Evoluzione tecnologica e digitale, conversione?

Evoluzione tecnologica e digitale, conversione?

A colloquio con il francescano padre Paolo Benanti, autore del libro “Tecnologia per l’uomo” in uscita con il numero di Famiglia Cristiana dal 21 ottobre in edicola e in parrocchia: “Occorre uno sviluppo nel rispetto dei biosistemi, che però non accadrà naturalmente, ma solo se l’innovazione avrà a cuore il bene comune”.

Stefano Stimamiglio

Frate francescano del Terzo Ordine Regolare, 48 anni, padre Paolo Benanti è uno dei massimi esperti nella Chiesa degli aspetti etici e bioetici di tematiche di punta e quanto mai attuali: dalla gestione dell’innovazione a quello dell’impatto di internet e del Digital Age sul mondo contemporaneo, dalle biotecnologie e la biosicurezza alle neuroscienze e le neurotecnologie. Alla vigilia della 49^ edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani di Taranto (21-24 ottobre 2021) intitolata “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso” e di fronte alla prospettiva di ingenti investimenti con il PNRR, il tema della tecnologia e del suo uso in chiave di futuro e ambiente è particolarmente interessante.

Padre Paolo, parlando di tecnica e di futuro, se una causa della crisi ambientale può esserci stato con il contributo della tecnologia, che cosa può fare essa per ovviare al futuro?

«Occorre non rimanere in un orizzonte ristretto e, pensando alla rivoluzione industriale, al consumo eccessivo di risorse e all’inquinamento di questi decenni – di cui oggi tanto si parla – vedere solo un problema legato alla tecnologia. Essa è presente fin dagli arbori dell’uomo, siamo in effetti l’unica specie che cambia l’habitat in cui vive usando la tecnica. La medusa, tanto per fare un esempio, e ogni altra specie vivente, non fa altrettanto ma si adatta all’ambiente attraverso successive mutazioni genetiche del DNA, che permettono in questo modo la sua sopravvivenza. Tutto questo lo capiamo meglio se riconosciamo che gli altri esseri viventi hanno tutto quello che serve per vivere, ma l’uomo no. L’uomo presenta un’eccedenza…».

Cosa intende per “eccedenza”?

«Intendo dire che l’uomo vive un “di più” rispetto alla sua costituzione biologica. Tale condizione è quella, per esempio, che ci fa prendere appunti durante una conferenza. La nostra condizione biologica – cioè la nostra memoria – non basta per contenere quanto ascoltiamo e abbiamo quindi bisogno di alcuni artefatti tecnologici, come la penna e il quaderno o un pc, per trattenere, esprimere e trasmettere quanto ascoltato. L’uomo, dunque, non si rapporta alla realtà in maniera solo biologica, ma anche attraverso le mediazioni offerte dagli artefatti tecnologici. La tecnologia è il modo con cui l’uomo trattiene, incanala ed esprime la sua eccedenza rispetto alla sua condizione biologica. È grazie all’artefatto tecnologico se, come specie, siamo diventati un fenomeno globale. Infatti, stando a quanto osservano gli antropologi, la nostra specie si è spostata dall’Africa meridionale, la culla della nostra origine, verso nord, colonizzando così tutto il mondo. Abbiamo raggiunto in questo modo ogni luogo in una maniera unica, dando mostra di quella che è una nostra unicità come specie. Fino a quel momento, infatti, ogni specie biologica abitava in un clima particolarmente adatto ad essa».

La tecnologia è, dunque, un fenomeno antico quanto l’uomo…

«Si, proprio perché questa eccedenza fa parte dell’unica dignità dell’uomo da sempre. La tecnologia, che accompagna l’eccedenza dell’umano rispetto alla sua mera biologia fin dall’inizio, è un’esperienza antica ma è sempre il cuore dell’uomo che ne decide l’utilizzo. La clava, ad esempio, poteva essere utile per aprire le noci di cocco ma anche per uccidere. Ogni utensile può essere utilizzato per il bene o per il male. Tutto passa – ripeto – attraverso il filtro del cuore dell’uomo: è, quindi, fondamentalmente una questione etica».

Cosa dire del sospetto verso la tecnica che alcuni nutrono?

«L’evoluzione tecnologica a servizio del mercato si è spinta a tal punto che per la prima volta ha cambiato la faccia del mondo, con tutti i rischi di sopravvivenza della specie umana di cui sentiamo parlare ogni giorno. L’inquinamento incontrollabile è un grosso tema legato però alla miopia che c’è stata dietro all’utilizzo degli artefatti tecnologici, nel senso di una ricerca smodata di guadagno da parte di molti agenti. Oggi abbiamo a disposizione strumenti digitali a tal punto evoluti, che ci aiutano a vedere con chiarezza l’impatto della tecnologia sull’ambiente e a orientarci bene verso una maggiore sostenibilità, garantendo uno sviluppo nel rispetto dei biosistemi. Questo processo, però, non accadrà naturalmente, ma solo se l’innovazione digitale e tecnologica avrà a cuore il bene dell’uomo, quello che nella dottrina sociale della chiesa chiamiamo “bene comune».

Dunque, innovazione e futuro sostenibile. Ma come?

«Dobbiamo idealmente metterci al posto di chi ha avviato la cosiddetta “rivoluzione industriale” nell’Ottocento. Cosa diremmo noi, che siamo i loro pronipoti, a costoro se potessimo andare indietro nella storia? Cosa consiglieremmo loro per evitare di trovarci al punto in cui siamo in termini di degrado ambientale e sfruttamento sconsiderato delle risorse? Bene, le stesse domande dobbiamo porci noi oggi, che siamo gli autori della rivoluzione digitale attualmente in atto, come se fossimo i nostri pronipoti fra un secolo: cosa fare perché la tecnologia digitale serva veramente per il bene dell’uomo? Quale sana cultura promuovere che sia in grado di orientare la risposta?».

Come è inscrivibile allora un’etica nella tecnologia? Dipende dalle leggi, dall’uso dei singoli uomini? O da cosa?

«Non basta né una legge né tanto meno un mero appello, ma un’azione di tutta la società civile. Si tratta di far partire una vera rivoluzione culturale, la stessa di cui parlano tanto le encicliche “Fratelli tutti” e “Laudato sì”. Non si può, quindi, in generale essere né “tecno-ottimisti” né “tecno-pessimisti”, ma solo “tecno-etici”. Alla base di ogni decisione c’è, infatti, quello che in latino si chiama “manicum”, l’impugnatura che fa da legame tra la mano dell’uomo e lo strumento che usa. Esso è in sé neutro, è la mano dell’uomo, che agisce per il bene o per il male, a determinare l’uso dello strumento. L’educazione, in questo senso, è fondamentale».

Qui c’entra anche la fede…

«Sì, decisamente. La fede è chiamata a dialogare con le culture umanistiche e con quelle tecniche perché l’innovazione digitale oggi si trasformi in vero sviluppo per il bene dell’uomo. I famosi algoritmi e i “big data”, cioè le grandi masse di dati da cui si possono estrapolare informazioni o risposte a singoli macro problemi, sono strumenti eccezionali sia per ridurre, ad esempio, gli sprechi di energia, necessari per la salvezza del pianeta e il bene dell’uomo, sia, al contrario, per incrementare al massimo i guadagni delle industrie elettriche. Dipende – ripeto – sempre dall’uso della mano dell’uomo».

La Chiesa quale contributo può dare in questo campo?

«Lo sta facendo ad esempio attraverso il “Call for an AI Ethics”, un documento sviluppato dalla Pontificia Accademia per la Vita, Microsoft, IBM, FAO e Ministero dell’Innovazione Italiano per supportare un approccio etico all’Intelligenza artificiale e promuovere un senso di sempre maggiore responsabilità tra organizzazioni non governative, governi, istituzioni e aziende del settore privato per creare un futuro in cui l’innovazione digitale e il progresso tecnologico siano al servizio del genio e della creatività umana, e quindi al servizio dell’uomo, e non della loro graduale sostituzione, con tutti i rischi che questo comporta

Febbraio delle Parrocchie

Febbraio delle Parrocchie

Il Papa: preghiamo perché ogni parrocchia abbia le porte sempre aperte per tutti

Guarda alle comunità parrocchiali l’intenzione di preghiera di Francesco affidata a tutta la Chiesa per il mese di febbraio. Era il 2023, appena un anno fa ma, nel video diffuso dalla Rete mondiale di preghiera del Papa c’era l’invito sempre attuale a ripensare con coraggio lo stile delle parrocchie per farle diventare veri luoghi di comunione tra le persone e di accoglienza, senza esclusioni

Adriana Masotti – Città del Vaticano

La parrocchia non è un “club” riservato a pochi, ma un luogo dove per entrare non sono richiesti particolari requisiti e alla cui porta d’entrata si dovrebbe leggere: “ingresso libero”. E’ per questa intenzione che Francesco invita a pregare la Chiesa nel Video diffuso dalla Rete mondiale di preghiera del Papa per il mese di febbraio. Un modo per chiedere che le parrocchie siano davvero comunità, centri di ascolto e di accoglienza “con le porte sempre aperte”.

Il messaggio del Papa 

“A volte penso che dovremmo affiggere nelle parrocchie, alla porta, un cartello che dica: ‘Ingresso libero’ – afferma Papa Francesco nel Video del Papa  -. Le parrocchie devono essere comunità vicine, senza burocrazia, centrate sulle persone e in cui trovare il dono dei sacramenti. Devono tornare ad essere scuole di servizio e generosità, con le porte sempre aperte agli esclusi. E agli inclusi. A tutti”. Il messaggio di Francesco è che “le parrocchie non sono un club per pochi, che garantisce una certa appartenenza sociale”. E prosegue con l’esortazione: “Per favore, siamo audaci! Ripensiamo tutti allo stile delle nostre comunità parrocchiali”. L’intenzione di preghiera del Papa per febbraio è dunque “perché le parrocchie, mettendo la comunione – la comunione delle persone, la comunione ecclesiale – al centro, siano sempre più comunità di fede, di fraternità e di accoglienza verso i più bisognosi”.

La ricchezza della Chiesa sono le persone 

L’esterno di una parrocchia bellissima, ma vuota. Poi la stessa parrocchia, piena di persone, che diventa dunque ancora più bella. Il Video del Papa di questo mese si apre così – si legge nel comunicato stampa che lo accompagna – ricordando che la ricchezza della Chiesa non sono gli edifici, ma le persone che li abitano. Le immagini, provenienti da parrocchie di tutto il mondo, descrivono incontri conviviali, conferenze, distribuzione di aiuti ai più bisognosi, visite agli anziani e ai malati, spettacoli. È un video, dunque, pieno di vita, quella vita che scorre nelle parrocchie e le rende ancora punti di riferimento per molti, dove si impara l’arte dell’incontro.

Locandina intenzione di preghiera del Papa per il mese di febbraio

Locandina intenzione di preghiera del Papa per il mese di febbraio

La parrocchia è presenza della Chiesa tra le case

Il comunicato ricorda che già nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Papa Francesco aveva evidenziato la centralità della parrocchia: “sebbene non sia l’unica istituzione evangelizzatrice”, aveva scritto citando un’espressione di Giovanni Paolo II nella Christifideles laici, la parrocchia ha la particolare caratteristica di essere “la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie”. Per questo deve stare “in contatto con le famiglie e con la vita del popolo” e non diventare “una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi”. Ma questo “appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie”, aggiungeva, “non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente”. Il Pontefice, dunque, insiste sull’idea che le parrocchie debbano portare avanti questo cammino di trasformazione per essere sempre aperte e a disposizione di tutti senza esclusioni, per questo parla di audacia e di ripensamento dello stile attuale delle comunità.

Le persone al centro della vita parrocchiale

Commentando l’intenzione di preghiera di febbraio, padre Frédéric Fornos S.J., direttore Internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, ha ricordato che “qualche anno fa, Francesco ha detto alla diocesi di Isernia-Venafro: ‘Ogni comunità parrocchiale è chiamata ad essere luogo privilegiato dell’ascolto e dell’annuncio del Vangelo; casa di preghiera raccolta intorno all’Eucaristia; vera scuola della comunione’. Ascolto, preghiera e comunione – prosegue padre Fornos – sono indicazioni sinodali essenziali per la vita delle parrocchie. Per far questo, però, devono essere davvero comunità, con le persone al centro, perché siamo realmente comunità quando conosciamo l’altro, conosciamo il suo nome, le sue necessità, la sua voce”.

L'intenzione di preghiera del Papa

L’intenzione di preghiera del Papa

Ripensare allo stile delle nostre comunità

Si tratta di una sfida molto grande, dice ancora il direttore della Rete, infatti “quante volte accade che la parrocchia si trasformi in un raggruppamento di persone più o meno sconosciute che si ritrova per la Messa della domenica ma senza vita comunitaria?” “Essere una comunità cristiana – sottolinea – è una grazia, nasce dalla fede condivisa, dalla fraternità vissuta e dall’accoglienza ai più bisognosi; nasce da un’esperienza spirituale comune, dall’incontro con Cristo Risorto. Come dice Francesco nel Video del Papa – conclude padre Fornos -, dobbiamo essere ‘audaci’ nell’ascolto dello Spirito Santo e ripensare tutti ‘allo stile delle nostre comunità parrocchiali’”.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-01/papa-francesco-video-intenzione-preghiera-febbraio-rete-mondiale.html

Papa Francesco: Ascoltare la Parola

Papa Francesco: Ascoltare la Parola

Nella catechesi dellasettimana il pontefice ricorda che «non bisogna piegare il brano biblico per sostenere i nostri pensieri e la nostra filosofia, ripetere a pappagallo i versetti, ma entrare in dialogo con il Signore e conformarci al suo volere»

Annachiara Valleannach_valle

«La Parola di Dio va al cuore», ma bisogna ascoltare con «obbedienza e creatività». Papa Francesco dedica la catechesi alla preghiera che si può fare partendo da un brano della Bibbia. E avverte: non bisogna piegare il testo a quello che noi pensiamo. «Le parole della Sacra Scrittura non sono state scritte per restare imprigionate sul papiro, sulla pergamena o sulla carta, ma per essere accolte da una persona che prega, facendole germogliare nel proprio cuore», spiega il Papa. La Bibbia non si può leggere come un romanzo ma in dialogo costante con il Signore. Perché «quel versetto della Bibbia è stato scritto anche per me, secoli e secoli fa, per portarmi una parola di Dio. A tutti i credenti capita questa esperienza: un passo della Scrittura, ascoltato già tante volte, un giorno improvvisamente mi parla e illumina una situazione che sto vivendo». Ma quel giorno bisogna essere all’appuntamento. Perché Dio passa, passa sempre. Francesco ricorda Sant’Agostino che parlava del «timore del Signore quando passa». Il timore di non riuscire ad ascoltarlo, di non essere lì. «all’appuntamento con quella Parola». Dio, sottolinea il Pontefice, passa tutti i giorni «e getta un seme nel terreno della nostra vita. Non sappiamo se oggi troverà un suolo arido, dei rovi, oppure una terra buona, che farà crescere quel germoglio». Questo «dipende da noi, dalla nostra preghiera, dal cuore aperto con cui ci accostiamo alle Scritture perché diventino per noi Parola vivente di Dio».

Francesco ricorda che i custodi, i «tabernacoli» della Scrittura siamo noi, ma bisogna «accostarsi alla Bibbia senza secondi fini, senza strumentalizzarla. Il credente non cerca nelle Sacre Scritture l’appoggio per la propria visione filosofica e morale», al contrario, «spera in un incontro; sa che esse sono state scritte nello Spirito Santo, e che pertanto in quello stesso Spirito vanno accolte e comprese, perché l’incontro si realizzi». Il Papa confessa che prova «fastidio quando sento cristiani che recitano versetti della Bibbia come pappagalli. Ma tu ti sei incontrato con il Signore? Con quel versetto? Non è questione di memoria, ma di memoria del cuore e quella Parola, quel versetto ti porta all’incontro con il Signore».

E allora, con il metodo della lectio divina, dobbiamo leggere «le Scritture perché esse “leggano noi”. Ed è una grazia potersi riconoscere in questo o quel personaggio, in questa o quella situazione. La Bibbia non è scritta per un’umanità generica, ma per noi, per me, per te, per uomini e donne in carne e ossa, ma uomini e donne che hanno nome e cognome, come io, come te». La lectio, nata in ambienti monastici «ma ormai praticato anche dai cristiani che frequentano le parrocchie», ci chiede innanzitutto di leggere il brano con attenzione, «direi di più: leggere con “obbedienza” al testo, per comprendere ciò che significa in sé stesso». Solo dopo si « si entra in dialogo con la Scrittura, così che quelle parole diventino motivo di meditazione e di orazione: sempre rimanendo aderente al testo». In questa fase «comincio a interrogarmi su che cosa “dice a me”. È un passaggio delicato: non bisogna scivolare in interpretazioni soggettivistiche ma inserirsi nel solco vivente della Tradizione, che unisce ciascuno di noi alla Sacra Scrittura». E, infine, la contemplazione: «Qui le parole e i pensieri lasciano il posto all’amore, come tra innamorati ai quali a volte basta guardarsi in silenzio. Il testo biblico rimane, ma come uno specchio, come un’icona da contemplare. Così si ha il dialogo», spiega Francesco. Aggiungendo: «Attraverso la preghiera, la Parola di Dio viene ad abitare in noi e noi abitiamo in essa. La Parola ispira buoni propositi e sostiene l’azione; ci dà forza, ci dà serenità, e anche quando ci mette in crisi ci dà pace. Nelle giornate “storte” e confuse, assicura al cuore un nucleo di fiducia e di amore che lo protegge dagli attacchi del maligno».

Ed è così che la Parola di fa carne al punto che, dice il Papa, ricordando qualche antico testo, «i cristiani si identificano talmente con la Parola che, se anche bruciassero tutte le Bibbie del mondo, se ne potrebbe ancora salvare il “calco” attraverso l’impronta che ha lasciato nella vita dei santi. Una bella espressione questa».

La Parola di Dio non ci lascia immobili, non ci lascia fermi. «La vita cristiana è opera, nello stesso tempo, di obbedienza e di creatività», insiste il Papa. «Il buon cristiano deve essere obbediente perché ascolta la Parola di Dio, ma creativo perché ha lo Spirito Santo che lo spinge avanti». Ricorda le parole di Gesù «Ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche», perché le Scritture sono un tesoro inesauribile. Il Signore ci conceda a tutti noi di attingervi sempre più, mediante la preghiera».

Imitazione di Cristo

Imitazione di Cristo

Prendendo spunto dalla figura del Poverello di Assisi, che ordini, congregazioni e famiglie francescane celebreranno con una serie di iniziative dal 2023 al 2026, ad 800 anni dalla morte, Francesco lo indica come esempio di “uomo della pace e della povertà, che ama e celebra il creato”. Ed invita a mettersi alla sua scuola: “Nella sua vita evangelica la via per seguire le orme di Gesù: questo significa ascoltare, camminare e annunciare fino alle periferie”

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Ciò di cui tutti hanno bisogno è giustizia, ma anche fiducia. Solo la fede restituisce a un mondo chiuso e individualista il soffio dello Spirito. Con questo supplemento di respiro le grandi sfide presenti, come la pace, la cura della casa comune e un nuovo modello di sviluppo potranno essere affrontate, senza arrendersi ai dati di fatto che sembrano insuperabili.

Il Papa lo sottolinea parlando al Coordinamento ecclesiale per l’VIII Centenario Francescano, ricevuto in udienza nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico. Costituito circa un anno fa a Greccio, dalle diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, di Rieti e di Arezzo, con rappresentanti di tutte le famiglie francescane del primo e secondo ordine, dell’ordine francescano secolare e delle congregazioni francescane, l’organismo sta curando l’organizzazione di una serie di eventi, dal 2023 al 2026, per celebrare gli 800 anni dalla morte di San Francesco d’Assisi.

Dal Papa il coordinamento per l’VIII centenario francescano, che si apre nel 2023

Proprio guardando al patrono d’Italia, il Pontefice evidenzia che il centenario deve tendere a “declinare insieme l’imitazione di Cristo e l’amore per i poveri”. Perché “Francesco ha vissuto l’imitazione di Cristo povero e l’amore per i poveri in modo inscindibile, come le due facce di una stessa medaglia”. I frutti delle celebrazioni matureranno “anche grazie all’atmosfera che si sprigiona dai diversi ‘luoghi’ francescani”, fa notare il Pontefice, perché ciascuno di questi “possiede un carattere peculiare, un dono fecondo che contribuisce a rinnovare il volto della Chiesa”.

La fede sorgente dell’esperienza di San Francesco

Ai membri del Coordinamento ecclesiale del Centenario francescano, che darà vita a un pellegrinaggio dalla valle reatina, passando per La Verna, “fino ad Assisi, dove tutto ha avuto inizio”, il Papa ha confidato di essere stato consapevole, scegliendo di chiamarsi Francesco “di far riferimento a un santo tanto popolare, ma anche tanto incompreso”.

Francesco è l’uomo della pace, l’uomo della povertà e l’uomo che ama e celebra il creato; ma qual è la radice di tutto questo, qual è la fonte? Gesù Cristo; innamorato di Gesù Cristo che per seguirlo non ha paura di fare il ridicolo ma va avanti. La sorgente di tutta la sua esperienza è la fede. Francesco la riceve in dono davanti al Crocifisso, e il Signore Crocifisso e Risorto gli svela il senso della vita e della sofferenza umana.

Il Papa in preghiera alla tomba di San Francesco nel 2020

Il Papa in preghiera alla tomba di San Francesco nel 2020

Le tappe dell’VIII Centenario francescano

L’itinerario pensato per l’ottavo Centenario Francescano, che si protrarrà dal 2023 al 2026, avrà come prima tappa Fonte Colombo, nei pressi di Rieti, perché qui Francesco scrisse la regola, poi approvata da Papa Onorio III nel 1223, ma anche per ricordare il luogo del primo presepe della storia, aggiunge Papa Francesco.

Si tratta di un invito potente a riscoprire nell’incarnazione di Gesù Cristo la “via” di Dio. Tale scelta fondamentale dice che l’uomo è la “via” di Dio e, di conseguenza, l’unica “via” della Chiesa.

Il Papa saluta fra Massimo Fusarelli, ministro generale dei frati minori

Il Papa saluta fra Massimo Fusarelli, ministro generale dei frati minori

Altra tappa sarà La Verna, luogo in cui, nel 1224, Francesco ricevette le stigmate. Il luogo, spiega il Papa, “rappresenta ‘l’ultimo sigillo’ – come dice Dante (Paradiso, XI, 107) – che rende il santo assimilato al Cristo crocifisso e capace di penetrare dentro la vicenda umana, radicalmente segnata dal dolore e dalla sofferenza”. Infine, nel 2026 si giungerà ad Assisi per ricordare il Transito di Francesco, nel 1226, alla Porziuncola: evento che svela l’essenziale del cristianesimo, chiarisce il Pontefice, ossia “la speranza della vita eterna”. E non a caso, osserva Francesco, la tomba del Santo, collocata nella Basilica Inferiore, è divenuta nel tempo “la calamita, il cuore pulsante di Assisi”.

La Basilica di San Francesco ad Assisi

La Basilica di San Francesco ad Assisi

Ascoltare, camminare, annunciare

Ma San Francesco “resta comunque un mistero”, rimarca il Papa. Per comprenderlo occorre mettersi alla sua scuola, “ritrovando nella sua vita evangelica la via per seguire le orme di Gesù”. E per fare questo bisogna “ascoltare, camminare e annunciare fino alle periferie”, indica il Pontefice. L’ascolto è quello di Francesco che davanti al Crocifisso, sente la voce di Gesù dirgli: “Va’ e ripara la mia casa”. Il giovane “risponde con prontezza e generosità a questa chiamata del Signore”, racconta il Papa, ma piano piano, si rende conto che non si trattava “di riparare un edificio fatto di pietre, ma di dare il suo contributo per la vita della Chiesa”, “di mettersi a servizio della Chiesa, amandola e lavorando perché in essa si riflettesse sempre più il Volto di Cristo”. Quanto al camminare “Francesco è stato un viandante mai fermo” evidenzia il Pontefice “che ha attraversato a piedi innumerevoli borghi e villaggi d’Italia, non facendo mancare la sua vicinanza alla gente e azzerando la distanza tra la Chiesa e il popolo”.

Questa medesima capacità di “andare incontro”, piuttosto che di “attendere al varco”, è lo stile di una comunità cristiana che sente l’urgenza di farsi prossima piuttosto che ripiegarsi su sé stessa. Questo ci insegna che chi segue san Francesco deve imparare a essere fermo e camminante: fermo nella contemplazione, nella preghiera e poi andare avanti, camminare nella testimonianza, testimonianza di Cristo.

E poi c’è l’annuncio, quello che il Papa chiede continuamente di portare nei luoghi più lontani o trascurati: le periferie.

Le celebrazioni francescane e il Giubileo del 2025

Infine,concludendo il suo discorso, Papa Francesco incoraggia il Coordinamento “a vivere in pienezza” i tre anni di celebrazioni per l’VIII Centenario francescano, auspicando che “tale percorso spirituale e culturale possa coniugarsi con il Giubileo del 2025, nella convinzione che San Francesco d’Assisi spinge ancora oggi la Chiesa a vivere la sua fedeltà a Cristo e la sua missione nel nostro tempo”.