Chiara Amirante | Come Gesù ci libera da ansie, paure e pensieri negativi

Chiara Amirante | Come Gesù ci libera da ansie, paure e pensieri negativi

Davanti a domande che quasi tutti si sono posti almeno una volta nella vita, ci sono risposte molto nette che riportano al cuore della nostra fede, ma che tuttavia non sempre sono chiare nella propria coscienza. 

Lo spiega la fondatrice e presidente di “Nuovi Orizzonti” Chiara Amirante nel suo ultimo libro intitolato “La pace interiore. Liberarsi dall’ansia, dalle paure e dai pensieri negativi”.

Chiara Amirante
Chiara Amirante – photo web source

Il libro della Amirante nasce dalla constatazione che la pandemia ha stravolto duramente le vite di tanti, ha spiegato l’autrice all’agenzia dei vescovi Sir. Purtroppo però, concentrandosi ogni giorno sui bollettini del Cts e sulle conseguenze fisiche della malattia, ci si è purtroppo dimenticati di molti aspetti spirituali estremamente importanti. Che secondo l’autrice hanno dato vita a un’altra pandemia: “quella del malessere dell’anima”.

Le difficoltà di questo tempo e il modo per affrontarle

In particolare tra i più giovani, sempre più vittime di depressioni e disturbi di ansia e non solo. Per cui mai come oggi è di fondamentale importanza capire come dare risposta a tutto questo. “Sono partita dalla mia esperienza, da ciò che io per prima ho vissuto in questi 30 anni, da ciò che ho condiviso venendo a contatto con ragazzi provenienti da esperienze traumatiche, difficili, estremamente dolorose”, ha spiegato la Amirante parlando del libro.

Storie di “ragazzi che avevano deciso di morire e che oggi invece testimoniano la speranza pur vivendo, anche oggi a volte, situazioni drammatiche”. In questo, come in altri suoi titoli precedenti, la fondatrice di Nuovi Orizzonti ha cercato cioè di “mettere nero su bianco un percorso di guarigione del cuore”. “Io per prima ho dovuto imparare a gestire l’impatto con il dolore, anche quando è così grande da spezzarti il cuore”, ha raccontato.

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Quanti infatti non si sono mai chiesti, ad esempio, “come custodire la pace nei momenti difficili che la vita ci riserva”, “come non restare in balia di pensieri o stati d’animo negativi” oppure “cosa fare per non lasciarci sopraffare dall’ansia e dalle paure”? La risposta, per la Amirante, è molto chiara. “La guarigione, ogni guarigione passa per l’amore”, spiega. “Sperimentare di essere perdonati, ma soprattutto sperimentare di essere amati, così come siamo, fa tutta la differenza del mondo. Il bisogno di amare e di essere amati è quello che più di altri ci incalza, specialmente in questo tempo segnato dal consumismo”.

La certezza dei cristiani che mai li abbandona

Un tempo che la Amirante ha descritto come “straordinario e terribile al tempo stesso”, in cui si è vittime di una cultura dell’usa e getta e dove però purtroppo vi sin annidano molti terribili mali. Come “le tante ferite che a volte ci portano a chiudere il cuore, segnato dal tradimento, dall’abbandono”. Ma per i cristiani c’è una forza e una Presenza che non abbandona mai, e che ci viene ricordata durante la Settimana Santa.

È quella “dell’eterno amore del Padre per ciascuno di noi”. “Solo fare l’esperienza di un Dio che è amore, che ci ama incondizionatamente, ci aiuta ad affrontare le tante critiche che il mondo vomita ogni giorno su di noi”, ha spiegato la scrittrice al Sir, mettendo però al centro la possibilità di “un’esperienza rigenerante, attraverso la quale Spirito Santo guarisce tutto ciò che condiziona la nostra vita”. Grazie a cui “scopriamo di essere una meraviglia stupenda e che dentro di noi c’è qualcosa di molto bello”.

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“Essere amati significa scoprire che ogni persona è una meraviglia, che porta in sé una bellezza straordinaria, qualcosa di unico e irripetibile”, spiega quindi la fondatrice del noto movimento cattolico, lanciando in conclusione “un invito alla preghiera, indispensabile per alimentare sempre la nostra relazione con Dio, e poi indicazioni semplici di comportamento, accompagnate da pratici esercizi, con i quali dobbiamo allenarci giorno dopo giorno, imparando a comprendere che la nostra felicità non dipende solo e soltanto dalle situazioni, seppur drammatiche, che viviamo e si consumano intorno e dentro di noi, ma soprattutto, che abbiamo sempre una possibilità diversa per decidere come viverle e come affrontarle al meglio”.

Evoluzione tecnologica e digitale, conversione?

Evoluzione tecnologica e digitale, conversione?

A colloquio con il francescano padre Paolo Benanti, autore del libro “Tecnologia per l’uomo” in uscita con il numero di Famiglia Cristiana dal 21 ottobre in edicola e in parrocchia: “Occorre uno sviluppo nel rispetto dei biosistemi, che però non accadrà naturalmente, ma solo se l’innovazione avrà a cuore il bene comune”.

Stefano Stimamiglio

Frate francescano del Terzo Ordine Regolare, 48 anni, padre Paolo Benanti è uno dei massimi esperti nella Chiesa degli aspetti etici e bioetici di tematiche di punta e quanto mai attuali: dalla gestione dell’innovazione a quello dell’impatto di internet e del Digital Age sul mondo contemporaneo, dalle biotecnologie e la biosicurezza alle neuroscienze e le neurotecnologie. Alla vigilia della 49^ edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani di Taranto (21-24 ottobre 2021) intitolata “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso” e di fronte alla prospettiva di ingenti investimenti con il PNRR, il tema della tecnologia e del suo uso in chiave di futuro e ambiente è particolarmente interessante.

Padre Paolo, parlando di tecnica e di futuro, se una causa della crisi ambientale può esserci stato con il contributo della tecnologia, che cosa può fare essa per ovviare al futuro?

«Occorre non rimanere in un orizzonte ristretto e, pensando alla rivoluzione industriale, al consumo eccessivo di risorse e all’inquinamento di questi decenni – di cui oggi tanto si parla – vedere solo un problema legato alla tecnologia. Essa è presente fin dagli arbori dell’uomo, siamo in effetti l’unica specie che cambia l’habitat in cui vive usando la tecnica. La medusa, tanto per fare un esempio, e ogni altra specie vivente, non fa altrettanto ma si adatta all’ambiente attraverso successive mutazioni genetiche del DNA, che permettono in questo modo la sua sopravvivenza. Tutto questo lo capiamo meglio se riconosciamo che gli altri esseri viventi hanno tutto quello che serve per vivere, ma l’uomo no. L’uomo presenta un’eccedenza…».

Cosa intende per “eccedenza”?

«Intendo dire che l’uomo vive un “di più” rispetto alla sua costituzione biologica. Tale condizione è quella, per esempio, che ci fa prendere appunti durante una conferenza. La nostra condizione biologica – cioè la nostra memoria – non basta per contenere quanto ascoltiamo e abbiamo quindi bisogno di alcuni artefatti tecnologici, come la penna e il quaderno o un pc, per trattenere, esprimere e trasmettere quanto ascoltato. L’uomo, dunque, non si rapporta alla realtà in maniera solo biologica, ma anche attraverso le mediazioni offerte dagli artefatti tecnologici. La tecnologia è il modo con cui l’uomo trattiene, incanala ed esprime la sua eccedenza rispetto alla sua condizione biologica. È grazie all’artefatto tecnologico se, come specie, siamo diventati un fenomeno globale. Infatti, stando a quanto osservano gli antropologi, la nostra specie si è spostata dall’Africa meridionale, la culla della nostra origine, verso nord, colonizzando così tutto il mondo. Abbiamo raggiunto in questo modo ogni luogo in una maniera unica, dando mostra di quella che è una nostra unicità come specie. Fino a quel momento, infatti, ogni specie biologica abitava in un clima particolarmente adatto ad essa».

La tecnologia è, dunque, un fenomeno antico quanto l’uomo…

«Si, proprio perché questa eccedenza fa parte dell’unica dignità dell’uomo da sempre. La tecnologia, che accompagna l’eccedenza dell’umano rispetto alla sua mera biologia fin dall’inizio, è un’esperienza antica ma è sempre il cuore dell’uomo che ne decide l’utilizzo. La clava, ad esempio, poteva essere utile per aprire le noci di cocco ma anche per uccidere. Ogni utensile può essere utilizzato per il bene o per il male. Tutto passa – ripeto – attraverso il filtro del cuore dell’uomo: è, quindi, fondamentalmente una questione etica».

Cosa dire del sospetto verso la tecnica che alcuni nutrono?

«L’evoluzione tecnologica a servizio del mercato si è spinta a tal punto che per la prima volta ha cambiato la faccia del mondo, con tutti i rischi di sopravvivenza della specie umana di cui sentiamo parlare ogni giorno. L’inquinamento incontrollabile è un grosso tema legato però alla miopia che c’è stata dietro all’utilizzo degli artefatti tecnologici, nel senso di una ricerca smodata di guadagno da parte di molti agenti. Oggi abbiamo a disposizione strumenti digitali a tal punto evoluti, che ci aiutano a vedere con chiarezza l’impatto della tecnologia sull’ambiente e a orientarci bene verso una maggiore sostenibilità, garantendo uno sviluppo nel rispetto dei biosistemi. Questo processo, però, non accadrà naturalmente, ma solo se l’innovazione digitale e tecnologica avrà a cuore il bene dell’uomo, quello che nella dottrina sociale della chiesa chiamiamo “bene comune».

Dunque, innovazione e futuro sostenibile. Ma come?

«Dobbiamo idealmente metterci al posto di chi ha avviato la cosiddetta “rivoluzione industriale” nell’Ottocento. Cosa diremmo noi, che siamo i loro pronipoti, a costoro se potessimo andare indietro nella storia? Cosa consiglieremmo loro per evitare di trovarci al punto in cui siamo in termini di degrado ambientale e sfruttamento sconsiderato delle risorse? Bene, le stesse domande dobbiamo porci noi oggi, che siamo gli autori della rivoluzione digitale attualmente in atto, come se fossimo i nostri pronipoti fra un secolo: cosa fare perché la tecnologia digitale serva veramente per il bene dell’uomo? Quale sana cultura promuovere che sia in grado di orientare la risposta?».

Come è inscrivibile allora un’etica nella tecnologia? Dipende dalle leggi, dall’uso dei singoli uomini? O da cosa?

«Non basta né una legge né tanto meno un mero appello, ma un’azione di tutta la società civile. Si tratta di far partire una vera rivoluzione culturale, la stessa di cui parlano tanto le encicliche “Fratelli tutti” e “Laudato sì”. Non si può, quindi, in generale essere né “tecno-ottimisti” né “tecno-pessimisti”, ma solo “tecno-etici”. Alla base di ogni decisione c’è, infatti, quello che in latino si chiama “manicum”, l’impugnatura che fa da legame tra la mano dell’uomo e lo strumento che usa. Esso è in sé neutro, è la mano dell’uomo, che agisce per il bene o per il male, a determinare l’uso dello strumento. L’educazione, in questo senso, è fondamentale».

Qui c’entra anche la fede…

«Sì, decisamente. La fede è chiamata a dialogare con le culture umanistiche e con quelle tecniche perché l’innovazione digitale oggi si trasformi in vero sviluppo per il bene dell’uomo. I famosi algoritmi e i “big data”, cioè le grandi masse di dati da cui si possono estrapolare informazioni o risposte a singoli macro problemi, sono strumenti eccezionali sia per ridurre, ad esempio, gli sprechi di energia, necessari per la salvezza del pianeta e il bene dell’uomo, sia, al contrario, per incrementare al massimo i guadagni delle industrie elettriche. Dipende – ripeto – sempre dall’uso della mano dell’uomo».

La Chiesa quale contributo può dare in questo campo?

«Lo sta facendo ad esempio attraverso il “Call for an AI Ethics”, un documento sviluppato dalla Pontificia Accademia per la Vita, Microsoft, IBM, FAO e Ministero dell’Innovazione Italiano per supportare un approccio etico all’Intelligenza artificiale e promuovere un senso di sempre maggiore responsabilità tra organizzazioni non governative, governi, istituzioni e aziende del settore privato per creare un futuro in cui l’innovazione digitale e il progresso tecnologico siano al servizio del genio e della creatività umana, e quindi al servizio dell’uomo, e non della loro graduale sostituzione, con tutti i rischi che questo comporta

«Maschio e femmina li creò»

«Maschio e femmina li creò»

Quattro anni fa il Vaticano smontava la teoria del gender

Nel febbraio 2019, la Congregazione per l’educazione cattolica firmava un importante documento, intitolato «Maschio e femmina li creò», che in 57 punti mostrava il carattere innaturale, antiscientifico e perfino antiecologico dell’ideologia del gender.

Pochissimi ricordano che quattro anni fa, nel febbraio 2019, il Vaticano firmò un fondamentale documento (poi pubblicato nel giugno di quell’anno), di natura sia etica che pedagogica, intitolato con parole che per alcuni andrebbero espunte dal dizionario: «Maschio e femmina li creò». Il sottotitolo era: «Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione».

Il tono di fondo del testo è misurato e riflessivo, secondo la dinamica dialogica fatta propria dalla Chiesa di papa Francesco. E tuttavia il documento, firmato dal cardinal Giuseppe Versaldi a nome della Congregazione per l’educazione cattolica, faceva chiarezza su tante questioni importanti e decisive che oggi sono diventate ancor più impellenti e ineludibili.

Si pensi al mondo della scuola e alla pretesa del cambio di nome da parte dello studente che si auto-percepisce del sesso opposto, la cosiddetta carriera alias; si pensi alla stessa prassi medica che ormai ha sdoganato una serie di farmaci per correggere la natura umana. Gli ormoni che bloccano la differenziazione sessuale dei minorenni e le chirurgie alla Frankenstein, le quali, come se nulla fosse, asportano organi sani (ovaie, seni, testicoli, utero, etc.), se in contrasto con la “transizione di genere” desiderata. Ma anche lo Stato e la legge civile sono vittime del totalitarismo arcobaleno che si diffonde ovunque, non solo a Sanremo. «Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla differenza biologica fra maschio e femmina» (n. 22).

Il documento, in 29 pagine e 57 punti, mostra quanto c’è di innaturale, antiscientifico e se vogliamo antiecologico nelle ideologie del gender, in quanto esse vorrebbero dimostrare che l’identità sessuale, «ha più a che fare con una costruzione sociale che con un dato naturale o biologico» (n. 8). La storia insegna che i periodi di maggiore crisi etica coincidono con quelli di maggiori dubbi sulla validità delle acquisizioni scientifiche ed empiriche. Si vedano i deliri razziali nazisti, “scientificamente” fondati sulla misurazione dei crani di varie tribù. Oppure i deliri classisti sovietici, per cui perfino le teorie cosmologiche di Georges Lemaître e Albert Einstein andavano rigettate perché frutto di “scienza borghese”. Il gender, nel quadro dell’edonismo assoluto e del relativismo etico imperante, fa esattamente lo stesso. Azzera la biologia, la psicologia, l’anatomia, la genetica e le altre scienze. E se mi sento queer, o gender fluid, bisessuale o poliamoroso, affari miei. Anzi, si pretende che lo Stato assecondi le mie pulsioni.

Secondo il Vaticano, in una «crescente contrapposizione tra natura e cultura», in cui per paradosso è la natura il nemico dei finti green, si legittima come normale una «dimensione fluida, flessibile, nomade» di sessualità. Senza nulla di stabile, neppure, ad esempio, i ruoli di padre e madre nella famiglia. Anzi essi sarebbero da rimuovere, perché frutto di pregiudizio sociale, moralismo cattolico, “Ur-fascismo” (Eco). In questa logica, si apre al “poliamore”, ovvero un’unione affettiva con «più di due individui» (n. 13). Progresso o ritorno alla tribù? Il matrimonio, su cui si fonda la famiglia che la nostra Costituzione definisce «società naturale», sarebbe un mero «retaggio della società patriarcale» (n. 14).

Andrebbe riletto e ristudiato con attenzione l’intero documento, qui ci limitiamo ad alcuni tratti salienti. Dopo la legittimazione dell’ideologia del gender da parte degli Stati e delle nazioni civili, che cosa resterebbe della missione educativa dei genitori e della scuola? Nulla di concreto. Solo la (sempre più insignificante) non discriminazione. Tranne, in verità, verso chi vuole la Tradizione, verso cui ogni tolleranza è bandita. Anche il particolare anti-materialismo (gnostico) dell’ideologia del gender è imbarazzante. Dire che il genere sessuale è svincolato dalla corporeità vuol dire che il corpo è “materia inerte”, manipolabile all’infinito. Anche per questo la filosofia del gender, se piace alla sinistra radicale e agli anarchici alla Cospito, garba anche alle lobby farmaceutiche, use alla manipolazione. Più si manipola e si trasforma, vendendo prodotti sempre più costosi, meglio è.

Papa Francesco, più citato che letto, insegna che «apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere se stessi» (citazione al n. 35). Frase che indica un concetto capitale. Altro che mutilare il corpo delle parti sgradite per sentirsi liberi. Non si può infine risanare e restaurare l’ambiente naturale, senza risanare in parallelo la società degli umani. E non si può risanare la società, senza promuovere la famiglia secondo natura. L’unica istituzione perenne, universale, educativa, che richiede in modo equo e paritario, l’impegno duraturo di un uomo (XY) e di una donna (XX).

O con la scienza, la natura e il Vangelo o con i capricci di un mondo senza Dio. Tertium, purtroppo o per fortuna, non datur.
 di Fabrizio Cannone https://lanuovabq.it/it/quattro-anni-fa-il-vaticano-smontava-la-teoria-del-gender

Documento vaticano sul gender: sì al dialogo sugli studi, no all’ideologia

Uno strumento per affrontare il dibattito sulla sessualità umana e le sfide che emergono dall’ideologia gender, in un tempo di emergenza educativa. Questo vuol essere il documento “Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione” a firma del cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, e dell’arcivescovo Vincenzo Zani, segretario del Dicastero

Debora Donnini – Città del Vaticano

L’obiettivo del documento “Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione” è di sostenere quanti sono impegnati nell’educazione delle nuove generazioni ad affrontare “con metodo” le questioni oggi più dibattute sulla sessualità umana, alla luce del più ampio orizzonte dell’educazione all’amore. In particolare è diretto alle comunità educative delle scuole cattoliche e a quanti, animati da una visione cristiana, operano nelle altre scuole, a genitori, alunni, personale ma anche a vescovi, a sacerdoti e religiosi, a movimenti ecclesiali e associazioni di fedeli. La Congregazione per l’Educazione Cattolica, che ha preparato il testo, parla di “un’emergenza educativa”, in particolare sui temi dell’affettività e della sessualità davanti alla sfida che emerge da “varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che nega la reciprocità e le differenze tra uomo e donna, “considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale”. L’identità verrebbe, quindi, consegnata ad “un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo”. Si parla di “disorientamento antropologico” che caratterizza il clima culturale del nostro tempo, contribuendo anche a destrutturare la famiglia. Un’ideologia che, tra l’altro, “induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina”, si evidenzia citando Amoris laetitia. Questo il contesto in cui si colloca il Documento che vuole promuovere, appunto, una “metodologia articolata nei tre atteggiamenti dell’ascoltare, del ragionare e del proporre”. Un testo che si ispira al documento “Orientamenti educativi sull’amore umano. Lineamenti di educazione sessuale” del 1983 ed è anche arricchito da citazioni di Papa Francesco, Benedetto XVI, San Giovanni Paolo II, ma anche del Concilio Vaticano II, della Congregazione per la Dottrina della Fede e di altri documenti.

Dialogo con ascolto, ragionamento e proposta

Nell’intraprendere la via del dialogo sulla questione del gender nell’educazione, il Documento opera una distinzione fra “l’ideologia del gender e le diverse ricerche sul gender portate avanti dalle scienze umane”, notando che l’ideologia “pretende, come riscontra Papa Francesco, di ‘rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili’ ma cerca ‘di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini’ e quindi preclude l’incontro”, mentre non mancano delle ricerche sul gender che cercano di approfondire adeguatamente il modo in cui si vive nelle diverse culture la differenza sessuale tra uomo e donna. Il Documento specifica quindi che “è in relazione con queste ricerche che è possibile aprirsi all’ascolto, al ragionamento e alla proposta”.

Nel breve excursus storico sull’avvento delle concezioni gender nel XX secolo, si rileva come all’inizio degli anni ’90 si sia arrivati perfino a “teorizzare una radicale separazione fra genere (gender) e sex (sesso), con la priorità del primo sul secondo. Tale traguardo viene visto come una tappa importante dell’evoluzione dell’umanità, nella quale ‘si prospetta una società senza differenze di sesso’”. E in “una crescente contrapposizione fra natura e cultura”, le proposte gender confluiscono nel “queer”, cioè in una “dimensione fluida”, “al punto da sostenere la completa emancipazione dell’individuo da ogni definizione sessuale data a priori, con la conseguente scomparsa di classificazioni considerate rigide”.

Punti di incontro e criticità

Quindi, il Documento individua “alcuni possibili punti di incontro per crescere nella comprensione reciproca” nel quadro delle ricerche sul gender. Si apprezza l’esigenza di educare i bambini a rispettare ogni persona nella sua peculiare e differente condizione in modo che “nessuno, a causa delle proprie condizioni personali (disabilità, razza, religione, tendenze affettive, ecc.), possa diventare oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste”. Si sottolinea che un altro punto di crescita nella comprensione antropologica sono “i valori della femminilità, che sono stati evidenziati nella riflessione sul gender”. Si rileva l’immensa disponibilità delle donne a spendersi nei rapporti umani, specie a vantaggio dei più deboli: le donne realizzano “una forma di maternità affettiva, culturale e spirituale, dal valore veramente inestimabile, per l’incidenza che ha sullo sviluppo della persona e il futuro della società”.

In merito alle criticità che si presentano nella vita reale, si evidenzia che le teorie gender – specialmente le più radicali – portano ad un allontanamento dalla natura: “identità sessuale e famiglia” divengono fondate su “una malintesa libertà del sentire e del volere”. Il Documento si sofferma, poi, sugli argomenti razionali che chiariscono la centralità del corpo come “elemento integrante dell’identità personale e dei rapporti familiari”: “il corpo è soggettività che comunica l’identità dell’essere”. Il dimorfismo sessuale, cioè la differenza sessuale fra uomo e donna, è infatti comprovato dalle scienze, ad esempio dai cromosomi. Si rileva anche “il processo di identificazione è ostacolato dalla costruzione fittizia di un ‘genere neutro’ o ‘terzo genere’”. Ci si richiama poi ad alcuni esempi di analisi filosofica. La formazione dell’identità si basa proprio sull’alterità: nel confronto con il “tu”, si riconosce il proprio “io”. Ad assicurare la procreazione è proprio la complementarietà fisiologica, basata sulla differenza sessuale, mentre il ricorso a tecnologie riproduttive può consentire la generazione ma comporta “manipolazioni di embrioni umani”, mercificazione del corpo umano, riduzione del bambino a “oggetto di una tecnologia scientifica”. Ricordata anche l’importante prospettiva di un dialogo fra fede e ragione.

Proporre l’antropologia cristiana

Il terzo punto è l’offerta della proposta che nasce dall’antropologia cristiana. Il primo passo consiste nel riconoscere che l’uomo possiede una natura che non può manipolare a piacere. Questo è il fulcro dell’ecologia integrale dell’uomo. Si ricorda, quindi il “maschio e femmina li creò” della Genesi e che la natura umana è da comprendere alla luce dell’unità di anima e corpo, in cui si integra la dimensione orizzontale della comunione interpersonale e quella verticale della comunione con Dio. In merito all’educazione si sottolinea, quindi, che il diritto-dovere educativo della famiglia non può essere totalmente delegato né usurpato da altri, che il bambino ha diritto a crescere con una mamma e un papà e che proprio all’interno della famiglia possa essere educato a riconoscere la bellezza della differenza sessuale. Da parte sua la scuola è chiamata a interagire con la famiglia in modo sussidiario e a dialogare rispettandone la cultura. In questo processo educativo, centrale è a anche ricostruire un’alleanza fra scuola, famiglia e società, che possono articolare “percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità finalizzati al rispetto del corpo altrui”, per accompagnare i ragazzi in maniera sana e responsabile. In questo senso si mette in luce l’importanza che i docenti cattolici ricevano una preparazione adeguata sui diversi aspetti della questione del gender e siano informati sulle leggi in vigore e in discussione nei propri Paesi.

Via del dialogo percorso per trasformare incomprensioni in risorse

Nelle conclusioni si ribadisce che “la via del dialogo – che ascolta, ragiona e propone – appare come il percorso più efficace per una trasformazione positiva delle inquietudini e delle incomprensioni in una risorsa per lo sviluppo di un ambiente relazionale più aperto e umano” mentre “l’approccio ideologizzato alle delicate questioni del genere, pur dichiarando il rispetto delle diversità, rischia di considerare le differenze stesse in modo statico, lasciandole isolate e impermeabili l’una dall’altra”. Si ricorda anche che lo Stato democratico non può ridurre la proposta educativa a pensiero unico, sottolineando la legittima aspirazione delle scuole cattoliche a mantenere la propria visione della sessualità umana. Infine, si ricorda anche, per i centri educativi cattolici, l’importanza di “un percorso di accompagnamento discreto e riservato”, con cui si vada incontro anche “a chi si trova a vivere una situazione complessa e dolorosa”. La scuola deve, quindi, proporsi come un ambiente di fiducia, “specialmente in quei casi che necessitano tempo e discernimento” e creare “le condizioni per un ascolto paziente e comprensivo, lungi da ingiuste discriminazioni”. 

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-06/documento-gender-congregazione-educazione-cattolica.html

2 GIUGNO-CHE C’È DA FESTEGGIARE

2 GIUGNO-CHE C’È DA FESTEGGIARE

Cara Repubblica

Ancora una volta è il 2 giugno, la tua festa. E tutti ricordiamo quei 12 milioni di voti che appunto quel giorno, nel 1946, fecero da levatrice alla tua nascita. E’ un peccato che sia così difficile trasmettere ai più giovani il senso di euforia di certe ore, la sensazione di un mondo nuovo ormai alle porte. Finito il fascismo, finita la guerra, finita la monarchia. Partita la democrazia, partita la rinascita. Oggi è invece possibile che un ragazzo ci chieda: scusa, ma che avete da festeggiare? E in effetti noi, la generazione dei padri, cioè la seconda generazione di italiani repubblicani, potremmo onestamente ammettere che, almeno in apparenza, c’è poco da festeggiare. Siamo stati, al contrario di quella dei nostri genitori, la generazione dei grandi dissipatori. Certo, il pensiero corre istintivo a quel po’ di benessere che abbiamo bruciato nella corsa al debito, al consumo non più sostenibile, al privilegio senza misura. Ma soprattutto abbiamo dissipato quel senso di appartenenza e di unità nella nazione che ai nostri padri quasi pareva nulla di speciale, tanto era per loro forte e naturale.

                          Cara Repubblica, quanto male ci fa vederti atomizzata dalle faide di partito, quelle in cui l’interesse di fazione ha sempre e comunque precedenza sul bene collettivo. Seguire le battaglie delle corporazioni, che certo i 12 milioni di votanti che ti scelsero pensavano morte con il fascismo, che dilaniano le tue fragili strutture nella perenne ricerca di un vantaggio anche fuori dalle logiche più sane del mercato. Per non parlare di quei milioni di tuoi figli, cittadini come gli altri ma ormai trasferiti in una “seconda serie” fatta di disoccupazione, precarietà, futuro negato, magari costretti a farsi adottare all’estero, da Stati solo più organizzati e coerenti di quanto noi abbiamo saputo fare con te. Noi meno giovani stentiamo a riconoscerti. Loro, i più giovani, ti osservano e non ti capiscono. Non sanno che non sei sempre stata così e forse nemmeno gli importa. Vorremmo far loro capire che ti abbiamo amata tanto senza saperti amare. E che senza di te rischiamo di non avere un volto che ci accomuna tutti, che ci ricorda chi siamo e perché, giorno dopo giorno, facciamo certe cose che ci tengono insieme. Ma diventa ogni giorno più complicato.

                           Perdonaci, Repubblica, se facciamo fatica anche a festeggiare.  

Fulvio Scaglione,
 Vicedirettore di Famiglia Cristiana

Accade da dieci anni in qua. Il 2 giugno, chiamato dalla Rai, commento in diretta tv la rivista organizzata a Roma ai Fori Imperiali. Notizie e riflessioni tecniche, come ci si attende da un militare come me. Non entro nei dettagli nè affronto le polemiche che anche quest’anno sono arrivate puntuali. Rimando all’autorevole presa di posizione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale ha escluso che questo evento possa essere letto come «una prova muscolare». Osservo, come altri hanno già fatto, che quella del 2013 è una parata drasticamente ridotta nei costi e nella formula. Per dire: niente fanfare e niente Frecce tricolori. Un dovere, quello del risparmio, in un’epoca di crisi come quella che ci sta duramente provando. Una tendenza, per altro, già evidente negli ultimi anni: se nel 2011 sfilarono circa 5 mila tra militari e civili e la parata costò 4,4 milioni di euro, nel 2012 le persone impegnate furono soltanto 2.500 e la spesa risultò inferiore ai due milioni di euro.

Mi preme piuttosto ragionare sul senso autentico della rivista. Che è l’omaggio allo Stato, alla casa comune che tutti abitiamo. Il 2 giugno sta all’Italia come il 4 luglio sta agli Stati Uniti (quel giorno, nel 1776, fu firmata la Dichiarazione d’indipendenza) o come il 14 luglio sta alla Francia (anniversario della presa della Bastiglia, nel 1789). Ogni Paese ha il diritto-dovere di ricordare solennemente quando e come è nato. Noi lo facciamo il 2 giugno, appunto. Uscivamo da una dittatura e da una guerra sanguinosa. Quel giorno del 1946 aprì un’epoca nuova, ci accolse tutti in una Patria ritrovata.

Cos’è rimasto di quelle aspettative, di quello spirito, di quell’energia? C’è chi si abbandona allo sconforto e risponde: poco o niente. Non sono di quell’avviso. C’è un’Italia che non arrossisce e non si vergogna perché non ha nulla per cui arrossire o di che vergognarsi. Di quest’Italia fanno parte a buon diritto le Forze armate, 180 mila donne e uomini che non solo proclamano ma vivono quotidianamente valori necessari a cementare una comunità civile degna di questo nome: onestà, rispetto, impegno, abnegazione, solidarietà. Dentro e fuori i confini dello Stato. Non è un caso se sindaci e presidenti di Regione ci chiamano quando capita un terremoto o un’alluvione. Non è un caso se i cittadini invocano la nostra presenza quando l’ordine pubblico è particolarmente a rischio.

E poi le missioni all’estero. Stiamo operando in 27 Paesi all’interno di altrettante operazioni di pace. Siamo partiti con l’avallo del Parlamento, nel quadro di azioni volute dall’Onu, dalla Nato o dall’Europa, in accordo con i nostri alleati. Siamo gente che ha scelto il mestiere della armi partendo da un amore sconfinato per la pace. Assicuriamo una cornice di sicurezza indispensabile per costruire ospedali, scuole, centrali elettriche, acquedotti, ponti e strade. Ovunque nel mondo, le Forze armate sono immagine visibile dell’unità di una Nazione, di ciò che una Nazione è e vuole essere nel mondo. Così anche da noi, in Italia.

La rivista dei Fori imperiali non è l’unico omaggio alla Repubblica, a chi la guida e a chi la rappresenta. Il programma del 2 giugno prevede eventi simili in molte città italiane. C’è qualcosa da festeggiare, ci si chiede? Sì. Al netto di ogni vuota retorica la risposta è sì! C’è un Paese che si sveglia presto la mattina e fa il suo dovere. C’è un Paese che si può guardare allo specchio senza dover abbassare gli occhi. Buon compleanno, Italia.

Massimo Fogari,
alpino, Generale di brigata,
Capo ufficio pubblica informazione
dello Stato Maggiore della Difesa

Rischia, immeritatamente, di finire nel mucchio delle cose dimenticate troppo in fretta. Fra le missioni di pace  realizzate dalle nostre Forze armate occupa un posto speciale l’operazione “White Crane”, compiuta dopo il devastante terremoto che colpì Haiti il 12 gennaio 2010. Il Governo italiano decise di mandare sul posto la portaerei Cavour, che allora era stato appena consegnato alla Marina. Preparata e attrezzata in soli  quattro giorni, la nave raggiunse Haiti dopo dieci giorni di navigazione, con a bordo 12 mila chili di generi alimentari, 36 mila litri di acqua potabile e 176 tonnellate di medicinali. Nello spazio di quattro mesi l’ospedale  di bordo fornì oltre 300 prestazioni mediche. La Cavour rientrò in Italia in aprile.

Tra i tanti militari impegnati nella missione, c’era anche il  capitano di fregata Ilio Guarriera, napoletano. Alla vigilia del 2 giugno, lo abbiamo incontrato a bordo della portaerei e gli abbiamo chiesto di raccontarci alcuni momenti della missione ad Haiti.
«Il primo impatto dopo il nostro arrivo ad Haiti fu tremendo. Ci trovammo di fronte  alla devastazione del terremoto, ma ci rendemmo subito conto che quel territorio era già martoriato da prima, soprattutto a causa della malasanità e della povertà. Era stridente il contrasto fra le due metà dell’isola: la Repubblica Dominicana un paradiso  per le vacanze, Haiti invece tutto un altro mondo di miseria e sofferenza. Una delle richieste più pressanti riguardava l’acqua potabile. Ce la chiedevano soprattutto i bambini. la nave portaerei Cavour è attrezzata per ricavare acqua potabile dall’acqua marina e così ne abbiamo trasportati ettolitri a terra, grazie agli elicotteri».

«La popolazione locale in un primo tempo ci guardava con un po’ di diffidenza», prosegue Ilio Guarriera. «Vedere gente in divisa faceva un po’ paura. Ma una volta rotto il ghiaccio il rapporto con le persone è stato magnifico e la loro felicità è stata commovente. Come sempre, in questi casi, abbiamo cercato di dare un mano alla popolazione locale andando anche al di là dei nostri compiti specifici. Così, ad esempio, abbiamo ricostruito un muretto distrutto e ripulito le aule di una scuola. In un magazzino abbiamo trovato abbandonate diverse macchine da cucire. I nostri tecnici di bordo ne hanno riparate alcune e poi hanno insegnato agli haitiani a ripararle da soli. Hanno imparato bene, perché gli haitiani erano davvero avidi di conoscenza. Così ho visto applicato nella pratica il celebre detto, secondo il quale, dopo aver dato un pesce a un affamato, è sempre meglio insegnargli a pescare».  

Roberto Zichittella

Non è solo una questione di soldi. La Festa della Repubblica è troppo bella e importante per essere trascinata nel tritacarne della spending reviewE’ vero che in tempo di crisi mal si sopportano gli sprechi. Ma questa Festa non può essere trattata come altre feste della Casta. La Festa della Repubblica è la festa di un popolo e di un Paese che, dopo il fascismo, hanno scelto la democrazia e i valori che la sostengono.

Ricordare ogni anno quel giorno (2 giugno 1946) e quella scelta non è solo un esercizio di memoria storica (Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno) ma un modo concreto per riscoprirne il valore e rinnovarne lo spirito. Se oggi guardiamo a questa Festa con grande distacco e scetticismo è perché parole come “Repubblica” e “democrazia” non suscitano più in noi alcuna emozione. E sembrano aver perso ogni significato concreto. Anche per questo abbiamo bisogno di ripensare questa Festa. 

Per molti anni il 2 giugno è stato celebrato con una parata militare. E da qualche tempo a questa parte, vista la crisi che tira, si preferisce una “parata low cost”. Ma la Festa della Repubblica non è la festa delle Forze Armate. Al nostro strumento militare, all’Esercito, alla Marina, all’Aeronautica e ai Carabinieri è dedicato il 4 novembre.   Qual è, dunque, oggi il modo più giusto per celebrare la Festa della Repubblica? Provo ad avanzare tre proposte.

Prima proposta. La Festa della Repubblica è e deve essere la festa di tutti gli italiani. Va celebrata insieme, senza deleghe e primi della classe. Anzi, deve essere un’occasione per fare spazio anche agli ultimi, quelli che continuano a essere tenuti ai margini della vita delle nostre comunità. Penso anche a tutti quelli che oggi ancor più di ieri sono travolti dalla crisi, dalla perdita del lavoro e della dignità. Una Repubblica che si concentra su di loro e che s’impegna a valorizzare anche l’ultimo dei suoi cittadini è una Repubblica sana, viva, coesa.  

Seconda proposta. Il 2 giugno deve essere celebrato all’insegna della Costituzione che ha generato e della riscoperta del significato autentico dei valori che vi sono iscritti. Quel giorno, i sindaci di tutti i Comuni d’Italia, cuore pulsante e bistrattato del paese reale, dovrebbero consegnare personalmente la Costituzione a tutti i giovani diciottenni e a tutti i nuovi italiani a cui riconosciamo finalmente i diritti di cittadinanza. La consegnano e la discutono, per fare in modo che i valori non siamo solo belle parole ma diventino obiettivi concreti della politica e della comunità. Insomma, il 2 giugno deve essere la Festa dei diritti e delle responsabilità di tutti gli italiani. 

Terza proposta. La Festa della Repubblica deve essere aperta all’Europa e al mondo. Cominciamo con i nostri vicini, quelli con cui condividiamo la nuova cittadinanza europea e quelli con cui condividiamo il futuro nel Mediterraneo. Chiamiamoli a festeggiare con noi la bellezza del nostro Paese e della nostra Costituzione ma anche la nostra volontà di fronteggiare insieme le grandi sfide del nostro tempo. Senza bisogno di parate militari e di esibizioni muscolari. Con l’umiltà, la dignità e il coraggio di chi sa affrontare anche le sfide più grandi.  

PS. Lascio agli amanti delle parate militari e al Fan club degli F-35 il compito di spiegare agli italiani che devono continuare a fare sacrifici mentre loro continueranno a spendere decine di milioni di euro per comprare, mantenere e sbandierare i gioielli delle nostre armate. La Repubblica merita un’altra Festa. 

Flavio Lotti,
coordinatore nazionale
 della Tavola della Pace

«Il 2 giugno dovrebbe essere la festa delle forze vive della Repubblica, non quella delle Forze armate. Abbiamo bisogno di recuperare appartenenza, valori, ideali della Repubblica».

A parlare e don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi. «Più che mai», continua, «abbiamo bisogno di sentirci parte di questo Paese e di questa democrazia, le cui istituzioni rischiano di essere sempre più lontane dalla gente. Perciò domenica ci ritroveremo a Roma per una festa alternativa, nella quale verrano premiati cittadini che siano espressione della costruzione quotidiana della società».

Pax Christi sottolinea quello che c’è «da non festeggiare»: «La nostra Difesa acquista nuove fregate fa guerra, e 90 cacciabombardieri F35. Questo non lo possiamo accettare», dice ancora don Sacco. «Sosteniamo invece quel gruppo di parlamentari che pochi giorni fa ha presentato una mozione in Parlamento contro l’acquisto dei caccia. Noi lo stiamo dicendo da anni. Mentre altrove si farà la parata militare, noi ricordiamo Papa Giovanni XXIII che morì il 3 giugno e la sua enciclica Pacem in terris, contro la guerra e contro ogni guerra. Ricorderemo i combattimenti in Siria, dimenticati da tutti, e quelli dell’Iraq, che nel solo mese di maggio hanno provocato 800 vittime. Insomma, il 2 giugno dobbiamo celebrare la vita, non la morte».

Don Renato Sacco sottolinea che le Forze Armate hanno la loro ragion d’essere nel fare la guerra: «Occorre evitare confusioni di termini e di ruoli. L’esercito è fatto per combattere, non per costruire la pace. Ora ci vengono a dire che i nostri soldati nelle missioni distribuiscono biscotti. Non è così. Vanno a sparare. I biscotti li possono e li debbono distribuire le organizzazioni umanitarie. Si cerca di far passare il conflitto come qualcosa di normale, o addirittura di positivo, e ci fanno vedere i bambini che salgono sui carri armati, quasi che la guerra fosse una cosa per famiglie e bambini: le armi degli altri fanno solo disastri, le nostre sono belle. Non è così. Come uomini, come cittadini e come credenti diciamo di no a tutto questo».

Anche Massimo Paolicelli, presidente dell’associazione obiettori non violenti, è dello stesso avviso: «Da molti anni chiediamo che la festa della Repubblica non si festeggi con una parata militare, perché non corrisponde né alla lettera né allo spirito della nostra Costituzione. Le Forze armate hanno la loro festa nel 4 novembre».

Le associazioni non violente puntano il dito anche contro i costi della parata: «Nella difficile situazione del nostro Paese – con la disoccupazione al 12,8% e quella giovanile al 41,9% – non si capisce perché spendere 1 milione e mezzo di di euro», aggiunge Paolicelli. «Con quella cifra si manterrebbero 288 giovani in servizio civile per un anno, oppure si potrebbe garantire l’attività di 20 centri antiviolenza».

«Non ci spaventa la parata in quanto tale», aggiunge il presidente dell’associazione obiettori, «ma le ingenti risorse che l’Italia continua a investire nelle armi: 24 miliardi di euro, 5,6 dei quali per i sistemi d’arma come i 90 F35 che in tutto ci costeranno oltre 12 miliardi di euro. Secondo i dati della Nato, il nostro Paese spende l’1,4% del Prodotto interno lordo. Tutto questo mentre per il servizio civile siamo passati da 296 milioni di euro del 2007 ai 76 di quest’anno, per cui i giovani che hanno potuto fare il servizio civile sono passati da 57 mila, nel 2006, a 20 mila nel 2011. L’anno scorso nemmeno uno».

Luciano Scalettari

https://www.famigliacristiana.it/articolo/2-giugno-che-c-e-da-festeggiare.aspx

Rosario Meditato Mese Mariano

Rosario Meditato Mese Mariano

La parola Rosario significa “Corona di Rose”. La Madonna ha rivelato che ogni volta che si dice un’Ave Maria è come se si donasse a Lei una bella rosa e che con ogni Rosario completo Le si dona una corona di rose.

Il Rosario è una lunga catena che lega il cielo alla terra… con il Rosario si può ottenere tutto.
(SantaTeresa di Lisieux)

Marilena canta Niente ti turbi

Terzo mistero della gioia: Gesù, il figlio di Dio, nasce dalla Vergine Maria.

Spazio Riflessioni

Dal Vangelo secondo Luca (2,1.4a.6-7)

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per [Maria] i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

Grazie ai misteri contenuti nella recita, alle Litanie e ai versetti della Sacra Scrittura, l’autrice ha voluto dedicare al Rosario Mariano un ‘ispirazione, desiderando gettare, nel profondo, uno sguardo su questa antica devozione che tutti gli anni, nel mese di Maggio, coinvolge puntualmente la sensibilità popolare. Si è chiesta molte volte come fare per incastonare nella storia umana questa amatissima perla della tradizione, voleva cercare un modo perchè la splendida preghiera che tutti amano moltissimo non rimanesse solo un’ancora sospesa nel cielo, ma che potesse maggiormente attraccare anche alla terra!

“Gettare una luce sul sentiero della ricerca interiore che ci porti a Cristo e si rifletta anche nel tempo della nostra vita”..

“Formulando questo pensiero e seguendo il suo filo conduttore per arrivare, alla fine, alla soluzione-racconta l’autrice-piano piano ho delineato un percorso.. poi tutto, a un certo punto, è apparso chiaro, facile da intraprendere e persino incoraggiante.

Recitando il rosario, facendolo entrare nella mia realtà , mi sono accorta che ogni mistero di questa bellissima recita poteva riflettersi anche nelle mie comuni attitudini di vita…quella formula ritmata più volte non sembrava più ripetitiva, routinaria, anzi.. snocciolava mille riflessioni, punti di domanda, suggeriva in crescendo anche uno stimolo costruttivo e affascinante di vita.

Stava diventando quasi un itinerario, un iter da seguire come una strada con tanti cartelli stradali…

Ogni passo del Vangelo, ogni versetto della Parola che si appoggiava alla meditazione, recava in se un germe di vita potente, un mistero da svelare, un seme a volte anche un po’ nascosto, certe volte, che chiedeva prima di essere interiorizzato, poi sviluppato e infine donato anche agli altri!

Di questo passo, mi son detta, la vita vissuta alla luce della Parola di Dio può trovare una collocazione anche nella concretezza della storia e il Rosario con i suoi misteri rientra in questa attualizzazione che è l’esperienza concreta della vita

Ecco quello che cercavo, la sapienza divina trasferita nelle molteplici azioni di tutti i giorni che mi permettesse di capire i misteri del rosario non solo in modo intellettivo ma col cuore e in modo semplice, esperienziale e diretto!

Spirituale e pratico assieme!

Era possibile, dunque, ricercare, applicare e arrivare a questo traguardo.. altrimenti la preghiera mi sarebbe servita, certo, ad elevare il cuore a Dio, a cercare Maria, invocarla, ma quanto sarebbe durato l’effetto, la costanza del pregare sempre e incessantemente? E se, poi, il fuoco, lo zelo, si sarebbero affievoliti.. se pregare non raggiungeva anche la mia vita, non la trasformava più di tanto…che fare?

Avvalersi di strumenti di conoscenza antichi e nuovi, fondere tradizione, fedeltà al magistero e al tempo stesso liberare la vena artistica mescolandola alla componente umana, nel mio caso femminile…volevo percorrere questa strada, far risuonare quest’armonia dentro di me, farla ascoltare fuori, cercare e unire il vecchio e il nuovo, proprio come nel Vangelo si dice a proposito di quel padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.

Bisognerebbe, anche, mi ripetevo spesso, fare più silenzio, lasciar molte più pause di riflessione dopo l’enunciazione di ogni mistero per riflettere e consentire al Signore, proprio in questo lasso di tempo, di portarci a Maria, lei che conosce il vino nuovo delle nozze di Cana, che sa parlarci della nuova primavera dello Spirito, che cerca, come il Figlio, adoratori di spirito e verità, lei che permette anche a noi, al nostro cuore, l’accesso a un rinnovato modo di pensare, agire, ascoltare,

Maria che resta la fedele umile ancella del Signore.

Tutti cerchiamo in mille modi di recitare il rosario…in tutti i tempi la storia di questa antichissima devozione ci è stata tramandata nelle più svariate forme…chi non conosce il rosario….lo si recita sempre, non solo a Maggio, in ogni ora e in ogni mese per chi lo vuole….ma se dovessi chiedermi veramente cosa sia esso per me, risponderei, anche, che corrisponde all’invito accorato di Dio e della Madonna a fermarmi, a sospendere tutti gli impegni, anche solo per un po’ per rientrare in me stessa, per chiedermi chi sono, dove vado, cosa cerco.. come se mi sussurrassero…vuoi lasciarti seriamente attraversare da quel potente fascio di luce che ti ferisce il cuore sì o no? .. Ogni grano della coroncina, scommetto che, mentre lo scorri tra le dita, vorresti ti parlasse, ti suggerisse un po’ la formula di come vivere, e magari ti desse persino la soluzione per ogni tuo problema, come la lampada di aladino, più o meno.. o quasi.. anche nella quotidianità…perche’ no…e non hai del tutto torto, anzi…molte volte non sai come fare se hai un problema, se c’è una necessità, è vero, c’è Maria che scioglie i nodi…poi la preghiera smuove le montagne, certo, domanda, chiede, ottiene...è vero anche che dal chiedere incessantemente, senza stancarsi mai, ne deriva una certa sapienza se insisti.. vivere ogni giorno con fede il quotidiano, questa è la cosa più difficile da realizzare..

Scommetto che questa dolce catena che ti rannoda come un vincolo d’amore nei momenti d’intimità col Signore, vorremmo fosse eterna e ci avvincesse anche tutti i giorni, tutti i momenti della vita, anche quando, dopo aver finito di pregare, usciamo fuori dal nostro spazio riservato e intimo e ci immergiamo nei mille problemi della vita …vogliamo sentire piu’ vicini i passi di Maria che si mette alla nostra ricerca, sempre…guidandoci verso suo figlio.. come possiamo, allora, colmare queste distanze per non sentirli lontani? Che linguaggio useremo nel rosario, quale dono delle lingue?

Entrare a pieno nel mistero di Maria e di Dio sarà sempre difficile se non impossibile, sicuramente, ma possiamo pur sempre con spirito di desiderio tentare di avvicinarci all’incontro tra Gesù e l’uomo pellegrino grazie alla preghiera del rosario che accomuna tutti nella continua ricerca del cielo mentre siamo ancora su questa terra. Invochiamo Maria che ci indichi la via e ricordiamo che il Rosario raggiungerà il suo effetto, se, pregato e incarnato, riuscirà a sviluppare in noi tutta la vita del Cristo, dal suo concepimento, alla sua missione definitiva.

CHARITAS CHRISTI URGET NOS!

Marilena Marino Vocedivina,it
“Gridatelo dai tetti..”

Papa Giovanni Paolo II nella Lettera Ap. “Rosarium Virginis Mariae” definisce così il Rosario: «Il Rosario è contemplare con Maria il volto di Cristo, per conformarsi sempre più a lui» (RVM 3 e 15).

Il nostro momento di preghiera della recita del Rosario vuole rendere evidente questa dimensione contemplativa, come ci suggerisce il Papa (cf. RVM 26-38), accompagnando l’enunciazione di ogni mistero con un brano della Parola di Dio corrispondente, seguita da un pensiero meditativo e da una pausa di silenzio. Particolare importanza e significato dovrà avere la recita del Padre nostro, perché dal Padre parte ogni dono di grazia. Le 10 Ave Maria poi dovranno avere un ritmo tranquillo per favorire la meditazione ed il Gloria dovrà costituire come il culmine della contemplazione e della lode. Ogni mistero si concluderà con una preghiera, volta ad invocare frutti specifici per la vita quotidiana.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

– O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto.    Gloria…

– Gesù, perdona le nostre colpe. Preservaci dal fuoco dell’inferno. Porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia.

– O Maria, Madre di misericordia, prega per noi!

– O Sangue ed Acqua, che scaturisti dal Cuore di Gesù come sorgente di misericordia per noi, confido in te!

(Segue: l’enunciazione del mistero, una pausa di silenzio, 1 Padre nostro, 10 Ave Maria, 1 Gloria, l’invocazione “Gesù, perdona…”, la preghiera conclusiva. Alla fine del Rosario, si aggiunge la Salve Regina, le Litanie alla Madonna, un Padre, Ave e Gloria secondo le intenzioni del Papa e un Eterno riposo per le anime del Purgatorio.

MISTERI DELLA GIOIA (Lunedì e Sabato)

Ricordare Cristo con Maria!

“Meditare i misteri «gaudiosi» significa entrare nelle motivazioni ultime e nel significato profondo della gioia cristiana. Significa fissare lo sguardo sulla concretezza del mi-stero dell’ Incarnazione e sull’oscuro preannuncio del mistero del dolore salvifico. Maria ci conduce ad apprendere il segreto della gioia cristiana, ricordandoci che il Cristianesimo è innanzitutto evanghelion, «buona notizia», che ha il suo centro, anzi il suo stesso contenuto, nella persona di Cri-sto, il Verbo fatto carne, unico Salvatore del mondo” (RVM 20).

Primo mistero:

L’Annunciazione dell’Angelo a Maria Vergine

“L’angelo Gabriele entrò da Maria e le disse: «Ti saluto, o piena di grazia. Il Signore è con te… Darai alla luce un Figlio, che chiamerai Gesù…». Maria rispose: “Ecco la serva del Signore: avvenga di me secondo la tua Parola” – (Lc 1, 28-38).

“A questo annuncio approda tutta la storia della salvezza, anzi, in certo modo, la storia stessa del mondo, che in qualche modo è raggiunto dal divino favore con cui il Padre si china su Maria per renderla Madre del suo Figlio” (RVM 20).

PREGHIAMO.

Vergine santa, aiutaci ad accogliere la Parola di Dio come te, con fede e disponibilità.

Pater, 10 Ave Maria, Gloria al Padre e “Gesù mio…

 Secondo mistero:

La visita di Maria alla cugina Elisabetta

“In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta” (Lc 1, s9-40).

“All’insegna dell’esultanza è la scena dell’incontro con Elisabetta, dove la voce stessa di Maria e la presenza di Cristo nel suo grembo fanno ‘sussultare di gioia Giovanni (cf. Le 1, 44)” (RVM 20).

PREGHIAMO.

Vergine benedetta, ottienici di portare Cristo ai fratelli, attraverso la testimonianza della nostra fede e della nostra carità.       

 Pater, 10 Ave Maria, Gloria al Padre e “Gesù mio…”

Terzo mistero:

La nascita di Gesù nella grotta di Betlemme

“Ora, mentre essi si trovavano là, giunse per lei il tempo di partorire. Ed essa partorì il suo Figlio primogenito. L’avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non vi era posto nell’albergo” (Lc 2,6-7).

“Soffusa di letizia è la scena di Betlemme, in cui la nascita del Bimbo divino, il Salvatore del mondo, è cantata dagli angeli e an-nunciata ai pastori proprio come ‘una grande gioia’ (Lc 2,10)” (RVM 20).

PREGHIAMO.

Vergine purissima, ottienici un cuore capace di accogliere, noi pure, il Cristo, nostra unica “via, verità e vita”(Gv 14, 6).

Pater, 10 Ave Maria, Gloria al Padre e “Gesù mio…”

Quarto mistero:

La presentazione di Gesù al Tempio

“Quando furono giunti i giorni della purificazione, secondo la Legge, lo portarono a Gerusalemme per offrirlo al Signore” (Lc 2, 22).

“La presentazione al Tempio mentre esprime la gioia della consacrazione e immerge nell’estasi il vecchio Simeone, registra anche la profezia del ‘segno di contraddizione’ che il Bimbo sarà per Israele e della spada che trafiggerà l’anima della Madre (cf. Lc 2, a4-3s)” (RVM 20).

PREGHIAMO.

Vergine misericordiosa, aiutaci a caricarci, come te e come Gesù, delle gioie e delle sofferenze degli altri.   

Pater, 10 Ave Maria, Gloria al Padre e “Gesù mio…”

Quinto mistero:

Il ritrovamento di Gesù nel Tempio

“E quando Egli ebbe dodici anni […] mentre essi se ne ritornavano a casa, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme. […] Lo ritrovarono dopo tre giorni mentre disputava nel Tempio con i dottori” (Lc 2, 42- 46).

“Gesù qui appare nella sua divina sapienza, mentre ascolta ed interroga […]. La rivelazione del suo mistero di Figlio tutto dedito alle cose del Padre è annuncio di quella radicalità evangelica, che pone in crisi anche i legami più cari dell’uomo, di fronte alle esigenze assolute del Regno” (RVM 20).

PREGHIAMO.

Vergine fedele, aiutaci a mettere le cose di Dio al di sopra di tutto; e dona a coloro che cercano Cristo, di trovarlo nella sua Parola e nei suoi Sacramenti.

Pater, 10 Ave Maria, Gloria al Padre e “Gesù mio…” Salve Regina…

Idea Progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it

Primo Maggio-Festa del Lavoro

Primo Maggio-Festa del Lavoro

PRIMO MAGGIO: SANT’ESCRIVÀ E IL LAVORO DA SANTIFICARE

Un’occasione per rileggere le parole del santo Josemaría Escrivá, de Balaguer fondatore dell’Opus Dei, canonizzato nel 2002 da Papa Giovanni Paolo II.

Come santificare il lavoro quotidiano.

“Se mi dicono che Tizio è un buon cristiano,  ma un cattivo calzolaio, che me ne faccio? Se non si sforza di imparare bene il suo mestiere, o di esercitarlo con cura, non potrà santificarlo né offrirlo al Signore; perché la santificazione del lavoro quotidiano è il cardine della vera spiritualità per tutti noi che — immersi nelle realtà terrene — siamo decisi a coltivare un intimo rapporto con Dio”.

 Raccontava così Josemaría Escrivá, de Balaguer fondatore dell’Opus Dei  canonizzato nel 2002 da papa Giovanni Paolo II. A molti il primo maggio festa del lavoro viene in mente tutta la sua predicazione sul lavoro e la santificazione del lavoro. Non a caso l’Opus Dei contribuisce affinchè “persone di tutte le razze e condizioni, cerchino di amare e servire Dio e gli altri attraverso il loro lavoro”. Sono numerosissimi gli insegnamenti sul lavoro del santo che affermava “Chi pensasse che la vita soprannaturale si edifica volgendo le spalle al lavoro, non comprenderebbe la nostra vocazione; per noi infatti il lavoro è il mezzo specifico di santificazione” .
Scegliere tra le sue parole sull’impegno quotidiano di uomini e donne è un percorso difficile ma al contempo entusiasmante per lo sguardo nuovo e vivificante  che regalano sulle fatiche, le ripetitività, i fallimenti che ognuno vive nelle proprie giornata lavorative.   “Noi vediamo nel lavoro, nella nobile fatica creatrice degli uomini”, diceva, “non solo uno dei valori umani più elevati, lo strumento indispensabile per il progresso della società e il più equo assetto dei rapporti degli uomini, ma anche un segno dell’amore di Dio per le sue creature e dell’amore degli uomini fra di loro e per Dio: un mezzo di perfezione, un cammino di santità.”

Ma vi proponiamo altri pensieri per imparare ad  alzare lo sguardo dal livello orizzontale della vita di tutti i giorni e coniugarla con il Bene che aiuta ad impegnarsi con occhi nuovi. Un compito difficile, forse irraggiungibile, ma che dà nuovo senso alla vita:

È tempo che i cristiani dicano ben forte che il lavoro è un dono di Dio e che non ha alcun senso dividere gli uomini in categorie diverse secondo il tipo di lavoro; è testimonianza della dignità dell’uomo. (E’ Gesù che passa n.47). 

 • Davanti a Dio, nessuna occupazione è di per sé grande o piccola. Ogni cosa acquista il valore dell’Amore con cui viene realizzata. (Solco, n.487).

    Siamo venuti a richiamare di nuovo l’attenzione sull’esempio di Gesù che visse trent’anni a Nazaret lavorando, svolgendo un mestiere. Nelle mani di Gesù il lavoro, un lavoro professionale simile a quello di milioni di uomini in tutto il mondo, si converte in impresa divina, in attività redentrice, in cammino di salvezza. (Colloqui con Monsignor Josemaría Escrivà de Balaguer, n.55). 

 Lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un’università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro. (Omelia: Amare il mondo appassionatamente).

 Fate tutto per Amore. – Così non ci sono cose piccole: tutto è grande. – La perseveranza nelle piccole cose, per Amore, è eroismo. (Cammino, n.813).

  Insisto: nella semplicità del tuo lavoro ordinario, nei particolari monotoni di ogni giorno, devi scoprire il segreto – nascosto per tanti – della grandezza e della novità: l’Amore. (Solco, n.489).

    Non possiamo offrire al Signore cose che, pur con le povere limitazioni umane, non siano perfette, senza macchia, compiute con attenzione anche nei minimi particolari: Dio non accetta le raffazzonature. Non offrirete nulla con qualche difetto, ammonisce la Sacra Scrittura, perché non sarebbe gradito [Lv 22, 20], Pertanto, il lavoro di ciascuno, il lavoro che impiega le nostre giornate e le nostre energie, dev’essere un’offerta degna per il Creatore, operatio Dei, lavoro di Dio e per Dio: in una parola, dov’essere un’opera completa, impeccabile. (Amici di Dio n.55)

Vivi la tua vita ordinaria, lavora dove già sei, adempi i doveri del tuo stato, e compi fino in fondo gli obblighi corrispondenti alla tua professione o al tuo mestiere, maturando, migliorando ogni giorno. Sii leale, comprensivo con gli altri, esigente verso te stesso. Sii mortificato e allegro. Sarà questo il tuo apostolato. E senza che tu ne comprenda il perché, data la tua pochezza, le persone del tuo ambiente ti cercheranno e converseranno con te in modo naturale, semplice — all’uscita dal lavoro, in una riunione di famiglia, nell’autobus, passeggiando, o non importa dove —: parlerete delle inquietudini che si trovano nel cuore di tutti, anche se a volte alcuni non vogliono rendersene conto. Le capiranno meglio quando cominceranno a cercare Dio davvero. (Amici di Dio n.273).     Tutto ciò in cui interveniamo noi, piccoli uomini – perfino la santità – è un tessuto di piccole cose, le quali – secondo la rettitudine d’intenzione – possono formare un arazzo splendido d’eroismo o di bassezza, di virtù o di peccato. I poemi epici riferiscono sempre avventure straordinarie, mescolate tuttavia a particolari di vita domestica dell’eroe. – Possa tu sempre tenere in gran conto – linea retta! – le piccole cose.(Cammino, n.826).

   Pensate che con il vostro lavoro professionale svolto con senso di responsabilità, oltre a sostenervi economicamente, prestate un servizio direttissimo allo sviluppo della società, alleggerite i pesi degli altri e mantenete tante opere assistenziali — locali e universali — a beneficio delle persone e dei popoli meno fortunati. (Amici di Dio n.120). • Quando avrai terminato il tuo lavoro, fa’ quello del tuo fratello, aiutandolo, per Cristo, con tale spontanea delicatezza che egli non avverta neppure che stai facendo più di quanto devi secondo giustizia. – Questa sì che è fine virtù di un figlio di Dio. (Cammino, n.440).

COME POSSIAMO SANTIFICARE IL LAVORO E SANTIFICARCI NEL LAVORO?

Opus Dei: Come possiamo santificare il lavoro e santificarci nel lavoro?
https://www.famigliacristiana.it/articolo/un-lavoro-da-santificare.aspx