La Grazia del Cuore Ardente in Missione

La Grazia del Cuore Ardente in Missione

OTTOBRE MISSIONARIO

“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
LO STILE DI EMMAUS COME STILE DI DISCERNIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO
di Rosalba Manes
Consacrata dell’ordo virginum e biblista (Pontificia Università Gregoriana)
La Bibbia ebraica si conclude con questo invito al viaggio: «Chiunque di voi appartiene al suo
popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!» (2Cr 36,23). Qual è la meta del salire di ogni
membro del popolo di Dio? È detto poco prima nello stesso versetto: «Così dice Ciro, re di Persia:
“Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli
un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda”».
Il Signore vuole che Gerusalemme sia la meta di attrazione di tutto il suo popolo. A partire da
questa conclusione, si può affermare davvero che «la Bibbia ebraica si pone interamente sotto il
segno del pellegrinaggio»1. E siccome la Bibbia ebraica confluisce negli scritti cristiani, anche il
Nuovo Testamento è posto sotto questo segno. I cristiani sono pellegrini, senza fissa dimora. Essi,
come ricorda la Lettera a Diogneto, «vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a
tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e
ogni patria è straniera»2. I cristiani di ogni tempo e di ogni età sono pellegrini muniti di una ricca
collezione di parole, la Bibbia, che si offre sempre come casa “portatile”.
I giovani e la vita come viaggio
Anche la pericope evangelica di Luca relativa al viaggio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)
offre lo spunto per pensare la vita umana come un pellegrinaggio3. Le vite dei due discepoli, come
di tutti i personaggi che la Bibbia ci consegna, più che essere modelli, sono «vite in evoluzione»4,
investite in un pellegrinaggio che può essere percorso in modo spento oppure dinamico, a seconda
della compagnia e della meta. E questo ci fa pensare soprattutto alle vite dei giovani che sono così
tanto in evoluzione a motivo della crescita, della loro curiosità e del desiderio di mettersi alla
prova coinvolgendosi nelle esperienze più disparate.
Luca invita i suoi lettori a immedesimarsi con i suoi due pellegrini5, quasi ad offrire una
sintesi del suo vangelo6. Si tratta, però, di due pellegrini coinvolti in un viaggio drammatico, che si
1 J.-P. SONNET, Il canto del viaggio, Qiqajon, Magnano (Bi) 2009, 12.
2 A Diogneto, Città nuova, Roma 2008, V,5, 83.
3
«Con ogni probabilità, questo insistente richiamo al tema del cammino ha la sua spiegazione nel fatto che il
cammino di cui parla l’evangelista altro non è se non la vita del cristiano recepita a mo’ di pellegrinaggio e che esso ha
bisogno della presenza del Risorto per non diventare alienante e triste» (V. PASQUETTO, «L’apparizione del Risorto ai
discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)», in M. LACONI E COLLABORATORI, Vangeli sinottici e Atti degli apostoli, Elle di ci,
Leumann (To) 1994, 438).
4 G. BONIFACIO, «Emmaus e il secondo annuncio», Esperienza e teologia 30 (2014), 26.
5 «Leggere la Bibbia sino in fondo è diventare pellegrini; diventare pellegrini biblici è accogliere il libro della
Scritture come guida delle nostre strade, divine e umane, da percorrere sino alla Gerusalemme di Dio» (J.-P. SONNET, Il
canto del viaggio, 12).
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SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
muove, cioè, in direzione opposta a Gerusalemme. Essi, infatti, dopo aver smarrito l’entusiasmo
durante i tristi eventi della Passione, decidono di lasciarsi la città santa alle spalle, di dimenticare il
cammino fatto fino a quel momento, di tornare indietro, al punto di partenza, quando una parola
“altra” li aveva affascinati, interpellati e mossi a salire a Gerusalemme. Vogliono riabbracciare la
vita di un tempo, prima che la precarietà della sequela venisse a ritmare il cammino, prima di
investirsi in un percorso che ha condotto ad un vicolo cieco. I due partono risoluti verso Emmaus,
ma non è mai piacevole ritornare a casa senza premi o trofei e un senso di sconfitta fa capolino
interiormente: il cuore è gonfio di tristezza e il passo si fa pesante, lento.
Solo alla fine dell’intreccio narrativo, che ha un Sitz im Leben7 squisitamente liturgico, dopo
un incontro illuminante attraverso il quale il cuore si riaccende e gli occhi sono in grado di
riconoscere il Risorto e di vedere la novità, essi potranno riprendere lieti la marcia, consapevoli di
accogliere una chiamata e una missione rinnovate che hanno ancora una volta a che fare con
Gerusalemme, luogo dove germoglia la chiesa madre8.
Luca ci ricorda così che tutta la vita è un cammino di uscita incontro agli altri, un esodo dalla
tirannia dei bisogni, che porta a concentrarsi su di sé, alla ricerca appassionata della libertà da sé
per scoprire la forza del desiderio che allarga gli orizzonti, rende cercatori di senso e permette di
gustare la piena fioritura dei propri doni personali. La vita è un viaggio verso di sé, a contatto con
la propria vocazione più profonda, alla scoperta di un volto che interpella con la sua parola e con la
sua presenza, in un graduale apprendistato delle relazioni che porta chi non teme le salite e i
sentieri impervi alla scoperta della storia di alleanza e di salvezza di cui fa parte. La vita è un
viaggio meraviglioso che contempla, tuttavia, deragliamenti e battute d’arresto, prima di diventare
un «cammino di giustizia» (Sal 23,3) o «sentiero della vita» che è «gioia piena» e «dolcezza senza
fine» (Sal 16,11)
Chiamati a mettere «ali come aquile»
L’evangelista Luca offre ai destinatari della sua diḗghēsis («resoconto ordinato»)9 l’occasione
di riflettere sulla vita come occasione di incontro con un Dio pellegrino che non aspetta che la
creatura umana gli vada incontro, ma che si mette sulle sue tracce, la intercetta, l’accompagna
dispiegando la forza del suo eterno Io-con-te (cfr. Es 3,12; Sal 23,4) e si fa suo commensale (cf Gen
18,1-15).
6
«Lc 24 contiene… la storia biblica: leggendo questo capitolo, si attraversano tutte le promesse, tutte le
Scritture. Capitolo enciclopedico, gravido di tutto il passato: di Gesù e della storia che lo precedeva. […] Inizio e fine
del vangelo si corrispondono… In Lc 1, il narratore e l’angelo avevano invitato a rileggere la storia dei patriarchi e dei
profeti. In Lc 24, l’invito è lo stesso, esplicito stavolta; d’altronde non si tratta più di allusioni sparse qua e là, ma di una
rassegna completa: “E incominciando da Mosè e tutti i profeti, interpretò loro in tutte le Scritture ciò che lo riguardava”
(v. 27; cfr. anche v. 44)» (J.-N. ALETTI, L’arte di raccontare Gesù Cristo. La scrittura narrativa del vangelo di Luca,
Queriniana, Brescia 1991, 153).
7 Espressione tedesca che indica il «contesto vitale», cioè la situazione storica, sociale e culturale della comunità
primitiva.
8 I due discepoli di Emmaus «“descrivono” un cammino plausibile con cui confrontarsi, aprendo una possibilità
di incontro con il Risorto, che resta a disposizione di chi si lascia intrigare dal racconto» (G. BONIFACIO, «Emmaus e il
secondo annuncio», 27).
9 Si tratta del termine con cui l’evangelista in Lc 1,1, all’inizio del prologo, designa il suo vangelo.
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Dalla carenza di energia sperimentata da chi cammina con le sue sole forze il Dio pellegrino
dà a chi cammina in sua compagnia la possibilità di acquisire misteriosamente «ali come aquile»,
com’è descritto all’inizio del Libro della Consolazione di Isaia10. Questa forza supplementare,
queste «ali di aquile» (Es 19,4), la Sacra Scrittura desidera offrirle ai suoi lettori e in modo speciale
ai giovani perché diventino atleti dello Spirito del Risorto, pieni dell’energia che viene dalla Parola,
dall’Eucaristia e dalla comunione con gli altri.
Per questo il Sinodo dei giovani ha privilegiato l’icona biblica dei discepoli di Emmaus e l’ha
letta alla luce del cammino di accompagnamento dei giovani11. Il racconto evangelico che ne parla
non è tanto un racconto di apparizione ma piuttosto il «racconto della trasformazione di due
discepoli a partire dal riconoscimento del Risorto»12. Non il vedere qualcosa è al cuore del
racconto di Luca, ma il riconoscere qualcuno. Non sono, infatti, le cose che trasformano il cuore di
un giovane che si apre alla vita, ma un incontro con una Persona che si incide per sempre nella
memoria del cuore, creando un prima e un dopo. Si tratta di un’esperienza simile
all’innamoramento che aiuta a distinguere la vita da tutto ciò che è una sua copia sbiadita13 e
mette le ali ai piedi…
La delusione del vivere: i giovani in cerca di senso
Lc 24,13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome
Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme.
Il racconto di Luca parte da due discepoli increduli e delusi che si stanno separando da
Gerusalemme e dalla comunità. Si potrebbe parlare di un cammino di «de-vocazione»14. Gli eventi
della Pasqua hanno scandalizzato i seguaci di Gesù, al punto che alcuni di loro decidono di mettere
una pietra sopra alla loro esperienza di discepolato per ritornare alla vita di un tempo. È il
sopravvento dello scoramento che prende quanti si sentono feriti da un’esperienza sulla quale
avevano proiettato tante attese, ma che poi ha lasciato l’amaro in bocca.
L’evangelista Luca ci parla, in particolare, di due discepoli che lasciano Gerusalemme per
riprendere la strada di casa, compiendo il viaggio inverso a quello che domina l’intero Vangelo di
Luca. Sono diretti ad Emmaus, città non molto lontana (forse 7 km), ancora oggi di difficile
identificazione15. Attratti dalla parola di Gesù ed estratti dal loro ambiente, avevano intrapreso il
cammino della sequela, riponendo nel maestro di Nazareth le loro attese e soprattutto le loro
10 «Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti
inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza
affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,29-31).
11 FRANCESCO, Christus vivit, Esortazione Apostolica Postsinodale ai giovani e a tutto il Popolo di Dio, LEV,
Città del Vaticano 2019, nn. 156; 236; 292; 296.
12 L. MANICARDI, Raccontami una storia. Narrazione come luogo narrativo, Messaggero, Padova 2012, 189.
13 «Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai
ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza» (C. YANNARÁS, Variazioni sul Cantico dei cantici, Servitium, Milano
1997, 25).
14 Così viene chiamato il cammino dei due discepoli di Emmaus in L. MANICARDI, Raccontami una storia, 192.
15 Questo cammino da Gerusalemme a Emmaus appare anche simbolico: Emmaus è la cittadina dove Giuda
Maccabeo nel 167 a.C. aveva sconfitto Gorgia, generale di Antioco IV Epifane (cfr. 1Mac 3,40.57; 4,3), quindi luogo
della vittoria contro un nemico di Israele. Dalla città della Pasqua i due discepoli scelgono di dirigersi alla città della
vittoria e della prospettiva messianica.
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speranze messianiche. Dopo gli eventi della Pasqua, però, non restano in loro che delusione e
tristezza per un’operazione non andata a buon fine, per un piano naufragato nel peggiore dei
modi.
Non resta che dimenticare, rimuovere il dolore per il fallimento e tornare alle sicurezze di un
tempo, quando il senso del vivere era dettato dal bisogno di procurarsi i mezzi di sussistenza e
prepararsi un futuro di benessere. Vi è un regresso che porta il cuore all’oblio dell’esperienza
fallimentare per cercare sostegno nel “mondo conosciuto”. La delusione, infatti, è nemica della
memoria e quando la memoria sbiadisce si perde il senso della propria chiamata, si azzera anche
tutto il bene che si è potuto sperimentare e ci si sente attratti a vivere «soltanto di pane» (Dt 8,3;
cfr. Lc 4,4).
Questo è lo sconforto che porta molti giovani a passare frettolosamente da un’esperienza
all’altra, senza il coraggio e la pazienza di rileggere ogni evento per «distinguere ciò che è prezioso
da ciò che è vile» (Ger 15,19).
La grazia del condividere: superare il mutismo dei giovani
Lc 24,14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
Inizia il viaggio di ritorno. I due se ne vanno da Gerusalemme, quella città che avrebbe dovuto
profumare di pace – come dice il suo nome, che contiene la parola shalom – e che invece è satura
di odio. Imboccano la strada del ritorno, ma il silenzio fa paura e iniziano a conversare, accendono
il dialogo che libera la forza della compagnia che sola tiene a bada le angosce del cuore umano. È
la vittoria della relazione sul silenzio della solitudine, il trionfo della parola che sfida la morte, che
vuole aggrapparsi alla vita, nonostante la tristezza abbia preso il sopravvento nel cuore. Parlano i
due discepoli e parlano di tutto ciò che è accaduto nella città santa. Hanno voglia di parlare, forse
perché il silenzio li mette in un contatto troppo ravvicinato con la propria interiorità o forse
perché, pur volendosi sganciare al più presto dall’esperienza che li ha delusi, si sentono ancora
intimamente connessi ad essa.
La situazione iniziale del brano si caratterizza per un viaggio di ritorno scandito dalle parole di
una conversazione tra amici. Il parlare dei due discepoli presenta dei tratti particolari: Luca usa il
verbo omiléo, «discorrere», che proviene dal contesto liturgico (cfr. At 20,11), e il verbo syzetéo,
«cercare insieme», che evidenzia un conversare orientato a trovare una soluzione comune (cfr. At
15,7). Questo conversare manifesta la grazia di condividere, tenendo i cuori connessi l’uno
all’altro. Parlano i due amici, praticano l’arte salutare e salvifica del racconto16 e testimoniano che
c’è ancora un soffio di vita nel loro cuore indolenzito per via della grande delusione.
16 «la magia fondamentale della narrazione sta nella sua capacità di dare senso. Non è la cronaca dei fatti o la
mera registrazione di ciò che accade, ma solo la loro narrazione che produce senso e quindi rende vivibile e
sopportabile il mondo. Nel racconto i fatti divengono umani, cioè una trama di eventi significativi. Il racconto umanizza
il tempo. […] Così la vita si fa somigliante a un testo, a un tessuto, a un tappeto, per esempio, che è costituito da una
trama infinita di segni ciascuno dei quali, preso in se stesso, è privo di senso, ma che insieme agli altri forma un disegno
misterioso e affascinante. Il racconto crea ordine nel caos, crea unità fra le dimensioni del passato, del presente e del
futuro […] strappa l’uomo alla tirannia del presente…» (L. MANICARDI, Raccontami una storia, 25-26.27).
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Anche qui si coglie il bisogno impellente che i giovani hanno di raccontarsi esperienze,
problemi, paure, ignari a volte di non disporre tra coetanei di tutti i mezzi utili ad avanzare.
Parlano i due pellegrini che lasciano la città santa e gli altri amici, ma non come chi parla al vento.
Questa parola è suono che qualcuno riesce ad ascoltare…
La grazia del camminare insieme: vincere la solitudine e lo smarrimento dei giovani
Lc 24,15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con
loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi
discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?».
Il racconto lucano presenta una complicazione per via dell’apparizione di un terzo personaggio,
Gesù, che innesca la tensione drammatica del processo di riconoscimento. Mentre il lettore ne
conosce l’identità, i due discepoli la ignorano. Il Risorto, che è lo straniero per eccellenza, il
pellegrino che si lascia trovare mentre è vicino (cfr. Is 55,6) ed itinera lungo i nostri sentieri, in
cerca della pecora (cfr. Lc 15,4-7), della dracma (cfr. Lc 15,8-10) e dei figli (cfr. Lc 15,11-32)
smarriti, si fa loro compagno di viaggio, anche se “in borghese”. I loro occhi, però, non vedono o
meglio non sanno riconoscere e senza riconoscenza, si smarrisce anche la conoscenza del Maestro
e non è possibile il suo riconoscimento. Gli occhi dei discepoli sono chiusi alla fede, «incapaci di
leggere la storia alla luce della fede»17.
La pedagogia del Risorto sarà allora proprio quella di aiutarli a riconoscerlo, riaccendendo
gradualmente la memoria del cuore. Egli si accosta invitandoli a raccontarsi perché possano tirare
fuori il loro dolore e consegnarlo. Li stimola ulteriormente all’arte del racconto che permette di
dire, di dirsi e di dare senso. La narrazione, infatti, implica, per ogni persona e soprattutto per i
giovani, il coinvolgimento di tutte le facoltà personali alla ricerca dell’unità, della forma e del
senso, che spesso si nascondono nei dettagli della storia o nello sguardo di chi accoglie il racconto,
offrendo il suo tempo, donando se stesso. Essere attesi dallo sguardo di un altro è proprio per ogni
giovane la base per approdare a una comprensione nuova del proprio esistere e della propria
chiamata nella storia.
La grazia di raccontare e raccontarsi: intercettare gioie e dolori dei giovani
Lc24,17Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Cleopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero
a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli
risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti
a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per
farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe
liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma
alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo
trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano
17 L. MANICARDI, Raccontami una storia, 192.
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che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le
donne, ma lui non l’hanno visto».
Il pellegrino viene scambiato per uno straniero18 ignaro dei fatti. Egli allora sta al gioco e chiede
delucidazioni. Finge non per mentire, ma per guarire. Non vuole giocare con loro, ma aiutarli ad
esternare l’amarezza e riaccendere la memoria. Allora per liberarli dal senso di delusione, libera la
domanda: «Che cosa è successo?» e i due si fermano e mostrano la loro tristezza19 che incontra
finalmente un “luogo” dove poter essere depositata, consegnata: l’orecchio, il cuore, il tempo di
quel pellegrino.
La Christus vivit sottolinea la qualità dell’ascolto del Risorto e offre questo esempio come
prototipo a chiunque si accosti ai giovani per accompagnarli:
La prima sensibilità o attenzione è alla persona. Si tratta di ascoltare l’altro che ci sta
dando sé stesso nelle sue parole. Il segno di questo ascolto è il tempo che dedico
all’altro. Non è una questione di quantità, ma che l’altro senta che il mio tempo è suo:
il tempo di cui ha bisogno per esprimermi ciò che vuole. Deve sentire che lo ascolto
incondizionatamente, senza offendermi, senza scandalizzarmi, senza irritarmi, senza
stancarmi. Questo ascolto è quello che il Signore esercita quando si mette a
camminare accanto ai discepoli di Emmaus e li accompagna per un bel pezzo lungo una
strada che andava in direzione opposta a quella giusta (cfr Lc 24,13-35)20.
Alla domanda del pellegrino uno dei due, l’unico di cui si conosca il nome, Cleopa, imbastisce un
racconto sintetico del ministero di Gesù e della loro sequela, segnata dal ritmo della speranza, una
speranza che però la crocifissione ha spento del tutto e che i racconti della tomba vuota non sono
riusciti ad alimentare. Parla di Gesù di Nazaret, senza sapere che egli è suo compagno di viaggio.
Riprende le grandi tappe della sua vita: nome, luogo di origine, ministero, passione, identità dei
suoi avversari, tipo di morte. Identifica Gesù a «un profeta potente», solidarizza con i sommi
sacerdoti che chiama «nostri», parla di una pasqua priva di risurrezione cui fa cenno solo
rimandando a delle ipotesi (che i due non hanno voluto verificare) e termina con una speranza
naufragata nell’assenza di colui che era stato riconosciuto come un potenziale liberatore.
Cleopa allude a una storia ben precisa, senza però collegarla alla storia sacra. Richiama alla
mente, ma non risveglia la memoria. Sa parlare di Gesù, ma senza evangelizzare. Narra un vangelo
senza gioia e coinvolgimento emotivo, un resoconto cronachistico che lascia indifferenti21.
Cleopa somiglia a molti giovani di oggi che conoscono Cristo solo “per sentito dire”, che lo
nominano solo perché parte di una narrazione familiare trasmessa per via di «carne e sangue» e
non «per la potenza dello Spirito», che lo sentono morto o troppo lontano dalla loro esistenza così
18 Il verbo che Luca mette sulle labbra di Cleopa è paroikéō che indica la situazione di provvisorietà e di
estraneità del suo interlocutore, il fatto di dimorare in una terra straniera, come Abramo che «soggiornò (cioè si stabilì
come straniero) nella terra promessa come in una regione straniera» (Eb 11,9).
19 «Lo stato della loro “salute spirituale” traspare dai riflessi somatici: “scuri in volto”, “occhi impediti”. Sono
simbolicamente in una situazione di morte. Il loro stesso racconto riguardante Gesù appare come un necrologio, una
triste cronaca» (L. MANICARDI, Raccontami una storia, 192-193).
20 FRANCESCO, Christus vivit n. 292.
21 Dopo il primo momento in cui si mostra alquanto evasivo, Cleopa si lancia nel racconto e «dà il via alla sua
esposizione, che non è un semplice resoconto dei fatti, ma un’evidente presa di posizione circa Gesù, il suo operato e la
sua sorte: riferisce di un passato ormai finito (vv. 19-20), denuncia un futuro disatteso (v. 21), approda su un presente
segnato dallo sconcerto e dal dubbio (vv. 22-24). Quello che manca non è la ricchezza del vissuto, ma un criterio che gli
dia senso, come dimostra il brusco intervento del Risorto» (G. BONIFACIO, «Emmaus e il secondo annuncio, 34).
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lontana dal gergo con cui comunemente si narra la fede, un gergo che rigettano perché
moralistico, volto più a castigare che ad animare e a vivificare.
La grazia della comprensione della Pasqua: appassionare i giovani alle Scritture
Lc 24,25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non
bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando
da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Solo dopo che i due di Emmaus hanno fatto l’autodiagnosi della loro perdita di speranza il
forestiero interviene e prende la parola. Dopo aver ascoltato e aver permesso loro di estrarre tutta
l’amarezza e il non senso, rimprovera i due di mancare di intelligenza e di sentimenti per aver
creduto alla parola dei profeti. I profeti avevano parlato della prova come costante della vita
umana e del Dio che salva non dalle prove, ma all’interno delle prove e inizia a leggere le Scritture
profetiche, mostrando l’intima connessione tra queste e la sua vita. Lo sconosciuto denuncia la
loro fatica di cogliere il filo rosso della storia della salvezza e inaugura un’esposizione cristologica
delle Scritture: il Messia annunciato dai profeti ama gli asini e non i cavalli, elimina i carri e l’arco di
guerra (cfr. Zc 9,9), è compassionevole verso il dolore e la sofferenza umana (cfr. Is 53,4).
Formando i discepoli alla sequela, il Maestro aveva parlato della sua passione come via per
accedere alla gloria. Perciò il forestiero li scuote perché dall’essere ripiegati sulla fine di una storia
si aprano al germogliare di una creazione nuova. È una narrazione ossigenata la sua che va oltre la
lettera per coglierne lo Spirito e che illumina gli occhi del cuore. La Pasqua si può comprendere
solo alla luce delle Scritture d’Israele che contengono una pedagogia dell’umano che si realizza
pienamente in Cristo: «la parola del comando orienta, la parola profetica interviene per cambiare,
la parola sapienziale legge la storia. Gesù non è nella tomba, dietro una pietra che chiude il
passato, ma nelle Scritture gravide di speranza e portatrici di futuro che egli solo è venuto a
compiere (cfr. Lc 4,21)»22.
Gesù conferma le parole della Scrittura, mettendone in luce il loro sensus plenior23: l’eventoCristo, cioè tutti gli eventi connessi alla sua persona, conferma l’agire salvifico del Dio di Israele nel
passato, segno che la sua morte di Croce è la consegna piena di Dio all’uomo e combacia con
l’intenzionalità originaria di Dio di donare all’uomo tutto se stesso in un amore che va fino alla
fine.
Il Risorto insegna ad ogni educatore ed educatrice, ad ogni padre e madre spirituale, l’arte di
comunicare con larghezza la Parola che nutre il cuore e di aiutare la persona a loro affidata «a
decifrare il linguaggio che Dio usa verso di lei e a scoprire negli eventi della vita la parola di Dio per
lei»24. I giovani in tal modo si sentono adottati da qualcuno che li ama e sa donare loro il suo
tempo, che sa consegnare loro parole di senso, che li fa volgere verso un Altro, il Padre, e li aiuta a
vedersi nell’unità e non più nella dispersione, a vedersi con gli occhi di Dio e a tessere la propria
storia con il tessuto della Chiesa, per non rimanere individui ma un organismo vivo, comunitario.
22 R. MANES, «Il cielo si aprì». Il Dio misericordioso e tenero di Luca, Cittadella, Assisi 2015, 149.
23 «è importante rilevare la costante connessione fra la comprensione delle Scritture e la croce… La Croce non è
predetta dalla Scritture ma è “conforme” ad esse. V’è una circolarità ermeneutica: le Scritture rinviano a Cristo e Cristo
rinvia alle Scritture. Nel prisma della Pasqua i discepoli comprendono Gesù alla luce delle Scritture, ma anche le
Scritture alla luce di Gesù» (M. CRIMELLA, Luca. Introduzione, traduzione e commento, San Paolo, Cinisello Balsamo
(Mi) 2015, 371).
24 M.I. RUPNIK, Nel fuoco del roveto ardente. Iniziazione alla vita spirituale, Lipa, Roma 1996, 62012, 97.
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La grazia di riconoscere il Vivente: insegnare ai giovani l’arte del discernimento
Lc 24,28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più
lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto».
Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione,
lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.
L’ermeneutica di Gesù esercita un tale fascino sui due discepoli di Emmaus che, pur essendo
giunti a destinazione, non possono più staccarsi dallo straniero. Egli fa come per andarsene e i due
reagiscono e lo invitano a restare: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al
tramonto» (Lc 24,29). Lo invitano così a restare e a condividere il pasto con loro, momento sacro
per la cultura orientale per rifare le forze e consolidare il vincolo di amicizia.
La Christus vivit ricorda la potenza della convivialità o ospitalità che il Nuovo Testamento
chiama filoxenía (cfr. Rm 12,13; Eb 13,2): «Quando Gesù fa come se dovesse proseguire perché
quei due sono arrivati a casa, allora capiscono che aveva donato loro il suo tempo, e a quel punto
gli regalano il proprio, offrendogli ospitalità. Questo ascolto attento e disinteressato indica il
valore che l’altra persona ha per noi, al di là delle sue idee e delle sue scelte di vita»25.
Dopo aver ricevuto in dono il tempo di quello straniero, i due discepoli desiderano donare il
proprio: resta con noi è, al tempo stesso, una richiesta e un’offerta. È chiedere aiuto e,
contemporaneamente, dimenticarsi di sé per mettere al centro l’altro. È incominciare a sentire il
sapore del dono e il senso del proprio stare al mondo.
Il pellegrino accetta e la sua presenza, le sue parole e i suoi gesti provocano un forte
impatto. Gli occhi si aprono e lo riconoscono: «dinanzi a loro non vi è più un ospite sconosciuto,
ma quel crocifisso che la tomba non è riuscita a trattenere e che per restare con i suoi si è fatto
parola e pane»26. La fractio panis libera tutta la fragranza del dono di Cristo che scompare ma
accende nei due il fuoco della fede, con il quale possono scaldare il gelo della vita ed infiammare il
mondo.
Alla luce della Parola di Dio letta in chiave cristologica27 inizia l’arte del discernimento, la
capacità di fiutare la presenza del Risorto nella storia e nella propria vicenda esistenziale e di
sperimentarla, in comunione con i fratelli, all’interno della celebrazione liturgica che permette di
accedere sin d’ora alla vita del Regno, alla gloria destinata ai figli.
La grazia del cuore ardente: formare i giovani all’annuncio gioioso
Lc 24,31Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro
cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono
senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano
con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi
i
25 FRANCESCO, Christus vivit, n. 292.
26 R. MANES, «Il cielo si aprì», 150.
27 Nelle Scritture spiegate da Cristo che ne è la chiave si trova «il modo di trarre le fila delle diversissime
esperienze umane, nel campo del bene e della verità, per riunificarle in un quadro coerente in cui l’annuncio della
Risurrezione appaia come il sigillo di Dio su un disegno di salvezza e non come un evento strano e inaspettato» (C.M.
MARTINI, L’evangelizzatore in san Luca, Ancora, Milano 2000, 153).
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Prima ancora che si aprissero gli occhi, il cuore aveva già iniziato a scaldarsi e a risvegliarsi,
alimentando quel fuoco che il Cristo è venuto a gettare sulla terra (cfr. Lc 12,49) e la cui fiamma si
propagherà a partire dall’evento dell’effusione dello Spirito a Pentecoste (cfr. At 2,3) come
potenza di Dio che divampa nella predicazione della Parola. Il fuoco ha sempre nelle Scritture una
coloritura teofanica, è cioè un elemento che nel racconto biblico dice l’irruzione di Dio (cfr. Es 3,2)
e la natura del suo amore (cfr. Ct 8,6).
Il Risorto appicca un fuoco nel cuore dei suoi, ma lui non è più visibile, perché egli non è quel
viandante: è il Risorto che vive e si fa sperimentare vivo nella vita stessa di chi crede in lui. Egli è
assente perché «non è più legato all’orizzonte terreno, non è più palpabile, visibile in maniera
fisica; eppure è ancora realmente presente e sperimentabile»28. Inoltre c’è un’importante
pedagogia che il Risorto dispiega come afferma la Christus vivit che ci ricorda che chi accompagna i
giovani deve «scomparire come scompare il Signore dalla vista dei suoi discepoli, lasciandoli soli
con l’ardore del cuore, che si trasforma in impulso irresistibile a mettersi in cammino»29.
È il segno sacramentale che permette di riconoscere il Signore non come uno di fuori che si
può vedere, ma come uno che abita dentro e scalda il cuore. Il riconoscimento del Risorto
trascende l’empiria superficiale: è un’esperienza di fede! Luca gioca sul contrasto tra gli occhi
“impediti” (v. 16) e gli occhi “spalancati” (v. 31). Tra le due situazioni irrompe la fede: «la presenza
del Signore è accessibile tramite la Parola ascoltata, tramite il pane spezzato e, più in generale, per
mezzo della fede»30.
Ed è proprio a partire dalla fede che si compie la trasformazione interiore dei discepoli che
non sono più prigionieri di segni miracolosi. Il gesto del pane spezzato, infatti, «allontana
definitivamente l’attesa idolatrica dei segni e permette ai discepoli di dire l’essenziale – la loro
trasformazione interiore all’ascolto della sua parola sulle Scritture – senza rattristarsi per la sua
scomparsa»31. Il binomio Parola-Pane eucaristico trasfigura il senso della sequela vissuta e
permette di riprendere la strada per tornare dai compagni e annunciare loro che il Maestro è vivo
e a farsi pane per loro32.
I discepoli passano così dall’abbattimento allo slancio, dal bisogno di vedere i segni al
desiderio di ascoltare e annunciare la parola, dall’attesa di un messia foriero di rivoluzione politica
o sociale e capace di spazzare via da Israele ogni presenza ostile all’accoglienza del dono d’amore
di Cristo che spinge a tornare a Gerusalemme, in mezzo agli altri, alla nuova famiglia dei credenti
in Cristo, nel clima fecondo e gioioso della lode e della comunione.
La Scrittura rimane sigillata senza la luce che promana dall’evento della morte e risurrezione
di Cristo e senza narratori, testimoni capaci cioè di attraversare la storia “sacramentalmente”,
28 G. RAVASI, I Vangeli, EDB, Bologna 2016, 431.
29 FRANCESCO, Christus vivit, n. 296.
30 M. CRIMELLA, Luca, 367.
31 J.-N. ALETTI, L’arte di raccontare Gesù Cristo, 162.
32
«Perché il Risorto sia veramente presente, non basta la partecipazione al rito. Questo diventa portatore di vita
se riesce a trasformare anche i commensali in pane che si spezza per i fratelli» (V. PASQUETTO, «L’apparizione del
Risorto ai discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)», 439).
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
aprendola a Dio e vivificandola attraverso il loro pellegrinaggio pieno di zelo e dedizione e la loro
parola incisiva e gravida di Spirito Santo.
Il Maestro è vivo e chiede ai giovani, che sono “la promessa del Padre”, di seguirlo lungo le
vie del mondo, non come individui che rifuggono nelle proprie sicurezze o nel benessere
personale, ma come comunione di fratelli e sorelle che sanno nutrire la memoria dell’incontro con
Cristo e ravvivarla mediante la preghiera, la testimonianza, la forza dei sacramenti e degli affetti e
che sanno accogliere «ali come aquile» per collaborare alla corsa di una Parola (cfr. 2Ts 3,1) che
non subisce mai battute d’arresto perché eterna.
Lc 24,13-35, capolavoro catechetico e didattico, invita noi formatori e accompagnatori a
lasciarci lavorare dallo Spirito per generare i giovani alla vita filiale di Cristo che si compie nel dono
di sé. Invita inoltre i giovani a scoprire la bella esperienza di affrontare il pellegrinaggio della vita
sapendosi sempre accompagnati33 in una pastorale feconda perché intesa come un processo
rispettoso, paziente, fiducioso e compassionevole34 e a sentirsi destinatari di una grande
attenzione e di un ascolto profondo35 che li renda capaci di udire il battito del Padre che, nel cuore
del Figlio, palpita per loro di amore eterno.
SOMMARIO
L’articolo propone una lettura narrativa del racconto di Emmaus (Lc 24,13-35) che privilegia il
tema del «viaggio» come metafora della vita e offre una serie di indicazioni preziose per ripensare
la necessità e l’urgenza di avviare i giovani all’arte del discernimento. Attraverso la prossimità
tipica di un accompagnamento che si realizza come un processo graduale e che contempla la
possibilità di una reale esperienza di generazione spirituale, il contatto con la Parola contenuta
nelle Scritture e rivelatrice di senso e l’esperienza sacramentale all’interno di un contesto
ecclesiale che testimoni un’alta qualità dei rapporti e di comunione, è offerta ai giovani
l’opportunità di coltivare sogni e desideri grandi e di aprirsi serenamente al futuro, sentendosi
depositari di una chiamata al dono di sé, a cui dare carne giorno per giorno.

Catechesi e Annuncio

Catechesi e Annuncio

Una parola per la tua vita

L’estate è finita, il sole a mezzogiorno è ancora caldo ma l’aria si fa già frizzante. Ottobre segna l’arrivo dell’autunno, sebbene alcune zone abbiano temperature ancora miti, le piogge e il freddo sono ormai arrivati.

Questo è il momento per ripulire per bene l’orto da tutte le coltivazioni estive ormai finite. Estirpare le piante, vangare il terreno, concimarlo con un buon compost e procedere con la semina delle nuove piantine.

Siamo in tempo di semina: bisogna preparare la vigna, dissodare la terra, stare attenti alla manutenzione del vigneto e prepararlo all’anno successivo. Ottobre infatti sarà il mese giusto per pianificare lo spazio per le semine d’autunno.

Insomma, è un bell’impegno! C’è da ripulire per bene da tutte le coltivazioni estive ormai finite, estirpare le piante, vangare il terreno, concimare.

C’è tanto da fare in questo mese di Ottobre! Anche nella vigna del Signore bisogna preparare, concimare, dissodare il terreno per preparare il cuore a d accogliere questo seme della Parola di Dio che viene a fare nuove tutte le cose!

Per questo anche il campo di Dio è pronto per ricevere il seme della speranza che potrà germogliare a suo tempo, dando frutti abbondanti!

Nella vigna del Signore ci sono tutti questi preparativi da fare: prepararsi all’Annuncio della Buona Notizia per tutti!

Ottobre è il mese missionario per eccellenza, per questo si è pensato di seminare in abbondanza la Parola di Dio, attraverso un ciclo di catechesi che inizieranno il 16 Ottobre 2023 presso la Parrocchia d Santa Maria degli Angeli in Assisi.

Si parla di ” un ristoro” in questo passo del Vangelo di Matteo 11,28 che sembra proprio come un vero e proprio seme concimato nelle zolle di un cuore: pare tacere ma poi, piano piano, timidamente, è già pronto per venire alla luce.

Progressivamente, spunta fuori.

Occorre preparare, però, bene la terra, predisporsi, affinchè questo semino, che è l’Annuncio della Parola di Dio si depositi nelle persone. Crescendo, piano piano, questi germoglia, fino a dare “ristoro”, sollievo, speranza..”

Venite a me”, dice il Signore, venite, cioè, ad ascoltare questo Annuncio, prepara il tuo cuore, estirpa quelle piante che ti impediscono di dissodare la tua anima, per accogliere questo piccolo, grande, seme di speranza, questa Parola di Dio, attraverso dei testimoni che ti annuncino come e dove puoi, nella vita, trovare questo ” ristoro” che tanto cerchi nella vita ma che forse ancora non hai ancora trovato!

Lo Stile Evangelico

Non si tratta di un annunzio generico a grande diffusione, ma è tremendamente incarnato: ci si espone personalmente, si incontrano delle persone, si porta una parola di pace, perché “il Regno di Dio è giustizia, pace e gioia nello Spirito santo” (Rm 14,17). E chi annuncia non vanta meriti, non avanza pretese ma gioisce nel vedere all’opera la grazia di Dio.

“Il Regno di Dio si è avvicinato a voi”: questo si compie in Gesù, il Veniente ora e sempre. Il Dio che salva, il Dio che porta vita, speranza dove non c’è più futuro.

Questo annuncio non è neutrale, non lascia tutto come prima. Accoglierlo vuol dire porsi su una via di vita!

Dal 16 Ottobre 2023 Catechesi per giovani e adulti

Ogni Lunedì e Giovedì A Santa Maria degli Angeli in Assisi alla ore 20.45

Centro Pastorale Parrocchiale, via Capitolo delle stuoie

Vieni e Vedi!

ANDATE ED ANNUNCIATE

ANDATE ED ANNUNCIATE

OTTOBRE MISSIONARIO

Fede e testimonianza in Assisi

“Se in uno stadio, in una notte buia, una persona accende una luce, si intravvede appena, ma se gli oltre settantamila spettatori accendono ciascuno la propria luce, lo stadio si illumina. Facciamo che la nostra vita sia una luce di Cristo; insieme porteremo la luce del Vangelo all’intera realtà.”

Dal libro: EVANGELII GAUDIUM. ESORTAZIONE APOSTOLICA

Citazioni per incoraggiare all’annuncio evangelico

  • “Un evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale!”
    PAPA FRANCESCO
  • Spesso ci accontentiamo di qualche preghiera, di una Messa domenicale distratta e non costante, di qualche gesto di carità, ma non abbiamo questo coraggio di “uscire” per portare Cristo. (Catechesi del Santo Padre in occasione dell’Udienza Generale, 27/03/2013 PAPA FRANCESCO)
  • “Lo Spirito Santo ci insegna, ci ricorda, e ci fa parlare, con Dio e con gli uomini. Non ci sono cristiani muti, muti di anima.” (Omelia del Santo Padre nella Cappella Papale nella Solennità di Pentecoste, 08/06/2014) PAPA FRANCESCO
  • “Quando una persona conosce veramente GesùCristo e crede in Lui, sperimenta la sua presenza nella vita e la forza della sua Risurrezione, e non può fare a meno di comunicare questa esperienza. E se questa persona incontra incomprensioni o avversità, si comporta come Gesù nella sua Passione: risponde con l’amore e con la forza della verità.”
  • (Discorso pronunciato prima della recita del Regina Caeli, 14/04/2013) PAPA FRANCESCO
  • “Se in uno stadio, in una notte buia, una persona accende una luce, si intravvede appena, ma se gli oltre settantamila spettatori accendono ciascuno la propria luce, lo stadio si illumina. Facciamo che la nostra vita sia una luce di Cristo; insieme porteremo la luce del Vangelo all’intera realtà.”
  • (Catechesi del Santo Padre in occasione dell’Udienza Generale, 12/06/2013)PAPA FRANCESCO
  • Uscite nelle strade a evangelizzare, annunciando il Vangelo. Ricordate che la Chiesa è nata “in uscita”, quella mattina di Pentecoste. Avvicinatevi ai poveri e toccate nella loro carne la carne ferita di Gesù. Lasciatevi guidare dallo Spirito Santo, con libertà.
  • Incontro con i partecipanti al Raduno promosso dal Rinnovamento nello Spirito Santo allo Stadio Olimpico di Roma, 01/06/2014PAPA FRANCESCO
  • “Camminare è aprire frontiere, uscire, aprire porte e cercare strade. Camminare… Non stare seduti; non installarsi, nel cattivo senso della parola. E’ vero, c’è bisogno di organizzare cose, ci sono lavori che esigono di stare tranquilli, però con l’anima, con il cuore e la testa camminare e cercare.”
  • Discorso del Santo Padre in occasione dell’Udienza ai partecipanti al Capitolo Generale dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria (Clarettiani), 11/09/2015 PAPA FRANCESCO
  • “E’ lo Spirito che ci fa fare la strada della memoria vivente della Chiesa. E questo chiede da noi una risposta: più la nostra risposta è generosa, più le parole di Gesù diventano in noi vita, diventano atteggiamenti, scelte, gesti, testimonianza. In sostanza lo Spirito ci ricorda il comandamento dell’amore, e ci chiama a viverlo.”
  • Omelia del Santo Padre nella Cappella Papale nella Solennità di Pentecoste, 08/06/2014PAPA FRANCESCO.
  • “Seminiamo e diamo testimonianza. La testimonianza è l’inizio di un’evangelizzazione che tocca il cuore e lo trasforma. “Le parole senza testimonianza non vanno, non servono! La testimonianza è quella che porta e dà validità alla parola”.
  • “Discorso del Santo Padre durante l’Udienza ai partecipanti all’Incontro internazionale “Il progetto pastorale di Evangelii gaudium”, 19/09/2014PAPA FRANCESCO
  • “La missione evangelizzatrice della Chiesa è essenzialmente annuncio dell’amore, della misericordia e del perdono di Dio, rivelati agli uomini mediante la vita, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo.”
  • Omelia del Santo Padre durante la Santa Messa di ringraziamento per la canonizzazione equipollente dei santi canadesi Francesco de Laval e Maria dell’Incarnazione Guyart Martin, 12/10/2014 PAPA FRANCESCO
  • “Il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano.”
    PAPA FRANCESCO
  • “La missione di sempre: portare GesùCristo all’uomo e condurre l’uomo all’incontro con GesùCristoVia, Verità e Vita, realmente presente nella Chiesa e contemporaneo in ogni uomo.
  • ”Discorso del Santo Padre durante l’Udienza al Collegio Cardinalizio, 15/03/2013 PAPA FRANCESCO
  • “La fede nasce dall’ascolto, e si rafforza nell’annuncio.”
  • Omelia del Santo Padre nella Santa Messa celebrata nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, 14/04/2013 PAPA FRANCESCO
  • “Noi tutti siamo semplici, ma importanti strumenti [di evangelizzazione]; abbiamo ricevuto il dono della fede non per tenerla nascosta, ma per diffonderla, perché possa illuminare il cammino di tanti fratelli.”
  • Discorso del Santo Padre durante l’Udienza ai partecipanti all’Assemblea Generale delle Pontificie Opere Missionarie, 17/05/2013 PAPA FRANCESCO
  • “Evangelizzare, annunciare Gesù, ci dà gioia; invece, l’egoismo ci dà amarezza, tristezza, ci porta giù; evangelizzare ci porta su.”
  • Catechesi del Santo Padre in occasione dell’Udienza Generale, 22/05/2013 PAPA FRANCESCO
  • “Siate uomini di frontiera, con quella capacità che viene da Dio. Ma non cadete nella tentazione di addomesticare le frontiere: si deve andare verso le frontiere e non portare le frontiere a casa per verniciarle un po’ e addomesticarle.”
  • Discorso del Santo Padre durante l’Udienza alla Comunità degli Scrittori de “La Civiltà Cattolica”, 14/06/2013 PAPA FRANCESCO.
  • “Una Chiesa che si chiude in se stessa e nel passato, una Chiesa che guarda soltanto le piccole regole di abitudini, di atteggiamenti, è una Chiesa che tradisce la propria identità. […] La Chiesa è apostolica perché preghiamo e perché annunciamo il Vangelo con la nostra vita e con le nostre parole.”
  • Catechesi del Santo Padre in occasione dell’Udienza Generale, 16/10/2013 PAPA FRANCESCO
  • “L’evangelizzazione, nel nostro tempo, sarà possibile soltanto per contagio di gioia.”
  • Messaggio del Santo Padre per la XXIX Giornata Mondiale della Gioventù del 13 Aprile 2014, 06/02/2014 PAPA FRANCESCO
  • “La Chiesa ha bisogno del vostro coraggio, per annunciare il Vangelo in ogni occasione opportuna e non opportuna, e per dare testimonianza alla verità. ”
  • Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di 19 nuovi Cardinali, 22/02/2014 PAPA FRANCESCO
  • “Non lesinate sforzi per aprire nuove vie al Vangelo, che raggiungano il cuore di tutti, affinché le persone scoprano quello che già alberga nel loro intimo: Cristo come amico e fratello.”
  • Discorso del Santo Padre in occasione della visita “Ad Limina Apostolorum” dei Presuli della Conferenza Episcopale di Spagna, 03/03/2014 PAPA FRANCESCO
  • “Non fermarsi: andare! Andare per le strade delle vostre città e dei vostri Paesi, e annunciare che Dio è Padre e che Gesù Cristo ve lo ha fatto conoscere, e per questo la vostra vita è cambiata: si può vivere da fratelli, portando dentro una speranza che non delude.”
  • Discorso del Santo Padre in occasione dell’Udienza all’Azione Cattolica Italiana, 03/05/2014 PAPA FRANCESCO
  • “Non perdete mai lo slancio di camminare per le strade del mondo, la consapevolezza che camminare, andare anche con passo incerto o zoppicando, è sempre meglio che stare fermi, chiusi nelle proprie domande o nelle proprie sicurezze.
  • ”Discorso del Santo Padre in occasione dell’Udienza ai Partecipanti all’Incontro promosso dalla Conferenza Italiana degli Istituti Secolari, 10/05/2014 PAPA FRANCESCO.
  • “Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione! Vi invito ad immergervi nella gioia del Vangelo, ed alimentare un amore in grado di illuminare la vostra vocazione e missione. Vi esorto a fare memoria, come in un pellegrinaggio interiore, del “primo amore” con cui il Signore Gesù Cristo ha riscaldato il cuore di ciascuno”
  • “Qualunque ambiente, anche il più lontano e impraticabile, può diventare luogo dove far fruttificare i talenti. Non ci sono situazioni o luoghi preclusi alla presenza e alla testimonianza cristiana. La testimonianza che Gesù ci chiede non è chiusa, è aperta, dipende da noi.”
  • Discorso pronunciato dal Papa durante l’Angelus in Piazza San Pietro, 16/11/2014 PAPA FRANCESCO
  • “La missione di annunciare Cristo risorto non è un compito individuale: è da vivere in modo comunitario, con il collegio apostolico e con la comunità.
  • ”Omelia del Santo Padre durante la Santa Messa per la Canonizzazione di 4 Beate, 17/05/2015 PAPA FRANCESCO
  • La testimonianza più efficace e più autentica è quella di non contraddire, con il comportamento e con la vita, quanto si predica con la parola e quanto si insegna agli altri! Cari fratelli, insegnate la preghiera pregando; annunciate la fede credendo; date testimonianza vivendo!”
  • Omelia del Santo Padre in occasione della Celebrazione Eucaristica nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29/06/2015 PAPA FRANCESCO
  • Dal libro: APRITE LA MENTE AL VOSTRO CUORE “Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare e insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella Santa Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa resurrezione” PAPA FRANCESCO
  • “Portare il Vangelo è portare la forza di Dio per sradicare e demolire il male e la violenza; per distruggere e abbattere le barriere dell’egoismo, dell’intolleranza e dell’odio; per edificare un mondo nuovo.”
  • Omelia del Santo Padre durante la Santa Messa per la chiusura della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, 28/07/2013 PAPA FRANCESCO
  • “A chi è cristiano compete sempre questa testimonianza evangelica: proteggere la vita con coraggio e amore in tutte le sue fasi. Vi incoraggio a farlo sempre con lo stile della vicinanza, della prossimità: che ogni donna si senta considerata come persona, ascoltata, accolta, accompagnata.”
  • Discorso del Santo Padre in occasione dell’Udienza al Movimento per la Vita italiano, 11/04/2014 PAPA FRANCESCO
  • “Non abbiate paura della gioia! Quella gioia che ci dà il Signore quando lo lasciamo entrare nella nostra vita, lasciamo che Lui entri nella nostra vita e ci inviti ad andare fuori noi alle periferie della vita e annunciare il Vangelo. Non abbiate paura della gioia. Gioia e coraggio!”
  • Discorso pronunciato dal Papa durante l’Angelus in Piazza San Pietro, 07/07/2013 PAPA FRANCESCO
  • “Essere Chiesa non significa gestire, ma uscire, essere missionari, portare agli uomini la luce della fede e la gioia del Vangelo.”
  • Discorso del Santo Padre in occasione della visita “Ad Limina Apostolorum” dei Presuli della Conferenza Episcopale dell’Austria, 30/01/2014 PAPA FRANCESCO.
  • “Uscire, partire, non vuol dire dimenticare. La Chiesa in uscita custodisce la memoria di ciò che nel Cenacolo è accaduto; lo Spirito Paraclito le ricorda ogni parola, ogni gesto, e ne rivela il senso.”
  • Omelia del Santo Padre durante la Santa Messa con gli Ordinari di Terra Santa al Cenacolo (Terra Santa), 26/05/2014 PAPA FRANCESCO
  • “Segno evidente della cattolicità della Chiesa è che essa parla tutte le lingue. E questo non è altro che l’effetto della Pentecoste: è lo Spirito Santo, infatti, che ha messo in grado gli Apostoli e la Chiesa intera di far risuonare a tutti, fino ai confini della terra, la Bella Notizia della salvezza e dell’amore di Dio.”
  • Catechesi del Santo Padre in occasione dell’Udienza Generale, 17/09/2014PAPA FRANCESCO
  • “Tutti noi battezzati, figli della Chiesa, siamo chiamati ad accogliere sempre nuovamente la presenza di Dio in mezzo a noi e ad aiutare gli altri a scoprirla, o a riscoprirla qualora l’avessero dimenticata. Si tratta di una missione bellissima, simile a quella di Giovanni Battista: orientare la gente a Cristo – non a noi stessi”!
  • Discorso pronunciato dal Papa durante l’Angelus in Piazza San Pietro, 14/12/2014 PAPA FRANCESCO.
  • “Attraverso il nostro Battesimo, siamo chiamati ad essere evangelizzatori e a testimoniare la buona novella di Gesù ovunque ci troviamo. Ma siamo chiamati anche ad andare oltre, ad essere una comunità evangelizzatrice, anche se questo può voler semplicemente dire aprire le porte delle nostre case e far entrare i nostri vicini.”Discorso del Santo Padre in occasione della Visita “ad Limina Apostolorum” dei Presuli della Conferenza Episcopale del Giappone, 20/03/2015 PAPA FRANCESCO.
  • “La pace sia con voi”. Sono le parole con le quali Gesù risorto salutò i suoi discepoli quando apparve in mezzo a loro nel Cenacolo, la sera di Pasqua. È Lui, il Signore, nostra forza e nostra speranza, che ci dona la sua pace, perché la accogliamo nel nostro cuore e la diffondiamo con gioia e con amore.
  • Video-messaggio di Papa Francesco alla vigilia del Viaggio Apostolico a Sarajevo (Bosnia ed Erzegovina), 02/06/2015 PAPA FRANCESCO
  • “Quando siamo stanchi o ci diventa pesante il compito di evangelizzare, è bene ricordare che la vita che Gesù ci offre risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per l’amicizia con Gesù e per l’amore fraterno.”
  • Omelia del Santo Padre durante la Santa Messa a Ñu Guazú di Asunción – Viaggio Apostolico in Ecuador, Bolivia e Paraguay, 12/07/2015 PAPA FRANCESCO
  • Dal libro: EVANGELII GAUDIUM. ESORTAZIONE APOSTOLICA “Gesù vuole evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole, ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio.”
    PAPA FRANCESCO
  • “Non cediamo mai al pessimismo, a quell’amarezza che il diavolo ci offre ogni giorno; non cediamo al pessimismo e allo scoraggiamento: abbiamo la ferma certezza che lo Spirito Santo dona alla Chiesa, con il suo soffio possente, il coraggio di perseverare e anche di cercare nuovi metodi di evangelizzazione, per portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra”
  • Discorso del Santo Padre durante l’Udienza al Collegio Cardinalizio, 15/03/2013 PAPA FRANCESCO
  • “Si può pensare che l’evangelizzazione dobbiamo programmarla a tavolino, pensando alle strategie, facendo dei piani. Ma questi sono strumenti, piccoli strumenti. L’importante è Gesù e lasciarsi guidare da Lui. Poi possiamo fare le strategie, ma questo è secondario.”
  • Risposta alle domande poste dai fedeli in occasione della veglia di Pentecoste con i movimenti, le nuove comunità, le associazioni e le aggregazioni laicali, 18/05/2013 PAPA FRANCESCO
  • “A volte sembra che si ripeta oggi quello che è accaduto a Babele: divisioni, incapacità di comprendersi, rivalità, invidie, egoismo. […] Portare il Vangelo è annunciare e vivere noi per primi la riconciliazione, il perdono, la pace, l’unità e l’amore che lo Spirito Santo ci dona. ”
  • Catechesi del Santo Padre in occasione dell’Udienza Generale, 22/05/2013PAPA FRANCESCO
  • “La diffusione del Vangelo non è assicurata né dal numero delle persone, né dal prestigio dell’istituzione, né dalla quantità di risorse disponibili. Quello che conta è essere permeati dall’amore di Cristo, lasciarsi condurre dallo Spirito Santo, e innestare la propria vita nell’albero della vita, che è la Croce del Signore.”
  • Omelia del Santo Padre durante la Santa Messa per la “Giornata dei Seminaristi, Novizi, Novizie e di quanti sono in Cammino Vocazionale”, 07/07/2013 PAPA FRANCESCO
  • “La fecondità pastorale, la fecondità dell’annuncio del Vangelo non è data né dal successo, né dall’insuccesso secondo criteri di valutazione umana, ma dal conformarsi alla logica della Croce di Gesù, che è la logica dell’uscire da se stessi e donarsi, la logica dell’amore.”
  • Omelia del Santo Padre durante la Santa Messa per la “Giornata dei Seminaristi, Novizi, Novizie e di quanti sono in Cammino Vocazionale”, 07/07/2013 PAPA FRANCESCO
  • “E’ dalla contemplazione, da un forte rapporto di amicizia con il Signore che nasce in noi la capacità di vivere e di portare l’amore di Dio, la sua misericordia, la sua tenerezza verso gli altri. E anche il nostro lavoro con il fratello bisognoso, il nostro lavoro di carità nelle opere di misericordia, ci porta al Signore”
  • Discorso pronunciato dal Papa durante l’Angelus in Piazza San Pietro, 21/07/2013 PAPA FRANCESCO
  • “La Chiesa ha le sue radici nell’insegnamento degli Apostoli, testimoni autentici di Cristo, ma guarda al futuro, ha la ferma coscienza di essere inviata – inviata da Gesù – , di essere missionaria, portando il nome di Gesù con la preghiera, l’annuncio e la testimonianza.”
  • Catechesi del Santo Padre in occasione dell’Udienza Generale, 16/10/2013 PAPA FRANCESCO
  • “Il Vangelo è il vero antidoto contro la miseria spirituale: il cristiano è chiamato a portare in ogni ambiente l’annuncio liberante che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la vita eterna.
  • ”Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2014, 26/12/2013 PAPA FRANCESCO
  • “Siamo chiamati a diventare nel mondo un Vangelo vivente: con una vita santa daremo “sapore” ai diversi ambienti e li difenderemo dalla corruzione, come fa il sale.
  • Discorso pronunciato dal Papa durante l’Angelus in Piazza San Pietro, 09/02/2014 PAPA FRANCESCO
  • “Bisogna impegnarsi sulla preparazione del terreno, sulla larghezza della semina. Agire come fiduciosi seminatori, evitando la paura di chi si illude che il raccolto dipenda solo da sé, o l’atteggiamento disperato degli scolari che, avendo tralasciato di fare i compiti, gridano che ormai non c’è più nulla da fare.”
  • Discorso del Santo Padre alla Riunione della Congregazione per i Vescovi, 27/02/2014 PAPA FRANCESCO
  • “Una famiglia evangelizzata è un prezioso agente di evangelizzazione, soprattutto perché irradia le meraviglie che Dio ha operato in essa.
  • ”Discorso del Santo Padre in occasione della visita “Ad Limina Apostolorum” dei Presuli della Conferenza Episcopale di Spagna, 03/03/2014 PAPA FRANCESCO
  • “La Parola di Cristo in noi cresce quando noi la proclamiamo, quando noi la diamo agli altri! E questa è la vita cristiana. E’ una missione per tutta la Chiesa, per tutti i battezzati, per tutti noi.”
  • Parole di Papa Francesco durante la recita dell’Angelus, 14/03/2014 PAPA FRANCESCO
Il Figlio Prodigo

Il Figlio Prodigo

In Scena il riadattamento della famosa parabola del Vangelo (Lc. 15,11-32)

I ragazzi della Parrocchia di San Giovanni Battista in Ferro di Cavallo- Perugia, hanno portato in scena la famosa Parabola del Figliol Prodigo tratto dal Vangelo di Luca. Attraverso il teatro, questo gruppo di ragazzi, desiderano lanciare un messaggio d’amore e di speranza rivolto a tutti. L’amore, si sa, è la molla che fa girare il mondo, da sempre, ma c’è un amore più grande di tutti che è l’amore di un padre con la P maiuscola: Dio. Inarrestabile, invincibile, sempre pronto a cercare ovunque e comunque i propri figli e, in generale, l’uomo, il sentimento viscerale tra Dio e la sua creatura, non si arrende davanti a nessun ostacolo, non si scandalizza, spera sempre in una possibilità. In questo caso il Figliol Prodigo, che rappresenta anche ciascun uomo che va per i suoi sentieri e cerca ostinatamente di cavarsela solo con le proprie forze, ritrova poi, tornando indietro sui suoi passi, un accesso privilegiato nel cuore del Padre che lo accoglie a braccia spalancate; infatti Dio, che attende alla porta la sua creatura, spiando in lontananza il suo ritorno verso casa, è sempre misericordia, dolcezza, illimitato perdono e disarmante amore!

Non resta altro che andare a vedere questo coinvolgente Musical che i ragazzi della compagnia di Perugia stanno in questo tempo portando in giro un po’ ovunque: sarà senz’altro una riuscita rappresentazione che seminerà nel cuore del pubblico grandi sentimenti di speranza ricolmi di gratuita testimonianza evangelica.

Rembrandt, il ritorno del figliol prodigo

Esiste anche un famoso dipinto ispirato a una di queste parabole. Si tratta di un quadro a olio su tela del celebre pittore olandese RembrandtRitorno del Figliol Prodigo. Il quadro venne dipinto nel 1668 ed è oggi conservato nel Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo.

Siamo alla fine della parabola, quando il figlio ingrato torna a casa. È vestito di stracci, spezzato nel corpo e nell’anima dai propri vizi e dalle conseguenze dei propri errori. Sta in ginocchio davanti al padre, pentito, consapevole del proprio fallimento e della propria mediocrità, resa ancora più bruciante dalla presenza di quello che con ogni probabilità è suo fratello maggiore, sulla destra della scena, che lo guarda e lo giudica.
Il padre no. Non c’è giudizio nei suoi gesti, non c’è condanna nel suo sguardo che avvolge il figlio più giovane. Solo amore e perdono. I suoi occhi sono quelli di un cieco, come se li avesse consumati per guardare i propri figli, per seguire con apprensione le loro vicissitudini. Un altro dettaglio importante sono le sue mani, posate sulle spalle del figlio inginocchiato: una mano maschile, una femminile, come se nell’amore egli diventasse padre e madre nello stesso tempo. Ancora, il cranio del figlio è rasato, come si conviene a un penitente, ma anche come quello di un neonato. Nell’amore del padre misericordioso, nel suo perdono che va oltre ogni colpa, il giovane rinasce a nuova vita. La luce, che avvolge le due figure centrali, i colori, tutto concorre per esprimere la solennità del momento, la trascendenza quasi mistica che l’amore opera su padre e figlio. Rembrandt, profondamente religioso, trascorse tutta la propria vita tra vizio e redenzione, e forse questo quadro ha voluto essere il suo testamento spirituale e il suo atto di contrizione.

statua gesu misericordioso 30-5 cm resina colorata

Papa Francesco, che ha raccontato la parabola in diverse occasioni, ha ribattezzato il figliol prodigo come il giovane furbo. In effetti a volte si perde di vista il significato del termine prodigo, che non significa ritrovato, come alcuni credono, ma spendaccione! Il Sommo Pontefice ha saputo rendere quanto mai attuale la parabola, portando il giovane figlio ribelle come esempio di tutti i ragazzi che credono di poter prendere la propria strada, ignorando le regole e i consigli dei genitori, salvo poi dover tornare sui propri passi quando le cose si mettono male. E a questo punto interviene il Padre, Dio, che non solo non accusa il figlio ingrato del suo fallimento, ma anzi lo riaccoglie con una grande festa. “Dio è molto buono, approfitta dei nostri fallimenti per parlarci al cuore” ha affermato il Papa, mostrando come anche un fallimento, un errore diventa un’occasione di perdono e amore.

San Luigi Maria Grignion da Montfort

San Luigi Maria Grignion da Montfort

Luigi Maria percorse le regioni occidentali della Francia predicando il mistero della Sapienza eterna, Cristo incarnato e crocifisso, e insegnando ad andare a Gesù per mezzo di Maria. Associò sacerdoti e fratelli alla propria attività apostolica, e scrisse le regole dei Missionari della Compagnia di Maria. Fu proclamato santo da Pio XII il 20 luglio 1947. Tra i suoi scritti si ricordano il “Trattato della vera devozione alla Santa Vergine” e “L’amore dell’eterna Sapienza”.

La formazione spirituale
Secondo dei diciotto figli di Jean-Baptiste (1647-1716), avvocato, e di Jeanne Robert de la Vizeule (1649-1718), Luigi Grignion nasce il 31 gennaio 1673 a Montfort-la-Cane, oggi Montfort-sur-Meu, in Bretagna, nella Francia nordoccidentale. La sua vita, breve secondo i normali criteri di valutazione – morirà a quarantatré anni -, s’iscrive quasi perfettamente entro i limiti cronologici (1680-1715) del periodo trattato dallo storico Paul Hazard (1878-1944) nella sua opera sulla crisi della coscienza europea, cioè l’epoca dei razionalisti e dei libertini, del deismo e del giansenismo, dell’attacco contro le credenze tradizionali, soprattutto in Francia. L’aver intuito l’esistenza di un’unità di fondo di queste correnti e tendenze è il grande merito di Montfort, che si dedicherà alla riconquista delle anime con ardente carità missionaria.
Egli riceve la prima educazione in una famiglia profondamente cristiana e manifesta molto presto attenzione alla vita interiore, vocazione all’apostolato e una tenera devozione alla Santa Vergine, espressa anche con l’aggiunta del nome di Maria a quello di Luigi in occasione della Cresima. Compie quindi gli studi umanistici e filosofici nel collegio San Tommaso Becket di Rennes, tenuto dai padri gesuiti, dove stringe amicizia con il futuro canonico Jean-Baptiste Blain (1674-1751), che ha lasciato una preziosa testimonianza di prima mano sulla sua vita, e con Claude-François Poullart des Places (1679-1709), più tardi fondatore della Congregazione dello Spirito Santo, e matura la vocazione sacerdotale.
Nell’autunno del 1692 si trasferisce a Parigi per studiare teologia alla Sorbona ed entra, grazie a una borsa di studio, nel seminario di Saint-Sulpice, vivaio del clero di Francia, distinguendosi per il rigore ascetico e per i gesti di carità, e alimentandosi alla grande scuola spirituale francese del secolo XVII, il cui inizio è fatto risalire al card. Pierre de Bérulle (1575-1629), principale artefice della Riforma cattolica in Francia. Il 5 giugno 1700, a ventisette anni, riceve l’ordinazione sacerdotale e comincia a dedicarsi al riscatto spirituale del popolo, rianimandone la fede e difendendone la pietà contro gli attacchi degli innovatori.
Nel novembre del 1701, nominato cappellano dell’ospedale di Poitiers dal vescovo diocesano, mons. Claude de La Poype de Vertrieu (1655-1732), si preoccupa di porre ordine, spirituale e materiale, in quella “povera Babilonia”, stimolando riforme e dando esempi di grande abnegazione. In città conosce Marie-Louise Trichet (1684-1759), la futura beata suor Maria Luisa di Gesù, figlia del procuratore generale, con la quale fonderà le Figlie della Carità, che si dedicheranno all’istruzione dei fanciulli e all’assistenza negli ospedali. Tuttavia, un uragano furioso — scatenato dagli scettici e dai giansenisti, che mal ne sopportavano lo zelo missionario, la purezza morale e la profonda devozione mariana — si leva contro la sua predicazione fin dall’inizio. Le resistenze e le ostilità sono tali che dopo quattro anni deve lasciare l’incarico, nonostante l’affetto e la gratitudine dei malati, dimostrati anche in modo clamoroso.
Si trattiene a Poitiers ancora un anno, quindi, provando il desiderio di dedicarsi alla salvezza degl’infedeli, compie un pellegrinaggio a Roma, a piedi, per consigliarsi con il Vicario di Cristo. Papa Clemente XI (1700-1721), ricevendolo in udienza il 6 giugno 1706, lo dissuade da quel proposito, gli conferisce il titolo di Missionario Apostolico e gl’ingiunge di riprendere l’apostolato in Francia.

L’attività missionaria
Poiché la diocesi di Poitiers continua a essergli preclusa, Montfort si dedica alla predicazione nella nativa Bretagna e in Vandea, proseguendo la tradizione delle missioni al popolo, espressione del movimento missionario sorto agli inizi del secolo XVII e realizzato da personalità eminenti come san Vincenzo de’ Paoli (1581-1660), san Giovanni Eudes (1601-1680) e il gesuita beato Giuliano Maunoir (1606-1683).
Luigi Maria Grignion è l’ultimo di questi grandi missionari e, sebbene i suoi metodi innovassero solo aspetti secondari, immette nella loro applicazione un dinamismo creativo e un ardore apostolico eccezionali. Le sue missioni sono caratterizzate dalla predicazione del catechismo e da grandi manifestazioni pubbliche di culto, soprattutto da solenni processioni, che culminano nella rinnovazione da parte dei partecipanti delle promesse battesimali e nell’innalzamento, in luogo eminente, della croce della missione. Egli dà grande importanza a queste pratiche, sia per rendere visibili le principali verità della fede e per radicare gli effetti della sua ardente predicazione, sia per prendere una posizione chiara nei confronti degli innovatori, che attaccavano proprio queste manifestazioni in nome e sotto il pretesto di una religiosità più intima e più austera. Una parte di rilievo nella sua predicazione hanno anche i canti popolari, da lui composti in gran numero e utilizzati non solo per trasmettere il messaggio cristiano e per educare le menti, ma anche per scaldare i cuori dei semplici e per scuotere quelli più induriti.
Allo scopo di perpetuare la sua opera Montfort fonda la Compagnia di Maria, una congregazione di sacerdoti, detti monfortani, votati unicamente alle missioni al popolo. Nel 1708, a Nantes, fonda anche l’associazione laicale degli Amici della Croce, alla quale indirizzerà sei anni dopo la Lettera agli Amici della Croce — l’unico scritto dato alle stampe quando era ancora in vita —, in cui condensa il suo pensiero sul significato della Croce nella vita cristiana. Nella Croce egli vede la fonte di una superiore sapienza, la sapienza cristiana, che si è incarnata ed e stata crocifissa, che insegna all’uomo a preporre la fede alla ragione orgogliosa, la retta ragione ai sensi ribelli, la morale alla volontà sregolata, l’eterno al contingente e al transitorio. Analoghe considerazioni aveva svolto nel suo primo scritto, L’amore dell’eterna Sapienza, composto a Parigi fra la fine del 1703 e l’inizio del 1704, in cui oppone la Saggezza vera e profonda, quella consistente nell’unirsi a Cristo e alla sua Croce, alla saggezza superficiale e salottiera che cominciava a dominare la cultura francese laica e, in parte, quella cattolica.
Il successo delle sue iniziative è grande, ma grandi sono anche le ostilità incontrate e le prove affrontate. Così, per esempio, il vescovo di Saint-Malo, mons. Vincenzo Francesco Desmarets (1657-1739), che simpatizza per i giansenisti, in un primo tempo gli proibisce ogni predicazione, quindi, ritirato questo drastico ordine, gli limita comunque la possibilità d’azione. Ancor più dolorosa è la prova che lo aspetta nella diocesi di Nantes, il cui vescovo, mons. Egidio de Beauveau (1653-1717), nega la benedizione al Calvario di Pontchâteau, costruito in quindici mesi grazie al concorso di una moltitudine di persone di ogni sesso, età e condizione sociale, e distrutto poco dopo per ordine di re Luigi XIV di Borbone (1638-1715), sobillato da nemici di Montfort. Il Calvario, ricostruito anni dopo, sarà distrutto una seconda volta durante la Rivoluzione francese; oggi, nuovamente ricostruito, è un centro di pietà e una meta di pellegrinaggi.
Finalmente, quasi a divina ricompensa della carità e dell’umiltà dimostrate, Luigi Maria Grignion viene chiamato nelle diocesi di Luçon e di La Rochelle dai rispettivi vescovi, mons. Jean-François de Valdèries de Lescure (1644-1723) e mons. Etienne de Champflour (1647-1724), ferventi antigiansenisti, e vi predica durante gli ultimi cinque anni di vita. In quel periodo compone Il segreto ammirabile del Santo Rosario per ribattere alle obiezioni formulate contro tale forma di devozione, per spiegare i sacri misteri e per diffonderne ulteriormente la pratica.
Consumato dalle fatiche e dalle sofferenze, nonostante una tempra straordinariamente resistente, muore il 28 aprile 1716, al suo posto di combattimento, come un autentico soldato di Cristo, predicando una missione a Saint-Laurent-sur-Sèvre.

San Luigi Maria attraverso i secoli
La causa di beatificazione di Luigi Maria Grignion viene introdotta nel 1838, Papa Pio IX (1846-1878) ne proclama l’eroicità delle virtù il 29 settembre 1869, Papa Leone XIII (1878-1903) lo proclama beato il 22 gennaio 1888 e Papa Pio XII (1939-1958) lo eleva alla gloria degli altari il 20 luglio 1947.
Il più alto riconoscimento della dottrina spirituale di Grignion da Montfort, che molti vorrebbero fosse dichiarato Dottore della Chiesa, è venuto da Papa Giovanni Paolo II il quale, oltre a trarre il motto del suo pontificato, Totus tuus, proprio dagli scritti del santo, nell’enciclica Redemptoris Mater, del 25 marzo 1987, lo indica come testimone e come guida della spiritualità mariana. Inoltre, il 20 luglio 1996 ha stabilito che il suo nome fosse iscritto nel Calendario generale della Chiesa, proponendone quindi la venerazione a tutti i fedeli.
Tuttavia, per oltre un secolo dopo la morte, l’influenza del “buon padre di Montfort”, come il santo era chiamato comunemente dai fedeli, si manifesta soprattutto grazie alle sue fondazioni, fra cui anche quella dei Fratelli dell’Istruzione cristiana di San Gabriele, riorganizzata dal sacerdote Gabriel Deshayes (1767-1841). Queste istituzioni, inizialmente poco consistenti e oggetto di violenti attacchi da parte di giansenisti e di razionalisti nonché di persecuzioni durante la Rivoluzione francese e a opera della massonica Terza Repubblica francese, avranno nel tempo un grande sviluppo, segno del fecondo lascito spirituale del loro fondatore.
In particolare, l’opera missionaria di Montfort e dei suoi successori porrà le basi spirituali della resistenza contro-rivoluzionaria delle genti della Bretagna e della Vandea, cioè delle regioni nelle quali egli poté svolgere liberamente il suo apostolato. I sacerdoti della Compagnia furono le guide spirituali di quei coraggiosi improvvisatisi soldati per Dio, per la Francia e per il re, e i canti composti da Luigi Maria Grignion si contrapposero a quelli rivoluzionari.
Il ritrovamento fortuito, nel 1842, del manoscritto del Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, sepolto per oltre un secolo “nel silenzio d’un cofano”, secondo la profetica visione del suo autore, dà inizio alla diffusione delle opere e del pensiero monfortano in tutto il mondo. Nel Trattato Montfort raccomanda che i devoti si consacrino interamente a Gesù attraverso Maria nelle forme di un’amorosa schiavitù, cioè di una dedizione di mirabile radicalità, comprendente non solo i beni materiali dell’uomo ma anche il merito delle sue buone opere e preghiere. In cambio di questa consacrazione la Vergine agisce nell’interiorità della persona in modo meraviglioso, istituendo con lei un’unione ineffabile. L’opera, insieme a Il segreto di Maria — stampato integralmente soltanto nel 1898 ma pubblicato ormai in trecentocinquanta edizioni e in venticinque lingue — e con Le glorie di Maria, di sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787), rappresenta uno dei libri mariani più conosciuti e amati degli ultimi secoli, e fra quelli che più hanno alimentato la pietà cristiana.
Inoltre, gli scritti monfortani forniscono alla scuola di pensiero e d’azione della Contro-Rivoluzione cattolica del secolo XX, di cui è figura eminente il pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), una teologia della storia in cui inserire l’ascesi sociale, cioè l’apostolato mirante alla restaurazione di una civiltà cristiana. Questa scuola condivide con il santo missionario della Vandea la speranza, alimentata dalla promessa di Fatima — “Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà” —, di una grande conversione e di un tempo storico di trionfo della Chiesa cattolica. La “vera devozione” prepara gli eroi che schiacceranno la Rivoluzione, i santi missionari dei “tempi ultimi” – il cui profilo morale è tracciato da Luigi Maria Grignion nella famosa Preghiera infuocata – che lotteranno per la realizzazione del regno di Maria.
Nella diocesi di Milano la sua memoria si celebra il 26 aprile. Il 27 aprile in quella di Pavia.

La vera Devozione Maria Santissima

San Luigi Maria Grignion de Montfort

 PRIMA VERITÀ: Gesù Cristo nostro Salvatore, vero Dio e vero Uomo, deve essere il fine ultimo di tutte le nostre devozioni, altrimenti esse sarebbero false e ingannevoli. Gesù Cristo è l’alpha e l’omega, l’inizio e la fine di tutte le cose. Noi non lavoriamo – dice l’Apostolo – che per rendere ogni uomo perfetto in Gesù Cristo, poiché è in lui solo che abita tutta la pienezza della Divinità e tutte le altre pienezze di grazie, di virtù e di perfezioni; è solo in lui che noi siamo stati benedetti con ogni benedizione spirituale; egli è il nostro unico maestro che ci insegna, il nostro unico Signore dal quale noi dobbiamo dipendere, il nostro unico capo al quale noi dobbiamo rimanere uniti, il nostro unico modello al quale ci dobbiamo conformare, l’unico medico che ci può guarire, l’unico pastore che ci può nutrire, l’unica via che ci guida, l’unica verità che dobbiamo credere, l’unica vita che ci fa vivere, è il nostro unico tutto che in ogni cosa ci deve bastare. Non è stato dato altro nome sotto il cielo, se non il nome di Gesù, dal quale noi possiamo essere salvati. Dio non ci ha dato altro fondamento per la nostra salvezza, perfezione e gloria se non Gesù Cristo: ogni edificio che non sia fondato su questa solida pietra è fondato sulla sabbia mobile e presto o tardi infallibilmente cadrà. Ogni fedele che non è unito a lui come un tralcio al tronco della vite cadrà, seccherà e non sarà utile che per essere gettato sul fuoco. Se noi siamo in Gesù Cristo e Gesù Cristo è in noi, non dobbiamo temere alcuna dannazione; né gli angeli in cielo, né gli uomini sulla terra, né i demoni nell’inferno, né alcun’altra creatura può farci del male, perché nulla ci può separare dalla carità di Dio che è in Gesù Cristo. Per mezzo di Gesù Cristo, con Gesù Cristo, in Gesù Cristo noi possiamo tutto: dobbiamo rendere ogni onore e gloria al Padre, nell’unità dello Spirito Santo, rendere perfetti noi stessi ed essere il buon odore di vita eterna per il nostro prossimo. 62. Se dunque voglio promuovere una solida devozione alla Santa Vergine, non è che per promuovere in modo più perfetto quella di Gesù Cristo e per indicare un mezzo facile e sicuro per trovare Gesù Cristo. Se la devozione alla Santa Vergine allontanasse da Gesù Cristo, bisognerebbe rigettarla come una illusione del demonio; ma è proprio il contrario, come ho già dimostrato e come dirò ancora tra poco: questa devozione ci è necessaria per trovare Gesù Cristo in modo perfetto, per amarlo teneramente e servirlo fedelmente.

63. Mi rivolgo qui un momento verso di te, o mio amabile Gesù, per lamentarmi amorevolmente davanti alla tua divina Maestà del fatto che la maggior parte dci cristiani, anche i più illuminati, non conosce il legame necessario che c’è tra te e la tua santa Madre: Tu, o Signore, sei sempre con Maria, e Maria è sempre con te e non può stare senza di te, altrimenti cesserebbe di essere quello che è; ella è talmente trasformata in te dalla grazia, che non vive più, che non esiste più; sei tu solo, o mio Gesù, che vivi e regni in lei, più perfettamente che in tutti gli angeli e i beati. Ah! se si conoscesse la gloria e l’amore che tu ricevi in questa meravigliosa creatura, si avrebbero ben altri sentimenti per te e per lei. Ella è così intimamente unita a te, che si potrebbe più facilmente separare la luce dal sole, o il calore dal fuoco; dico di più, si potrebbero separare da te tutti gli angeli e i santi, piuttosto che la divina Maria: perché ella ti ama più ardentemente e ti dà gloria più perfettamente di tutte le altre tue creature prese insieme.

64. Detto questo, o mio amabile Maestro, non è incredibile e doloroso costatare l’ignoranza e le tenebre di tante persone nei confronti della tua santa Madre? Non parlo tanto dei non credenti, o dei pagani, che non ti conoscono e non si curano di conoscere lei; non parlo neppure degli eretici e degli scismatici, che non cercano di essere devoti della tua santa Madre, essendosi separati da te e dalla tua santa Chiesa; parlo invece proprio dei cristiani cattolici, e anche di coloro che tra i cattolici sono dei maestri, che fanno professione di insegnare agli altri le verità ma che non conoscono né te, ne la tua santa Madre, se non in modo teorico, arido, sterile e indifferente. Questi Signori parlano solo raramente della tua santa Madre e della devozione che le si deve, perché temono – dicono – che se ne abusi, che si renda offesa a te, onorando troppo la tua santa Madre. Se vedono o sentono qualche devoto della Santa Vergine parlare con insistenza della devozione a questa buona Madre, e parlarne con un accento tenero, deciso e persuasivo, come di un mezzo sicuro senza illusioni, di un cammino breve senza pericoli, di una via immacolata senza imperfezioni e di un segreto meraviglioso per trovare te e amarti perfettamente, essi gli gridano contro e gli presentano mille false ragioni per provargli che non bisogna parlare troppo della Vergine Santa, che ci sono gravi esagerazioni in questa devozione e che bisogna impegnarsi ad estirparle, che bisogna parlare di te, piuttosto che portare la gente verso la devozione alla Santa Vergine, che è già amata abbastanza. Qualche volta li si intende parlare della devozione alla tua santa Madre, non per diffonderla e promuoverla, ma per contrastare gli abusi che se ne fanno, mentre questi signori non nutrono una sentita fede, né una devozione tenera per te, poiché non ne hanno per Maria e considerano il Rosario, lo scapolare, la corona, come devozioni da donnette, buone per gli ignoranti, non necessarie per salvarsi; se poi capita loro di incontrare qualche devoto della Vergine Santa, che ha l’abitudine di recitare il Rosario, o è impegnato in qualche altra pratica di devozione mariana, sono capaci di cambiargli in fretta l’atteggiamento e il cuore; invece del Rosario, gli consiglieranno di recitare i sette Salmi; invece della devozione alla Santa Vergine, lo esorteranno alla devozione per Gesù Cristo. O mio amabile Gesù, queste persone hanno forse il tuo spirito? Ti fanno piacere quando agiscono in questo modo? Ti può piacere lo sforzo di non piacere alla tua santa Madre, pensando che questo ti dispiaccia? La devozione alla tua santa Madre impedisce forse quella verso di te? Conserva ella forse per sè l’onore che le si rende? Oppure fa parte a se? E’ forse un’estranea, in nessun modo legata a te? Ti dispiace se si cerca di piacere a lei? E il donarsi a lei e amarla è forse un separarsi, o un allontanarsi dal tuo amore?

65. Eppure, mio amabile Maestro, se ciò che ho detto risulta vero, la maggior parte degli intellettuali, a punizione del proprio orgoglio, non saprebbe far di più per allontanare dalla devozione alla tua santa Madre, o per condurre all’indifferenza verso di essa. Difendimi, Signore, difendimi da questo loro sentire e agire; dammi invece un po’ di quei sentimenti di riconoscenza, di stima, di rispetto e di amore che tu nutri verso la tua santa Madre, affinché io possa maggiormente amare e glorificare te, imitandoti e seguendoti da vicino.

66. Come se finora non avessi detto nulla in onore della tua santa Madre, fammi la grazia di lodarla degnamente, nonostante tutti i suoi nemici, che sono anche i tuoi, ai quali io voglio dire ad alta voce con i santi: «Non presuma di ottenere misericordia da Dio chi offende la sua santa Madre».

67. Per ottenere dalla tua misericordia un’autentica devozione alla tua santa Madre e per diffonderla su tutta la terra, fa che io ti ami ardentemente e accogli per questo l’ardente supplica che ti voglio fare, con sant’Agostino e con i tuoi veri amici. «Tu sei, o Cristo, il mio padre santo, il mio Dio pieno di misericordia, il mio re infinitamente grande, tu sei il mio pastore amorevole, il mio unico maestro, il mio aiuto pieno di bontà, il mio amato, di bellezza somma, il mio pane Vivo, il mio eterno sacerdote, sei la mia guida verso la patria, la mia vera luce, la mia dolcezza tutta santa, la Via del mio ritorno; sei la sapienza che brilla per il suo splendore, la semplicità pura, la mia pace serena; sei tutta la mia protezione, la mia preziosa eredità, la mia salvezza eterna. O Gesù Cristo, mio Signore, perché in tutta la mia vita ho amato, desiderato altro diverso da te, Gesù mio Dio? Dov’ero quando non pensavo a te? Ah! almeno a partire da ora, che il mio cuore non abbia altri desideri, altri ardori che per il Signore Gesù; che non si dilati che per amare lui solo. Desideri dell’anima mia, correte; e già abbastanza tardi; affrettatevi a raggiungere lo scopo al quale aspirate, cercate davvero colui che cercate. O Gesù, anatema sia chi non ti ama! Sia pieno di amarezza chi non ti ama! O dolce Gesù, sii l’amore, la delizia e l’ammirazione di ogni cuore degnamente consacrato alla tua gloria. Dio del mio cuore, mia eredità, divino Gesù, il mio cuore sprofondi nel tuo santo svenimento; sii tu stesso la vita mia; che nella mia anima s’accenda il carbone bruciante del tuo amore e che avvampi un incendio tutto divino; possa bruciare senza tregua sull’altare del mio cuore e incendiare il mio essere fino in fondo; possa consumare l’intimo dell’anima mia; e infine, nel giorno della mia morte, possa comparirti davanti tutto consumato nel tuo amore. Amen.» Ho voluto trascrivere questa meravigliosa preghiera di sant’Agostino perché la si ripeta tutti i giorni per chiedere l’amore di Gesù, che noi cerchiamo per mezzo della divina Maria.

68. SECONDA VERITÀ: Da ciò che Gesù è nei nostri riguardi, bisogna concludere che noi non ci apparteniamo, come dice l’Apostolo, ma siano totalmente suoi, come suoi membri e suoi schiavi, che egli ha riscattato a caro prezzo, versando tutto il suo sangue. Prima del battesimo noi eravamo del demonio, come schiavi suoi; il battesimo ci ha reso veramente schiavi di Gesù Cristo, i quali non devono vivere, né lavorare, né morire che per portare frutto per questo Dio Uomo, per glorificarlo nel nostro corpo e farlo regnare nell’anima nostra: noi siamo sua conquista, popolo acquistato e sua eredità. E’ per lo stesso motivo che lo Spirito Santo ci paragona: 1°. ad alberi piantati lungo le acque della grazia, nel campo della Chiesa, che a suo tempo devono dare i loro frutti; 2°. ai tralci di una vite, di cui Gesù Cristo è il tronco, che devono maturare una buona uva; 3°. a un gregge, di cui Gesù Cristo è il pastore che deve moltiplicarsi e dare latte; 4°. a una fertile terra, di cui Dio è l’agricoltore e nella quale il seme si moltiplica e produce il trenta, il sessanta o il cento per uno. Gesù Cristo ha maledetto il fico sterile e ha condannato il servo inutile, che non aveva fatto fruttificare il suo talento. Questo dimostra che Gesù Cristo desidera avere frutti dalle nostre deboli persone; vuole vedere le opere buone, perché queste gli appartengono in modo esclusivo: «Creati in Gesù Cristo per le buone opere». Queste parole dello Spirito Santo mostrano che Gesù Cristo è l’unico principio e deve essere l’unico fine di tutte le nostre buone opere e che noi lo dobbiamo servire, non solo come dei servi salariati, ma come schiavi d’amore. Ora mi spiego.

69. Vi sono due modi, quaggiù, di appartenere a un altro e di dipendere dalla sua autorità: la semplice servitù e la schiavitù; ciò che noi chiamiamo servo e schiavo. Con la servitù, diffusa tra i cristiani, un uomo si impegna a servirne un altro durante un certo tempo, con un salario o una ricompensa. Con la schiavitù, un uomo è totalmente dipendente da un altro per tutta la vita e deve servire il suo padrone senza esigere alcun salario ne ricompensa, come se fosse una delle sue bestie sulla quale si ha diritto di vita e di morte.

70. Vi sono tre specie di schiavitù: la schiavitù di natura, la schiavitù forzata e la schiavitù volontaria. Tutte le creature sono schiave di Dio nel primo modo: «Del signore è la terra e quanto contiene»; i demoni e i dannati lo sono nel secondo modo; i giusti e i santi lo sono nel terzo modo. La schiavitù volontaria è la più perfetta e rende maggior gloria a Dio: essa riguarda il cuore, esige il cuore e si riferisce al Dio del cuore, o della volontà d’amore; con questa schiavitù si compie la scelta di Dio e del suo servizio, al di sopra di ogni cosa, anche quando la natura non lo esige.

71. C’è una fondamentale differenza tra un servo e uno schiavo. 1° Un servo non dà al suo padrone tutto ciò che egli è o che ha, o tutto ciò che può acquisire da altri o da se stesso; lo schiavo invece dà al suo padrone tutto se stesso, tutto ciò che possiede e ciò che potrebbe acquisire, senza nessuna eccezione. 2° Il servo esige una paga per i servizi che rende al suo padrone; lo schiavo invece non può chiedere nulla, qualunque sia il suo impegno, l’importanza e la durezza del suo lavoro. 3° Il servo può abbandonare il suo padrone quando vuole, o almeno quando scade il tempo del servizio; lo schiavo invece non ha il diritto di lasciare il suo padrone quando vuole. 4° Il padrone del servo non ha su di lui nessun diritto di vita o di morte, in modo che se lo uccidesse come una delle sue bestie da lavoro commetterebbe un omicidio ingiusto; invece il padrone dello schiavo ha su di lui – per legge – diritto di vita e di morte, cosicché egli lo può vendere a chi vuole, o ucciderlo, come farebbe – passi il paragone – con il suo cavallo. 5° Infine, il servo non è a servizio del suo padrone che per un tempo determinato, mentre lo schiavo lo è per sempre.

72. Non c’è nulla tra gli uomini che ci faccia appartenere a un altro più della schiavitù; allo stesso modo tra i cristiani non c’è nulla che ci faccia appartenere più completamente a Gesù Cristo e alla sua santa Madre che la schiavitù volontaria, secondo l’esempio di Gesù Cristo stesso, che ha preso «la condizione di schiavo» per nostro amore, e della Vergine Santa, la quale si è dichiarata serva e schiava del Signore. L’Apostolo si onora del titolo di «servo di Cristo». Nella Sacra Scrittura i cristiani sono spesso chiamati servi di Cristo. Il termine di servo, secondo la giusta osservazione di un dotto, un tempo significava schiavo, non essendoci ancora dei servi come sono intesi oggi; i padroni erano serviti solo da schiavi, o da liberti. Il Catechismo del santo Concilio di Trento, per non lasciarci alcun dubbio di essere schiavi di Gesù Cristo, si esprime con un termine che non può essere equivoco e ci chiama mancipia Christi, schiavi di Gesù Cristo.

73. Detto questo, affermo che dobbiamo appartenere a Gesù Cristo e servirlo non solo come dei servitori pagati, ma come degli schiavi per amore, che si danno a causa di un grande amore e si dedicano a servirlo in qualità di schiavi, per il solo onore di appartenergli. Prima del battesimo noi eravamo schiavi del demonio; il battesimo ci ha reso schiavi di Gesù Cristo; per i cristiani è possibile essere: o schiavi del demonio, oppure schiavi di Gesù Cristo.

74. Ciò che affermo di Gesù Cristo in modo assoluto, lo dico della Vergine Santa in modo relativo, avendola Gesù Cristo scelta come compagna indissolubile della propria vita, morte, gloria e potere, in cielo e sulla terra; le ha così dato per grazia, relativamente alla sua Maestà, tutti i diritti e i privilegi che egli possiede per natura. Dicono i santi: «Tutto ciò che Conviene a Dio per natura, Conviene a Maria per grazia». Dunque, secondo essi, non avendo i due che una medesima volontà e potere, hanno anche gli stessi sudditi, servitori e schiavi.

75. Secondo il pensiero dei santi e di molti Studiosi autorevoli, possiamo dirci e farci schiavi d’amore della Santa Vergine, al fine di esser in tal modo più perfettamente schiavi di Gesù Cristo. La Santa Vergine è il mezzo di cui il Signore si è servito per venire a noi; ed è anche il mezzo di cui noi ci dobbiamo servire per andare a lui; ella non è come le altre creature, che potrebbero allontanarci piuttosto che avvicinarci a Dio, se ci attacchiamo ad esse; invece la propensione più forte di Maria è di unirci a Gesù Cristo, suo Figlio; e la più forte inclinazione del Figlio è che si vada a lui per mezzo della sua santa Madre; e gli si fa onore e piacere, come lo si farebbe a un re, facendosi schiavo della regina per diventare più perfettamente suo suddito e schiavo. Per questo i santi Padri, e san Bonaventura dopo di essi, dicono che la Santa Vergine è la via per andare al Signore.

76. Di più, se – come ho già detto – la Santa Vergine è la Regina e la Sovrana del cielo e della terra: «Ecco, tutto è sottomesso al volere di Dio, anche la Vergine; ecco, tutto è sottomesso al volere della Vergine, anche Dio», dicono sant’Anselmo, san Bernardo, san Bernardino, san Bonaventura, allora non ha ella forse tanti sudditi e schiavi quante sono le creature? E non è pensabile che tra tanti schiavi per forza, ve ne siano di quelli per amore, che per loro libera volontà scelgono Maria come loro sovrana, in qualità di schiavi? Se gli uomini e i demoni hanno i loro schiavi volontari, forse che Maria non potrebbe averne? Del resto un re considererebbe un onore il fatto che la regina, sua consorte, abbia degli schiavi sui quali avere diritto di vita e di morte, poiché l’onore e il potere dell’uno è l’onore e il potere dell’altra; e chi potrebbe credere che il Signore, come il migliore dei figli, abbia fatto parte di tutto il suo potere alla sua santa Madre e trovi poi strano che ella abbia degli schiavi? Ha egli meno rispetto e meno amore per sua Madre, che non Assuero per Ester e Salomone per Betsabea? Chi lo potrebbe pensare?

77. Ma dove mi conduce la penna? Perché mi fermo a provare una cosa cosi evidente? E poi, se non ci si vuole considerare schiavi della Vergine Santa, che importa? Ci si faccia e ci si dica schiavi di Gesù Cristo! Ma lo si è lo stesso della Vergine Santa, poiché Gesù è frutto e gloria di Maria. E’ ciò che si realizza in modo perfetto con la devozione di cui parleremo tra poco.

78. TERZA VERITÀ: Le nostre migliori azioni sono di solito macchiate e corrotte dal cattivo fondo che è in noi. Quando si mette dell’acqua limpida e pulita in un vaso che sa di cattivo, o del vino in una botte che è stata guastata da altro vino, l’acqua pulita e il vino buono vengono guastati e facilmente prendono un cattivo odore. Allo stesso modo quando Dio mette le sue grazie e rugiade celesti, o il vino delizioso del suo amore, nel vaso della nostra anima, guastata dal peccato originale e attuale, questi doni vengono di solito guastati e rovinati dal cattivo lievito e dal cattivo fondo che il peccato ha lasciato dentro di noi; le nostre azioni, anche quelle che riguardano le virtù più sublimi, ne risentono. E’ dunque molto importante, per raggiungere la perfezione che si ottiene soltanto con l’unione a Gesù Cristo, saperci svuotare di ciò che vi è cattivo dentro di noi; altrimenti il Signore che è infinitamente puro e che non tollera per nulla la più piccola macchia dell’anima ci rigetterà da se e non si unirà a noi.

79. Per vuotarci di noi stessi bisogna anzitutto conoscere bene – con la luce dello Spirito Santo – il nostro cattivo fondo, l’incapacità nostra di operare il bene utile alla salvezza, la nostra debolezza in ogni cosa, l’incostanza continua, l’indegnità alla grazia e la malvagità presente ovunque. Il peccato del primo padre ci ha tutti – quasi completamente – guastati, inaciditi, gonfiati e corrotti, come il lievito inacidisce, gonfia e corrompe la pasta dove è stato messo. I peccati attuali da noi commessi – mortali o veniali – anche se sono stati perdonati, hanno aumentato la nostra concupiscenza, la debolezza, l’incostanza e la corruzione, lasciando dei rifiuti nella nostra anima. I nostri corpi sono talmente corrotti da essere chiamati dallo Spirito Santo corpi di peccato, concepiti nel peccato, nutriti nel peccato e capaci di tutto; corpi soggetti a mille e mille malattie, che si corrompono ogni giorno più, capaci di generare solo scabbia, parassiti e corruzione. La nostra anima poi, unita al corpo, è diventata così carnale da essere chiamata carne: «Ogni carne aveva pervertito la sua condotta sulla terra». Abbiamo in eredità solo orgoglio, accecamento dello spirito, durezza del cuore, debolezza e incostanza dell’anima, concupiscenza, passioni in subbuglio e malattie del corpo. Siamo, per condizione di natura, più orgogliosi dei pavoni, più attaccati alla terra dei rospi, più brutti dei capri, più invidiosi dei serpenti, più ingordi dei porci, più collerici delle tigri, più pigri delle tartarughe, più deboli delle canne e più incostanti delle banderuole. Non abbiamo dentro di noi che il nulla e il peccato e non meritiamo altro che l’ira di Dio e l’inferno eterno.

80. Dopo ciò, dobbiamo meravigliarci se il Signore ha detto a colui che lo voleva seguire di rinunciare a se stesso e di odiare la propria anima; e che colui che amava la propria anima l’avrebbe perduta, e colui che la odiava l’avrebbe salvata? Questa infinita Sapienza, che non dà ordini senza un motivo, ci ordina di odiare noi stessi perché siamo grandemente degni di odio: nulla di più degno d’amore che Dio; nulla di più degno di odio che noi stessi.

81. Ancora: per vuotarci di noi stessi dobbiamo morire ogni giorno a noi stessi; bisogna cioè rinunciare alle operazioni delle potenze dell’anima, e dei sensi del corpo; dobbiamo vedere come se non vedessimo, ascoltare come se non ascoltassimo, usare le cose di questo mondo come se non le usassimo. E’ ciò che san Paolo chiama morire ogni giorno: «Ogni giorno io affronto la morte». «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo»; rimane a terra e non produce nessun frutto buono. Se non moriamo a noi stessi, se le nostre devozioni più sante non ci conducono a questa morte necessaria e feconda, non porteremo frutto valido e le nostre devozioni rimarranno inutili, le nostre opere di giustizia saranno macchiate dall’amor proprio e dalla nostra volontà, e così Dio rifiuterà i più grandi sacrifici e le azioni migliori che noi possiamo compiere; alla nostra morte ci troveremo con le mani vuote di virtù e di meriti, privi di una sola scintilla di quel puro amore che viene comunicato alle anime che muoiono a se stesse e la cui vita è nascosta con Gesù Cristo in Dio.

82. Infine, dobbiamo scegliere tra tutte le devozioni alla Santa Vergine quella che maggiormente ci porta a questa morte a noi stessi, essendo questa la migliore e la più santificante; non dobbiamo credere che tutto ciò che luccica sia oro, che tutto ciò che è dolce sia miele, che tutto ciò che è facile da compiere e praticato dalla maggior parte sia più santificante. Come in natura vi sono dei segreti per realizzare in poco tempo, con poca spesa e con facilità, certe operazioni naturali, così vi sono dei segreti nell’ordine della grazia, per compiere in poco tempo, con dolcezza e facilità, le operazioni soprannaturali, come il vuotarsi di se stessi, il ricolmarsi di Dio e il diventare perfetti. La pratica di devozione che voglio rivelare è uno di questi segreti di grazia, sconosciuto alla maggior parte dei cristiani, conosciuto da pochi devoti e praticato e gustato da un piccolissimo numero. Per iniziare a scoprire questa pratica di devozione, ecco una quarta verità conseguente alla terza.

83. QUARTA VERITÀ: E’ più perfetto perché più umile il non avvicinarsi a Dio da soli, senza un mediatore. La nostra condizione umana è così corrotta – come ho dimostrato – che se contiamo sui nostri sforzi, iniziative e disposizioni per arrivare a Dio e piacergli, è certo che tutte le nostre opere buone saranno macchiate, o di poco peso davanti a Dio per indurlo ad unirsi a noi ed esaudirci. Non è infatti senza motivo che Dio ci ha dato dei mediatori presso la sua Maestà: ha visto la nostra indegnità e incapacità e ha avuto pietà di noi; per permetterci di accedere alle sue misericordie ci ha provvisti di intercessori potenti presso la sua grandezza; trascurare questi mediatori e avvicinarci direttamente alla sua santità senza nessuna presentazione è mancare di umiltà e di rispetto verso Dio, così eccelso e santo; sarebbe dare meno attenzione a questo Re dei re, di quella che si usa dare a un re o ad un principe della terra, al quale non ameremmo avvicinarci senza un qualche amico che ci presenti.

84. Il Signore è nostro avvocato e mediatore di redenzione presso Dio Padre; è per mezzo di lui che noi dobbiamo pregare con tutta la Chiesa trionfante e militante; è per mezzo di lui che abbiamo accesso alla Maestà divina e non dobbiamo mai comparire davanti a lui se non sostenuti e rivestiti dei suoi meriti, come il piccolo Giacobbe rivestito dalle pelli dei capretti davanti a suo padre Isacco per ricevere la sua benedizione.

85. Ma non abbiamo forse bisogno di un mediatore presso il Mediatore stesso? La nostra purezza è abbastanza grande per unirci direttamente a lui e da soli? Non è egli forse Dio, in ogni cosa uguale al Padre e quindi il Santo dei santi, altrettanto degno di rispetto che il Padre suo? Se per infinito amore egli si è fatto nostro garante e mediatore presso Dio suo Padre, per placarlo e pagare ciò che noi gli dovevamo, bisogna per questo che gli dobbiamo meno rispetto e meno amore per la sua maestà e santità? Diciamo dunque arditamente con san Bernardo che abbiamo bisogno di un mediatore presso il Mediatore stesso e che la divina Maria è colei che è più capace di svolgere questo compito di carità; è per mezzo di lei che Gesù Cristo è venuto a noi ed è per mezzo di lei che noi dobbiamo andare a lui. Se abbiamo timore di andare direttamente a Gesù Cristo Dio, a causa della sua infinita grandezza, o per la nostra pochezza, o a motivo dei nostri peccati, invochiamo con coraggio l’aiuto e l’intercessione di Maria nostra Madre: ella è buona e tenera, non c’è nulla in lei di austero e scostante, nulla di troppo alto e di troppo abbagliante; guardando lei, noi vediamo la nostra semplice natura. Ella non è il sole, che per la violenza dei suoi raggi potrebbe abbagliarci a causa della nostra debolezza; è invece bella e dolce come la luna, che riceve la luce dal sole e la tempera per renderla adatta alla nostra debole portata. E’ così piena di carità che non rigetta nessuno di coloro che invocano la sua intercessione, anche se sono peccatori; dicono i santi: non si è mai sentito dire, da che mondo è mondo, che qualcuno sia ricorso alla Vergine Santa con fiducia e perseveranza e sia stato da lei rifiutato. Ella è così potente che mai le sue domande sono state rigettate; non ha che da presentarsi davanti al Figlio suo per pregarlo e subito egli accoglie ed esaudisce; egli viene sempre vinto amorevolmente dal suo seno, dal suo grembo e dalle preghiere della sua cara Madre.

86. Tutto questo è tratto dagli scritti di san Bernardo e di san Bonaventura; secondo essi, noi abbiamo tre gradini da salire per andare a Dio: il primo, il più vicino a noi e più conforme alla nostra possibilità è Maria; il secondo è Gesù Cristo; il terzo è Dio Padre. Per andare a Gesù, bisogna andare a Maria, nostra mediatrice di intercessione; per andare all’eterno Padre, bisogna andare a Gesù, nostro mediatore di redenzione. Ora, mediante la pratica – di devozione che esporrò tra poco, è proprio questo l’ordine che si segue in modo perfetto.

87. QUINTA VERITÀ: Vista la nostra debolezza e fragilità, è molto difficile per noi conservare le grazie e i tesori che abbiamo ricevuto da Dio: 1° . Perché conserviamo questo tesoro, che vale più del cielo e della terra, in vasi fragili di creta, cioè in un corpo corruttibile, in un’anima debole e incostante, che un nulla scuote e abbatte.

88. 2°. Perché i demoni, che sono ladri astuti, ci vogliono sorprendere per derubarci e svaligiarci; essi spiano giorno e notte il momento favorevole; si aggirano di continuo attorno a noi per divorarci e toglierci in un attimo, per mezzo di un peccato, ciò che abbiamo potuto guadagnare in grazia e in meriti durante molti anni. La loro malizia ed esperienza, le loro astuzie e il loro numero ci devono far temere moltissimo questa sventura, visto che persone piene di grazie, molto ricche in virtù, più mature in esperienza e più elevate in santità, sono state sorprese, derubate e infelicemente saccheggiate Ah! quanti cedri del Libano e stelle del firmamento si sono visti cadere miseramente e perdere in poco tempo la loro altezza e lo, splendore! Da dove viene questo strano cambiamento? Non è stata una mancanza di grazia, che non viene meno a nessuno, ma una mancanza dì umiltà; si sono creduti più forti e sicuri di quanto non fossero; si sono ritenuti capaci di custodire i loro tesori; si sono fidati e appoggiati su se stessi; hanno creduto la loro casa abbastanza sicura, le loro casseforti abbastanza solide per custodire il prezioso tesoro della grazia, e a causa di questa sottile fiducia in se stessi (anche se sembrava loro di appoggiarsi unicamente sulla grazia di Dio), il Signore giustissimo, abbandonandoli a se stessi, ha permesso che fossero derubati. Ahimè! Se avessero conosciuto la meravigliosa devozione che in seguito presenterò, avrebbero affidato il loro tesoro alla Vergine potente e fedele, che glielo avrebbe custodito come un bene suo, e persino se ne sarebbe fatto un dovere di giustizia.

89. 3°. E’ difficile perseverare nello stato di grazia, a causa della incredibile corruzione del mondo. Il mondo è oggi così corrotto che quasi per necessità i cuori religiosi sono macchiati, se non dal suo fango, almeno dalla polvere; è quasi un miracolo se una persona riesce a rimanere salda in mezzo a questo torrente impetuoso senza essere trascinata, o in mezzo a questo mare tempestoso senza esserne sommersa, o saccheggiata dai pirati e dai corsari, o in mezzo a questa aria inquinata senza rimanere danneggiata: è la Vergine sempre fedele, in cui il serpente non ha mai agito, che opera questo miracolo nei confronti di quelli e quelle che l’amano nel miglior modo.

Le erbe amare della ricerca di Dio- Fabrizio De André

Le erbe amare della ricerca di Dio- Fabrizio De André

L’essere umano, al di là dell’appartenenza a qualche religione, può percepire la Presenza di Dio. In De André è palese, forte, profonda una voce che parte dal profondo dell’Uomo, che grida giustizia radicalmente. Quindi, al di là di ogni obiezione o considerazione, Fabrizio è a pieno titolo un testimone, portavoce della profonda coscienza, dell’energia vitale umana. Tutti noi siamo attratti dalla bellezza, dalla profondità, dalla struggente ricerca di riscatto della condizione umana. Questo è l’annuncio di Fabrizio. I suoi personaggi appaiono ricchi di una fragilità che ce li rende cari (come nel Vangelo di Gesù), personaggi capaci di coinvolgerci e di indurci a cercarli fra i vicoli della Città Vecchia e nelle periferie. Attraverso i testi delle sue canzoni, si possono esplorare quelle terre di confine dove Fabrizio De André ha seminato la sua ricerca, i suoi dubbi e raccontato i suoi “santi” senza aureola. Proprio in questa ricerca possiamo trovare il cuore, sempre attuale, del “Vangelo secondo De André”: se un Dio esiste, è nella croce dei poveri e nel cuore dei perduti, ma puri di cuore. Fabrizio De André non era un convinto credente, anzi, ma l’interrogativo sull’esistenza di una “paternità” superiore l’ha sempre accompagnato, spingendolo sul sentiero dei cercatori di verità per indagare il problema di Dio, il mistero di Gesù di Nazareth, la coscienza di chi ha fede e i dubbi dei non credenti. Ricordiamo canzoni come “Si chiamava Gesù”

Si chiamava Gesu’..E per quelli che l’ebbero odiato
Nel getzemani pianse l’addio
Come per chi l’adorò come Dio
Che gli disse sia sempre lodato
Per chi gli portò in dono alla fine
Una lacrima o una treccia di spine
Accettando ad estremo saluto
La preghiera l’insulto e lo sputo
..

Fabrizio de André - Si chiamava Gesù
Si chiamava Gesu’

Nella conclusione della canzone Città vecchia De André sintetizza quel senso di carità cristiana, di cura per il destino degli ultimi che è sempre stato al centro della sua poetica: «Se tu penserai e giudicherai da buon borghese, li condannerai a cinquemila anni più le spese. Ma se capirai se li cercherai fino in fondo, se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo».
Fabrizio si definiva ateo, ma al tempo stesso terribilmente affascinato dalla figura di Gesù, che definì “il più grande rivoluzionario della storia”, tanto da dedicargli nel 1970, in pieno fermento post-sessantottino, un intero album, “La buona novella”, frutto di uno studio meticolosissimo dei Vangeli apocrifi. Anche in questo caso, alla perplessità degli ambienti laici si accompagnò invece il plauso di buona parte degli ambienti ecclesiastici.
Molto spesso Radio Vaticana ha trasmesso brani musicali come “Preghiera in gennaio” , “Spiritual” e la canzone che chiude l’ultimo album inciso da Fabrizio De André nel 1996 “Anime salve” che si intitola “Smisurata preghiera”. Si conclude così: «Ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco. Non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare è appena giusto che la fortuna li aiuti. Come una svista, come un’anomalia, come una distrazione, come un dovere».

https://www.famigliacristiana.it/articolo/papa-francesco-cita-de-andre-storia-del-rapporto-tra-il-cantautore-e-la-fede.aspx

Spiritual

Dio del cielo se mi vorrai
In mezzo agli altri uomini mi cercherai
Dio del cielo se mi cercherai
Nei campi di granturco mi troverai
Dio del cielo se mi vorrai amare
Scendi dalle stelle, vienimi a cercare
Oh, Dio del cielo se mi vorrai amare
Scendi dalle stelle, vienimi a cercare
Senza di te non so più dove andare
Come una mosca cieca che non sa più volare
Senza di te non so più dove andare
Come una mosca cieca che non sa più volare
..Dio del cielo io ti aspetterò
Nel cielo e sulla terra io ti cercherò

Ricorda Signore questi servi disobbedienti
Alle leggi del branco
Non dimenticare il loro volto…

(Fabrizio De André, Smisurata preghiera, 1996)

Smisurata preghiera - Fabrizio De Andrè

Una poesia su San Francesco, autore Fabrizio De Andrè. Lo scritto riemerge, inatteso, da un’agenda custodita presso la Facoltà di lettere di Siena. Scritta in stampatello appartiene agli ultimi mesi di vita del cantautore genovese. L’umiltà di San Francesco, la croce di Gesù. Fabrizio De Andrè ne era molto affascinato

Una poesia su San Francesco di Fabrizio De Andrè ritrovata all'Università di Siena

E ancora il ritratto femminile che trapela dalla penna e dalla musica del cantautore

Il sogno di Maria.. e l’ angelo disse: “Non
temere, Maria, infatti hai
trovato grazia presso il
Signore e per opera Sua
concepirai un figlio…Lo chiameranno figlio di Dio
Parole confuse nella mia mente,
svanite in un sogno, ma impresse nel ventre.”

Fabrizio De André - Il sogno di Maria (Live)

“Deus Deus ti salve Maria

“Ave Maria, piena di grazia
tu che di grazie sei sorgente

e fonte d’acqua corrente

Dio onnipotente
ti ha visitato
e ti ha conservato immacolata

Prega tuo figlio
per noi peccatori
che tutti gli errori
ci perdoni

Tantissime grazie ci doni
nella vita e nella morte
e un meraviglioso destino
in paradiso”.

Deus ti salvet Maria (Ave Maria)

E te ne vai, Maria, fra l’altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre.

Sai che fra un’ora forse piangerai
poi la tua mano nasconderà un sorriso:
gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso.

Fabrizio De Andrè - Ave Maria

Tre Madri

Con troppe lacrime piangi, Maria
Solo l’immagine d’un’agonia:
Sai che alla vita, nel terzo giorno
Il figlio tuo farà ritorno
E chi ti chiama Nostro Signore
Nella fatica del tuo sorriso
Cerca un ritaglio di Paradiso
..

In questo canto che richiama la stazione della Madonna sotto la croce durante la Passione di Cristo, intitolato “Tre madri”, si ode il pianto e il lamento delle donne per l’imminente sorte dei figli :dalle stesse parole di De Andrè si avverte un richiamo al duecentesco Pianto della Madonna di Jacopone da Todi.

08 di 10 - Tre madri - Fabrizio de André

Idea Progettazione Marilena Marino Vocedivina.it