«HALLOWEEN: COSA RISPONDERE AI BAMBINI CHE CHIEDONO “DOLCETTO O SCHERZETTO”?»
«Come ogni anno in occasione di Halloween sentirò suonare alla mia porta ragazzini festanti con costumi da film dell’orrore Come devo reagire, da cristiano?»
Quest’anno, come ogni anno, la sera del 31 ottobre, in occasione di Halloween, sentirò suonare alla mia porta dei ragazzini festanti – e magari travestiti con costumi da film dell’orrore – che mi diranno “dolcetto o scherzetto?”. Come devo considerare questa ricorrenza alla luce della mia fede?
La tradizione di Halloween ha origine dall’antica festa dei Celti chiamata “Samhain”, che segnava la fine dell’estate con l’ultimo raccolto e l’inizio dell’inverno. Nella notte che precedeva il nuovo anno pensavano che il confine tra il mondo dei vivi e dei morti si confondesse, tanto che i fantasmi potessero aggirarsi nel mondo dei vivi e disturbare le loro attività. Così la notte del 31 ottobre accendevano falò sacri e indossavano costumi grotteschi, tipicamente costituiti da teste e pelli di animali, per spaventarli e allontanarli dai loro campi. Al termine, riaccendevano il focolare domestico, che avevano spento la sera stessa, dal falò sacro per proteggersi durante l’inverno. Per un popolo legato all’instabilità naturale e al ciclo delle stagioni queste pratiche erano un’importante fonte di conforto prima delle oscurità invernali.
Nell’VIII secolo, papa Gregorio III designò il 1° novembre come momento per onorare tutti i santi. La celebrazione era chiamata “All-Hallows” e la notte che la precede, il 31 ottobre, iniziò a essere appellata “All-Hallows’ Eve”, contratto poi in “Halloween”. Nel corso del tempo si è evoluta in una festa mondana, come il “dolcetto o scherzetto”, l’intaglio delle lanterne, i raduni festosi o l’indossare costumi. Occorre avere presenti le diverse posizioni su questa festa tra chi ne intravvede un culto idolatrico o addirittura satanico, come gli esorcisti sulla base della loro esperienza, e chi la vive con la dimensione della festa, da cui adulti e bambini sono attratti, con cibi e maschere, perché i loro amici, non necessariamente credenti, partecipano a questo evento sociale. Ed esercitare quindi, a seconda delle circostanze che ci si trova a vivere, il dovuto discernimento.
Sullo sfondo rimane, comunque, la narrazione di popoli e culture che attraverso i loro miti esprimevano l’universale bisogno di confrontarsi con la tragicità della morte tramite forme sociali esorcizzanti e, per certi versi, “normalizzanti” dell’esistenza. Su tale scia, per lo più oggi soffocata da una versione consumistica, ci possiamo domandare se la morte più che essere celebrata in maniera pagana, nel nostro tempo salutista e di intrattenimento mediatico sia stata semplicemente bandita dall’ordinario e relegata come tabù negli ospedali, nei luoghi di culto o nei circoli per filosofi pessimisti. In ogni caso la “vera salute”, che il Vangelo ci insegna essere nel “di più della fede”, supera (con tutto il rispetto) i miti e le credenze popolari attingendo alla morte e risurrezione di Cristo (mai disgiunte tra loro). È questo quello che viene celebrato nel ricordo dei santi (1° novembre) e dei defunti (2 novembre), sempre in riferimento alla figura del Salvatore, l’unico al quale chiedere la buona morte e la vita eterna, non solo per sé ma per tutti.
In tale senso, anche la prassi della visita ai propri cari al cimitero non è solo ricordare le esperienze passate con il defunto che ora non c’è più, ma diventa espressione di fede e atto di misericordia spirituale. Anzi, intercedere per il “futuro celeste” dei nostri cari – nelle preghiere di suffragio e nel ricordo nella santa Messa – è tanto utile a loro quanto a noi, che nel medesimo tempo ricordiamo le nostre radici terrene per aspirare alla stessa mèta del cielo.
Perle di saggezza del fondatore dell’Ordine dei Predicatori
Quando San Domenico ebbe la prima esperienza di missione in Francia, si rese conto che il metodo usato dai missionari nel Paese era totalmente inadeguato e che non davano testimonianza di vita cristiana.
Per questo propose insieme a un gruppo di compagni di dedicare la vita a evangelizzare in totale povertà, dando esempio di carità e seguendo le virtù cristiane per poter portare meglio la Parola di Dio a quanti non avevano mai avuto l’opportunità di ascoltarla.
L’Arca di San Domenico, il capolavoro la cui costruzione ha richiesto 5 secoli
Daniel R. Esparza
Realizzata a tappe e da alcuni dei più grandi scultori di tutti i tempi, l’opera contiene i resti mortali del santo spagnolo
L’Arca di San Domenico, situata nella basilica di San Domenico a Bologna, è un monumento funebre che contiene i resti mortali di San Domenico di Guzmán, fondatore dell’Ordine dei Predicatori.
L’opera ha richiesto circa 500 anni per essere terminata. Vi hanno lavorato alcuni dei più grandi scultori della storia dell’arte italiana, da Nicola Pisano a Michelangelo.
San Domenico
Nato alla fine del XII secolo a Caleruega, a un’ora a sud di Burgos, nel nord della Spagna, San Domenico morì a Bologna nel 1221, nell’allora convento della chiesa di San Nicolò delle Vigne. In seguito, la chiesa subì un ampliamento e prese il nome dal santo spagnolo, diventando basilica di San Domenico.
In un primo momento, il santo fu sepolto dietro l’altare della chiesa. Un decennio dopo, i suoi resti vennero spostati nel sobrio sarcofago di marmo sul pavimento della chiesa, che divenne presto un popolare luogo di pellegrinaggio. La maggior parte dei pellegrini, però, non poteva raggiungere la tomba del santo a causa del gran numero di persone in piedi a pregare giorno e notte. Era quindi necessario un monumento più grande, che potesse essere visto da lontano.
Il nuovo tumulo
I Domenicani chiesero al famoso scultore Nicola Pisano di realizzare un nuovo tumulo. Pisano è considerato l’ultimo scultore gotico e un pioniere del Rinascimento. L’artista progettò il nuovo monumento funerario e scolpì diverse figure sulla parte anteriore del sarcofago. Ben presto, tuttavia, dovette lasciare Bologna per andare a Siena a costruire il pulpito della cattedrale, essendo già famoso per il suo operato nel battistero di Pisa. Uno dei suoi assistenti, Lapo Di Ricevuto, completò la prima parte del monumento intorno al 1265.
La tomba fu trasferita al centro della chiesa nel 1411. Un gruppo di scultori guidati da Niccolò Da Bari aggiunse poi elementi all’Arca di San Domenico. Tra gli artisti c’era un giovane di nome Michelangelo, che aggiunse al monumento l’immagine di San Petronio.
La cappella venne ricostruita nel 1597 dal noto architetto Floriano Ambrosini, perché i frati desideravano una cappella migliore per ospitare i resti del loro fondatore e ricevere i numerosi pellegrini che percorrevano il Cammino Domenicano per arrivarci. L’affresco nella cupola dell’abside della nuova cappella, la Gloria di San Domenico, è opera del maestro classicista Guido Reni.
Attualmente, la basilica è l’ultima tappa del Cammino Domenicano, che inizia nella città natale del santo.
Le Perle Di San Domenico in Frasi
“L’annuncio cristiano, per il suo proprio vigore, tende a guarire, consolidare e promuovere l’uomo, a costituire una comunità fraterna, rinnovando la stessa umanità e dandole la sua piena dignità umana”
“La famiglia cristiana è ‘chiesa domestica’, prima comunità evangelizzatrice”
“La testimonianza di vita cristiana è la prima e insostituibile forma di evangelizzazione”
“Stai vedendo il frutto che ho ottenuto con la predicazione del Santo Rosario; fa’ lo stesso, tu e tutti coloro che amano Maria, per attirare in questo modo tutti i popoli alla piena conoscenza delle virtù”–
“Luoghi privilegiati delle missioni dovrebbero essere le grandi città, dove sorgono nuove forme di cultura e comunicazione”–
“Abbiate carità, conservate l’umiltà, possedete la povertà volontaria”–
“Nuove situazioni richiedono nuove vie per l’evangelizzazione”–
“Il grano ammassato marcisce e non porta frutto”
“Solo una Chiesa evangelizzata è in grado di evangelizzare”
“Maria è il modello di tutti i discepoli e gli evangelizzatori per la sua testimonianza di preghiera, di ascolto della Parola di Dio e di pronta e fedele disponibilità al servizio del Regno fino alla croce”–
il libro dei Salmi è un esorcismo potente, poiché onora i giorni e le notti, le estati e gli inverni dell’anima. C’è spazio per la speranza e l’angoscia, per la gioia e la delusione, per l’entusiasmo e la demoralizzazione, il trasporto e la prostrazione, l’energia e l’affaticamento, il forte desiderio di riconciliazione e l’altrettanto pungente voglia di vendetta, comunione e solitudine. La porta è aperta a tutte le età della vita, vecchiaia compresa. Vi trovano casa tutti i legami: moglie, marito, genitori, figli, amici, nipoti, vicini… e anche i nemici. Nel Salterio sta la città e la campagna, la terra fertile e la polvere, il torrente pieno d’acqua e la siccità. Reagendo alle concrete, diversissime situazioni della vita reale, l’anima chiede, esige, supplica, loda, insiste, si arrende, si ostina e si abbandona, ringrazia e si lamenta. E ciò che più meraviglia e consola è che al termine di ciascuno di questi riverberi si possa esclamare: “Parola di Dio”.
salmo 23
Lo spiega bene, con affettuosa sapienza, monsignor Vincenzo Paglia nell’introduzione al suo commento al Salterio: L’arte della preghiera. La compagnia dei salmi nei momenti difficili (Milano, Terra Santa, 2020, euro 19). Il testo, scritto durante la pandemia causata dal Covid 19, intende, tra l’altro, esprimere la convinzione che, appunto, perfino dentro la bassa marea dell’anima lo Spirito può parlare. L’efficace introduzione è seguita dal commento a ciascun salmo; conciso, vitale, esigente e consolante. Nell’esposizione spicca la capacità dell’Autore di restituire non solo il senso delle parole dei salmi, ma anche la loro voce. È più facile intendere le parole rispetto alla voce. Le parole possono essere bugiarde, difficilmente lo è la voce, poiché è la prima decantazione dell’anima. Imparare a coglierla significa sfiorare il mistero di una persona. È agevole ripetere le parole di qualcuno; arduo echeggiarne la voce. Eppure è questa la sfida lanciata dal Buon Pastore. Altrimenti le pecore, ascoltando le parole di Cristo, ma non sentendone la voce, vanno da un’altra parte. Paglia commenta i salmi facendone risuonare la voce, come un’educazione alla voce di Cristo che, «gridando», recitò il salmo: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?».
Nel titolo del libro si trova la parola magica “arte”. La necessaria originalità di un’opera d’arte è sorprendente, ma mai eccentrica, poiché è anche risultato di disciplina, termine vicino a quello di “discepolo”. Diventa artista solo chi accetta di imparare, andando a bottega. Il lettore di questo libro si troverà simpaticamente in questa condizione.
di Giovanni Cesare Pagazzi
La compagnia dei salmi nei momenti difficili
Un invito a chi crede e chi no a superare l’afasia del nostro tempo incerto, per ritrovare nei salmi le parole più intime e appassionate di un dialogo con l’Eterno.
«L’arte della preghiera non richiede l’apprendimento di regole astratte. A pregare si impara pregando». In sintonia con questa convinzione, mons. Paglia invita chi crede e chi non crede a superare l’afasia del nostro tempo incerto, per ritrovare nei salmi le parole più intime e appassionate di un dialogo con l’Eterno.
Il Salterio è un preziosissimo scrigno di sapienza per cominciare – o ricominciare – a pregare. I salmi sono parole di carne. Nei salmi c’è l’intera vita: dal seno materno alla nascita, dalla giovinezza alla vecchiaia. Nei salmi c’è il lavoro, il riposo, i sensi di colpa, le grida nella malattia e nel dolore, ma anche la gratitudine, la gioia, la meraviglia.
I salmi mostrano le profondità nascoste del cuore umano, e insegnano a pregare non solo per se stessi, ma per l’intera creazione, accogliendo Dio per riversarlo sul mondo. Certo, è un rapporto asimmetrico, che porta la creatura a salire in alto, e il Signore a chinarsi premurosamente su di lei, ma la relazione è calda, intensa: talvolta, è una discussione a suon di imprecazioni e gelosie; talaltra, è una supplica struggente; altre volte ancora, è lode universale. Mai sono monologhi, i salmi. Sono sempre un dialogo tra un Tu che risponde e un io che chiede.
insegnami la disciplina dandomi la pazienza e insegnami la scienza illuminandomi la mente.”
C'È UN TEMPO PER OGNI COSA - Qoelet 3,1-15
Una riflessione a mo’ di galleria fotografica per trarre sempre nuove riflessioni
Il mio secondo figlio si chiama Agustín, e non perché mio padre o mio nonno si chiamino così, e nemmeno perché chiamare i bambini in questo modo è di moda. Si chiama Agustín in onore di Sant’Agostino di Ippona. Ho voluto dargli questo nome, sul quale mio marito fortunatamente ha concordato, per non dimenticare mai quello che la vita di questo santo ha dato alla mia e a quella di tanti altri. Le Confessioni sono il libro attraverso il quale ho conosciuto Sant’Agostino, ed è quello che raccomando maggiormente quando parliamo di conversione e di lotta.
Oltre ad essere un bel dialogo tra Sant’Agostino e Dio, questa autobiografia dimostra che anche i santi sono stati peccatori come te e me. Tra le sue righe molti di noi hanno trovato riflesse la propria storia e le proprie cadute. È servita e serve da ispirazione e da incoraggiamento per la conversione di tanti.
Le confessioni, scritte dal 397 fino al 400 (anche se a riguardo ci sono state numerose dispute), sono un’opera divisa in 13 libri, nella quale Agostino ha voluto porre davanti a Dio e a noi tutti il ricordo della sua anima e, con una profonda umiltà, manifestare il suo vecchio e nuovo “io”.
Agostino inizia quello che sarà il suo libro più importante con un’invocazione a Dio. In seguito racconta i primi peccati infantili (che non ricorda ma che gli vengono raccontati o vede in altri bambini) quando cercava le mammelle per nutrirsi, si beava delle gioie o piangeva per le noie della sua carne.
Un bimbo comune che sorrideva, s’innervosiva e al quale non bastava mai niente. Lentamente imparò a parlare osservando i movimenti degli adulti, cominciò a comunicare con i segni adatti e da bimbo divenne, come si definì lui stesso, un fanciullo chiacchierone.
Ecco una riflessione a mo di galleria fotografica sulle Confessioni. Queste parole continuino ad ispirarci oggi come ieri nella ricerca della verità, ovvero nella ricerca di Dio.
1. I tempi di conversione sono i tempi di Dio
Quanti di noi, pur essendo nati in una famiglia cattolica, hanno conosciuto davvero Dio in età adulta? Non è mai tardi per tornare a Lui, Dio è sempre con noi. Siamo noi che non eravamo con Lui.
“Tardi ti ho amato,bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato. Tu eri dentro di me, e io fuori. E là ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature che non esisterebbero se non esistessero in te. Mi hai chiamato, e il tuo grido ha squarciato la mia sordità. Hai mandato un baleno, e il tuo splendore ha dissipato la mia cecità. Hai effuso il tuo profumo; l’ho aspirato e ora anelo a te. Ti ho gustato, e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato, e ora ardo dal desiderio della tua pace”.
2. Dio chiama sempre, cerca sempre e si incarica personalmente di ciascuno di noi
Quante volte non capiamo cosa ci accade nella vita? Quante cadute, quanti dolori… Anche se sembra che siamo soli in mezzo all’incertezza, Dio è sempre lì; parla, consola e cura con attenzione, anche nel dolore.
“Sotto il lavorio della tua mano delicatissima e pazientissima, Signore, ora il mio cuore lentamente prendeva forma”.
3. Chiedere a Dio significa anche essere disposti ad ascoltare e a ricevere ciò che Egli ci dà. Dio non sbaglia mai
Quante volte abbiamo levato gli occhi al cielo chiedendo qualcosa a Dio? Gli abbiamo affidato i nostri desideri, i nostri sogni. Gli abbiamo chiesto di alleggerire il nostro peso. A volte sembra che non ci ascolti, ma lo fa sempre e dà ciò che sa che è meglio per ciascuno.
“Tu, la Verità, siedi alto sopra tutti coloro che ti consultano e rispondi contemporaneamente a tutti coloro che ti consultano anche su cose diverse. Le tue risposte sono chiare, ma non tutti le odono chiaramente. Ognuno ti consulta su ciò che vuole, ma non sempre ode la risposta che vuole. Servo tuo più fedele è quello che non mira a udire da te ciò che vuole, ma a volere piuttosto ciò che da te ode”.
4. Dio conosce il più profondo del nostro essere, è Lui che lo ha modellato con le proprie mani
Costa credere che siamo davvero figli di Dio, tutti e ciascuno di noi. Anche quelli che non credono in Lui. Dio conosce ogni angolo del nostro essere, ogni pensiero, ogni sogno, ogni anelito, ogni caduta, ogni lotta, perché sono state le Sue mani a modellare la nostra esistenza.
“O bontà onnipotente, che ti prendi cura di ciascuno di noi come se avessi solo lui da curare, e di tutti come di ciascuno”
5. Dio ci forma attraverso altri. La responsabilità dell’amore incondizionato
Noi mamme sappiamo quanto costa allevare un figlio. Serve fiducia in Dio per formarli nella libertà e nella verità. Santa Monica, madre di Sant’Agostino, ci insegna che tutti i dolori e le paure nell’allevare i nostri figli, quando sono offerti a Dio, danno frutto. Tutti siamo chiamati ad essere santi, e tutte le madri sono chiamate ad allevare figli santi per Dio.
“Piangeva innanzi a te mia madre, tua fedele, versando più lacrime di quante ne versino mai le madri alla morte fisica dei figli. Grazie alla fede e allo spirito ricevuto da te essa vedeva la mia morte; e tu l’esaudisti, Signore”. “Le lacrime di una tale donna, che con esse ti chiedeva non oro né argento, né beni labili o volubili, ma la salvezza dell’anima di suo figlio avresti potuto sdegnarle tu, che così l’avevi fatta con la tua grazia, rifiutandole il tuo soccorso? Certamente no, Signore”.
6. Dio è la nostra unica consolazione di fronte alla morte
Perdere qualcuno che amiamo profondamente è così doloroso che si desidera anche la propria morte. Senza Dio siamo perduti, soli, ma Egli comprende questo dolore e ci promette un incontro futuro e senza separazioni nella vita eterna. Questa promessa è quella che ci deve riempire di speranza e far ripristinare la gioia perduta per l’assenza fisica di coloro che se ne sono andati.
“L’unico a non perdere mai un essere caro è colui che ha tutti cari in chi non è mai perduto. E chi è costui, se non il Dio nostro, il Dio che creò il cielo e la terra e li colma, perché colmandoli li ha fatti?”
7. La misericordia di Dio è infinita. Non stanchiamoci mai di chiedere perdono
Ci sono giorni in cui vorremmo darci per vinti. È una lotta che sembriamo perdere, stanchi di cadere e di chiedere perdono sempre per le stesse cose. Dio non si stanca di perdonarci, siamo noi che pensiamo di non essere più degni di perdono. La sua misericordia è infinita.
“Lode a te, gloria a te, fonte di misericordie. Io mi facevo più miserabile, e tu più vicino. Ormai, ormai era accostata la tua mano, che mi avrebbe tolto e levato dal fango, e io lo ignoravo”.
8. La generosità nella comunità cristiana è un vero cammino di conversione
Soprattutto in quest’epoca, quanto è importante volgere il nostro sguardo ai nostri fratelli bisognosi della nostra generosità e del nostro amore! C’è tanta gente che muore di fame mentre alcuni sono pieni di ricchezze!
“Tutti i beni che mai possedessimo, sarebbero stati messi in comune, costituendosi, di tutti, un patrimonio solo. In tale maniera, per la nostra schietta amicizia non ci sarebbero stati beni dell’uno o dell’altro, ma un’unica sostanza, formata da tutti; questa sostanza collettiva sarebbe stata di ognuno, e tutte le sostanze sarebbero state di tutti”.
9. Trovano Dio solo gli umili, i più piccoli
In un mondo in cui si ripone il valore nell’immagine e in ciò che si ha, Sant’Agostino ci ricorda che è agli umili che Dio guarda volentieri.
“Volgi lo sguardo sugli umili, mentre gli eccelsi li vuoi conoscere da lontano e solo ai cuori contriti ti avvicini; non ti riveli ai superbi neppure se con la loro curiosa destrezza sappiano calcolare le stelle e l’arena, misurare gli spazi siderei ed esplorare le piste degli astri”.
10. La morte non è la fine. La vera vita è accanto a Dio
Desideroso di essere immortale, l’uomo lotta per evitare la morte, per prolungare la giovinezza, e disprezza tutto ciò che gli ricorda che è passeggero, che il corpo si deteriora e che avrà una fine. Sant’Agostino ci ricorda che la nostra vera dimora è il cielo.
“La nostra casa non precipita durante la nostra assenza: è la tua eternità”.
11. Il riposo e il senso della nostra esistenza si vedranno saziati solo da Dio
Il desiderio di infinito che ha l’essere umano non è altro che un’espressione della nostalgia di Dio, della chiamata ad essere eterni. Riusciremo a saziare questo anelito, questa fame, solo nutrendoci di Dio.
“Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”.
“S. Monica: l’amore materno che ispira la fede di Sant’Agostino.”
Introduzione
Santa Monica è stata una figura importante nella storia del cristianesimo, particolarmente nota per essere la madre di Sant’Agostino d’Ippona. Nata nel 331 d.C. a Tagaste, in Nord Africa, Santa Monica è venerata come una santa dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa. La sua vita è stata caratterizzata da una profonda fede e da una dedizione alla preghiera, nonostante le difficoltà che ha affrontato nella sua famiglia. Santa Monica è considerata un esempio di perseveranza e di amore materno, ed è spesso invocata come patrona delle madri e delle donne che pregano per i loro figli.
Santa Monica è conosciuta principalmente come la madre di Sant’Agostino, uno dei più importanti teologi e filosofi della Chiesa cattolica. La sua vita è stata caratterizzata da una profonda devozione religiosa e da una determinazione incrollabile nel perseguire la salvezza del figlio.
Nata nel 331 d.C. a Tagaste, in Nord Africa, Monica crebbe in una famiglia cristiana. Fin da giovane, dimostrò una grande pietà e una fervente fede in Dio. Si sposò con Patrizio, un uomo di buona famiglia, ma nonostante la sua posizione sociale, il marito si rivelò un uomo violento e immorale. Nonostante le difficoltà del matrimonio, Monica rimase fedele al suo impegno matrimoniale e cercò di influenzare positivamente suo marito attraverso la sua fede.
La loro unione fu benedetta con tre figli: Agostino, Navigio e Perpetua. Tuttavia, la gioia di Monica per la maternità fu offuscata dalla preoccupazione per l’anima di Agostino. Fin da giovane, Agostino dimostrò una grande intelligenza e un’insaziabile sete di conoscenza. Tuttavia, si allontanò dalla fede cristiana e si avvicinò alle dottrine del manicheismo, una setta eretica dell’epoca.
Monica non si arrese di fronte a questa sfida e si dedicò con ancora più fervore alla preghiera e alla penitenza per la conversione di suo figlio. Ogni giorno, implorava Dio di aprire gli occhi di Agostino e di condurlo sulla strada della verità. La sua fede e la sua perseveranza furono ricompensate quando Agostino, dopo anni di ricerca spirituale, si convertì al cristianesimo.
La conversione di Agostino fu un momento di grande gioia per Monica, ma la sua missione non era ancora completa. Dopo la morte di suo marito, Monica e Agostino si recarono a Roma, dove Monica si dedicò alla preghiera e all’adorazione di Dio. Tuttavia, la sua vita fu segnata da una grande tristezza quando Agostino decise di trasferirsi a Milano.
A Milano, Monica si unì a una comunità di donne devote e continuò a pregare per la conversione di suo figlio. La sua devozione e la sua preghiera costante attirarono l’attenzione di Ambrogio, il vescovo di Milano, che divenne un amico e un consigliere spirituale per Monica. Ambrogio incoraggiò Monica a non perdere la speranza e a continuare a pregare per la salvezza di Agostino.
Le preghiere di Monica furono finalmente esaudite quando Agostino si convertì definitivamente al cristianesimo nel 386 d.C. Questo fu un momento di grande gioia per Monica, che aveva dedicato gran parte della sua vita alla conversione di suo figlio. Poco dopo, Monica si ammalò e morì nel 387 d.C., ma la sua influenza sulla vita di Agostino e sulla Chiesa cattolica sarebbe durata per sempre.
Santa Monica è considerata un esempio di fede, perseveranza e amore materno. La sua vita è un monito per tutti i genitori che si trovano ad affrontare sfide nella crescita spirituale dei propri figli. La sua devozione e la sua preghiera costante sono un esempio di come la fede possa trasformare le vite delle persone e portare alla conversione.
La vita di Santa Monica è un esempio di come l’amore di una madre possa influenzare positivamente la vita di un figlio. La sua dedizione e la sua fede in Dio sono un esempio per tutti noi di come affrontare le difficoltà e perseverare nella preghiera. Santa Monica è una figura venerata nella Chiesa cattolica e la sua vita continua a ispirare milioni di persone in tutto il mondo.
L’influenza di Santa Monica sulla conversione di Sant’Agostino
Santa Monica è conosciuta principalmente come la madre di Sant’Agostino, uno dei più importanti teologi e filosofi della Chiesa cattolica. La sua influenza sulla conversione di Sant’Agostino è stata fondamentale e ha avuto un impatto duraturo sulla sua vita e sul suo lavoro.
Santa Monica nacque nel 331 d.C. a Tagaste, in Nord Africa, da una famiglia cristiana. Fin da giovane, dimostrò una profonda devozione religiosa e una forte fede in Dio. Si sposò con Patrizio, un uomo pagano, e insieme ebbero tre figli: Navigio, Perpetua e Agostino.
La vita di Santa Monica non fu priva di difficoltà. Suo marito era noto per il suo carattere irascibile e la sua infedeltà, il che portò a molte tensioni familiari. Tuttavia, Santa Monica rimase fedele al suo matrimonio e si dedicò alla preghiera e alla penitenza per la conversione di suo marito.
La sua preoccupazione principale, tuttavia, era la conversione di suo figlio Agostino. Fin da giovane, Agostino dimostrò un’intelligenza straordinaria e una grande curiosità intellettuale. Tuttavia, si allontanò dalla fede cristiana e si avvicinò al manicheismo, una setta eretica che negava la bontà del mondo materiale.
Santa Monica non si arrese mai nella sua lotta per la conversione di suo figlio. Pregava incessantemente per lui e cercava di convincerlo a tornare alla fede cristiana. Nonostante le continue delusioni e le sfide che doveva affrontare, Santa Monica non si scoraggiò mai e continuò a sperare nella conversione di Agostino.
La svolta nella vita di Agostino avvenne quando si trasferì a Milano per insegnare retorica. Qui, venne influenzato dalle prediche di Sant’Ambrogio, vescovo di Milano, che lo aiutarono a riconsiderare la sua fede e a cercare la verità. Santa Monica fu estremamente felice di questa notizia e continuò a pregare con ancora più fervore per la conversione di suo figlio.
La conversione di Agostino avvenne nel 386 d.C., quando si trovava in un giardino a Milano. Mentre era immerso in profonde riflessioni sulla sua vita e sulla sua fede, sentì una voce che gli diceva: “Prendi e leggi”. Prese in mano una copia delle Epistole di San Paolo e lesse un passaggio che gli aprì gli occhi sulla verità del Vangelo.
La conversione di Agostino fu un momento di grande gioia per Santa Monica. Finalmente, dopo anni di preghiere e sacrifici, suo figlio era tornato alla fede cristiana. Santa Monica morì pochi mesi dopo la conversione di Agostino, ma il suo influsso sulla sua vita e sul suo lavoro fu duraturo.
Sant’Agostino divenne uno dei più grandi teologi della Chiesa cattolica e scrisse opere che influenzarono profondamente il pensiero cristiano. La sua conversione e la sua fede furono fortemente influenzate dalla devozione e dalla preghiera incessante di sua madre.
In conclusione, Santa Monica giocò un ruolo fondamentale nella conversione di Sant’Agostino. La sua devozione, la sua preghiera costante e la sua speranza incrollabile furono un faro di luce nella vita di suo figlio. La sua influenza sulla vita e sul lavoro di Sant’Agostino è ancora evidente oggi e la sua storia è un esempio di fede e perseveranza per tutti noi.
Le virtù e la spiritualità di Santa Monica
Santa Monica è una figura di grande importanza nella storia del cristianesimo. Madre di Sant’Agostino, uno dei più influenti teologi e filosofi della Chiesa cattolica, Santa Monica è ammirata per le sue virtù e la sua profonda spiritualità.
Una delle virtù più evidenti di Santa Monica era la sua pazienza. Nonostante le difficoltà che affrontava nella sua vita, come il matrimonio infelice e le preoccupazioni per il figlio ribelle, Santa Monica rimase sempre calma e paziente. Questa virtù le permise di affrontare le avversità con serenità e di mantenere la sua fede in Dio nonostante le difficoltà.
La fede era un elemento centrale nella vita di Santa Monica. Era una donna profondamente religiosa e dedicava molto tempo alla preghiera e alla meditazione. La sua fede in Dio era così forte che non si scoraggiava mai, anche quando sembrava che le sue preghiere non venissero ascoltate. Santa Monica credeva fermamente che Dio avrebbe guidato suo figlio sulla strada della redenzione e non smise mai di pregare per lui.
Oltre alla pazienza e alla fede, Santa Monica era anche una donna di grande umiltà. Nonostante la sua posizione sociale elevata, non si vantava mai delle sue virtù o dei suoi successi. Al contrario, si considerava una peccatrice e si umiliava di fronte a Dio. Questa umiltà le permise di accettare le difficoltà della vita con gratitudine e di essere aperta alla volontà di Dio.
La carità era un’altra virtù che Santa Monica praticava costantemente. Era sempre pronta ad aiutare coloro che erano in difficoltà, sia materialmente che spiritualmente. Santa Monica era conosciuta per la sua generosità e la sua capacità di ascoltare gli altri senza giudicare. Era una donna compassionevole che si preoccupava sinceramente del benessere degli altri.
La spiritualità di Santa Monica era profonda e autentica. La sua relazione con Dio era intima e personale. Trascorreva lunghe ore in preghiera e meditazione, cercando di avvicinarsi sempre di più a Dio. La sua spiritualità era basata sulla fede, ma anche sulla ricerca della verità e della saggezza. Santa Monica era una donna di grande intelligenza e curiosità, e cercava sempre di approfondire la sua conoscenza di Dio e della sua volontà.
La vita di Santa Monica è un esempio di virtù e spiritualità per tutti i cristiani. La sua pazienza, la sua fede, la sua umiltà, la sua carità e la sua profonda spiritualità sono qualità che tutti dovremmo cercare di coltivare nelle nostre vite. Santa Monica ci insegna che la virtù e la spiritualità non sono qualcosa di astratto o inaccessibile, ma qualcosa che può essere vissuto e praticato nella vita di tutti i giorni.
In conclusione, Santa Monica è una figura di grande importanza nella storia del cristianesimo. Le sue virtù e la sua spiritualità sono un esempio per tutti noi. La sua pazienza, la sua fede, la sua umiltà, la sua carità e la sua profonda spiritualità sono qualità che tutti dovremmo cercare di coltivare nelle nostre vite. Santa Monica ci insegna che la virtù e la spiritualità sono qualcosa di concreto e praticabile, e che possono portare gioia e pace nella nostra vita.
L’eredità di Santa Monica nella Chiesa cattolica
Santa Monica è una figura di grande importanza nella Chiesa cattolica, soprattutto per il suo ruolo di madre di Sant’Agostino. La sua eredità si estende ben oltre il suo ruolo di madre, influenzando profondamente la spiritualità e la devozione dei fedeli cattolici in tutto il mondo.
Nata nel 331 d.C. a Tagaste, nell’attuale Algeria, Santa Monica è conosciuta per la sua fede incondizionata e la sua perseveranza nella preghiera per la conversione di suo figlio Agostino. Nonostante le sfide e le delusioni che ha affrontato nella sua vita, Santa Monica ha continuato a pregare instancabilmente per la salvezza di suo figlio.
La sua devozione e la sua fiducia in Dio sono diventate un esempio per i cattolici di tutto il mondo. Santa Monica ci insegna che la preghiera costante e la fiducia in Dio possono portare alla conversione e alla salvezza delle anime. La sua storia è un incoraggiamento per coloro che si trovano ad affrontare difficoltà nella loro vita e nella loro fede.
Dopo anni di preghiere e sacrifici, Santa Monica ha finalmente visto la conversione di suo figlio Agostino. Questo evento ha avuto un impatto significativo sulla Chiesa cattolica, poiché Agostino è diventato uno dei più grandi teologi e filosofi della storia. Le opere di Sant’Agostino, come “Le Confessioni” e “La Città di Dio”, hanno influenzato profondamente la teologia e la spiritualità cattolica.
L’eredità di Santa Monica nella Chiesa cattolica si manifesta anche attraverso la sua devozione alla preghiera e alla penitenza. Santa Monica ha trascorso gran parte della sua vita in preghiera, supplicando Dio per la conversione di suo figlio e per la salvezza delle anime. La sua vita è un esempio di come la preghiera costante e la penitenza possano portare alla grazia di Dio e alla trasformazione delle persone.
La figura di Santa Monica è celebrata nella Chiesa cattolica il 27 agosto, giorno in cui si ricorda la sua vita e il suo esempio di fede. In questa giornata, i fedeli sono incoraggiati a pregare per la conversione dei loro cari e per la salvezza delle anime. La festa di Santa Monica è un momento di riflessione e di rinnovamento della fede, in cui i cattolici sono chiamati a seguire il suo esempio di devozione e fiducia in Dio.
L’eredità di Santa Monica nella Chiesa cattolica si riflette anche nella sua influenza sulla spiritualità femminile. Santa Monica è considerata un modello di madre e di donna virtuosa, che ha dedicato la sua vita alla preghiera e alla cura della sua famiglia. Le donne cattoliche sono ispirate dalla sua devozione e dalla sua forza interiore, che le spinge a perseguire la santità nella loro vita quotidiana.
In conclusione, Santa Monica è una figura di grande importanza nella Chiesa cattolica. La sua eredità si estende ben oltre il suo ruolo di madre di Sant’Agostino, influenzando la spiritualità e la devozione dei fedeli cattolici in tutto il mondo. La sua storia ci insegna l’importanza della preghiera costante, della fiducia in Dio e della perseveranza nella fede. La festa di Santa Monica è un momento di riflessione e di rinnovamento della fede, in cui i cattolici sono chiamati a seguire il suo esempio di devozione e fiducia in Dio.
Conclusione
Santa Monica è stata la madre di Sant’Agostino, uno dei più importanti teologi e filosofi cristiani. È venerata come santa nella Chiesa cattolica e nella Chiesa ortodossa. La sua vita è stata caratterizzata dalla sua fede in Dio e dal suo impegno a pregare per la conversione di suo figlio. Santa Monica è un esempio di perseveranza nella preghiera e di amore materno.
Con la Messa ognuno di noi ha un rapporto personalissimo, che col tempo diventa naturale, spontaneo, persino irriflesso. E una pratica che resta – Concilio alla mano – «fonte e culmine di tutta la vita cristiana» può anche trasformarsi in una routine. È possibile che andiamo in chiesa senza pensarci, credendo di sapere già ampiamente cosa ci aspetta, presumendo di conoscere ormai fin troppo bene le nostre attese, e cosa porteremo via da quel gesto. Liturgie grigie come atti burocratici possono poi consolidare la convinzione che si tratti di una pratica da sbrigare, senza riporre tante aspettative.
Ma l’abitudine finisce per smorzare l’effetto di un appuntamento di per sé in grado sempre di rimetterci a nuovo. Eppure ne abbiamo bisogno, non possiamo vanificare un’esperienza rigenerante per la fede e per la stessa vita. Per questo è utile ogni tanto prendere le distanze dalla consuetudine e renderci ancora consapevoli di cosa cerchiamo quando entriamo in chiesa la domenica (o anche nei giorni feriali, per i più assidui). Vale per noi laici, vale anche per i celebranti: che quota di meraviglia, di commozione, di raccoglimento c’è nelle nostre liturgie? Cosa ci trasmette la Messa, e come la attendiamo, la viviamo, la ricordiamo una volta conclusa?
La fede è niente senza le opere, ma la sua proiezione prevalente sul fare finisce col persuaderci che il contenuto del credere sia il compimento efficiente di qualche attività pastorale o sociale, per quanto encomiabile, lasciando la fede come una variabile eventuale. La Messa è lì, in mezzo, nel crocevia tra religione e vita, a intrecciare tutto ciò che ci costituisce come credenti. Pensare a come la si vive può far capire che cristiani siamo. Ci aiuta il Papa, che rivolgendosi ai partecipanti a un corso del Pontificio Istituto Sant’Anselmo ha ricordato ieri che le «ritualità», pur «belle», sono vane se «non toccano il cuore e l’esistenza del popolo di Dio». Non si tratta di un fatto emotivo, a destare l’anima non è una coreografia ben congegnata, o uno stato d’animo più incline a farsi coinvolgere: perché «è Cristo che fa vibrare il cuore, è Lui che attira lo spirito». È come se ci chiedesse: ti è ancora chiaro? Con un filo di humour Francesco parla dell’insidia di dar vita a «un bel balletto » che «non è autentica celebrazione». Intrattenimento a sfondo spirituale, che assomma stratagemmi per tener desto l’interesse dei partecipanti. Tutto qui? Certamente no.
È una questione di spazio interiore, che va creato perché possiamo udire una voce che chiede di noi. Ma quanto margine resta nell’agenda della nostra vita, satura di impegni, pensieri, ansie, distrazioni? Pur con le migliori intenzioni, la Messa può trovarci “tutti esauriti”, nei fatti indisponibili a metterci da parte anche solo per qualche decina di minuti, dai riti d’ingresso all’«andate in pace». Come lasciarci sorprendere dall’inatteso, senza credere di aver già visto tutto, di pensarci in fondo immuni da sorprese? Mettendoci da parte una buona volta, e riaprendo occhi mente e anima. Perché – dice Francesco – «soltanto l’incontro con Dio ti dà lo stupore». Ecco, appunto: può essere che la Messa non sia più un vero «incontro», non in questi termini spirituali, almeno. Andare in chiesa considerandola l’occasione per «un incontro sociale» – nota il Papa – porta a deprezzare un’esperienza indispensabile alla vita cristiana eppure così difficile nella nostra “società del rumore”: il silenzio, che invece «aiuta l’assemblea e i concelebranti a concentrarsi su ciò che si va a compiere». Si può far rumore anche con le troppe parole di omelie che quando vanno oltre i pochi minuti – «otto, dieci» – necessari perché «la gente si porti qualcosa a casa» diventano «una conferenza», e si risolvono in un vero «disastro». In realtà abbiamo sete di silenzio, «prima e dopo le celebrazioni», perché «il silenzio apre e prepara il mistero».
Che bello sentircelo dire da un padre che mostra di conoscerci così bene e sa quanto ci è necessario poter incontrare Dio – e noi stessi, così come siamo –in un silenzio che ridà vita, aprendoci a una presenza che ci stava aspettando. Per sperimentare una volta ancora la meraviglia di rinascere. Altro che abitudine: a Messa è una sorpresa continua.