Vivere La Quaresima aspettando la Pasqua attraversando il Triduo Pasquale
La Donna de Paradiso di Jacopone da Todi Donna de paradiso è una poesia religiosa atribuita a Iacopone da Todi. Si tratta di un componimento in volgare, una lauda drammatica, chiamato anche Il pianto della Madonna, ed è pensato come un dialogo ai piedi della croce, nel quale Maria mostra tutto il suo dolore per la perdita di suo figlio.
«Donna de Paradiso lo tuo figliolo è priso Iesù Cristo beato.
Accurre, donna e vide che la gente l’allide; credo che lo s’occide, tanto l’ho flagellato.»
(Donna de Paradiso, 1-7) Rappresenta un concitato dialogo tra il nunzio (san Giovanni Evangelista), Gesù, la Madonna e la folla durante gli ultimi momenti della vita di Cristo. Il metro utilizzato è quello della ballata sacra con quartine di settenari rimati AAAY e una ripresa rimata XXY. Il componimento è diviso in una terzina iniziale oltre a 33 quartine che rappresentano il numero degli anni che aveva Cristo alla sua morte e le strofe dedicate alla passione sono tre, simbolo della Trinità.
Ha una grande rilevanza storico-linguistica per il particolare uso del volgare: si alterna un registro basso (il cosiddetto sermo cotidianus) per i personaggi Maria e Gesù, a un registro colto e latineggiante per la folla e il nunzio.
Cristo si rivolge alla Madonna chiamandola mamma le tre volte che si rivolge a lei direttamente, e mate quando parla di lei a Giovanni.
La lauda drammatica Donna de Paradiso è l’esempio più famoso di lauda drammatica, nonché in assoluto la prima lauda drammatica costruita interamente sotto forma di dialogo (Gesù-Maria-il nunzio).
Il carattere polifonico, di poesia a più voci, è strettamente associato a una concitazione narrativa che esprime i sentimenti drammatici e contrastanti da cui la scena è dominata: stupore, dolore, odio, amore. Fino a distendersi nell’ultima e più lunga battuta pronunciata da Maria, in una sofferta e quasi ininterrotta invocazione, dove si sommano il più tenero affetto e il dolore più straziante.
All’interno della lauda il personaggio di Maria assume particolare rilievo e viene rappresentata essenzialmente nella sua umanità di madre. La Madonna appare come una donna disperata per la vicenda del figlio, la cui condanna e morte le sono del tutto incomprensibili, dal momento che Cristo «non fece follia», «a torto è accusato», «non ha en sé peccato». La madre vede il proprio figlio martirizzato, «ensanguinato» e vuole allora morire con lui, salendo sulla stessa croce sul quale Cristo è riposto. La sua disperazione compare nel famoso corrotto, lamento funebre, nel quale con i più dolci appellativi si rivolge alla sua creatura che non è riuscita a sottrarre al martirio.
La Madonna non coglie nella sua morte l’esperienza necessaria per la redenzione dell’umanità dal peccato originale, ma solo l’aspetto terreno di terribile sofferenza.
Anche Cristo rivela attenzioni da figlio nei confronti della madre, che affida alle cure amorevoli di Giovanni, esortandola a restare in vita per servire i «compagni ch’al mondo» ha «acquistato», ma c’è in Cristo quella consapevolezza della sua missione salvifica che manca alla semplice donna del popolo.
Compito del nunzio è quello di riferire alla donna tutto quanto accade intorno alla croce; svolge con scrupolo il suo compito di cronista, non risparmiando alla madre nessuna delle torture inflitte al figlio e senza una sua partecipazione emotiva al dramma.
Due soli sono gli interventi del popolo presente alla scena ed entrambi con la funzione di affermare che in nome della legge Gesù deve essere punito, condannato.
Lo stile ha una notevole forza espressiva: scansione rapida delle frasi e prevalenza della coordinazione nella sintassi; l’uso dell’anafora (la parola figlio). Le frasi esclamative hanno il verbo all’infinito e la forma interrogativa è piena d’incertezza e di tensione. L’uso del tempo verbale al presente conferisce sia immediatezza sia eternità all’evento della passione.
È evidente da queste osservazioni che l’alta materia della Passione dal piano teologico è scesa a quello umano e spettacolarizzato; questo consente al pubblico, a cui è destinata la lauda, di identificarsi nel dramma della madre e del figlio e di parteciparvi. Iacopone nel descrivere la Passione di Cristo segue fedelmente i testi sacri della tradizione cristiana (le Sacre Scritture ed i Vangeli); inoltre la drammaticità che permea la sua opera è analoga a quella presente in alcune opere dell’arte figurativa contemporanea, come dimostra l’osservazione, ad esempio, della Crocifissione di Cimabue, conservata nella basilica superiore di San Francesco d’Assisi. La poesia viene citata da Fabrizio De André (Le nuvole) nel brano Ottocento.
(Laude, 70)
È il più celebre testo di Jacopone, uno dei primi esempi (se non il primo in assoluto) di “lauda drammatica” in quanto propone un dialogo tra più personaggi sulla crocifissione di Cristo, al centro della quale vi è il dolore di Maria per il martirio del proprio figlio (gli altri interlocutori sono Gesù stesso, la folla degli ebrei e un fedele che descrive le fasi del supplizio, probabilmente l’apostolo Giovanni). Il mistero dell’incarnazione di Cristo è espresso attraverso la pena tutta umana della madre per le sofferenze a Lui inflitte, per cui il racconto della Passione diventa un dramma concreto e naturalissimo accentuato dal movimento drammatico delle voci che si susseguono. Jacopone ha affrontato il tema del dolore della Vergine per la morte di Cristo anche nell’inno latino “Stabat Mater”, a lui generalmente attribuito.
«Donna de Paradiso, lo tuo figliolo è preso Iesù Cristo beato.Accurre, donna e vide che la gente l’allide; credo che lo s’occide, tanto l’ò flagellato».«Come essere porria, che non fece follia, Cristo, la spene mia, om l’avesse pigliato?».«Madonna, ello è traduto, Iuda sì ll’à venduto; trenta denar’ n’à auto, fatto n’à gran mercato».«Soccurri, Madalena, ionta m’è adosso piena! Cristo figlio se mena, como è annunzïato».«Soccurre, donna, adiuta, cà ’l tuo figlio se sputa e la gente lo muta; òlo dato a Pilato».«O Pilato, non fare el figlio meo tormentare, ch’eo te pòzzo mustrare como a ttorto è accusato».«Crucifige, crucifige! Omo che se fa rege, secondo la nostra lege contradice al senato».«Prego che mm’entennate, nel meo dolor pensate! Forsa mo vo mutate de que avete pensato».
«Traiàn for li latruni, che sian soi compagnuni; de spine s’encoroni, ché rege ss’è clamato!».
«O figlio, figlio, figlio, figlio, amoroso giglio! Figlio, chi dà consiglio al cor me’ angustïato?
Figlio occhi iocundi, figlio, co’ non respundi? Figlio, perché t’ascundi al petto o’ si lattato?».
«Madonna, ecco la croce, che la gente l’aduce, ove la vera luce déi essere levato».
«O croce, e que farai? El figlio meo torrai? E que ci aponerai, che no n’à en sé peccato?».
«Soccurri, plena de doglia, cà ’l tuo figliol se spoglia; la gente par che voglia che sia martirizzato».
«Se i tollit’el vestire, lassatelme vedere, com’en crudel firire tutto l’ò ensanguenato».
«Donna, la man li è presa, ennella croc’è stesa; con un bollon l’ò fesa, tanto lo ’n cci ò ficcato.
L’altra mano se prende, ennella croce se stende e lo dolor s’accende, ch’è plu multiplicato.
Donna, li pè se prènno e clavellanse al lenno; onne iontur’aprenno, tutto l’ò sdenodato».
«Et eo comenzo el corrotto; figlio, lo meo deporto, figlio, chi me tt’à morto, figlio meo dilicato?
Meglio aviriano fatto ch’el cor m’avesser tratto, ch’ennella croce è tratto, stace descilïato!».
«O mamma, o’ n’èi venuta? Mortal me dà’ feruta, cà ’l tuo plagner me stuta, ch’el veio sì afferato».
«Figlio, ch’eo m’aio anvito, figlio, pat’e mmarito! Figlio, chi tt’à firito? Figlio, chi tt’à spogliato?».
«Mamma, perché te lagni? Voglio che tu remagni, che serve mei compagni, ch’êl mondo aio aquistato».
«Figlio, questo non dire! Voglio teco morire, non me voglio partire fin che mo ’n m’esc’ el fiato.
C’una aiàn sepultura, figlio de mamma scura, trovarse en afrantura mat’e figlio affocato!».
«Mamma col core afflitto, entro ’n le man’ te metto de Ioanni, meo eletto; sia to figlio appellato.
Ioanni, èsto mea mate: tollila en caritate, àginne pietate, cà ’l core si à furato».
«Figlio, l’alma t’è ’scita, figlio de la smarrita, figlio de la sparita, figlio attossecato!
Figlio bianco e vermiglio, figlio senza simiglio, figlio, e a ccui m’apiglio? Figlio, pur m’ài lassato!
Figlio bianco e biondo, figlio volto iocondo, figlio, perché t’à el mondo, figlio, cusì sprezzato?
Figlio dolc’e placente, figlio de la dolente, figlio àte la gente mala mente trattato.
Ioanni, figlio novello, morto s’è ’l tuo fratello. Ora sento ’l coltello che fo profitizzato.
Che moga figlio e mate d’una morte afferrate, trovarse abraccecate mat’e figlio impiccato!».
Fedele: «Donna del cielo, tuo figlio, Gesù Cristo beato, è catturato.
Accorri, donna e vedi che la gente lo colpisce; credo che lo stiano uccidendo, tanto lo hanno flagellato.»
Maria: «E come potrebbe essere che abbiano catturato Cristo, la mia speranza, visto che non ha commesso peccato?»
Fedele: «Madonna, egli è stato tradito; Giuda l’ha venduto, avendone in cambio trenta denari; ne ha tratto un gran guadagno».
Maria: «Aiutami, Maddalena, mi è arrivata addosso la pena! Mio figlio Cristo è portato via, come è stato annunciato».
Fedele: «Soccorrilo, donna, aiutalo, poiché sputano addosso a tuo figlio e la gente lo sta portando via; lo hanno consegnato a Pilato».
Maria: «O Pilato, non fare torturare mio figlio, poiché io ti posso dimostrare che è accusato a torto».
Folla: «Crocifiggilo, crocifiggilo! Un uomo che si proclama re, secondo la nostra legge, contravviene ai decreti del senato».
Maria: «Vi prego di ascoltarmi, pensate al mio dolore! Forse ora cambiate idea rispetto a ciò che avete pensato».
Folla: «Tiriamo fuori [liberiamo] i ladroni, che siano suoi compagni di pena; lo si incoroni di spine, visto che si è proclamato re!».
Maria: «O figlio, figlio, figlio, figlio, giglio amoroso! Figlio, chi dà conforto al mio cuore angosciato?
Figlio dagli occhi che danno gioia, figlio, perché non mi rispondi? Figlio, perché ti nascondi dal petto dove sei stato allattato?».
Fedele: «Madonna, ecco la croce che è portata dalla folla, ove Cristo (la vera luce) dovrà essere sollevato».
Maria: «Croce, cosa farai? Prenderai mio figlio? E di cosa lo accuserai, visto che non ha commesso alcun peccato?».
Fedele: «Soccorrilo, o tu che sei piena di dolore, poiché il tuo figliolo è spogliato; sembra che la folla voglia che sia martirizzato».
Maria: «Se gli togliete i vestiti, lasciatemi vedere come lo hanno tutto insanguinato, infliggendogli crudeli ferite».
Fedele: «Donna, gli hanno preso una mano e l’hanno stesa su un braccio della croce; l’hanno spaccata con un chiodo, tanto gliel’hanno conficcato.
Gli prendono l’altra mano e la stendono sull’altro braccio della croce, e il dolore brucia, ancora più accresciuto.
Donna, gli prendono i piedi e li inchiodano al legno; aprendogli ogni giuntura, lo hanno tutto slogato».
Maria: «E io inizio il lamento funebre; figlio, mia gioia, figlio, chi ti ha ucciso [togliendoti a me], figlio mio delicato?
Avrebbero fatto meglio a strapparmi il cuore, visto che è posto anch’esso in croce e sta lì straziato!».
Cristo: «Mamma, dove sei venuta? Mi infliggi una ferita mortale, poiché il tuo pianto, che vedo così angosciato, mi uccide».
Maria: «Figlio, io ne ho ben ragione, figlio, padre e marito! Figlio, chi ti ha ferito? Figlio, chi ti ha spogliato?».
Cristo: «Mamma, perché ti lamenti? Voglio che tu rimanga qui, che assisti i miei compagni che ho acquistato nel mondo».
Maria: «Figlio, non dire questo! Voglio morire con te, non voglio andarmene finché mi esce ancora voce.
Possiamo noi avere un’unica sepoltura, figlio di mamma infelice, trovandoci nella stessa sofferenza, madre e figlio ucciso!».
Cristo: «Mamma col cuore afflitto, ti affido nelle mani di Giovanni, il mio discepolo prediletto; sia tuo figlio acquisito.
Giovanni, ecco mia madre: prendila con affetto, abbine pietà, poiché ha il cuore così trafitto».
Maria: «Figlio, l’anima ti è uscita dal corpo, figlio della smarrita, figlio della disperata, figlio avvelenato [ucciso]!
Figlio bianco e rosso, figlio senza pari, figlio, a chi mi rivolgo? Mi hai davvero abbandonata!
Figlio bianco e biondo, figlio dal volto gioioso, figlio, perché il mondo ti ha così disprezzato?
Figlio dolce e bello, figlio di una donna addolorata, figlio, la gente ti ha trattato in malo modo.
Giovanni, figlio acquisito, tuo fratello è morto. Ora sento il coltello [la pena del martirio] che fu profetizzato.
Che la madre muoia insieme al figlio, afferrati dalla stessa morte, trovandosi abbracciati, madre e figlio entrambi crocifissi!»
Interpretazione
Il testo ha la forma metrica di una ballata di versi settenari, con una ripresa di tre versi (rima YYX) e 33 strofe di quattro versi ciascuna (rima AAAX). Sono presenti rime siciliane ai vv. 1-2 (Paradiso / preso), vv. 28-29 (crucifige / rege), vv. 37-38 (compagnuni / encoroni), vv. 48-49 (croce / aduce), vv. 60-61 (vestire / vedere), vv. 104-105 (afflitto / metto). Una rima imperfetta è ai vv. 76-77, corrotto / deporto.
La passione di Cristo è rappresentata nella sua crudezza e nella sua umanità, poiché Gesù è mostrato come un uomo che soffre e il cui corpo è flagellato e sottoposto a crudeli ferite. Altrettanto umana la figura della Madonna, il cui dolore è quello di una madre che soffre a vedere il figlio torturato senza colpa (all’inizio Maria tenta inutilmente di convincere la folla e Pilato dell’innocenza del figlio). Nelle prime strofe la sua voce si alterna a quella di un fedele (forse S. Giovanni, cui Cristo affida la madre alla fine del testo) che descrive i momenti più strazianti del martirio e invita Maria a soccorrere il figlio; interviene poi la voce della folla che incita alla crocifissione, secondo lo stereotipo medievale del popolo ebreo deicida, quindi animato dal desiderio di martirio verso Cristo.
Il testo si compone di 33 quartine (esclusa la ripresa) che corrispondono agli anni di Cristo quando venne crocifisso, mentre la descrizione del suo corpo inchiodato alla croce si concentra nei vv. 64-75, dunque nelle tre strofe centrali del componimento, con una perfetta simmetria e la simbologia religiosa del numero tre.
La prima parte della lauda contiene soprattutto la descrizione della Via crucis con le urla della folla all’indirizzo di Gesù e gli oltraggi al suo corpo, mentre nella seconda parte (dopo che Cristo è stato inchiodato alla croce) ha grande spazio il dolore di Maria, che si abbandona a un “corrotto” (lamento funebre) commovente e straziante: la Vergine si rivolge direttamente al figlio, sottolinea la sua innocenza e il fatto che sia martirizzato senza colpa, ne fa l’elogio con una serie di epiteti esornativi (l’anafora “figlio” è ripetuta per quattro quartine consecutive, vv. 112-127, poi Maria lo chiama “bianco e vermiglio”, “bianco e biondo”, “volto iocondo”). Il suo dolore è quello tutto umano di una donna che vede il figlio morire e vorrebbe essere uccisa insieme a lui, mente alla fine resta piangente ai piedi della croce.
Facciamo tutti un passo verso gli altri per ridurre le distanze sociali in questa fase storica così drammatica per la nostra società. Pubblicità Progresso è sempre stata al servizio della crescita civile e della coesione sociale del nostro Paese con campagne media che sono entrate nel cuore degli italiani. Serve fiducia per la coesione sociale, dice il Capo dello Stato. Le relazioni basate sulla logica del dono sono formidabili vettori di fiducia. La nostra campagna punta, perciò, a contrastare la caduta dei sentimenti più solidali promuovendo, con un tono di voce delicato, comportamenti ispirati alla solidarietà ed alla fratellanza.
“Leggi dentro di te”, “Ricordati che sei unico”, “Fai emergere la tua bellezza”: le 15 piccole lezioni di felicità nel libro-manifesto di Papa Francesco
Esce in tutte le librerie “Ti voglio felice”, il nuovo libro del pontefice pubblicato da Libreria Pienogiorno in collaborazione con Libreria Editrice Vaticana. Il volume rappresenta il naturale completamento del bestseller “Ti auguro il sorriso” ed è il nuovo manifesto di Bergoglio per un’autentica realizzazione di sé, che intreccia le sue parole con quelle dei libri e dei film che più ha amato, da Borges a Dante, da Dostoevskij a Sant’Agostino, da Fellini a Tolkiendi F. Q.
“La felicità è rivoluzionaria: abbiate il coraggio di essere felici”. Ora più che mai.
Si intitola Ti voglio felice (Il centuplo in questa vita) il nuovo libro di Papa Francesco, che esce in tutte le librerie dal 16 novembre. Pubblicato da Libreria Pienogiorno (272 pp, 16,90 euro), che ne gestisce i diritti internazionali, in collaborazione con Libreria Editrice Vaticana, il volume rappresenta il naturale completamento del precedente bestseller Ti auguro il sorriso che, dato alle stampe nelle principali lingue da alcuni dei più importanti marchi editoriali del mondo e ormai giunto in Italia alla tredicesima edizione, è risultato il libro più diffuso del Pontefice negli ultimi anni.
Ti voglio felice è il nuovo manifesto di Papa Francesco per un’autentica realizzazione di sé in questi tempi difficili, e intreccia le parole del Pontefice con quelle dei libri e dei film che più ha amato, da Borges a Dante, da Dostoevskij a Sant’Agostino, da Fellini a Tolkien. Per un percorso concreto che non disconosce affatto le difficoltà dell’esistenza, ma le affronta, le sublima, le supera.
Ilfattoquotidiano.it pubblica un’anticipazione del volume: i 15 passi verso la felicità indicati da Francesco.
1.
Leggi dentro di te. La nostra vita è il libro più prezioso che ci è stato consegnato, e proprio in quel libro si trova quello che si cerca inutilmente per altre vie. Sant’Agostino lo aveva compreso: “Rientra in te stesso. Nell’uomo interiore abita la verità”. È l’invito che voglio fare a tutti, e che faccio anche a me. Leggi la tua vita. Leggiti dentro, come è stato il tuo percorso. Con serenità. Rientra in te stesso.
2.
Ricordati che sei unico, che sei unica. Lo è ciascuno di noi ed è al mondo per sentirsi amato nella sua unicità e per amare gli altri come nessuno può fare al posto suo. Non si vive seduti in panchina a fare la riserva di qualcun altro. No, ciascuno è unico agli occhi di Dio. Quindi non lasciarti “omologare”: non siamo fatti in serie, siamo unici, siamo liberi, e siamo al mondo per vivere una storia d’amore, di amore con Dio, per abbracciare l’audacia di scelte forti, per avventurarci nel rischio meraviglioso di amare.
3.
Fai emergere la tua bellezza! Non quella secondo le mode del mondo, ma quella vera. La bellezza di cui parlo non è quella piegata su se stessa, come Narciso che, innamoratosi della propria immagine, finì per affogare nel lago dove si rispecchiava. E nemmeno quella che scende a patti con il male, come Dorian Gray che, a incantesimo finito, si ritrovò con il volto deturpato. Parlo della bellezza che non sfiorisce mai perché è riflesso della bellezza divina: il nostro Dio è inseparabilmente buono, vero e bello. E la bellezza è una delle vie privilegiate per arrivare a Lui.
4.
Impara a ridere di te stesso. I narcisisti si guardano continuamente allo specchio… Io consiglio ogni tanto di guardare nello specchio e di ridere sé. Ridete di voi stessi. Vi farà bene.
5.
Vivi una sana inquietudine, nei desideri e nei propositi, quell’inquietudine che spinge sempre a camminare, a non sentirsi mai “arrivati”. Non isolarti dal mondo rinchiudendoti nella tua stanza – come un Peter Pan che non vuole crescere – ma sii sempre aperto e coraggioso.
6.
Impara a perdonare. Ogni persona sa di non essere sempre il padre o la madre che dovrebbe essere, lo sposo o la sposa, il fratello o la sorella, l’amico o l’amica che dovrebbe essere. Tutti siamo “in deficit”, nella vita. E tutti abbiamo bisogno di misericordia. Ricorda di avere bisogno di perdonare, di avere bisogno del perdono, di avere bisogno della pazienza. E ricorda che sempre Dio ti precede e ti perdona per primo.
7.
Impara a leggere la tristezza. Nel nostro tempo è considerata solo un male da fuggire a tutti i costi, e invece può essere un indispensabile campanello di allarme, che ci invita a esplorare paesaggi più ricchi e fertili che la fugacità e l’evasione non consentono. A volte la tristezza lavora come un semaforo, ci dice: è rosso, fermati! Accoglila, sarebbe molto più grave non avvertire questo sentimento.
8.
Fai grandi sogni. Non accontentarti del dovuto. Il Signore non vuole che restringiamo gli orizzonti, non ci vuole parcheggiati ai lati della vita, ma in corsa verso traguardi alti, con gioia e con audacia. Non siamo fatti per sognare solo le vacanze o il fine settimana, ma per realizzare i sogni di Dio in questo mondo. Egli ci ha reso capaci di sognare per abbracciare la bellezza della vita.
9.
Non dare ascolto a chi vende illusioni. Una cosa è sognare, e altra è avere illusioni. Chi parla di sogni e vende illusioni è un manipolatore di felicità. Siamo stati creati per una gioia più grande.
10.
Sii rivoluzionario, va’ controcorrente. Nella cultura del provvisorio, del relativo, molti predicano che l’importante è “godere” il momento, che non vale la pena di impegnarsi, di fare scelte definitive, perché non si sa cosa riserva il domani. Ti chiedo di essere rivoluzionario, di ribellarti a questa cultura che, in fondo, crede che tu non sia in grado di assumerti responsabilità. Abbi il coraggio di essere felice.
11.
Rischia, anche se sbaglierai. Non osservare la vita dal balcone. Non confondere la felicità con un divano. Non essere un’auto parcheggiata, lascia piuttosto sbocciare i sogni e prendi decisioni. Rischia. Non sopravvivere con l’anima anestetizzata e non guardare il mondo come fossi un turista. Fatti sentire! Scaccia le paure che ti paralizzano. Vivi! Datti al meglio della vita!
12.
Cammina con gli altri. È brutto camminare da soli. Brutto e noioso. Cammina in comunità, con gli amici, con quelli che ti vogliono bene: questo ti aiuta ad arrivare alla meta. E se cadi, rialzati. Non avere paura dei fallimenti, delle cadute. Nell’arte di camminare, quello che importa è non “rimanere caduti”.
13.
Vivi la gratuità. Chi non vive la gratuità fraterna fa della propria esistenza un commercio affannoso, sempre misurando quello che dà e quello che riceve in cambio. Dio dà gratis, fino al punto che aiuta persino quelli che non sono fedeli, e “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni” (Mt 5,45). Abbiamo ricevuto la vita gratis, non abbiamo pagato per essa. Dunque tutti possiamo dare senza aspettare qualcosa. È quello che Gesù diceva ai suoi discepoli: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Ed è il senso di una vita compiuta.
14.
Guarda oltre il buio. Sforzati di avere occhi luminosi anche dentro le tenebre, non smettere di cercare la luce in mezzo alle oscurità che tante volte portiamo nel cuore e vediamo attorno a noi. Alzare lo sguardo da terra, verso l’alto, non per fuggire, ma per vincere la tentazione di rimanere steso sui pavimenti delle nostre paure. Questo è il pericolo: che siano le nostre paure a reggerci. Di rimanere rinchiusi nei nostri pensieri a piangerci addosso. Questo è l’invito: alza lo sguardo!
15.
Ricorda che sei destinato al meglio. Dio vuole per noi il meglio: ci vuole felici. Non si pone limiti e non ci chiede interessi. Nel segno di Gesù non c’è spazio per secondi fini, per pretese. La gioia che ci lascia nel cuore è gioia piena e disinteressata. Non è mai una gioia annacquata, ed è una gioia che ci rinnova.
Comprendi il significato spirituale di “Domenica in Albis”
Esplora la storia di “Domenica in Albis”
Come le comunità cristiane celebrano “Domenica in Albis”
Come le persone possono praticare la tradizione di “Domenica in Albis” nella vita di tutti i giorni
Domenica in Albis è una ricorrenza cristiana che si celebra ogni anno, immediatamente dopo la Pasqua. Deriva dal termine latino “in albis depositis”, che significa “con le vesti bianche”. La Chiesa Cattolica ritiene che questa domenica sia un giorno di particolare importanza, poiché è una celebrazione della risurrezione di Cristo. La Domenica in Albis è una ricorrenza cristiana in cui la Chiesa commemora l’Ascensione di Gesù al cielo. I fedeli ricordano che Gesù è salito al cielo con le vesti bianche dopo essere stato crocifisso, sceso nei tre giorni seguenti, e risorto. La Chiesa incoraggia i credenti a partecipare a servizi di adorazione, ringraziamento e preghiera, celebrando la risurrezione di Cristo. La Domenica in Albis è un momento di riflessione e spiritualità, in cui i fedeli ricordano l’amore di Dio e la Sua bontà. La Chiesa incoraggia i cristiani a riflettere su come la loro vita è stata trasformata dalla risurrezione di Cristo. Anche se la celebrazione è principalmente cristiana, molti non cristiani partecipano a questa giornata, condividendo il messaggio di speranza che deriva dalla risurrezione di Cristo.
Scopri il significato della tradizione di “Domenica in Albis”
“Domenica in Albis” è una tradizione antica che sta ancora oggi celebrando la Resurrezione di Gesù. È una tradizione che ci ricorda di vivere con speranza e comprensione. Ci ricorda che la vita è un regalo prezioso che dobbiamo apprezzare e vivere al meglio; che la fede è una forza incredibile che ci sostiene, anche nei momenti più bui. Ci insegna a guardare al futuro con speranza, a non arrenderci mai e a non lasciarci abbattere dalle avversità che incontriamo nel cammino. Celebrare “Domenica in Albis” è un modo per ricordare che la vita non è mai definitiva e che tutto cambia, e possiamo imparare dagli errori e sperare in un futuro migliore. Che siamo tutti connessi e dobbiamo aiutarci a vicenda. “Domenica in Albis” ci ricorda che la speranza è un dono prezioso che dobbiamo proteggere e coltivare. Perché è grazie alla speranza che possiamo sognare, credere e raggiungere grandi cose.
Comprendi il significato spirituale di “Domenica in Albis”
La Domenica in Albis è un giorno di grande significato spirituale. In questo giorno, la nostra fede ci ispira a guardare oltre le sfide della vita e le difficoltà che ci incontriamo lungo il nostro viaggio spirituale. La Domenica in Albis ci ricorda che anche nelle circostanze più difficili della vita, possiamo trovare conforto e forza nelle parole della sacra scrittura. Ci ricorda che Dio è con noi e ci guida verso la luce. Quando la nostra fede è forte, siamo in grado di superare le prove ed emergere rinnovati. In questo giorno, riconosciamo il potere di Dio che ci aiuta a elevarci spiritualmente. Siamo grati per la sua misericordia e per la sua guida costante. Possiamo anche chiedere la sua benedizione e la sua saggezza come sostegno per la nostra vita spirituale. La Domenica in Albis è un giorno di speranza e di rinnovamento. Ci ricorda che la fede e l’amore di Dio non hanno limiti e ci incoraggia a vivere con passione e a raggiungere la nostra piena realizzazione. Anche nei giorni più bui della nostra vita, possiamo trovare conforto e forza nella luce divina.
Esplora la storia di “Domenica in Albis”
Domenica in Albis, una festa millenaria, è una celebrazione di vittoria, di risurrezione e di speranza. Si tratta di un giorno che non dimenticheremo mai. Una volta all’anno, durante la settimana santa, le persone si riuniscono per ricordare la morte e la resurrezione di Cristo. La gente si riunisce in chiesa per pregare e cantare inni di lode e di grazia. La gente si veste di bianco e porta fiori e regali come segno di rinascita. Domenica in Albis è un giorno di fede, speranza e amore. Un giorno in cui tutti possono riunirsi e ricordare che la vita non finisce con la morte. È un giorno che ci ricorda che siamo tutti ugualmente amati e che c’è una forza più grande che ci sostiene. Domenica in Albis ci ricorda che la vita va oltre la morte. Ci ricorda che la morte non è la fine, ma un nuovo inizio. Ci ricorda che la speranza non muore mai e che possiamo sempre trovare la forza per ricominciare.
Come le comunità cristiane celebrano “Domenica in Albis”
Le comunità cristiane in tutto il mondo celebrano “Domenica in Albis” come una giornata di ringraziamento e di speranza. È la giornata in cui si commemora l’uscita di Gesù dal sepolcro e la sua risurrezione. È il momento in cui celebriamo la vittoria di Gesù sulla morte e la sua promessa di una vita eterna. Le comunità cristiane celebrano “Domenica in Albis” partecipando a servizi di adorazione e rendendo grazie a Dio per la sua grazia e il suo amore. Pregano per la pace e la gioia nella loro comunità, e per le persone in tutto il mondo che hanno bisogno della benedizione della salvezza. Le celebrazioni possono includere la lettura della Parola di Dio, la condivisione di messaggi di speranza e l’adorazione attraverso canti e preghiere. I credenti possono usare questa giornata per riflettere sulla portata del loro amore per Dio e per il prossimo, e per riflettere sul dono della redenzione che Gesù ha offerto al mondo. Domenica in Albis è un giorno di rinascita e di nuova vita. È una promessa che ci ricorda che nulla è impossibile con Dio. Lasciate che la speranza di Cristo riempia i vostri cuori e celebriamo la sua resurrezione.
Come le persone possono praticare la tradizione di “Domenica in Albis” nella vita di tutti i giorni
Ogni domenica può essere una giornata di “Domenica in Albis”. La tradizione di “Domenica in Albis” invita le persone a riflettere sui cambiamenti nella propria vita, a celebrare i risultati raggiunti e a guardare avanti con speranza e fiducia. Inizia la tua giornata di “Domenica in Albis” prendendoti del tempo per ringraziare Dio per le tue benedizioni, riconosci le cose che hai realizzato nella tua vita: quali obiettivi hai raggiunto? Quali sfide hai superato? Prenditi il tempo per festeggiare le tue vittorie. Infine, guarda avanti con fiducia e speranza. Immagina la tua vita nei prossimi mesi e anni, e considera quali obiettivi vuoi raggiungere. Pensa a come puoi costruire un futuro migliore per te stesso e per gli altri. Concediti di praticare “Domenica in Albis” ogni settimana, e sentirai la gioia della gratitudine, della celebrazione e della speranza in Cristo Gesù risorto e signore della nostra vita!
L’importanza della preghiera durante una “Domenica in Albis”
La preghiera è una parte indispensabile di qualsiasi domenica in albis. La preghiera ci aiuta a riconnetterci al nostro Dio e ai nostri cari, a riconoscere le benedizioni che abbiamo nella nostra vita e a ringraziare per i doni che ci vengono donati. La preghiera ci ricorda che la domenica è un giorno speciale, un giorno in cui possiamo prendere un po’ di tempo per riconnetterci con il nostro Creatore. Durante una domenica in albis, pregare ci aiuta a sostenere e a preparare la nostra anima per il giorno successivo. La preghiera ci aiuta a mantenere la nostra mente e il nostro cuore focalizzati su ciò che è più importante nella nostra vita, e ci ricorda che Dio è sempre al nostro fianco. Inoltre, pregare ci aiuta a riconoscere la grazia di Dio e la Sua grande misericordia. Inoltre, la preghiera ci aiuta ad entrare in contatto con la nostra interiorità, ci aiuta a prenderci un momento per riflettere su ciò che stiamo facendo e ci aiuta a trovare la forza e la saggezza per affrontare le sfide della vita. La preghiera può essere un modo per esprimere le nostre preoccupazioni, le nostre paure e le nostre speranze, e può essere un mezzo per trovare conforto in momenti difficili. Pregare durante una domenica in albis può essere una grande benedizione non solo per noi ma anche per coloro che amiamo. La preghiera ci aiuta a ricordare a noi stessi e a coloro che ci sono vicini, che è importante prendersi del tempo per pregare e ringraziare Dio per tutte le Sue benedizioni. La preghiera ci consente di sentirci più connessi a Dio e al mondo che ci circonda. In conclusione, la preghiera è un’importante parte della nostra domenica e ci aiuta a riconnetterci con Dio, a riconoscere le benedizioni che abbiamo nella nostra vita e a trovare conforto e forza nei momenti difficili, unitamente a tuti i sacramenti che ci nutrono ogni volta che andiamo alle celebrazioni liturgiche.
I santi più venerati durante una “Domenica in Albis”
Oggi è una domenica in albis speciale, un giorno per rendere omaggio ai santi più venerati. San Francesco d’Assisi è al primo posto, con le sue preghiere e i suoi miracoli che ci ricordano che Dio ci ama. E poi c’è Santa Teresa di Calcutta, la donna che ha dedicato la sua vita a servire gli altri. E, naturalmente, San Giuseppe, il padre custode che è sempre stato un punto di riferimento per tutti noi. Infine, non possiamo dimenticare San Filippo Neri, il santo della gioia, che ci ricorda di godere delle piccole cose nella vita. Questi sono i quattro santi più venerati durante una domenica in albis.
IL Re dorme La terra tace perché il Dio fatto carne si è addormentato
Ha svegliato coloro che da secoli dormono
Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati Lc 23,50-56 – Sepoltura di Gesù
IL SABATO SANTO È L’ORA DELLA MADRE
“Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: « Sia con tutti il mio Signore ». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: « E con il tuo spirito ». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura.Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all’albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell’inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli ».“Da un’antica « Omelia sul Sabato santo ». (PG 43, 439. 451. 462-463) OrazioneO Dio eterno e onnipotente, che ci concedi di celebrare il mistero del Figlio tuo Unigenito disceso nelle viscere della terra, fa’ che sepolti con lui nel battesimo, risorgiamo con lui nella gloria della risurrezione. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.A cura dell’Istituto di Spiritualità: Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino
Il Sabato Santo è il giorno del silenzio, unico giorno della Settimana Santa in cui non è prevista alcuna liturgia, non si celebrano messe e l’Eucaristia viene data solo a chi è in punto di morte. I riti religiosi del Sabato Santo iniziano al calare del giorno. La notte del Sabato Santo è il momento in cui la Settimana Santa inizia ad andare verso il suo apice con i riti religiosi della veglia pasquale in cui si celebra la resurrezione di Cristo.
Nella giornata del Sabato Santo, il corpo di Gesù Cristo, tolto dalla croce su cui è morto il Venerdì santo e deposto nel sepolcro, viene preservato dalla corruzione grazie alla virtù divina, discende agli inferi con la sua divinità e con la sua anima umana, ma non con il suo corpo. Secondo certe tradizioni cristiane, resta negli inferi per un tempo corrispondente a circa quaranta ore, compiendo la sua vittoria sulla morte e sul diavolo, libera le anime dei giusti morti prima di lui e apre loro le porte del Paradiso.
Portata a termine la missione, la divinità e l’anima di Gesù si ricongiungono al corpo nel sepolcro: ciò costituisce il mistero della resurrezione, centro della fede di tutti i cristiani, che verrà celebrato nella seguente domenica di Pasqua.
Sabato Santo: giorno del silenzio
Il Sabato Santo è considerato un giorno di silenzio, di raccoglimento, di meditazione, per Gesù che giace nel sepolcro. Si attende l’annuncio della risurrezione di Gesù, che avverrà durante la solenne veglia pasquale.
Un’antica omelia recitava così: “Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi”.
L’Ora della Madre, liturgia del dolore nella speranza
Fin dai primi secoli dell’era cristiana, esiste una liturgia nel Sabato Santo che accompagna Maria nell’attesa e si stringe a lei in questo giorno di silenzio. Una celebrazione del rito orientale, accolta anche in quello latino.
L’Ora della Madre è un’antica liturgia, recitata la mattina del Sabato Santo dal 1987, Anno Mariano, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove fu per la prima volta officiata – IX secolo – dai santi Cirillo e Metodio. La celebrazione alterna salmi, letture e brevi preghiere ritmiche, i cosiddetti “tropari” della liturgia bizantina. Ma la celebrazione non si svolge soltanto nella papale arcibasilica maggiore: il favore di cui gode l’ha estesa anche ad altri luoghi. Per due volte è stata celebrata a San Pietro, per desiderio di san Giovanni Paolo II e, anche oggi, in altre chiese. Questa tradizione è alimentata da padre Ermanno Toniolo, dell’Ordine dei Servi di Maria, direttore del Centro di cultura mariana di Roma e docente emerito della Pontificia Facoltà Teologica “Marianum”. Nata in ambiente bizantino, L’Ora di Maria diventa legame vivo tra oriente e occidente.
Maria addolorata
Nessun dolore è più grande di quello di una madre che ha perso il figlio. Immaginiamo il dolore di Maria: sapeva quello che doveva accadere e ha imparato ad accettarlo per tutta la vita, fin da quel primo sì dell’Annunciazione. Vede compiersi tutto sotto i suoi occhi con la sicura consapevolezza della fede che suo figlio è Dio, ma lo vede soffrire come un uomo qualsiasi, sottoposto ad atroci torture e umiliazioni e condannato alla pena capitale. La Vergine riconosce quel dolore che le aveva predetto Simeone, “A te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35). Citando Paolo nella Lettera ai Romani (4,18), a proposito di Abramo, padre Toniolo, scrive che Maria “Credette contro ogni evidenza, sperò contro ogni speranza”.
L’Ora della Madre: Lei sa che Gesù ritornerà glorioso
Il sì di Maria
Sotto la croce, Maria pronuncia ancora una volta – nel silenzio del suo cuore – il suo sì incondizionato. Il dolore di Maria non è disperato, ma è comunque straziante, perché è il dolore purissimo di una madre. Trascorre il sabato, quel giorno interminabile in cui attende che tutto si compia. Questa forza nella fede, questa speranza sicura certamente non ha potuto lenire il suo dolore. Ha dovuto assistere all’agonia del Figlio e alla sua morte. L’ha cullato per l’ultima volta tra le braccia, prima di lasciarlo portare via per la sepoltura. Ha dovuto accettare il distacco e quel vuoto che le è calato addosso. Impossibile capire quanti pensieri “serbava nel suo cuore” (Lc 2, 51) nel frastuono dei lamenti delle pie donne e fra gli Apostoli smarriti. Sola, pur non nella solitudine e nell’abbandono: Cristo prima di morire ha pensato a sua Madre e a tutti gli uomini. Prima di spirare, dalla croce affida sua Madre a Giovanni:
Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. (Giovanni 19, 26 -27)
“L’urlo di pietra” della Maddalena del Compianto sul Cristo morto in terracotta di Niccolò dell’Arca, conservato a Santa Maria della Vita a Bologna è tra le opere più impressionanti e misteriose della seconda metà del XV secolo.
Unione della Madre con il Figlio
Così, tutta la Chiesa si stringe intorno a Lei, che diventa ponte tra il Figlio e l’umanità, tra la morte e la vita, in attesa della Risurrezione. Se Venerdì Santo è l’ora del Cristo, morto sulla croce, il Sabato Santo è l’Ora della Madre.
Idea progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it
Il Venerdì Santoè il giorno in cui si celebra la crocifissione e morte di Gesù,è il giorno dei grandi interrogativi: perché il male, perché il dolore innocente, perché la sofferenza? Domande che trovano risposta nella Croce solo se la si guarda nella prospettiva della Risurrezione e già illuminato dalla Pasqua
Alla ‘Passione’ di Gesù è associata l’immagine della Vergine Addolorata, che i più grandi artisti hanno rappresentato insieme alla Crocifissione, ai piedi della Croce, o con Cristo adagiato fra le sue braccia dopo la deposizione, come la celebre ‘Pietà’ di Michelangelo, il ‘Compianto sul Cristo morto’ di Giotto, la ‘Crocifissione’ di Masaccio, per citarne alcuni
In questo giorno non si celebra l’Eucaristia. La Chiesa celebra solamente l’Azione liturgica della Passione del Signore, composta dalla Liturgia della Parola, dall’Adorazione della croce e dai Riti di Comunione.
È giorno di digiuno e astinenza dalle carni. E’ la seconda celebrazione del Triduo Pasquale.
Il Venerdì Santo è il giorno della morte di Gesù Cristo. È il giorno più doloroso della Settimana Santa.
Tutti i riti religiosi del Venerdì Santo sono dedicati a questo. La Chiesa celebra la Passione in tre diversi momenti con altrettanti riti religiosi: si inizia con la liturgia della Parola, con la lettura del quarto canto del servo del Signore di Isaia (52,13-53,12), dell’Inno cristologico della lettera ai Filippesi (2,6-11) e della Passione secondo Giovanni. Si prosegue con l’adorazione della croce, a cui viene così tolto il velo, e si conclude con la santa comunione con i presantificati, cioè con le specie consacrate la sera del Giovedì Santo. Nella sera del Venerdì Santo, il rito religioso cattolico prevede anche la via Crucis, il ricordo cioè del percorso di Cristo verso la crocifissione sul monte Golgota. Durante il Venerdì Santo non si fanno altre consacrazioni e non si celebra altra messa.
Sotto l’aspetto delle celebrazioni religiose è una giornata particolare: infatti gli altari sono spogli, la custodia del sacramento è vuota, le campane tacciono, non si canta.
La funzione religiosa si svolge nel ricordo della passione e morte di Gesu’, seguita dalla preghiera universale, dall’adorazione della croce e dal sacramento della comunione.
Terminata la celebrazione si tiene, come di tradizione, la via crucis per le strade del paese.
Il sacro corteo è arricchito da preghiere e considerazioni spirituali, nonchè’ da vecchi canti tradizionali riscoperti meritoriamente per l’occasione.
Il Triduo pasquale è un tempo liturgico e non un giorno liturgico, non essendo un singolo giorno; non è pertanto una solennità, dato che la qualifica di solennità è un grado del giorno liturgico e non del tempo liturgico. Però, come nelle solennità, si inizia con una celebrazione serale: “Il giorno liturgico decorre da una mezzanotte all’altra. La celebrazione, però, della domenica e delle solennità inizia dai vespri del giorno precedente”.
Il Triduo pasquale ha una durata temporale equivalente a tre giorni liturgici, ma non corrisponde esattamente a tre giorni civili poiché si dispiega in quattro giorni civili, ossia:
nel giovedì Santo, ma solo la sera;
nel venerdì della Passione del Signore detto anche e più comunemente venerdì Santo, in cui ricorre la Giornata per i luoghi santi conosciuta anche con la denominazione di Giornata mondiale per la Terra santa;
nel sabato Santo;
nella domenica di Pasqua.
Di questi quattro giorni, dal punto di vista del calendario civile, solo il venerdì, il sabato santo e la domenica fanno parte interamente del triduo: “Il Triduo pasquale della passione e risurrezione del Signore inizia dalla messa vespertina in Cena Domini, ha il suo fulcro nella Veglia pasquale, e termina con i vespri della domenica di risurrezione”.
La ragione per cui questo tempo liturgico venne chiamato Triduo risiede, però, nel diverso computo del giorno come effettuato dai cristiani dei primi secoli in continuazione della tradizione biblica per la quale il giorno veniva computato non dalla mezzanotte alla mezzanotte successiva ma dal calar del sole al successivo calar del sole, ossia dal momento vespertino al successivo momento vespertino: in quest’ottica il triduo corrispondeva esattamente a tre giorni anche se la durata dello stesso era identica sia complessivamente sia nei termini di inizio e fine con quella del triduo attuale per cui, essendo stata la durata del triduo sempre la stessa, è cambiato solo il modo di computare l’inizio e la fine del giorno, e tale cambio di computo ha fatto sì che il triduo un tempo corrispondesse a tre giorni mentre ora si dispiega in quattro giorni.
Nell’antichità cristiana, infatti, il fatto che il triduo corrispondesse esattamente a tre giorni significa che esso era l’insieme del Venerdì Santo, del Sabato santo e della Domenica di Pasqua. L’identità dell’inizio e della fine della durata del triduo primitivo con quello attuale è dovuta al fatto che il primitivo iniziava con l’inizio del venerdì santo, cioè il calar della sera dell’attuale giovedì santo, e terminava con la fine della domenica di pasqua, ossia il calar della sera dell’attuale domenica di pasqua.
Le celebrazioni principali del Triduo sono:
la Celebrazione vespertina del Giovedì santo che normalmente consiste nella messa vespertina nella Cena del Signore o, eccezionalmente e solo per coloro che non vi partecipano, nella recita dei Vespri del Giovedì santo;
la Celebrazione della Passione del Signore del Venerdì Santo che solo da coloro che non vi partecipano è sostituita con la celebrazione dei Vespri del Venerdì Santo;
la Veglia Pasquale, centro del Triduo, officiata dopo il tramonto del sabato, e che sostituisce la Compieta del Sabato Santo e l’Ufficio delle Letture della domenica di Pasqua, recitati separatamente solo da coloro che non partecipano alla Veglia;
la Messa del giorno della Domenica di Pasqua, e la celebrazione della Liturgia della Ore (da Lodi a Vespri alle ore convenienti).
La triste e dolorosa vicenda della ‘Passione’, ha ispirato da sempre la pietà popolare a partecipare ai riti del Venerdì Santo, con manifestazioni di grande suggestione e penitenza, con le processioni dei ‘Misteri’, grandi e piccole raffigurazioni, con statue per lo più di cartapesta, dei vari episodi della ‘Via Crucis’, in particolare l’incontro di Gesù che trasporta la croce con sua madre e le pie donne; oppure con Gesù morto, condotto al sepolcro, seguito dall’effige della Vergine Addolorata. In tutte le chiese, a partire dal Colosseo con il papa, si svolgono le ‘Vie Crucis’, anche per le strade dei Paesi e nei rioni delle città; in alcuni casi per secolare tradizione esse sono svolte da fedeli con i costumi dell’epoca e giungono fino ad una finta crocifissione; in altri casi da secoli si svolgono cortei penitenziali di Confraternite con persone incappucciate o no, che si flagellano o si pungono con oggetti acuminati e così insanguinati proseguono nella processione penitenziale, come nella celebre penitenza di Guardia Sanframondi. Ci vorrebbe un libro per descriverle tutte, ma non si può dimenticare di citare i riti barocchi del Venerdì Santo di Siviglia. Il soggetto della ‘Passione’, ha continuato ad essere rappresentato anche con le moderne tecnologie, le quali utilizzando attori capaci, scenografie naturali e drammaticità delle espressioni dolorose; ha portato ad un più vasto pubblico nazionale ed internazionale l’intera vicenda terrena di Gesù. È il caso soprattutto del cinema, con tanti filmati di indubbio valore emotivo, come “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini; il “Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli, la serie di quelli storici e colossali, come “Il Re dei re”, “La tunica”, ecc. fino all’ultimo grandioso per la sua drammaticità “La Passione di Cristo” di Mel Gibson.
La passione di Cristo di Mel Gibson
E’ come fosse l’ora zero della fede. Non la disperazione ma la preghiera rivolta al vuoto, a quella che sembra un’assenza insuperabile. David Maria Turoldo ci offre più che una poesia una meditazione sul modo di pensare Cristo, la speranza, la trascendenza. Non c’è un aggettivo sprecato, né una sillaba che sfiori la retorica. Solo la parola ruvida, nuda ma robusta a reclamare il diritto a una risposta anche davanti all’abisso di quello che pare il Nulla
No, credere a Pasqua non e’ giusta fede: troppo bello sei a Pasqua! Fede vera e’ al Venerdi’ Santo quando Tu non c’eri lassu’. Quando non una eco risponde al suo grido e a stento il Nulla da’ forma alla Tua assenza
David Maria Turoldo
Mettere in fuga la morte
Matthias Grunewald, “Crocifissione”
Proprio la croce è il luogo in cui si manifesta in modo più tragicamente chiaro l’amore di Dio per l’uomo. Cristo infatti è venuto nel mondo per vincere la morte.
«Tu sei venuto tra noi per mettere in fuga la morte per snidare e uccidere la morte. Anche a Te la morte fa male per questo sei amico di ognuno segnato dal male e ogni male Tu vuoi condividere».
Idea progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it