Per una vita eucaristica – Il Video del Papa

Per una vita eucaristica – Il Video del Papa

Per una vita eucaristica – Il Video del Papa 7 – Luglio 2023

Perché andare a Messa la domenica? Non certo per seguire un rito. Come dice Papa Francesco, “se usciamo dalla Messa uguali a come ci siamo entrati, c’è qualcosa che non va”. Perché “l’Eucaristia è la presenza di Gesù”, che “viene e ti deve trasformare”. È così che Francesco inizia il video con l’intenzione di preghiera di luglio, realizzato dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa con l’aiuto dell’arcidiocesi di Detroit. L’Eucarestia, continua il Papa, è anche “una spinta ad aprirci al mondo come Lui ci ha insegnato”. Andando a Messa troviamo il coraggio di “uscire da noi stessi e di aprirci con amore agli altri”. Uniamoci alla preghiera del Papa “perché i cattolici mettano al centro della vita la celebrazione dell’Eucaristia”. “Se usciamo dalla Messa uguali a come ci siamo entrati, c’è qualcosa che non va. L’Eucaristia è la presenza di Gesù, è profondamente trasformatrice. Gesù viene e ti deve trasformare. In essa è Cristo che si offre, che si dona per noi, che ci invita a lasciare che la nostra vita sia nutrita da Lui e nutra quella dei nostri fratelli e sorelle. La celebrazione dell’Eucaristia è un incontro con Gesù risorto e, allo stesso tempo, una spinta ad aprirci al mondo come Lui ci ha insegnato. Ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia, Gesù viene e Gesù ci dà la forza di amare come Lui ha amato. Perché ci dà il coraggio di andare incontro agli altri, di uscire da noi stessi e di aprirci con amore agli altri. Preghiamo perché i cattolici mettano al centro della vita la celebrazione dell’Eucaristia, che trasforma in profondità le relazioni umane e apre all’incontro con Dio e con i fratelli”. Rete Mondiale di Preghiera del Papa (Apostolato della Preghiera) https://www.popesprayer.va/it/

Se vuoi vedere altri video sulle intenzioni di preghiera del Papa, li trovi sul sito https://thepopevideo.org/?lang=it

Con la collaborazione di Vatican Media https://www.vaticannews.va/it.html

e dell’Arcidiocesi di Detroit https://www.aod.org/

Gerusalemme-Viaggio nella città santa

Gerusalemme-Viaggio nella città santa

«Siano tranquilli quelli che ti amano! Sia pace nelle tue mura e sicurezza nei tuoi palazzi!»” (Salmo 122:6-7)

“Le tue porte, Gerusalemme,
saranno ricostruite
con zaffiro e smeraldo, le tue mura saranno fatte di pietre preziose. Le tue torri, Gerusalemme, saranno d’oro
e tutti i tuoi bastioni di oro puro.
Le vie di Gerusalemme saranno lastricate con pietre preziose.
Dalle porte di Gerusalemme si alzeranno inni di gioia,
tutte le sue case canteranno: ‘Alleluia! Sia benedetto il Dio d’Israele’.
I fedeli benediranno sempre il Signore che è santo.”

Gerusalemme in Cartolina
Video Cartolina realizzazione Marilena Marino Vocedivina.it

Gerusalemme è una città unica al mondo, ricca di storia, cultura e spiritualità. Visitare Gerusalemme significa immergersi in un’atmosfera senza tempo, dove si incontrano le tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e islam.

Provo a descrivervi i luoghi principali di questa città affascinante e suggestiva.

La Città Vecchia

Il cuore di Gerusalemme è la Città Vecchia, circondata da mura antiche e divisa in quattro quartieri: ebraico, musulmano, cristiano ed armeno. Qui si trovano alcuni dei siti più sacri e importanti per le tre fedi, come il Muro del Pianto, la Spianata delle Moschee e la Basilica del Santo Sepolcro. La Città Vecchia si può esplorare a piedi, seguendo le strette vie lastricate di pietra, i vicoli colorati dai bazar e le tracce della storia millenaria di Gerusalemme.

Il Muro del Pianto

Il Muro del Pianto o Muro Occidentale è l’unico reperto rimasto del Secondo Tempio di Gerusalemme (516 aC-70 dC)

Il Muro del Pianto è il luogo più sacro per gli ebrei, poiché rappresenta l’unico resto del Tempio di Gerusalemme distrutto dai Romani nel 70 d.C. Il Muro è lungo 488 metri, ma solo una parte è visibile nella piazza che lo fronteggia. Qui gli ebrei si recano per pregare e inserire dei bigliettini con le loro richieste tra le fessure delle pietre. Il venerdì sera si assiste alla cerimonia dello Shabbat, il giorno sacro della settimana.

 Il lamento dell’esiliato a Babilonia dopo la caduta di Gerusalemme nel 587 a.C.

La Spianata delle Moschee

Il terzo luogo più sacro per l’islam dopo La Mecca e Medina

La Spianata delle Moschee è il terzo luogo più sacro per l’islam dopo La Mecca e Medina. Qui sorgeva il Tempio di Salomone ed è qui che il profeta Maometto salì al cielo secondo la tradizione musulmana. La Spianata ospita due splendide moschee: la Cupola della Roccia, con la sua cupola dorata che domina il panorama della città, e la Moschea di Al-Aqsa, con i suoi archi decorati. L’accesso alla Spianata è consentito solo ai musulmani; gli altri visitatori possono ammirarla dal Monte degli Ulivi o dalla Porta dei Magrebini.

La Basilica del Santo Sepolcro

La Basilica del Santo Sepolcro è il luogo più sacro per i cristiani, poiché custodisce il sepolcro di Gesù Cristo e il Golgota (Calvario), il luogo della sua crocifissione. La Basilica è un complesso architettonico che racchiude diverse cappelle gestite da varie confessioni cristiane (ortodossa greca, cattolica romana, armena apostolica ecc.). All’interno si possono ammirare opere d’arte di grande valore storico-artistico come l’Edicola del Santo Sepolcro o l’Altare del Golgota.

Santo Sepolcro

La Città Nuova

Oltre alla Città Vecchia ci sono altre zone interessanti da visitare nella parte moderna di Gerusalemme. Una di queste è il Mercato Mahane Yehuda, un vivace mercato all’aperto dove si possono trovare frutta fresca,
verdura, spezie, dolci, prodotti tipici e molto altro ancora. Un altro luogo da non perdere è Yad Vashem, il Museo dell’Olocausto
che documenta la tragedia degli Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale attraverso testimonianze, foto, video e oggetti personali. Infine, si può salire sul Monte degli Ulivi per godere di una vista panoramica sulla città e visitare alcuni siti religiosi come il Giardino dei Getsemani e la Tomba della Vergine Maria.

Tomba della Vergine Maria.

Giardino del Getsemani

Gerusalemme è una città che suscita emozioni intense e contrastanti in chi la visita. È il luogo sacro per le tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e islam e anche il teatro di conflitti storici e attuali che ne minacciano la pace e la convivenza. Ma è anche una città ricca di bellezza, cultura e spiritualità, che offre al visitatore esperienze uniche e indimenticabili.

Voglio condividere con voi le emozioni che ho provato nel vedere i luoghi più significativi di Gerusalemme, sperando di trasmettervi un po’ dello stupore di questa città anche se è impossibile raccontare tutti i posti che ho visitato, ognuno degno di essere descritto come si deve ma questo è solo un piccolo approccio iniziale…ne citerò alcuni..

La prima tappa è stata la Città Vecchia, circondata da mura imponenti e divisa in quattro quartieri: armeno, cristiano, ebraico e musulmano. Entrando dalla Porta di Giaffa si respira subito l’atmosfera antica e multiculturale della città. Si cammina tra vicoli stretti e affollati, dove si incontrano negozi di souvenir, bancarelle di spezie, chiese, sinagoghe e moschee.

Souvenir, bancarelle di spezie

Uno dei luoghi più emozionanti è il Muro del Pianto (o Kotel), l’unico resto del Tempio di Gerusalemme distrutto dai Romani nel 70 d.C. È il luogo più sacro per gli Ebrei, che vi si recano per pregare e inserire dei bigliettini con le loro richieste tra le fessure delle pietre. Ho provato un senso di rispetto e commozione nel vedere tanta devozione e speranza.

Un altro luogo che mi ha colpito è la Basilica del Santo Sepolcro (o Chiesa della Resurrezione), il luogo dove secondo la tradizione cristiana Gesù fu crocifisso, sepolto e risorto. La basilica è un complesso architettonico composto da diverse cappelle gestite da varie confessioni cristiane. Al suo interno si trovano il Golgota (il luogo della crocifissione), l’Edicola (la tomba vuota di Gesù) e la Pietra dell’Unzione (dove fu preparato il corpo di Gesù per la sepoltura). Ho provato una forte emozione nel toccare questi luoghi così carichi di storia e fede.

Infine ho visitato la Spianata delle Moschee (o Monte del Tempio), il terzo luogo più sacro per i Musulmani dopo La Mecca e Medina. Qui sorgono due splendide moschee: la Cupola della Roccia (dove secondo la tradizione islamica Maometto salì al cielo) e la Moschea al-Aqsa (la prima direzione della preghiera islamica prima della Mecca). Ho provato una sensazione di meraviglia nel vedere i colori brillanti delle cupole dorate e dei mosaici azzurri.

Gerusalemme è una città che mi ha fatto vivere emozioni contrastanti: da una parte ho sentito la gioia di scoprire luoghi ricchi di significato spirituale; dall’altra ho avvertito il dolore di vedere le ferite ancora aperte dei conflitti tra popoli diversi. Spero che un giorno Gerusalemme possa essere davvero una città di pace.

Per concludere voglio condividere con voi alcuni versetti della sacra scrittura che parlano di Gerusalemme, la città santa e amata da Dio. Gerusalemme è il luogo dove si è manifestata la gloria di Dio, dove ha stabilito il suo tempio, dove ha inviato il suo Figlio Gesù Cristo per la salvezza del mondo. Gerusalemme è anche il simbolo della Chiesa e della patria celeste, verso cui siamo pellegrini sulla terra.

Ecco alcuni versetti che ho scelto per voi:

“Ma io ho posto il mio re sul Sion mio santo monte”. (Salmo 2:6)

“Gerusalemme è edificata come città salda e compatta. Là salgono insieme le tribù, le tribù del Signore: è legge per Israele rendere grazie al nome del Signore.” (Salmo 122:3-4)

“Prega per la pace di Gerusalemme: «Siano tranquilli quelli che ti amano! Sia pace nelle tue mura e sicurezza nei tuoi palazzi!»” (Salmo 122:6-7)

“Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio; perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia; come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli. Poiché come la terra fa germogliare i suoi germogli e come un giardino fa spuntare i suoi semi così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le nazioni. Per amore di Sion non tacerò e per amore di Gerusalemme non mi darò pace finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada.” (Isaia 61:10 – 62:1)

Per amore di Sion non mi terrò in silenzio,
per amore di Gerusalemme non mi darò pace,
finché non sorga come stella la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada
(Ap 21, 2)

I pellegrinaggi a Gerusalemme

“Tre volte all’anno celebrerai una festa in mio onore. Osserva la festa dei Pani non lievitati: nella ricorrenza del mese di Abib, il mese in cui sei uscito dall’Egitto, devi mangiare per sette giorni pane non lievitato, come io ti ho comandato.
Nessuno osi presentarsi al mio santuario a mani vuote. Osserva la festa della Mietitura, quando inizi a raccogliere quel che hai seminato nel tuo campo. Osserva la festa del Raccolto, al termine dell’anno quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi. In queste tre feste annuali gli uomini si presenteranno a me, il Signore vostro Dio, nel mio santuario”. – Es 23:14-

   Tre Feste annuali dovevano essere celebrate, per ordine di Dio, a Gerusalemme. Da tutta Israele, almeno gli uomini dovevano recarsi in pellegrinaggio nella città santa. Queste tre occasioni riguardavano:

  1. Primo pellegrinaggio. Pasqua e Festa dei Pani Azzimi, dal 15 al 21 nissàn.
  2. Secondo pellegrinaggio. Festa di Pentecoste, detta anche Festa delle Settimane e Festa della Mietitura, nel mese di sivàn.
  3. Terzo pellegrinaggio. Festa delle Capanne, detta anche Festa del Raccolto, dal 15 al 21 tishrì.

   Queste tre Feste fanno parte delle “solennità del Signore”, da celebrarsi “come sante convocazioni” (Lv 23:2). La parola resa “solennità” è nel testo ebraico מֹועֲדֵי (moadè), stato costrutto di מֹועֲדִים (moadìm), che può essere resa “appuntamenti”: si tratta dei momenti d’incontro con Dio, delle sue sante Festività. In Sl 104:19 è detto che Dio “ha fatto la luna per stabilire i מֹועֲדִים [moadìm]”. La versione PdS traduce “per segnare il tempo”; NR, “per stabilire le stagioni”; TNM, “per i tempi fissati”. La verità è che Dio ha fatto la luna per indicare i מֹועֲדִים (moadìm), le sue sante solennità. Le Feste bibliche vanno quindi osservate secondo il calendario lunare biblico.

   Il popolo d’Israele era protetto da Dio stesso mentre la popolazione si recava a Gerusalemme per i tre pellegrinaggi: “Io scaccerò davanti a te delle nazioni e allargherò i tuoi confini; nessuno oserà appropriarsi del tuo paese, quando salirai, tre volte all’anno, per comparire alla presenza del Signore, che è il tuo Dio” – Es 34:24.

   Il fatto che siano comandati di compiere questi tre pellegrinaggi in modo specifico gli uomini, non esclude (e, di fatto, non escluse) la partecipazione dell’intera famiglia. Da 1Sam 1:7, ad esempio, sappiamo che Anna madre di Samuele partecipava.

   Queste tre Feste erano intimamente legate alla raccolta (Es 23:14-17). La Festa dei Pani Azzimi iniziava il 15 nissàn e coincideva con la raccolta dell’orzo; il giorno dopo il sabato settimanale (nostra domenica) che cadeva durante questa Festa (Lv 23:15), il sommo sacerdote doveva agitare dinanzi a Dio un covone di spighe tratto dalle primizie della raccolta dell’orzo.  La Festa delle Settimane o Pentecoste cadeva il 50° giorno, nuovamente domenica (per noi), dopo quella domenica in cui si offriva il covone; era la Festa “delle primizie della mietitura del frumento” (Es 34:22). La Festa delle Capanne o della raccolta iniziava il 15° giorno del mese di etanìm o tishrì e concludeva allegramente l’anno agricolo. Erano quindi occasioni adatte perché le famiglie al completo facessero festa. – Dt 16:14,15.

   “Che gioia quando mi dissero: ‘Andremo alla casa del Signore!’. E ora i nostri passi si fermano alle tue porte, Gerusalemme”. – Sl 122:1,2, 

   Una di queste occasioni, narrata dal Vangelo, vide Yeshùa dodicenne partecipare al pellegrinaggio a Gerusalemme per la Pasqua, secondo l’uso ebraico (Lc 2:42). Giuseppe Flavio calcolò l’ammontare della folla per la Pasqua a circa tre milioni di persone (Guerra Giudaica, 6,9,3). Proprio perché le famiglie partecipavano con tutta la parentela, quando la carovana con i genitori di Yeshùa ripartì, non ci si rese subito conto che lui mancava. Poteva essere con qualche parente o amico della comitiva (ormai aveva dodici anni). Fu solo alla prima tappa che, non trovandolo, tornano a Gerusalemme, dove lo ritrovarono al Tempio. – Lc 2:48.

   Le Festività sacre di Dio davano modo agli israeliti di riservare del tempo per rendere culto a Dio e per meditare sulla sua santa Legge, stando insieme come popolo. Avevano anche occasione di viaggiare e di conoscere la Terra che Dio aveva dato loro. Quei pellegrinaggi erano davvero motivo di contentezza. Dopo che Gerusalemme fu distrutta, il profeta descrive il profondo abbattimento della popolazione richiamando la mancanza delle Feste: “Le strade di Sion sono in lutto perché nessuno va più alle feste, le sue piazze sono deserte”, “[Dio] ha ridotto il suo tempio a un giardino
devastato, ha demolito il luogo dove incontrava  il suo popolo. Il Signore ha fatto dimenticare in Sion le feste e il sabato” (Lam 1:4;2:6, PdS). Allo stesso modo, le Feste sono prese a immagine della condizione migliore. Il profeta annuncia: “Tu, popolo di Dio, canterai come in una notte di festa. Sarai gioioso come quando, al suono del flauto, sali alla montagna del Signore, la Roccia d’Israele”. – Is 30:29

   Essendo la società ebraica agricola, gli israeliti dipendevano dalla benedizione di Dio sulla terra. Le tre grandi Feste che richiedevano il pellegrinaggio a Gerusalemme, avvenivano all’inizio della primavera (mietitura dell’orzo), nella tarda primavera (mietitura del frumento) e a fine estate (resto del raccolto). Erano occasioni non solo di grande allegria ma anche di profonda gratitudine verso Dio che aveva assicurato la pioggia necessaria perché il paese fosse produttivo. Dio aveva promesso al suo popolo: “Nella terra in cui andate ci sono monti e valli, e il suolo è irrigato dalla pioggia. Il Signore, vostro Dio, si prende cura di questa terra e la rende sempre rigogliosa dall’inizio alla fine dell’anno. Se ubbidirete veramente agli ordini che oggi vi comunico: se amerete il Signore, vostro Dio, e lo servirete con tutto il cuore e con tutta l’anima, egli farà scendere la pioggia sui vostri campi nella stagione giusta, in autunno e in primavera, e voi ne ricaverete frumento, vino e olio. Il Signore farà crescere nei pascoli l’erba per il vostro bestiame. Avrete sempre da mangiare e da saziarvi!”. – Dt 11:11-15.

   Riusciamo a immaginare la grande impressione che doveva fare Gerusalemme in piena festa? Mentre si saliva alla città santa, che è a un’altitudine di circa 700 m, la capitale d’Israele era già visibile a distanza. L’emozione cresceva. Più grande impressione doveva fare il Tempio che spiccava meraviglioso e imponente. L’emozione cresceva quando      il suono delle trombe segnava l’inizio delle cerimonie sacre.

Spero che questi versetti ci faccianoo riflettere sulla bellezza e l’importanza di Gerusalemme nella storia della salvezza.

Tutta la Sacra Scrittura è piena di tesori nascosti nella Parola di Dio!

Canto dei pellegrini. Salmo di Davide.
Che gioia quando mi dissero:
‘Andremo alla casa del Signore!’.
E ora i nostri passi si fermano alle tue
porte, Gerusalemme.
Gerusalemme, città ben costruita,
raccolta entro le tue mura!
A te salgono le tribù,
le tribù del Signore.
Qui Israele deve lodare
il nome del Signore.
Qui, nel palazzo di Davide,
siedono i re a rendere giustizia.
Pregate per la pace di Gerusalemme.
Dite: ‘Sicurezza per chi ti ama,
pace entro le tue mura,
prosperità nei tuoi palazzi!’.
Per amore dei miei parenti e vicini
io dico: ‘Pace su di te!’.
Per amore della casa del Signore, nostro Dio,
voglio chiedere per te ogni bene.

Isaia 2:3

Molti popoli vi accorreranno, e diranno:
«Venite, saliamo al monte del SIGNORE,
alla casa del Dio di Giacobbe;
egli ci insegnerà le sue vie,
e noi cammineremo per i suoi sentieri».
Da Sion, infatti, uscirà la legge,
e da Gerusalemme la parola del SIGNORE.

Salmi 122:6

Pregate per la pace di Gerusalemme!
Quelli che ti amano vivano tranquilli.

Salmi 128:5

Il SIGNORE ti benedica da Sion!
Possa tu vedere la prosperità di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita.

Salmi 137:6

resti la mia lingua attaccata al palato,
se io non mi ricordo di te,
se non metto Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.

Cantico 2:7

Figlie di Gerusalemme, io vi scongiuro
per le gazzelle, per le cerve dei campi,
non svegliate, non svegliate l’amore mio,
finché lei non lo desideri!

Cantico 8:4

Figlie di Gerusalemme, io vi scongiuro,
non svegliate, non svegliate l’amor mio,
finché lei non lo desideri!

Isaia 33:20

Contempla Sion, la città delle nostre solennità!
I tuoi occhi vedranno Gerusalemme, soggiorno tranquillo,

tenda che non sarà mai trasportata,
i cui picchetti non saranno mai divelti,
il cui cordame non sarà mai strappato.

Salmi 122:6

Pregate per la pace di Gerusalemme!
Quelli che ti amano vivano tranquilli.

Cantico 5:8

Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate il mio amico,
che gli direte?
Che sono malata d’amore.

Idea Progettazione di Marilena Marino Vocedivina,it

«Donna de Paradiso» lauda drammatica di Jacopone da Todi

«Donna de Paradiso» lauda drammatica di Jacopone da Todi

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La Donna de Paradiso di Jacopone da Todi Donna de paradiso è una poesia religiosa atribuita a Iacopone da Todi. Si tratta di un componimento in volgare, una lauda drammatica, chiamato anche Il pianto della Madonna, ed è pensato come un dialogo ai piedi della croce, nel quale Maria mostra tutto il suo dolore per la perdita di suo figlio.

«Donna de Paradiso
lo tuo figliolo è priso
Iesù Cristo beato.

Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;
credo che lo s’occide,
tanto l’ho flagellato.»

(Donna de Paradiso, 1-7)
Rappresenta un concitato dialogo tra il nunzio (san Giovanni Evangelista), Gesù, la Madonna e la folla durante gli ultimi momenti della vita di Cristo. Il metro utilizzato è quello della ballata sacra con quartine di settenari rimati AAAY e una ripresa rimata XXY. Il componimento è diviso in una terzina iniziale oltre a 33 quartine che rappresentano il numero degli anni che aveva Cristo alla sua morte e le strofe dedicate alla passione sono tre, simbolo della Trinità.

Ha una grande rilevanza storico-linguistica per il particolare uso del volgare: si alterna un registro basso (il cosiddetto sermo cotidianus) per i personaggi Maria e Gesù, a un registro colto e latineggiante per la folla e il nunzio.

Cristo si rivolge alla Madonna chiamandola mamma le tre volte che si rivolge a lei direttamente, e mate quando parla di lei a Giovanni.

La lauda drammatica
Donna de Paradiso è l’esempio più famoso di lauda drammatica, nonché in assoluto la prima lauda drammatica costruita interamente sotto forma di dialogo (Gesù-Maria-il nunzio).

Il carattere polifonico, di poesia a più voci, è strettamente associato a una concitazione narrativa che esprime i sentimenti drammatici e contrastanti da cui la scena è dominata: stupore, dolore, odio, amore. Fino a distendersi nell’ultima e più lunga battuta pronunciata da Maria, in una sofferta e quasi ininterrotta invocazione, dove si sommano il più tenero affetto e il dolore più straziante.

All’interno della lauda il personaggio di Maria assume particolare rilievo e viene rappresentata essenzialmente nella sua umanità di madre. La Madonna appare come una donna disperata per la vicenda del figlio, la cui condanna e morte le sono del tutto incomprensibili, dal momento che Cristo «non fece follia», «a torto è accusato», «non ha en sé peccato». La madre vede il proprio figlio martirizzato, «ensanguinato» e vuole allora morire con lui, salendo sulla stessa croce sul quale Cristo è riposto. La sua disperazione compare nel famoso corrotto, lamento funebre, nel quale con i più dolci appellativi si rivolge alla sua creatura che non è riuscita a sottrarre al martirio.

La Madonna non coglie nella sua morte l’esperienza necessaria per la redenzione dell’umanità dal peccato originale, ma solo l’aspetto terreno di terribile sofferenza.

Anche Cristo rivela attenzioni da figlio nei confronti della madre, che affida alle cure amorevoli di Giovanni, esortandola a restare in vita per servire i «compagni ch’al mondo» ha «acquistato», ma c’è in Cristo quella consapevolezza della sua missione salvifica che manca alla semplice donna del popolo.

Compito del nunzio è quello di riferire alla donna tutto quanto accade intorno alla croce; svolge con scrupolo il suo compito di cronista, non risparmiando alla madre nessuna delle torture inflitte al figlio e senza una sua partecipazione emotiva al dramma.

Due soli sono gli interventi del popolo presente alla scena ed entrambi con la funzione di affermare che in nome della legge Gesù deve essere punito, condannato.

Lo stile ha una notevole forza espressiva: scansione rapida delle frasi e prevalenza della coordinazione nella sintassi; l’uso dell’anafora (la parola figlio). Le frasi esclamative hanno il verbo all’infinito e la forma interrogativa è piena d’incertezza e di tensione. L’uso del tempo verbale al presente conferisce sia immediatezza sia eternità all’evento della passione.

È evidente da queste osservazioni che l’alta materia della Passione dal piano teologico è scesa a quello umano e spettacolarizzato; questo consente al pubblico, a cui è destinata la lauda, di identificarsi nel dramma della madre e del figlio e di parteciparvi. Iacopone nel descrivere la Passione di Cristo segue fedelmente i testi sacri della tradizione cristiana (le Sacre Scritture ed i Vangeli); inoltre la drammaticità che permea la sua opera è analoga a quella presente in alcune opere dell’arte figurativa contemporanea, come dimostra l’osservazione, ad esempio, della Crocifissione di Cimabue, conservata nella basilica superiore di San Francesco d’Assisi. La poesia viene citata da Fabrizio De André (Le nuvole) nel brano Ottocento.

(Laude, 70)

È il più celebre testo di Jacopone, uno dei primi esempi (se non il primo in assoluto) di “lauda drammatica” in quanto propone un dialogo tra più personaggi sulla crocifissione di Cristo, al centro della quale vi è il dolore di Maria per il martirio del proprio figlio (gli altri interlocutori sono Gesù stesso, la folla degli ebrei e un fedele che descrive le fasi del supplizio, probabilmente l’apostolo Giovanni). Il mistero dell’incarnazione di Cristo è espresso attraverso la pena tutta umana della madre per le sofferenze a Lui inflitte, per cui il racconto della Passione diventa un dramma concreto e naturalissimo accentuato dal movimento drammatico delle voci che si susseguono. Jacopone ha affrontato il tema del dolore della Vergine per la morte di Cristo anche nell’inno latino “Stabat Mater”, a lui generalmente attribuito.








































































































«Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso
Iesù Cristo beato.Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;
credo che lo s’occide,
tanto l’ò flagellato».«Come essere porria,
che non fece follia,
Cristo, la spene mia,
om l’avesse pigliato?».«Madonna, ello è traduto,
Iuda sì ll’à venduto;
trenta denar’ n’à auto,
fatto n’à gran mercato».«Soccurri, Madalena,
ionta m’è adosso piena!
Cristo figlio se mena,
como è annunzïato».«Soccurre, donna, adiuta,
cà ’l tuo figlio se sputa
e la gente lo muta;
òlo dato a Pilato».«O Pilato, non fare
el figlio meo tormentare,
ch’eo te pòzzo mustrare
como a ttorto è accusato».«Crucifige, crucifige!
Omo che se fa rege,
secondo la nostra lege
contradice al senato».«Prego che mm’entennate,
nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate
de que avete pensato».

«Traiàn for li latruni,
che sian soi compagnuni;
de spine s’encoroni,
ché rege ss’è clamato!».

«O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor me’ angustïato?

Figlio occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ si lattato?».

«Madonna, ecco la croce,
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
déi essere levato».

«O croce, e que farai?
El figlio meo torrai?
E que ci aponerai,
che no n’à en sé peccato?».

«Soccurri, plena de doglia,
cà ’l tuo figliol se spoglia;
la gente par che voglia
che sia martirizzato».

«Se i tollit’el vestire,
lassatelme vedere,
com’en crudel firire
tutto l’ò ensanguenato».

«Donna, la man li è presa,
ennella croc’è stesa;
con un bollon l’ò fesa,
tanto lo ’n cci ò ficcato.

L’altra mano se prende,
ennella croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è plu multiplicato.

Donna, li pè se prènno
e clavellanse al lenno;
onne iontur’aprenno,
tutto l’ò sdenodato».

«Et eo comenzo el corrotto;
figlio, lo meo deporto,
figlio, chi me tt’à morto,
figlio meo dilicato?

Meglio aviriano fatto
ch’el cor m’avesser tratto,
ch’ennella croce è tratto,
stace descilïato!».

«O mamma, o’ n’èi venuta?
Mortal me dà’ feruta,
cà ’l tuo plagner me stuta,
ch’el veio sì afferato».

«Figlio, ch’eo m’aio anvito,
figlio, pat’e mmarito!
Figlio, chi tt’à firito?
Figlio, chi tt’à spogliato?».

«Mamma, perché te lagni?
Voglio che tu remagni,
che serve mei compagni,
ch’êl mondo aio aquistato».

«Figlio, questo non dire!
Voglio teco morire,
non me voglio partire
fin che mo ’n m’esc’ el fiato.

C’una aiàn sepultura,
figlio de mamma scura,
trovarse en afrantura
mat’e figlio affocato!».

«Mamma col core afflitto,
entro ’n le man’ te metto
de Ioanni, meo eletto;
sia to figlio appellato.

Ioanni, èsto mea mate:
tollila en caritate,
àginne pietate,
cà ’l core si à furato».

«Figlio, l’alma t’è ’scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato!

Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,
figlio, e a ccui m’apiglio?
Figlio, pur m’ài lassato!

Figlio bianco e biondo,
figlio volto iocondo,
figlio, perché t’à el mondo,
figlio, cusì sprezzato?

Figlio dolc’e placente,
figlio de la dolente,
figlio àte la gente
mala mente trattato.

Ioanni, figlio novello,
morto s’è ’l tuo fratello.
Ora sento ’l coltello
che fo profitizzato.

Che moga figlio e mate
d’una morte afferrate,
trovarse abraccecate
mat’e figlio impiccato!».

Fedele: «Donna del cielo, tuo figlio, Gesù Cristo beato, è catturato.



Accorri, donna e vedi che la gente lo colpisce; credo che lo stiano uccidendo, tanto lo hanno flagellato.»



Maria: «E come potrebbe essere che abbiano catturato Cristo, la mia speranza, visto che non ha commesso peccato?»


Fedele: «Madonna, egli è stato tradito; Giuda l’ha venduto, avendone in cambio trenta denari; ne ha tratto un gran guadagno».



Maria: «Aiutami, Maddalena, mi è arrivata addosso la pena! Mio figlio Cristo è portato via, come è stato annunciato».



Fedele: «Soccorrilo, donna, aiutalo, poiché sputano addosso a tuo figlio e la gente lo sta portando via; lo hanno consegnato a Pilato».



Maria: «O Pilato, non fare torturare mio figlio, poiché io ti posso dimostrare che è accusato a torto».


Folla: «Crocifiggilo, crocifiggilo! Un uomo che si proclama re, secondo la nostra legge, contravviene ai decreti del senato».



Maria: «Vi prego di ascoltarmi, pensate al mio dolore! Forse ora cambiate idea rispetto a ciò che avete pensato».



Folla: «Tiriamo fuori [liberiamo] i ladroni, che siano suoi compagni di pena; lo si incoroni di spine, visto che si è proclamato re!».


Maria: «O figlio, figlio, figlio, figlio, giglio amoroso! Figlio, chi dà conforto al mio cuore angosciato?



Figlio dagli occhi che danno gioia, figlio, perché non mi rispondi? Figlio, perché ti nascondi dal petto dove sei stato allattato?».



Fedele: «Madonna, ecco la croce che è portata dalla folla, ove Cristo (la vera luce) dovrà essere sollevato».



Maria: «Croce, cosa farai? Prenderai mio figlio? E di cosa lo accuserai, visto che non ha commesso alcun peccato?».



Fedele: «Soccorrilo, o tu che sei piena di dolore, poiché il tuo figliolo è spogliato; sembra che la folla voglia che sia martirizzato».


Maria: «Se gli togliete i vestiti, lasciatemi vedere come lo hanno tutto insanguinato, infliggendogli crudeli ferite».



Fedele: «Donna, gli hanno preso una mano e l’hanno stesa su un braccio della croce; l’hanno spaccata con un chiodo, tanto gliel’hanno conficcato.


Gli prendono l’altra mano e la stendono sull’altro braccio della croce, e il dolore brucia, ancora più accresciuto.


Donna, gli prendono i piedi e li inchiodano al legno; aprendogli ogni giuntura, lo hanno tutto slogato».



Maria: «E io inizio il lamento funebre; figlio, mia gioia, figlio, chi ti ha ucciso [togliendoti a me], figlio mio delicato?



Avrebbero fatto meglio a strapparmi il cuore, visto che è posto anch’esso in croce e sta lì straziato!».



Cristo: «Mamma, dove sei venuta? Mi infliggi una ferita mortale, poiché il tuo pianto, che vedo così angosciato, mi uccide».


Maria: «Figlio, io ne ho ben ragione, figlio, padre e marito! Figlio, chi ti ha ferito? Figlio, chi ti ha spogliato?».



Cristo: «Mamma, perché ti lamenti? Voglio che tu rimanga qui, che assisti i miei compagni che ho acquistato nel mondo».



Maria: «Figlio, non dire questo! Voglio morire con te, non voglio andarmene finché mi esce ancora voce.


Possiamo noi avere un’unica sepoltura, figlio di mamma infelice, trovandoci nella stessa sofferenza, madre e figlio ucciso!».



Cristo: «Mamma col cuore afflitto, ti affido nelle mani di Giovanni, il mio discepolo prediletto; sia tuo figlio acquisito.



Giovanni, ecco mia madre: prendila con affetto, abbine pietà, poiché ha il cuore così trafitto».



Maria: «Figlio, l’anima ti è uscita dal corpo, figlio della smarrita, figlio della disperata, figlio avvelenato [ucciso]!



Figlio bianco e rosso, figlio senza pari, figlio, a chi mi rivolgo? Mi hai davvero abbandonata!


Figlio bianco e biondo, figlio dal volto gioioso, figlio, perché il mondo ti ha così disprezzato?



Figlio dolce e bello, figlio di una donna addolorata, figlio, la gente ti ha trattato in malo modo.



Giovanni, figlio acquisito, tuo fratello è morto. Ora sento il coltello [la pena del martirio] che fu profetizzato.



Che la madre muoia insieme al figlio, afferrati dalla stessa morte, trovandosi abbracciati, madre e figlio entrambi crocifissi!»

Interpretazione

  • Il testo ha la forma metrica di una ballata di versi settenari, con una ripresa di tre versi (rima YYX) e 33 strofe di quattro versi ciascuna (rima AAAX). Sono presenti rime siciliane ai vv. 1-2 (Paradiso / preso), vv. 28-29 (crucifige / rege), vv. 37-38 (compagnuni / encoroni), vv. 48-49 (croce / aduce), vv. 60-61 (vestire /  vedere), vv. 104-105 (afflitto / metto). Una rima imperfetta è ai vv. 76-77, corrotto / deporto.
  • La passione di Cristo è rappresentata nella sua crudezza e nella sua umanità, poiché Gesù è mostrato come un uomo che soffre e il cui corpo è flagellato e sottoposto a crudeli ferite. Altrettanto umana la figura della Madonna, il cui dolore è quello di una madre che soffre a vedere il figlio torturato senza colpa (all’inizio Maria tenta inutilmente di convincere la folla e Pilato dell’innocenza del figlio). Nelle prime strofe la sua voce si alterna a quella di un fedele (forse S. Giovanni, cui Cristo affida la madre alla fine del testo) che descrive i momenti più strazianti del martirio e invita Maria a soccorrere il figlio; interviene poi la voce della folla che incita alla crocifissione, secondo lo stereotipo medievale del popolo ebreo deicida, quindi animato dal desiderio di martirio verso Cristo.
  • Il testo si compone di 33 quartine (esclusa la ripresa) che corrispondono agli anni di Cristo quando venne crocifisso, mentre la descrizione del suo corpo inchiodato alla croce si concentra nei vv. 64-75, dunque nelle tre strofe centrali del componimento, con una perfetta simmetria e la simbologia religiosa del numero tre.
  • La prima parte della lauda contiene soprattutto la descrizione della Via crucis con le urla della folla all’indirizzo di Gesù e gli oltraggi al suo corpo, mentre nella seconda parte (dopo che Cristo è stato inchiodato alla croce) ha grande spazio il dolore di Maria, che si abbandona a un “corrotto” (lamento funebre) commovente e straziante: la Vergine si rivolge direttamente al figlio, sottolinea la sua innocenza e il fatto che sia martirizzato senza colpa, ne fa l’elogio con una serie di epiteti esornativi (l’anafora “figlio” è ripetuta per quattro quartine consecutive, vv. 112-127, poi Maria lo chiama “bianco e vermiglio”, “bianco e biondo”, “volto iocondo”). Il suo dolore è quello tutto umano di una donna che vede il figlio morire e vorrebbe essere uccisa insieme a lui, mente alla fine resta piangente ai piedi della croce.

Più leadership femminile per un mondo migliore

Più leadership femminile per un mondo migliore

“Come affermato in occasione della Giornata Internazionale delle donne l’8 marzo 2019, le donne fanno il mondo più bello, lo proteggono e lo tengono vivo. Portano la grazia del rinnovamento, l’abbraccio dell’inclusione e il coraggio di donare se stesse”.

Il Papa: il mondo sarà migliore se tra uomini e donne ci sarà parità nella diversità

Pubblichiamo la prefazione di Francesco al volume “Più leadership femminile per un mondo migliore: il prendersi cura come motore per la nostra casa comune”, a cura di Anna Maria Tarantola, edito da “Vita e Pensiero”. Il testo è il risultato di una ricerca promossa congiuntamente da Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice e Strategic Alliance of Catholic Research Universities (Sacru). La ricerca è stata presentata il 10 marzo alle 14.30 presso l’Istituto Maria Santissima Bambina a Roma

Papa Francesco

Questo libro parla di donne, dei loro talenti, delle loro capacità e competenze e delle disuguaglianze, violenze e pregiudizi che ancora caratterizzano il mondo femminile. Le questioni legate al mondo femminile mi stanno particolarmente a cuore. In molti miei interventi ho fatto riferimento a esse sottolineando quanto ancora resta da fare per la piena valorizzazione delle donne. Ho avuto modo, tra l’altro, di affermare che “Uomo e donna non sono uguali e non sono uno superiore all’altro, no. Soltanto che l’uomo non porta l’armonia, è lei, lei porta quell’armonia che ci insegna ad accarezzare, ad amare con tenerezza e che fa del mondo una cosa bella” (Omelia a Santa Marta, 9 febbraio 2017). Abbiamo tanto bisogno di armonia per combattere le ingiustizie, l’avidità cieca che danneggia le persone e l’ambiente, la guerra ingiusta e inaccettabile.

Questo libro raccoglie i risultati della ricerca comune, promossa da Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice e Strategic Alliance of Catholic Research Universities, cui hanno partecipato 15 accademici di diverse discipline appartenenti a 10 università residenti in 8 Paesi. Mi piace che il tema sia affrontato nell’ottica della multidisciplinarietà, approcci e analisi diverse consentono una visione ampia dei problemi e la ricerca di migliori soluzioni. La ricerca evidenzia le difficoltà che le donne ancora incontrano a raggiungere ruoli apicali nel mondo del lavoro e, al contempo, i vantaggi connessi a una loro maggiore presenza e piena valorizzazione negli ambiti dell’economia, della politica e della società stessa. Anche la Chiesa può avvantaggiarsi dalla valorizzazione delle donne: come ho detto nel mio intervento a conclusione del sinodo dei Vescovi della Regione Panamazzonica nell’ottobre 2019: “Non ci siamo resi conto di cosa significa la donna nella Chiesa e ci limitiamo solo alla parte funzionale […]. Ma il ruolo della donna nella Chiesa va molto al di là della funzionalità. È su questo che bisogna continuare a lavorare. Molto al di là”.

Non si può perseguire un mondo migliore, più giusto, inclusivo e integralmente sostenibile senza l’apporto delle donne. Ecco allora che dobbiamo lavorare, tutti insieme, per aprire opportunità uguali per uomini e donne, in ogni contesto per perseguire una stabile e duratura situazione di parità nella diversità perché la strada dell’affermazione femminile è recente, travagliata e, purtroppo non definitiva. Si può facilmente tornare indietro. Il pensiero delle donne è diverso da quello degli uomini, sono più attente alla tutela dell’ambiente, il loro sguardo non è volto al passato ma al futuro. Le donne sanno di partorire nel dolore per raggiungere una grande gioia: donare la vita e aprire vasti, nuovi orizzonti. Per questo le donne vogliono la pace, sempre. Le donne sanno esprimere insieme forza e tenerezza, sono brave, competenti, preparate, sanno ispirare le nuove generazioni (non solo i figli).

È giusto che possano esprimere queste loro capacità in ogni ambito, non solo in quello familiare, ed essere remunerate in modo uguale agli uomini a parità di ruolo, impegno e responsabilità. I divari che ancora sussistono sono una grave ingiustizia. Questi divari, insieme con i pregiudizi verso le donne sono alla base della violenza sulle donne. Ho in molte occasioni condannato questo fenomeno; il 22 settembre 2021 ho detto che la violenza sulle donne è una piaga aperta frutto di una cultura di sopraffazione patriarcale e maschilista. Dobbiamo trovare la cura per sanare questa piaga, non lasciare sole le donne. La ricerca qui presentata e le conclusioni raggiunte cercano di sanare la piaga della disuguaglianza e, per questa via, della violenza. Mi piace pensare che se le donne potessero godere della piena uguaglianza di opportunità, potrebbero contribuire sostanzialmente al necessario cambiamento verso un mondo di pace, inclusione, solidarietà e sostenibilità integrale. Come ho affermato in occasione della Giornata Internazionale delle donne l’8 marzo 2019, le donne fanno il mondo più bello, lo proteggono e lo tengono vivo. Portano la grazia del rinnovamento, l’abbraccio dell’inclusione e il coraggio di donare se stesse.

La pace, allora, nasce dalle donne, sorge e si riaccende dalla tenerezza delle madri. Così il sogno della pace diventa realtà quando si guarda alle donne. È mio pensiero che, come emerge dalla ricerca, la parità vada raggiunta nella diversità. Non parità perché le donne assumono i comportamenti maschili ma parità perché le porte del campo di gioco sono aperte a tutti i giocatori, senza differenze di sesso (e anche di colore, di religione, di cultura…). È quello che gli economisti chiamano diversità efficiente. È bello pensare a un mondo in cui tutti vivono in armonia e tutti possono vedere riconosciuti i propri talenti e contribuire alla realizzazione di un mondo migliore. La capacità di cura, per esempio, è senz’altro una caratteristica femminile che si deve poter esprimere non solo nell’ambito della famiglia, ma in egual misura e con ottimi risultati anche in politica, in economia, nell’accademia e sul lavoro.

La capacità di cura dobbiamo esprimerla tutti, uomini e donne. Gli uomini possono coltivare questa capacità anche nell’attività genitoriale: che bella la famiglia dove entrambi i genitori, mamme e papà insieme, si prendono cura dei loro bambini, li aiutano a crescere sani e li educano al rispetto delle persone e delle cose, alla gentilezza, alla misericordia, alla tutela del creato. Mi piace anche il cenno all’importanza dell’educazione. L’educazione è la strada maestra da un lato per fornire alle donne le competenze e le conoscenze necessarie per affrontare le nuove sfide del mondo del lavoro, e dall’altro per facilitare il cambiamento della cultura patriarcale, ancora prevalente. Purtroppo, ancora oggi, circa 130 milioni di ragazze nel mondo non vanno a scuola. Non c’è libertà, giustizia, sviluppo integrale, democrazia e pace senza l’educazione.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-03/papa-francesco-prefazione-libro-tarantola-donne.html

SULLA DEVOZIONE ALLA MADONNA DEL ROSARIO

SULLA DEVOZIONE ALLA MADONNA DEL ROSARIO

COSA C’È DA SAPERE SULLA DEVOZIONE ALLA MADONNA DEL ROSARIO, NATA DA UN ANTICLERICALE  La Vergine del Rosario si festeggia l’8 maggio e il 7 ottobre perché alla sua intercessione fu attribuita la vittoria della flotta cristiana sui turchi musulmani nel 1571 a Lèpanto. A fondare il Santuario di Pompei fu un avvocato anticlericale e dedito allo spiritismo, Bartolo Longo, che si convertì per dedicarsi ai poveri

La Madonna del Rosario di Pompei si festeggia il 7 ottobre e l’8 maggio con la recita della Supplica solenne. Il culto verso la Vergine è molto antico e risale all’epoca dell’istituzione dei domenicani (XIII secolo), i quali ne furono i maggiori propagatori. Alla protezione della Vergine del Rosario, inoltre, fu attribuita la vittoria della flotta cristiana sui turchi musulmani, avvenuta a Lepanto nel 1571. A seguito di ciò il papa Pio V (1504-1572), istituì dal 1572 la festa del Santo Rosario, alla prima domenica di ottobre, che poi dal 1913 è stata spostata al 7 ottobre. Il culto per il Rosario ebbe un’ulteriore diffusione dopo le apparizioni di Lourdes del 1858, dove la Vergine raccomandò la pratica di questa devozione. La Madonna del Rosario, ebbe nei secoli una vasta gamma di raffigurazioni artistiche, quadri, affreschi, statue, di solito seduta in trono con il Bambino in braccio, in atto di mostrare o dare la corona del rosario; la più conosciuta è quella in cui la corona viene data a Santa Caterina da Siena e a San Domenico di Guzman, inginocchiati ai lati del trono.

Il quadro della Madonna del Rosario venerato nel Santuario di Pompei

Il quadro della Madonna del Rosario venerato nel Santuario di Pompei

BARTOLO LONGO, DA ANTICLERICALE ALLA CONVERSIONE

Ma il vero apostolo della devozione alla Vergine di Pompei è il beato Bartolo Longo, un avvocato acceso anticlericale nato in Puglia il 10 febbraio 1841. Di temperamento esuberante, da giovane si dedicò al ballo, alla scherma e alla musica; intraprese gli studi superiori in forma privata a Lecce; dopo l’Unità d’Italia, nel 1863, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza nell’Università di Napoli.
Fu conquistato dallo spirito anticlericale che in quegli anni dominava nell’Ateneo napoletano, al punto da partecipare a manifestazioni contro il clero e il papa. Dubbioso sulla religione, si lasciò attrarre dallo spiritismo, allora molto praticato a Napoli, fino a diventarne un celebrante dei riti.

La sua vita ebbe allora una svolta totale, dopo una notte di incubi, egli si rivolse al Prof. Vincenzo Pepe. Pepe, suo compaesano e uomo molto religioso, fu per lui un vero amico, e lo inviò alla direzione spirituale di Padre Radente appartenente all’ordine dei Domenicani. Padre Radente dopo poco tempo riuscì a farlo aggregare al Terzo Ordine di San Domenico.

Il beato Bartolo Longo

Il beato Bartolo Longo

LE OPERE DI CARITÀ DOPO L’INCONTRO CON LA CONTESSA DE FUSCO

Nel 1864 si laureò in giurisprudenza, tornò al paese natìo, abbandonò la professione di avvocato, si prodigò in opere assistenziali, fece voto di castità seguendo anche le indicazioni del venerabile Emanuele Ribera redentorista che gli aveva preannunciato una probabile alta missione da compiere per la cristianità.
Per seguire questa vocazione ad aiutare i bisognosi, tornò a Napoli dove conobbe il futuro beato Ludovico da Casoria e la futura santa Caterina Volpicelli. Nella Casa Centrale che la Volpicelli aveva aperto a Napoli, Bartolo conobbe la contessa Marianna Farnararo De Fusco, donna impegnata fortemente in opere caritatevoli ed assistenziali.

Questa nel 1864 era rimasta vedova del conte Albenzio De Fusco di Lettere (Italia), i cui possedimenti si estendevano anche nella Valle di Pompei. Alla contessa, vedova di soli 27 anni con cinque figli in tenera età, serviva un amministratore per i beni De Fusco, nonché un precettore per i figli. Fu così che Bartolo accettò di stabilirsi in una residenza dei De Fusco per assolvere a tali compiti. Questa conoscenza segnò una svolta fondamentale nella vita di Bartolo Longo, poiché egli ne divenne l’inseparabile compagno nelle opere caritatevoli.

Tale amicizia tuttavia diede luogo a parecchie maldicenze, per cui dopo un’udienza da Papa Leone XIII, i due nel 1885 decisero di sposarsi, con il proposito però di vivere come buoni amici, in amore fraterno, come avevano fatto fino ad allora. Il matrimonio fu celebrato senza gli atti civili e le pubblicazioni di rito. La contessa De Fusco era proprietaria di terreni ed abitazioni nel territorio di Pompei e Bartolo Longo come amministratore si recava spesso nella Valle; vedendo l’ignoranza religiosa in cui vivevano i contadini sparsi nelle campagne, prese ad insegnare loro il catechismo, a pregare e specialmente a recitare il rosario.
Una pia suora Maria Concetta de Litala, gli donò una vecchia tela raffigurante la Madonna del Rosario, molto rovinata; restauratala alla meglio, Bartolo Longo decise di portarla nella Valle di Pompei e lui stesso racconta, che nel tratto finale, poggiò il quadro per trasportarlo, su un carro, che faceva la spola dalla periferia della città alla campagna, trasportando letame, che allora veniva usato come concime nei campi.
Il 13 febbraio 1876, il quadro venne esposto nella piccola chiesetta parrocchiale, da quel giorno la Madonna elargì con abbondanza grazie e miracoli; la folla di pellegrini e devoti aumentò a tal punto che si rendeva necessario costruire una chiesa più grande.
Bartolo Longo su consiglio del vescovo di Nola, iniziò il 9 maggio 1876 la costruzione del tempio che terminò nel 1887. Il quadro della Madonna, dopo essere stato opportunamente restaurato, venne sistemato su un trono; l’immagine poi verrà anche incoronata con un diadema d’oro, ornato da più di 700 pietre preziose, benedetto da papa Leone XII.

Famiglia Cristiana

Il Poema delle 4 Notti

Il Poema delle 4 Notti

La notte della Pasqua i cristiani la celebrano attorno alla mensa dell’agnello, mangiano il pane della vita e devono il calice della salvezza, nutriti quindi del corpo e del sangue di Cristo.
Pane azzimo dell’ostia e calice del vino sono nel segno della continuità dell’eucarestia con il banchetto pasquale ebraico pur nella novità della presenza reale del Signore Gesù.
Perciò la liturgia della Veglia pasquale canta così: “Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti del Cristo dall’oscurità del peccato e della corruzione del mondo, li consacra all’amore del padre e li unisce alla comunione dei santi.. Questa è la notte in cui Cristo , spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro.

Nel dialogo tra padre e figlio (Es.13,14) seduti intorno alla mensa del Pessach risuona una domanda : “ Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti ?”
Perché si fa memoria della schiavitù di Egitto , ci si dispone a gustare il sapore della libertà bevendo alle quattro coppe della salvezza.

Quattro, come le tipologie di figli, e di benedizioni, identificate dal midrash e che rappresentano la varietà di posizioni raggiunta nel tempo dalle generazioni, alla quale il genitore deve adeguatamente rispondere: il saggio, il malvagio, il semplice, colui che non sa porre domande. Il figlio saggio, che non esclude se stesso dall’obbligo di eseguire i comandamenti di Dio e che riconosce le sue radici; il malvagio, che considera quei “riti” irrilevanti per lui, autoescludendosi dalla comunità (secondo l’Haggadah è l’unico non meritevole della liberazione dalla schiavitù, l’unico che sarebbe stato lasciato in Egitto); il semplice, il quale domanda “che significato ha tutto questo?”, merita una risposta altrettanto semplice, lineare, elementare sulle ragioni dell’Esodo; infine il figlio che non sa porre domande: è disinteressato, non ribelle, e quindi — a differenza del malvagio — secondo la Torah è meritevole lo stesso della ritrovata libertà anche solo per la semplice appartenenza (non rinnegata) al popolo ebraico.

La notte di Pessach è la notte che rivela le innumerevoli meraviglie di salvezza che l’altissimo ha operato: quattro, dalle quali derivano tutte le altre e tutte e quattro si sono compiute nella notte e nel buio del cuore, la luce è venuta a salvarci.
Il racconto delle quattro notti è riferito nella tradizione ebraica in rapporto alla benedizione ( o qiddush) delle quattro coppe in un antico documento che ne parla ed è il TARGUM ONKELOS a Es. 12,42.”In realtà quattro notti sono scritte nel libro del memoriale. LA PRIMA NOTTE fu quando il Signore si manifestò nel mondo per crearlo: il mondo era deserto vuoto e la tenebra si estendeva sulla superficie nell’abisso ma il Verbo del Signore era la luce e illuminava. Ed egli la chiamò notte prima (QIDDUSH della prima coppa) .

LA SECONDA NOTTE fu quando il Signore si manifestò ad Abramo dell’età di cento anni,mentre Sara sua moglie ne aveva novanta,affinché si compisse ciò che dice la scrittura : certo Abramo genera all’età di cento anni e Sara partorisce all’età di novant’anni. Isacco aveva trentasette anni quando fu offerto sull’altare. I cieli si abbassarono e discesero e Isacco ne contemplò la perfezione e i suoi occhi rimasero abbagliati per le loro perfezioni. Ed egli la chiamò : notte seconda (QIDDUSH della seconda coppa).
LA TERZA NOTTE fu quando il Signore si manifestò contro gli egiziani durante la notte : la sua mano uccideva i primogeniti di Egitto e la sua destra proteggeva i primogeniti di Israele per compiere la parola della Scrittura : Israele è il mio primogenito (Es. 4,22) Ed egli la chiamò : la notte terza ( QIDDUSH della terza coppa).

LA QUARTA NOTTE sarà quando il mondo giungerà alla sua fine per essere redento. Le sbarre di ferro saranno spezzate e le generazioni degli empi saranno distrutte.E Mosè salirà dal deserto e il Re dall’alto: e il Verbo camminerà in mezzo a loro ed essi cammineranno insieme., E’ la notte di Pasqua nel nome del Signore ,notte predestinata e preparata per la redenzione di tutti i figli d’Israele in ogni generazione (QIDDUSH della quarta coppa).”

Far memoria di queste quattro notti aiuta ad entrare intensamente nella notte di Pasqua, culmine e fonte della salvezza nostra e di tutte le creature che sono al mondo. Come quattro tappe esse scandiscono il cammino, teso a fare sempre più di noi , per tanti aspetti figli della notte, i figli della luce redenti dall’Amore.

Giovane Jewish mentre mangia una matzah e una matzah ball soup

Perché questa notte è diversa dalle altre? Perché non mangiamo pane lievitato ma solo pane azzimo non lievitato? E perché erba amara al posto delle normali verdure? Festa della libertà ritrovata (dopo la liberazione dalla schiavitù in Egitto), festa della primavera (Torah e Talmud collocano l’avvenimento nella stagione dal clima migliore), Pesach — la Pasqua ebraica — è anche festa dei bambini. Le loro domande, durante le due cene del Seder (rito che apre gli otto giorni di celebrazione), sono frutto dello stupore di trovarsi davanti una tavola apparecchiata in modo differente, dopo che l’intera famiglia, per giorni, ha eliminato scrupolosamente dalla casa ogni forma di alimento lievitato. Le risposte le troveranno nell’Haggadah, la raccolta di interpretazioni rabbiniche narranti gli eventi che hanno portato all’Esodo, dalle dieci piaghe d’Egitto all’apertura del Mar Rosso guidati da Mosè, dalla manna scesa dal cielo ai dieci comandamenti. È infatti quasi sempre il più giovane, generalmente un bambino, a recitare e cantare i brani più significativi.

CANTO DEI BAMBINI NELLA VEGLIA DI PASQUA - Melodia ebraica

Nishtanah (Cosa differenzia questa sera dalle altre sere?), il testo con le tradizionali “quattro domande”. In quel preciso “ordine” (traduzione italiana del termine Seder), in quella sequenza di atti di intensa partecipazione, i più giovani scoprono le origini, una parte essenziale della loro storia.

Pesach, “passare oltre”, come fece il Signore (Esodo, 12, 13) vedendo il sangue d’agnello su stipiti e architravi delle case dei figli d’Israele — era stato Dio stesso a dire a Mosè e ad Aronne di segnare le porte in questo modo — la notte in cui colpì ogni primogenito nella terra d’Egitto. Ed è così che quel giorno, il quattordicesimo del mese di Nissan, è diventato per gli ebrei l’inizio, un “memoriale” (zikkaron), rito perenne da celebrare di generazione in generazione. Quest’anno, secondo il calendario ebraico, che è calcolato su base lunare, Pesach comincerà la sera del 27 marzo per concludersi il 4 aprile. La meticolosa preparazione al Seder è dunque già cominciata, preceduta dalla pulizia della casa, dalla quale deve scomparire qualsiasi residuo di lievito. Quella sera, la prima, sulla tavola imbandita compariranno piatti decorati dove non devono mancare — prodotti rigorosamente kasher — il pane non lievitato (matzot), a ricordare la precipitosa fuga dall’Egitto, un gambo di sedano, erba amara, il maror (i romani sono soliti mettere delle foglie di lattuga), a rappresentare la durezza della schiavitù, una zampa di capretto (a simboleggiare l’agnello sacrificato al posto dei primogeniti del popolo ebraico), un uovo sodo, per il lutto ma anche per la vita che ricomincia, il charoset, impasto che ricorda l’argilla per comporre i mattoni, e poi quattro bicchieri di vino.

Intorno alla tavola si riuniscono le famiglie, si invitano gli amici, anche gli ospiti di passaggio. Al termine, l’augurio “l’anno prossimo a Gerusalemme” con la speranza, anzi la certezza, di rivedersi al Pesach successivo. Dalla schiavitù alla libertà. Il testo dell’Haggadah è pieno di frasi che inducono a rinnovare questo passaggio. Una di esse si trova proprio all’inizio: «Chi ha fame venga e mangi, chi ha necessità venga e faccia Pesach (con noi)». La libertà, spiega il rabbino Giuseppe Momigliano su “Moked”, «non è un bene che si risolve nel privato, non ci autorizza a chiuderci in noi stessi; la celebrazione del Seder ci ricorda che libertà è anche “invitare a fare Pesach”, cioè condividere con chi è materialmente privo del necessario per la festa, e coinvolgere chi, per circostanze della vita, si trova in solitudine, fisica o esistenziale». Come l’arrivederci a Gerusalemme, Leshanà habbà beJerushalaim, che conclude la cerimonia, non è semplicemente un auspicio ma la promessa, il richiamo a una città, osserva ancora Momigliano, «luogo aperto e accessibile, di preghiera e di incontro per tutte le genti e per ogni fede».

L'ebraismo in breve spiegato ai bambini

Un breve video per aiutare anche i più piccoli ad incominciare a conoscere questa antica tradizione e a confrontarsi con culture diverse.

https://www.osservatoreromano.va/it/news/2021-03/quo-067/pesach-la-liberta-onorata.html

Idea Progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it