendendo gradualmente la memoria del cuore. Egli si accosta invitandoli a raccontarsi perché possano tirare fuori il loro dolore e consegnarlo. Li stimola ulteriormente all’arte del racconto che permette di dire, di dirsi e di dare senso. La narrazione, infatti, implica, per ogni persona e soprattutto per i giovani, il coinvolgimento di tutte le facoltà personali alla ricerca dell’unità, della forma e del senso, che spesso si nascondono nei dettagli della storia o nello sguardo di chi accoglie il racconto, offrendo il suo tempo, donando se stesso. Essere attesi dallo sguardo di un altro è proprio per ogni giovane la base per approdare a una comprensione nuova del proprio esistere e della propria chiamata nella storia. La grazia di raccontare e raccontarsi: intercettare gioie e dolori dei giovani Lc24,17Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Cleopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano 17 L. MANICARDI, Raccontami una storia, 192. “CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO” SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024 che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Il pellegrino viene scambiato per uno straniero18 ignaro dei fatti. Egli allora sta al gioco e chiede delucidazioni. Finge non per mentire, ma per guarire. Non vuole giocare con loro, ma aiutarli ad esternare l’amarezza e riaccendere la memoria. Allora per liberarli dal senso di delusione, libera la domanda: «Che cosa è successo?» e i due si fermano e mostrano la loro tristezza19 che incontra finalmente un “luogo” dove poter essere depositata, consegnata: l’orecchio, il cuore, il tempo di quel pellegrino. La Christus vivit sottolinea la qualità dell’ascolto del Risorto e offre questo esempio come prototipo a chiunque si accosti ai giovani per accompagnarli: La prima sensibilità o attenzione è alla persona. Si tratta di ascoltare l’altro che ci sta dando sé stesso nelle sue parole. Il segno di questo ascolto è il tempo che dedico all’altro. Non è una questione di quantità, ma che l’altro senta che il mio tempo è suo: il tempo di cui ha bisogno per esprimermi ciò che vuole. Deve sentire che lo ascolto incondizionatamente, senza offendermi, senza scandalizzarmi, senza irritarmi, senza stancarmi. Questo ascolto è quello che il Signore esercita quando si mette a camminare accanto ai discepoli di Emmaus e li accompagna per un bel pezzo lungo una strada che andava in direzione opposta a quella giusta (cfr Lc 24,13-35)20. Alla domanda del pellegrino uno dei due, l’unico di cui si conosca il nome, Cleopa, imbastisce un racconto sintetico del ministero di Gesù e della loro sequela, segnata dal ritmo della speranza, una speranza che però la crocifissione ha spento del tutto e che i racconti della tomba vuota non sono riusciti ad alimentare. Parla di Gesù di Nazaret, senza sapere che egli è suo compagno di viaggio. Riprende le grandi tappe della sua vita: nome, luogo di origine, ministero, passione, identità dei suoi avversari, tipo di morte. Identifica Gesù a «un profeta potente», solidarizza con i sommi sacerdoti che chiama «nostri», parla di una pasqua priva di risurrezione cui fa cenno solo rimandando a delle ipotesi (che i due non hanno voluto verificare) e termina con una speranza naufragata nell’assenza di colui che era stato riconosciuto come un potenziale liberatore. Cleopa allude a una storia ben precisa, senza però collegarla alla storia sacra. Richiama alla mente, ma non risveglia la memoria. Sa parlare di Gesù, ma senza evangelizzare. Narra un vangelo senza gioia e coinvolgimento emotivo, un resoconto cronachistico che lascia indifferenti21. Cleopa somiglia a molti giovani di oggi che conoscono Cristo solo “per sentito dire”, che lo nominano solo perché parte di una narrazione familiare trasmessa per via di «carne e sangue» e non «per la potenza dello Spirito», che lo sentono morto o troppo lontano dalla loro esistenza così 18 Il verbo che Luca mette sulle labbra di Cleopa è paroikéō che indica la situazione di provvisorietà e di estraneità del suo interlocutore, il fatto di dimorare in una terra straniera, come Abramo che «soggiornò (cioè si stabilì come straniero) nella terra promessa come in una regione straniera» (Eb 11,9). 19 «Lo stato della loro “salute spirituale” traspare dai riflessi somatici: “scuri in volto”, “occhi impediti”. Sono simbolicamente in una situazione di morte. Il loro stesso racconto riguardante Gesù appare come un necrologio, una triste cronaca» (L. MANICARDI, Raccontami una storia, 192-193). 20 FRANCESCO, Christus vivit n. 292. 21 Dopo il primo momento in cui si mostra alquanto evasivo, Cleopa si lancia nel racconto e «dà il via alla sua esposizione, che non è un semplice resoconto dei fatti, ma un’evidente presa di posizione circa Gesù, il suo operato e la sua sorte: riferisce di un passato ormai finito (vv. 19-20), denuncia un futuro disatteso (v. 21), approda su un presente segnato dallo sconcerto e dal dubbio (vv. 22-24). Quello che manca non è la ricchezza del vissuto, ma un criterio che gli dia senso, come dimostra il brusco intervento del Risorto» (G. BONIFACIO, «Emmaus e il secondo annuncio, 34). “CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO” SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024 lontana dal gergo con cui comunemente si narra la fede, un gergo che rigettano perché moralistico, volto più a castigare che ad animare e a vivificare. La grazia della comprensione della Pasqua: appassionare i giovani alle Scritture Lc 24,25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Solo dopo che i due di Emmaus hanno fatto l’autodiagnosi della loro perdita di speranza il forestiero interviene e prende la parola. Dopo aver ascoltato e aver permesso loro di estrarre tutta l’amarezza e il non senso, rimprovera i due di mancare di intelligenza e di sentimenti per aver creduto alla parola dei profeti. I profeti avevano parlato della prova come costante della vita umana e del Dio che salva non dalle prove, ma all’interno delle prove e inizia a leggere le Scritture profetiche, mostrando l’intima connessione tra queste e la sua vita. Lo sconosciuto denuncia la loro fatica di cogliere il filo rosso della storia della salvezza e inaugura un’esposizione cristologica delle Scritture: il Messia annunciato dai profeti ama gli asini e non i cavalli, elimina i carri e l’arco di guerra (cfr. Zc 9,9), è compassionevole verso il dolore e la sofferenza umana (cfr. Is 53,4). Formando i discepoli alla sequela, il Maestro aveva parlato della sua passione come via per accedere alla gloria. Perciò il forestiero li scuote perché dall’essere ripiegati sulla fine di una storia si aprano al germogliare di una creazione nuova. È una narrazione ossigenata la sua che va oltre la lettera per coglierne lo Spirito e che illumina gli occhi del cuore. La Pasqua si può comprendere solo alla luce delle Scritture d’Israele che contengono una pedagogia dell’umano che si realizza pienamente in Cristo: «la parola del comando orienta, la parola profetica interviene per cambiare, la parola sapienziale legge la storia. Gesù non è nella tomba, dietro una pietra che chiude il passato, ma nelle Scritture gravide di speranza e portatrici di futuro che egli solo è venuto a compiere (cfr. Lc 4,21)»22. Gesù conferma le parole della Scrittura, mettendone in luce il loro sensus plenior23: l’eventoCristo, cioè tutti gli eventi connessi alla sua persona, conferma l’agire salvifico del Dio di Israele nel passato, segno che la sua morte di Croce è la consegna piena di Dio all’uomo e combacia con l’intenzionalità originaria di Dio di donare all’uomo tutto se stesso in un amore che va fino alla fine. Il Risorto insegna ad ogni educatore ed educatrice, ad ogni padre e madre spirituale, l’arte di comunicare con larghezza la Parola che nutre il cuore e di aiutare la persona a loro affidata «a decifrare il linguaggio che Dio usa verso di lei e a scoprire negli eventi della vita la parola di Dio per lei»24. I giovani in tal modo si sentono adottati da qualcuno che li ama e sa donare loro il suo tempo, che sa consegnare loro parole di senso, che li fa volgere verso un Altro, il Padre, e li aiuta a vedersi nell’unità e non più nella dispersione, a vedersi con gli occhi di Dio e a tessere la propria storia con il tessuto della Chiesa, per non rimanere individui ma un organismo vivo, comunitario. 22 R. MANES, «Il cielo si aprì». Il Dio misericordioso e tenero di Luca, Cittadella, Assisi 2015, 149. 23 «è importante rilevare la costante connessione fra la comprensione delle Scritture e la croce… La Croce non è predetta dalla Scritture ma è “conforme” ad esse. V’è una circolarità ermeneutica: le Scritture rinviano a Cristo e Cristo rinvia alle Scritture. Nel prisma della Pasqua i discepoli comprendono Gesù alla luce delle Scritture, ma anche le Scritture alla luce di Gesù» (M. CRIMELLA, Luca. Introduzione, traduzione e commento, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2015, 371). 24 M.I. RUPNIK, Nel fuoco del roveto ardente. Iniziazione alla vita spirituale, Lipa, Roma 1996, 62012, 97. “CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO” SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024 La grazia di riconoscere il Vivente: insegnare ai giovani l’arte del discernimento Lc 24,28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. L’ermeneutica di Gesù esercita un tale fascino sui due discepoli di Emmaus che, pur essendo giunti a destinazione, non possono più staccarsi dallo straniero. Egli fa come per andarsene e i due reagiscono e lo invitano a restare: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» (Lc 24,29). Lo invitano così a restare e a condividere il pasto con loro, momento sacro per la cultura orientale per rifare le forze e consolidare il vincolo di amicizia. La Christus vivit ricorda la potenza della convivialità o ospitalità che il Nuovo Testamento chiama filoxenía (cfr. Rm 12,13; Eb 13,2): «Quando Gesù fa come se dovesse proseguire perché quei due sono arrivati a casa, allora capiscono che aveva donato loro il suo tempo, e a quel punto gli regalano il proprio, offrendogli ospitalità. Questo ascolto attento e disinteressato indica il valore che l’altra persona ha per noi, al di là delle sue idee e delle sue scelte di vita»25. Dopo aver ricevuto in dono il tempo di quello straniero, i due discepoli desiderano donare il proprio: resta con noi è, al tempo stesso, una richiesta e un’offerta. È chiedere aiuto e, contemporaneamente, dimenticarsi di sé per mettere al centro l’altro. È incominciare a sentire il sapore del dono e il senso del proprio stare al mondo. Il pellegrino accetta e la sua presenza, le sue parole e i suoi gesti provocano un forte impatto. Gli occhi si aprono e lo riconoscono: «dinanzi a loro non vi è più un ospite sconosciuto, ma quel crocifisso che la tomba non è riuscita a trattenere e che per restare con i suoi si è fatto parola e pane»26. La fractio panis libera tutta la fragranza del dono di Cristo che scompare ma accende nei due il fuoco della fede, con il quale possono scaldare il gelo della vita ed infiammare il mondo. Alla luce della Parola di Dio letta in chiave cristologica27 inizia l’arte del discernimento, la capacità di fiutare la presenza del Risorto nella storia e nella propria vicenda esistenziale e di sperimentarla, in comunione con i fratelli, all’interno della celebrazione liturgica che permette di accedere sin d’ora alla vita del Regno, alla gloria destinata ai figli. La grazia del cuore ardente: formare i giovani all’annuncio gioioso Lc 24,31Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi i 25 FRANCESCO, Christus vivit, n. 292. 26 R. MANES, «Il cielo si aprì», 150. 27 Nelle Scritture spiegate da Cristo che ne è la chiave si trova «il modo di trarre le fila delle diversissime esperienze umane, nel campo del bene e della verità, per riunificarle in un quadro coerente in cui l’annuncio della Risurrezione appaia come il sigillo di Dio su un disegno di salvezza e non come un evento strano e inaspettato» (C.M. MARTINI, L’evangelizzatore in san Luca, Ancora, Milano 2000, 153). “CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO” SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024 narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Prima ancora che si aprissero gli occhi, il cuore aveva già iniziato a scaldarsi e a risvegliarsi, alimentando quel fuoco che il Cristo è venuto a gettare sulla terra (cfr. Lc 12,49) e la cui fiamma si propagherà a partire dall’evento dell’effusione dello Spirito a Pentecoste (cfr. At 2,3) come potenza di Dio che divampa nella predicazione della Parola. Il fuoco ha sempre nelle Scritture una coloritura teofanica, è cioè un elemento che nel racconto biblico dice l’irruzione di Dio (cfr. Es 3,2) e la natura del suo amore (cfr. Ct 8,6). Il Risorto appicca un fuoco nel cuore dei suoi, ma lui non è più visibile, perché egli non è quel viandante: è il Risorto che vive e si fa sperimentare vivo nella vita stessa di chi crede in lui. Egli è assente perché «non è più legato all’orizzonte terreno, non è più palpabile, visibile in maniera fisica; eppure è ancora realmente presente e sperimentabile»28. Inoltre c’è un’importante pedagogia che il Risorto dispiega come afferma la Christus vivit che ci ricorda che chi accompagna i giovani deve «scomparire come scompare il Signore dalla vista dei suoi discepoli, lasciandoli soli con l’ardore del cuore, che si trasforma in impulso irresistibile a mettersi in cammino»29. È il segno sacramentale che permette di riconoscere il Signore non come uno di fuori che si può vedere, ma come uno che abita dentro e scalda il cuore. Il riconoscimento del Risorto trascende l’empiria superficiale: è un’esperienza di fede! Luca gioca sul contrasto tra gli occhi “impediti” (v. 16) e gli occhi “spalancati” (v. 31). Tra le due situazioni irrompe la fede: «la presenza del Signore è accessibile tramite la Parola ascoltata, tramite il pane spezzato e, più in generale, per mezzo della fede»30. Ed è proprio a partire dalla fede che si compie la trasformazione interiore dei discepoli che non sono più prigionieri di segni miracolosi. Il gesto del pane spezzato, infatti, «allontana definitivamente l’attesa idolatrica dei segni e permette ai discepoli di dire l’essenziale – la loro trasformazione interiore all’ascolto della sua parola sulle Scritture – senza rattristarsi per la sua scomparsa»31. Il binomio Parola-Pane eucaristico trasfigura il senso della sequela vissuta e permette di riprendere la strada per tornare dai compagni e annunciare loro che il Maestro è vivo e a farsi pane per loro32. I discepoli passano così dall’abbattimento allo slancio, dal bisogno di vedere i segni al desiderio di ascoltare e annunciare la parola, dall’attesa di un messia foriero di rivoluzione politica o sociale e capace di spazzare via da Israele ogni presenza ostile all’accoglienza del dono d’amore di Cristo che spinge a tornare a Gerusalemme, in mezzo agli altri, alla nuova famiglia dei credenti in Cristo, nel clima fecondo e gioioso della lode e della comunione. La Scrittura rimane sigillata senza la luce che promana dall’evento della morte e risurrezione di Cristo e senza narratori, testimoni capaci cioè di attraversare la storia “sacramentalmente”, 28 G. RAVASI, I Vangeli, EDB, Bologna 2016, 431. 29 FRANCESCO, Christus vivit, n. 296. 30 M. CRIMELLA, Luca, 367. 31 J.-N. ALETTI, L’arte di raccontare Gesù Cristo, 162. 32 «Perché il Risorto sia veramente presente, non basta la partecipazione al rito. Questo diventa portatore di vita se riesce a trasformare anche i commensali in pane che si spezza per i fratelli» (V. PASQUETTO, «L’apparizione del Risorto ai discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)», 439). “CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO” SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024 aprendola a Dio e vivificandola attraverso il loro pellegrinaggio pieno di zelo e dedizione e la loro parola incisiva e gravida di Spirito Santo. Il Maestro è vivo e chiede ai giovani, che sono “la promessa del Padre”, di seguirlo lungo le vie del mondo, non come individui che rifuggono nelle proprie sicurezze o nel benessere personale, ma come comunione di fratelli e sorelle che sanno nutrire la memoria dell’incontro con Cristo e ravvivarla mediante la preghiera, la testimonianza, la forza dei sacramenti e degli affetti e che sanno accogliere «ali come aquile» per collaborare alla corsa di una Parola (cfr. 2Ts 3,1) che non subisce mai battute d’arresto perché eterna. Lc 24,13-35, capolavoro catechetico e didattico, invita noi formatori e accompagnatori a lasciarci lavorare dallo Spirito per generare i giovani alla vita filiale di Cristo che si compie nel dono di sé. Invita inoltre i giovani a scoprire la bella esperienza di affrontare il pellegrinaggio della vita sapendosi sempre accompagnati33 in una pastorale feconda perché intesa come un processo rispettoso, paziente, fiducioso e compassionevole34 e a sentirsi destinatari di una grande attenzione e di un ascolto profondo35 che li renda capaci di udire il battito del Padre che, nel cuore del Figlio, palpita per loro di amore eterno. SOMMARIO L’articolo propone una lettura narrativa del racconto di Emmaus (Lc 24,13-35) che privilegia il tema del «viaggio» come metafora della vita e offre una serie di indicazioni preziose per ripensare la necessità e l’urgenza di avviare i giovani all’arte del discernimento. Attraverso la prossimità tipica di un accompagnamento che si realizza come un processo graduale e che contempla la possibilità di una reale esperienza di generazione spirituale, il contatto con la Parola contenuta nelle Scritture e rivelatrice di senso e l’esperienza sacramentale all’interno di un contesto ecclesiale che testimoni un’alta qualità dei rapporti e di comunione, è offerta ai giovani l’opportunità di coltivare sogni e desideri grandi e di aprirsi serenamente al futuro, sentendosi depositari di una chiamata al dono di sé, a cui dare carne giorno per giorno.
Perle di saggezza del fondatore dell’Ordine dei Predicatori
Quando San Domenico ebbe la prima esperienza di missione in Francia, si rese conto che il metodo usato dai missionari nel Paese era totalmente inadeguato e che non davano testimonianza di vita cristiana.
Per questo propose insieme a un gruppo di compagni di dedicare la vita a evangelizzare in totale povertà, dando esempio di carità e seguendo le virtù cristiane per poter portare meglio la Parola di Dio a quanti non avevano mai avuto l’opportunità di ascoltarla.
L’Arca di San Domenico, il capolavoro la cui costruzione ha richiesto 5 secoli
Daniel R. Esparza
Realizzata a tappe e da alcuni dei più grandi scultori di tutti i tempi, l’opera contiene i resti mortali del santo spagnolo
L’Arca di San Domenico, situata nella basilica di San Domenico a Bologna, è un monumento funebre che contiene i resti mortali di San Domenico di Guzmán, fondatore dell’Ordine dei Predicatori.
L’opera ha richiesto circa 500 anni per essere terminata. Vi hanno lavorato alcuni dei più grandi scultori della storia dell’arte italiana, da Nicola Pisano a Michelangelo.
San Domenico
Nato alla fine del XII secolo a Caleruega, a un’ora a sud di Burgos, nel nord della Spagna, San Domenico morì a Bologna nel 1221, nell’allora convento della chiesa di San Nicolò delle Vigne. In seguito, la chiesa subì un ampliamento e prese il nome dal santo spagnolo, diventando basilica di San Domenico.
In un primo momento, il santo fu sepolto dietro l’altare della chiesa. Un decennio dopo, i suoi resti vennero spostati nel sobrio sarcofago di marmo sul pavimento della chiesa, che divenne presto un popolare luogo di pellegrinaggio. La maggior parte dei pellegrini, però, non poteva raggiungere la tomba del santo a causa del gran numero di persone in piedi a pregare giorno e notte. Era quindi necessario un monumento più grande, che potesse essere visto da lontano.
Il nuovo tumulo
I Domenicani chiesero al famoso scultore Nicola Pisano di realizzare un nuovo tumulo. Pisano è considerato l’ultimo scultore gotico e un pioniere del Rinascimento. L’artista progettò il nuovo monumento funerario e scolpì diverse figure sulla parte anteriore del sarcofago. Ben presto, tuttavia, dovette lasciare Bologna per andare a Siena a costruire il pulpito della cattedrale, essendo già famoso per il suo operato nel battistero di Pisa. Uno dei suoi assistenti, Lapo Di Ricevuto, completò la prima parte del monumento intorno al 1265.
La tomba fu trasferita al centro della chiesa nel 1411. Un gruppo di scultori guidati da Niccolò Da Bari aggiunse poi elementi all’Arca di San Domenico. Tra gli artisti c’era un giovane di nome Michelangelo, che aggiunse al monumento l’immagine di San Petronio.
La cappella venne ricostruita nel 1597 dal noto architetto Floriano Ambrosini, perché i frati desideravano una cappella migliore per ospitare i resti del loro fondatore e ricevere i numerosi pellegrini che percorrevano il Cammino Domenicano per arrivarci. L’affresco nella cupola dell’abside della nuova cappella, la Gloria di San Domenico, è opera del maestro classicista Guido Reni.
Attualmente, la basilica è l’ultima tappa del Cammino Domenicano, che inizia nella città natale del santo.
Le Perle Di San Domenico in Frasi
“L’annuncio cristiano, per il suo proprio vigore, tende a guarire, consolidare e promuovere l’uomo, a costituire una comunità fraterna, rinnovando la stessa umanità e dandole la sua piena dignità umana”
“La famiglia cristiana è ‘chiesa domestica’, prima comunità evangelizzatrice”
“La testimonianza di vita cristiana è la prima e insostituibile forma di evangelizzazione”
“Stai vedendo il frutto che ho ottenuto con la predicazione del Santo Rosario; fa’ lo stesso, tu e tutti coloro che amano Maria, per attirare in questo modo tutti i popoli alla piena conoscenza delle virtù”–
“Luoghi privilegiati delle missioni dovrebbero essere le grandi città, dove sorgono nuove forme di cultura e comunicazione”–
“Abbiate carità, conservate l’umiltà, possedete la povertà volontaria”–
“Nuove situazioni richiedono nuove vie per l’evangelizzazione”–
“Il grano ammassato marcisce e non porta frutto”
“Solo una Chiesa evangelizzata è in grado di evangelizzare”
“Maria è il modello di tutti i discepoli e gli evangelizzatori per la sua testimonianza di preghiera, di ascolto della Parola di Dio e di pronta e fedele disponibilità al servizio del Regno fino alla croce”–
All’inizio avevano solo il marrone: la stoffa non tinta era la più economica disponibile.
Vivere semplicemente
I frati francescani vivono la loro vita in solidarietà con i poveri, prendendo voti di povertà e vivendo con pochi beni. La Regola di San Francesco non prescrive alcun colore particolare all’ordine, ma invita i suoi membri a “indossare abiti umili”, a “vestirsi con abiti scadenti”. I francescani servono i poveri al loro livello e non aiuterebbe la loro missione essere ricoperti di abiti eleganti mentre servono gli indigenti.
I toni della terra riflettono il corpo terreno
Ogni ordine che fa voto di povertà lo fa per dimostrare che i beni non sono ciò che ci definisce e per seguire le parole di Cristo in Matteo 19:21:
Gesù gli disse: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo. Allora vieni e seguimi.”
Si menziona l’ammirazione del santo per l’allodola, suggerendo che il marrone riflette la vita terrena e le opere dell’ordine per alleviare la sofferenza terrena:
“Il suo piumaggio è terroso. Dà l’esempio alle religiose e ai religiosi affinché non debbano avere abiti eleganti e raffinati, ma piuttosto indossare colori spenti, come quelli della terra”.
San Francesco iniziò il suo ordine circa 809 anni fa, nel 1209. All’epoca le vesti dei confratelli venivano fornite dai contadini, che spesso non erano molto più ricchi dei francescani. Il colore più comune indossato dalla classe contadina dei secoli bui erano varie tonalità di grigio e marrone, a seconda della fonte di lana utilizzata. Il tessuto non tinto era il più economico disponibile. La veste indossata da San Francesco conservata presso la Basilica di Nostra Signora degli Angeli è grigia. I francescani, il cui abbigliamento doveva essere utile e duraturo, non si preoccupavano del colore, ma man mano che la loro influenza cresceva, il marrone divenne semplicemente “il loro colore”.
Il colore serviva anche ad un altro scopo. Quando iniziò l’ordine, i fratelli vivevano nel lebbrosario di Rivo Torto vicino ad Assisi e trascorrevano gran parte del loro tempo scalando la regione montuosa dell’Umbria per portare soccorso ai bisognosi. I frati dormivano spesso nella terra e il colore marrone era utile per aiutarli a sembrare ancora relativamente puliti.
I Frati Francescani del Rinnovamento, ramo più recente dei seguaci di Francesco, sono noti per il loro abito grigio.
La cintura
Un altro tratto distintivo del loro abbigliamento francescano è il cingolo, una lunga corda con tre nodi legati che viene indossata intorno alla vita. Mentre il cingolo aiuta a tenere chiuse le vesti del sacco nelle giornate ventose, i tre nodi rappresentano Povertà, Castità e Obbedienza , i tre capisaldi dell’Ordine francescano.
La foresta
Mentre la maggior parte degli abiti francescani hanno un cappuccio attaccato, un ramo si distingue per i suoi lunghi cappucci, noti come capuches. I Francescani Cappuccini prendono il nome da questo tratto distintivo, e hanno a loro volta dato il nome alla scimmia cappuccina (che sembra indossare un cappuccio) e al cappuccino, la bevanda al caffè che riprende la colorazione dell’abito francescano.
Testo del Vangelo In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Meditazione Da dove parte il cammino di Francesco verso Cristo? Parte dallo sguardo di Gesù sulla croce. Lasciarsi guardare da Lui nel momento in cui dona la vita per noi e ti attira a Lui. Francesco ha fatto questa esperienza in modo particolare nella chiesetta di san Damiano, pregando davanti al Crocifisso che io oggi potrò venerare. In quel crocifisso Gesù non appare morto, ma vivo! Il sangue scende dalle ferite delle mani, dei piedi e del costato, ma quel sangue esprime vita. Gesù non ha gli occhi chiusi, ma aperti, spalancati: uno sguardo che parla al cuore. E il Crocifisso non ci parla di sconfitta, di fallimento; paradossalmente ci parla di una morte che è vita, che genera vita, perché ci parla di amore, perché è l’Amore di Dio incarnato, e l’Amore non muore, anzi, sconfigge il male e la morte. Chi si lascia guardare da Gesù crocifisso viene ri-creato, diventa una «nuova creatura». Da qui parte tutto: è l’esperienza della Grazia che trasforma, l’essere amati senza merito, pur essendo peccatori. Per questo Francesco può dire, come san Paolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14). Ci rivolgiamo a te, Francesco, e ti chiediamo: insegnaci a rimanere davanti al Crocifisso, a lasciarci guardare da Lui, a lasciarci perdonare…
Altissimu, onnipotente, bon Signore, Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedizione. Ad Te solo, Altissimo, se konfane, e nullu homo ène dignu Te mentovare.
Laudato si’…
Francesco inizia il Cantico così: “Altissimo, onnipotente, bon Signore… Laudato sì… cun tutte le tue creature” (FF, 1820). L’amore per tutta la creazione, per la sua armonia! Il Santo d’Assisi testimonia il rispetto per tutto ciò che Dio ha creato e come Lui lo ha creato, senza sperimentare sul creato per distruggerlo; aiutarlo a crescere, a essere più bello e più simile a quello che Dio ha creato. E soprattutto san Francesco testimonia il rispetto per tutto, testimonia che l’uomo è chiamato a custodire l’uomo, che l’uomo sia al centro della creazione, al posto dove Dio – il Creatore – lo ha voluto. Non strumento degli idoli che noi creiamo! L’armonia e la pace! Francesco è stato uomo di armonia, uomo di pace…da questa città della pace, ripeto con la forza e la mitezza dell’Amore: rispettiamo la creazione! Non siamo strumenti di distruzione! Rispettiamo ogni essere umano: cessino i conflitti armati che insanguinano la terra, tacciano le armi e dovunque l’odio ceda il posto all’amore, l’offesa al perdono e la discordia all’unione.
Recita Sabrina Boschetti
Musica di sottofondo Arrangiamento musicale con chitarra di Gabriele Fabbri
Meditazione Papa Francesco, brano tratto dall’omelia tenuta in Piazza San Francesco in Assisi il 4 ottobre 2013
Le reliquie del Beato Carlo Acutis esposte in maniera permanente nella chiesa della Madonna del Fuoco.
Il giovane, nato nel 1991, è morto nel 2006 per una leucemia fulminante ed è diventato Beato nel 2020. La reliquia è già stata donata alla parrocchia
La storia di Carlo Acutis, morto nel 2006 di leucemia è il primo millenial proclamato beato
Dal 12 luglio, al termine della messa presieduta alle 18.30 dall’arcivescovo di Pescara-Penne Tommaso Valentinetti, una reliquia dei capelli del Beato Carlo Acutis verrà esposta in maniera permanente nella chiesa della Madonna del Fuoco, in via Stradonetto.
Lo riporta LaPorzione.it, spiegando che l’iniziativa è stata promossa dal parroco don Carmine Di Marco: «La nostra è una comunità dove c’è una bella e intesa attività giovanile – spiega – Vedendo anche un po’ di giovani in difficoltà per un fatto che era accaduto in parrocchia e andando a fare un pellegrinaggio ad Assisi, ho visto lo stupore di tanti giovani di fronte alla tomba del Beato Carlo Acutis. Contemporaneamente stava nascendo un gruppo di adorazione eucaristica e allora ho fatto la richiesta per poter avere una reliquia, così da poter creare un angolo di preghiera per i giovani».
Carlo Acutis, nato nel 1991, è morto nel 2006 per una leucemia fulminante ed è diventato Beato nel 2020. La reliquia è stata già donata alla parrocchia della Madonna del fuoco che la esporrà, in un reliquiario, alla venerazione di tutti i fedeli: «L’auspicio – osserva don Carmine – è che questo possa essere un modo per incontrarsi e, attraverso questo giovane, incontrarsi veramente con Dio potendo trasmettere lo stesso amore che il Beato Carlo Acutis aveva per l’Eucaristia. Che possa attirare tante persone ed essere soprattutto un punto di riferimento per i giovani».
Carlo Acutis nacque a Londra (Gran Bretagna) il 3 maggio 1991, da genitori italiani, Carlo e Antonia Salzano, che si trovavano nella City per motivi di lavoro. Venne battezzato il 18 maggio nella chiesa di “Our Lady of Dolours” a Londra. Nel settembre 1991, la famiglia rientrò a Milano. All’età di quattro anni, i genitori lo iscrissero alla scuola materna, che frequentò con grande entusiasmo. Giunto il momento della scuola obbligatoria, venne iscritto all’istituto San Carlo di Milano, una scuola privata molto conosciuta. Dopo tre mesi, venne trasferito alle scuole elementari presso l’istituto Tommaseo delle Suore Marcelline, perché era più vicino alla sua abitazione. Il 16 giugno 1998, ricevette la prima Comunione, in anticipo rispetto all’età consueta, grazie a uno speciale permesso del direttore spirituale, don Ilio Carrai, e dell’Arcivescovo Pasquale Macchi. La celebrazione avvenne nel Monastero delle monache di clausura delle Romite dell’Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemus a Bemaga di Perego (Lecco). Il Sacramento della Cresima, il 24 maggio 2003, gli venne amministrato nella chiesa di Santa Maria Segreta, da Monsignor Luigi Testore, già segretario del Cardinale Carlo Maria Martini e Parroco di San Marco in Milano.
A quattordici anni, passò al Liceo classico presso l’istituto Leone XIII di Milano, diretto dai Padri Gesuiti, dove sviluppò pienamente la sua personalità. Con uno studente di ingegneria informatica iniziò a curare e a occuparsi del sito internet della parrocchia milanese di Santa Maria Segreta. Nonostante gli studi fossero particolarmente impegnativi, decise spontaneamente di dedicare parte del suo tempo anche alla preparazione dei bambini per la Cresima, insegnando il Catechismo nella Parrocchia di Santa Maria Segreta. Quello stesso anno progettò il nuovo sito internet per il volontariato dell’istituto Leone XIII e promosse e coordinò la realizzazione degli spot sempre per il volontariato di molte classi nell’ambito di un concorso nazionale. Trascorse tutta l’estate del 2006 a ideare il sito per questo progetto. Organizzò anche il sito internet della Pontificia Accademia Cultorum Martyrum.
Una delle particolarità di Carlo era di amar trascorrere la maggior parte delle sue vacanze ad Assisi in una casa di famiglia. Qui oltre a divertirsi con gli amici, imparò a conoscere San Francesco. Da lui apprese il rispetto per il creato e la dedizione ai più poveri. Infatti, l’esempio del Serafico e di Sant’Antonio di Padova nel compiere gesti di carità nei confronti dei poveri furono per Carlo un invito a fare altrettanto. Si impegnò così in una gara di carità a favore dei bisognosi, dei senzatetto, degli extracomunitari, che aiutava anche con i soldi risparmiati dalla sua paghetta settimanale.
Vista la grande devozione che Carlo nutriva per la Madonna, recitava quotidianamente il Rosario. Si consacrò più volte a Maria per rinnovarle il proprio affetto e per impetrare il suo sostegno. Progettò anche uno schema del Rosario che poi riprodusse con il suo computer. Dobbiamo riconoscere che nella vita spirituale di Carlo furono sempre presenti i Novissimi. Questa sua forte consapevolezza della realtà della vita eterna fu causa di ostacoli da parte di alcuni suoi amici.
Nell’ottobre 2006 si ammalò di leucemia di tipo M3 considerata la forma più aggressiva, in un primo tempo scambiata per influenza. In un primo momento, venne ricoverato alla Clinica De Marchi di Milano, poi visto l’aggravarsi della situazione, fu trasferito all’ospedale San Gerardo di Monza, dove c’è un centro specializzato per il tipo di leucemia che lo aveva colpito. Pochi giorni prima del ricovero, offrì la sua vita al Signore per il Papa, per la Chiesa, per andare dritto in Paradiso.
In quell’ospedale, un sacerdote gli amministrò il Sacramento dell’Unzione degli infermi. Alcune tra le infermiere ed i medici che hanno seguito Carlo in quei momenti, lo ricordano con grande affetto ed edificazione. La morte cerebrale avvenne l’11 ottobre 2006, il suo cuore smise di battere alle ore 6:45 del 12 ottobre. La notizia della sua morte si diffuse subito grazie ai suoi compagni di classe. Riportata la salma a casa, fu un continuo afflusso di persone che andarono a dargli l’ultimo saluto. I funerali vennero celebrati nella chiesa di Santa Maria Segreta, il 14 ottobre 2006. La salma di Carlo venne sepolta nella tomba di famiglia a Ternengo (Biella), poi nel febbraio 2007 i suoi resti mortali vennero traslati nel cimitero comunale di Assisi per soddisfare il suo desiderio di rimanere nella città di San Francesco. Dalla morte, la sua fama di santità e di segni non ha fatto altro che aumentare in ogni Continente.
Il 5-6 aprile 2019 i resti mortali di Carlo sono stati traslati nel Santuario della Spogliazione, chiesa di Santa Maria Maggiore, di Assisi.
Inchiesta Diocesana
L’Inchiesta Diocesana si svolse presso la Curia ecclesiastica di Milano (Italia), dal 12 ottobre 2013 al 24 novembre 2016, in sessantacinque Sessioni, durante le quali furono raccolte le prove documentali e vennero escussi cinquantasette testi, di cui sei ex officio.
La validità giuridica dell’Inchiesta fu riconosciuta con il Decreto del 26 maggio 2017.
Congresso Peculiare dei Consultori Teologi
Si svolse il 17 aprile 2018, presieduto dal Promotore della Fede, con la partecipazione dei Consultori prescritti, i quali sottolinearono che la breve esistenza terrena di Carloo fu lineare, trasparente, aperta a Dio e al prossimo. Lasciatosi plasmare dalla Grazia, divenne un esempio luminoso della gioia che si irradia dall’incontro con Gesù. Questa familiarità sta alla base del suo cammino di perfezione ed è fondamentale per comprendere la sua spiritualità, centrata sull’Eucaristia e sulla devozione alla Vergine Maria.
Per i Teologi risulta evidente l’ardore con il quale egli praticò le virtù e l’impegno con cui invitava gli altri, a cominciare dai familiari, a fare altrettanto. Durante la breve malattia si registrò il culmine del suo percorso spirituale. La sua compostezza, l’inalterata serenità nonostante le sofferenze, colpirono profondamente chi ebbe modo di stargli accanto.
Al termine del dibattito, i Consultori si espressero unanimemente con voto affermativo a favore del grado eroico delle virtù, della fama di santità e di Carlo.
Sessione Ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi
Si riunì il 3 luglio 2018. L’Ecc.mo Ponente, dopo avere tratteggiato la storia della Causa e la figura di Carlo, ne sottolineò l’ardore con il quale, giovane di età ma maturo nelle vie del Signore, praticò tutte le virtù, impegnandosi anche a esortare i suoi compagni a fare altrettanto. Fu un innamorato di Dio e, in particolare, dell’Eucaristia, che definiva autostrada per il cielo. Coltivò un amore filiale per la Vergine Maria e considerava il Rosario un appuntamento importante della giornata. Testimoniò il Signore Gesù a molti che l’hanno avvicinato e conosciuto.
Al termine della Relazione dell’Ecc.mo Ponente, che aveva concluso constare de heroicitate virtutum, gli Em.mi ed Ecc.mi Padri risposero unanimemente al dubbio con sentenza affermativa
In vista della beatificazione
In vista della sua beatificazione, la Postulazione ha presentato la presunta guarigione miracolosa di un bambino. L’evento accadde il 12 ottobre 2013 a Campo Grande, in Brasile. Il piccolo, sin dalla nascita, avvenuta nel 2010, soffriva di importanti disturbi all’apparato digerente. Nel 2012 un esame clinico evidenziò una rara anomalia anatomica congenita del pancreas. A causa di questa patologia, la vita del bambino era caratterizzata da scarsa crescita e difficoltà nell’alimentazione. Più volte fu ricoverato per disidratazione e per processi infiammatori. Solo un intervento chirurgico avrebbe potuto eliminare il problema.
L’intervento però non fu mai effettuato, poiché nel 2013, dopo che il piccolo infermo ebbe toccato una reliquia di Carlo Acutis, si registrò un sorprendente viraggio e la ripresa della normale crescita staturo-ponderale. Esami clinici, eseguiti negli anni successivi, rilevarono che il pancreas non presentava più il problema anatomico iniziale, senza che fosse stato praticato alcun intervento chirurgico, come sarebbe stato necessario per eliminare i disturbi funzionali. L’iniziativa dell’invocazione era stata presa dal parroco di S. Sebastiano in Campo Grande e dai genitori del bambino. In occasione dell’anniversario della morte di Carlo, il parroco aveva organizzato la celebrazione di una Messa. Intanto, la mamma dell’infermo aveva iniziato una novena per chiedere la guarigione del figlio. Oltre ai familiari, molti conoscenti e parrocchiani si unirono alle invocazioni rivolte a Carlo. La preghiera fu antecedente, corale, univoca, fatta in un contesto di fede che ha visto coinvolta un’intera comunità parrocchiale. La guarigione del bambino avvenne durante la Santa Messa, subito dopo il bacio della reliquia.
Appare evidente la concomitanza cronologica e il nesso tra l’invocazione a Carlo e la guarigione del fanciullo, che in seguito ha goduto di buona salute ed è stato in grado di gestire una normale vita relazionale.