CARMEN HERNÁNDEZ  causa di beatificazione

CARMEN HERNÁNDEZ causa di beatificazione

Carmen Hernández Cammino Neocatecumenale Cartel Apertura della Causa di Beatificazione e Canonizzazione.

Il 19 luglio 2021, dopo i 5 anni stabiliti dalla legge canonica, è stata presentata all’Arcivescovo di Madrid, Card. Carlos Osoro, la richiesta di apertura della Causa di Canonizzazione di Carmen Hernández, iniziatrice insieme a Kiko Argüello del Cammino Neocatecumenale.
Dopo una prima indagine per comprovare la presenza di una solida ed spontanea fama di santità e una fama di segni, da parte del tribunale diocesano; anche dopo di aver fatto le dovute consultazioni canoniche con il Dicastero per le Cause dei Santi della Santa Sede, con i Vescovi della Provincia ecclesiastica di Madrid e con i fedeli di questa Diocesi, l’Arcivescovo, D. Carlos Osoro, ha accolto la richiesta e presiederà l’apertura ufficiale della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Carmen Hernández Barrera.
Questo gioioso evento ecclesiale avrà luogo il 4 dicembre 2022, seconda domenica di Avvento, alle ore 18:00, presso l’Università Francisco de Vitoria di Madrid.
María del Carmen Hernández Barrera Iniziatrice del Cammino NeocatecumenaleTestimoni
Ólvega, Spagna, 24 novembre 1930 – Madrid, Spagna, 19 luglio 2016Una semplice laica, Carmen, che non ha mai avuto la pretesa di erigersi a santona o profetessa, ma che aveva compreso che l’unica cosa che conta nella vita è salvare gli uomini annunciandogli la verità, e cioè l’amore di Dio. Quell’amore che la colpiva e commuoveva sin da bambina mentre studiava coi gesuiti; che ha poi scoperto, a sorpresa, nella giovinezza mollando ogni progetto di vita per seguire Kiko Arguello in mezzo ai poveri. Quell’amore che da adulta ha annunciato a migliaia di ragazzi e soprattutto ragazze di ogni epoca durante le Giornate Mondiali della Gioventù e che da anziana, seppur malata, ha saputo testimoniare rimanendo a letto in preghiera. Il 19 luglio 2021 a cinque anni esatti dalla morte, è stato presentato all’arcivescovo di Madrid il “Supplex Libellus”, la richiesta di apertura della fase diocesana per la causa di beatificazione e canonizzazione.

Era uno spirito libero Carmen Hernández, co-iniziatrice insieme a Kiko Argüello del Cammino Neocatecumenale. Di quella libertà che vivono solo le persone che hanno incontrato Gesù Cristo nella loro vita e hanno capito che tutto il resto passa in secondo piano.
Il 19 luglio 2016 è morta a 85 anni, nella sua casa paterna di Madrid, dopo una lunga malattia che l’aveva costretta a stare a riposo per un anno e mezzo. Lei che nella sua vita non si era mai fermata, che insieme a Kiko aveva girato il mondo per annunciare il kerygma, la Buona notizia, a cominciare da quelle baracche alla periferia di Madrid dove vi si era trasferita sul finire degli anni ‘60 per portare la Parola in mezzo agli zingari, ai reietti, ai criminali.
Una strada che aveva scelto Dio per lei, come amava ripetere, visto che i suoi progetti e quelli della sua facoltosa famiglia erano ben altri. Avviata agli studi scientifici con il padre alle spalle che la spingeva ad un futuro imprenditoriale, Carmen nel suo percorso di studi volle raggiungere solo un traguardo: la licenciatura in chimica (una sorta di laurea di primo livello).
Carmen HernándezPoi decise di assecondare quel sacro fuoco missionario che bruciava nel suo cuore da quando era bambina e a Tudela, sulla riva
dell’Ebro, vedeva passare missionari gesuiti, domenicani e salesiani provenienti da ogni angolo del globo. A 15 anni espresse il desiderio di recarsi in India, creando non pochi scombussolamenti nella sua famiglia; il proposito si concretizzò qualche anno più tardi con la maggiore età quando decise di diventare missionaria cattolica e si ritirò per otto anni nell’Istituto Misioneras de Cristo Jesús, a Barcellona.
Erano gli anni ’60 e mentre i giovani della sua età sognavano la rivoluzione, lei ambiva a formare èquipe missionarie in Bolivia. Una di queste riuscì a partire e a lavorare tra gli Indios. Lei, intanto, continuava a stare in Spagna a cercare giovani che sposassero il progetto. All’epoca studiava teologia e intensificava il suo impegno religioso, ma decise di rimanere allo stato laicale. Per sostenersi lavorava in fabbrica o come donna delle pulizie.
È in quegli stessi anni, durante i quali sulla Chiesa soffiava lo Spirito del Concilio Vaticano II, che tramite sua sorella Pilàr, all’epoca volontaria in un’associazione di riabilitazione delle prostitute, viene a conoscenza di un tale Kiko Argüello, giovane pittore anch’egli di buona famiglia che aveva rinunciato ad una promettente carriera per andare con una Bibbia, una chitarra e i fioretti di San Francesco tra i poveri di Palomeras Altas.
Una follia, che tuttavia a Carmen sembrò molto più concreta come servizio alla Chiesa di tanti suoi progetti. Decise allora di seguire questo strano uomo con la barba e andò ad abitare in una baracca a mezzo chilometro da lui pensando, in fondo in fondo, di aver trovato un elemento valido per la sua missione in Bolivia. Ma quando Carmen conobbe la comunità di Palomeras – raccontava lei stessa – ebbe una grande sorpresa: scoprì, cioè, che la Chiesa non era composta da gente scelta ma da poveri e peccatori, perché era lì che Gesù Cristo si rendeva presente.
Il resto è storia conosciuta da tutti: le prime comunità formate dagli zingari, il trasferimento a Roma nel Borghetto latino, l’evangelizzazione nelle parrocchie di tutto il mondo, l’elaborazione di quelle catechesi iniziali a cui lei diede il contributo maggiore grazie ai suoi studi teologici e che, anche per la sua tenacia, furono approvate dopo tanto tempo dalla Santa Sede con il nome di “Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale”. Catechesi che negli anni hanno avvicinato milioni di persone alla Chiesa attraverso quello che lei non voleva che venisse definito “movimento”, tantomeno associazione o congregazione, ma una realtà ecclesiale frutto del rinnovamento del Concilio.
Il Cammino, si sa, conta oggi grandi numeri tra circa 30mila comunità in 125 paesi, migliaia di vocazioni e un centinaio di seminari, ma Carmen non amava sentirlo dire. Si è sempre distaccata da trionfalismi e vanaglorie o da riconoscimenti pubblici come il dottorato in teologia honoris causa che la Catholic University of America di Washington aveva concesso a lei e Kiko il 16 maggio del 2015.
Ciò che cercava Carmen era il bene delle persone, e questo implicava anche un modo schietto di dire la verità così com’era, nuda e cruda. A cominciare da Kiko. Non si dimenticano infatti i suoi rimbrotti divenuti una scena imperdibile degli incontri vocazionali, quando dopo catechesi appassionate di Argüello, di fronte a folle oceaniche, si alzava in piedi e con l’inconfondibile accento madrileño diceva: “Io dico sempre a Kiko che l’inferno è pieno di predicatori come lui!”. O quando, durante le celebrazioni nel 2009 per i 40 anni del Cammino Neocatecumenale nella Basilica di San Pietro, durante un discorso interminabile, a Kiko che cercava di farla abbreviare urlò in spagnolo: “Fai silenzio, parlo al Papa!”, strappando un sorriso anche a Benedetto XVI.
Come dimenticare, poi, i suoi incoraggiamenti alle vocazioni femminili o le parole sull’importanza del ruolo della donna “fabbrica della vita” per la Chiesa, per la famiglia e per la società. “Per questo – ripeteva continuamente – dalla prima pagina della Genesi fino al finale dell’Apocalisse il demonio perseguita sempre una donna”.
Di lei Kiko fa un ricordo commosso: “Carmen, che enorme aiuto al Cammino! Non mi ha mai adulato, ha pensato sempre al bene della Chiesa. Che donna forte!”, scrive in una lettera. “Spero di morire presto e di ricongiungermi a lei. Carmen è stata per me un evento meraviglioso” con “il suo genio grande, il suo carisma, il suo amore al Papa e soprattutto il suo amore alla Chiesa”. “È stato commovente – prosegue Kiko – che ha aspettato che io arrivassi, l’ho baciata e le ho detto: Animo! Coraggio! E dopo averle dato un besito è morta”.Fonte: Zenit  La vita, la testimonianza, il suo amore per la Chiesa
Maria del Carmen Hernández Barrera nasce a Olvega, Navarra, in Spagna, il 24 novembre 1930. Ha passato l’infanzia con la famiglia a Tudela: il padre, Antonio Hernández, è stato il fondatore della società Herba, una delle industrie del riso più importanti della Spagna.

L’impronta missionaria ricevuta dai Gesuiti
Carmen frequentò la scuola dei Gesuiti a Xavier, ricevendo un’impronta missionaria che caratterizzerà tutta la sua vita. Per desiderio del padre, iniziò gli studi di chimica all’Università di Madrid e, dopo la laurea, lavorò per un periodo nell’industria di famiglia. Ma presto, lasciò questo per ritrovare la sua vocazione missionaria giovanile.

L’esperienza in un Istituto femminile
Entrò in un istituto femminile, sorto da poco: “Le Missionarie di Cristo Gesù”, per coronare il suo sogno. Per prepararsi alla missione in India, si recò in Inghilterra per apprendere l’inglese. Erano gli anni ’60 e, con l’inizio del Concilio, anche il suo Istituto entrò in crisi, ponendosi su due binari diversi: da una parte chi voleva restare fedele all’idea originaria della missione e dall’altra chi voleva orientarsi verso una vita religiosa più “normale”.

Gli studi di liturgia e l’incontro con la Terra Santa
L’incontro con alcuni studiosi di liturgia (mons. Pedro Farnes Sherer, professore all’Istituto Liturgico di Parigi, Dom Botte, L. Bouyer, ecc.), che stavano mettendo in atto un profondo rinnovamento conciliare, riscoprendo l’eucaristia, la centralità della Pasqua, l’importanza della catechesi, la necessità di una iniziazione cristiana nelle parrocchie, orientarono Carmen verso il mondo ebraico e verso la parola di Dio. Passò due anni in Israele, visitando tutti i luoghi sacri, con la scrittura in mano, meditando e pregando.

L’incontro con Kiko
Con questo profondo e ricco bagaglio, tornò a Madrid alla ricerca di alcuni giovani che potessero unirsi a lei in un progetto di evangelizzazione che voleva avviare concretamente in Bolivia, per aver conosciuto un vescovo disposto ad accogliere questa esperienza. Non vuole rientrare nell’ambiente familiare e va a vivere tra i baraccati di Palomeras Altas, alla periferia di Madrid. Qui si incontra con Kiko Argüello, un giovane di buona famiglia, anch’egli alla ricerca di un’esperienza di vita cristiana più autentica. Non pensa ad un lavoro sociale, ma piuttosto – ispirandosi a Charles de Foucauld – ad una presenza di povero tra i poveri, certo della parola di san Giovanni XXIII che la salvezza della Chiesa sarebbe venuta attraverso i poveri.

Il fascino della comunità cristiana tra i poveri di Palomeras
E qui, tra questi poveri, zingari, quiquies, ex prostitute, handicappati…, si venne formando una comunità cristiana, così radicale, così semplice e sincera, così povera ed evangelica che quando Carmen la incontrò ne rimase affascinata. L’evangelizzazione lasciava di essere una teoria teologica o un progetto pastorale da mettere in atto: era una comunità cristiana. Nel dialogo con quella povera gente nasce a poco a poco una nuova sintesi teologico-catechetica che non solo tocca la vita delle persone, ma la va cambiando, trasformando poco a poco in una novità: nasce una preghiera sincera, la comunione tra persone socialmente e intellettualmente “incapaci” di questo, si aprono con entusiasmo all’evangelizzazione.

La nascita di un catecumenato post-battesimale
Carmen ne è affascinata. Dalla periferia di Madrid, inizia l’annuncio nelle parrocchie, dalla Spagna si passa in Italia: l’azione si va organizzando come un vero e proprio catecumenato post-battesimale. Al fascino catechetico di Kiko (che parla con forza e canta e scruta la scrittura e forma comunità…), Carmen offre una solida base teologica e liturgica, un amore alla Chiesa, ed al Papa in particolare, davvero ammirevoli, specie in un tempo tanto critico contro tutte le istituzioni.

Sempre in difesa della donna
È sempre attenta alla condizione della donna, di cui prende spesso le difese con originalità e profondità… Famosi i suoi interventi durante le Gmg a difesa della donna, contro gli attacchi che il demonio che dal Genesi all’Apocalisse la attacca, proprio perché ella ha la fabbrica della vita nel suo seno.

La profondità delle sue catechesi
Le sue catechesi, semplici ma profonde, coinvolgono spesso il cosmo stesso, strappando l’uomo dalla meschinità della sua vita sedentaria e lanciandolo dentro un ritmo ed un movimento che stanno alla base della sua visione pasquale della creazione e della salvezza.

Il suo ruolo nella redazione dello Statuto del Cammino approvato dalla Santa Sede
Il Cammino Neocatecumenale non sarebbe ciò che esso è senza la presenza intelligente e creatrice di Carmen. Ha partecipato alla redazione dello Statuto del Cammino, dando un contributo fondamentale davanti a difficoltà e dubbi ed ha gioito quando nel 2011 ha visto la sintesi catechetica, che con Kiko ed i poveri, aveva contribuito a mettere insieme, è stata approvata dalla Santa Sede, come “Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale”.

Ha sempre rifiutato riconoscimenti ufficiali
Schiva di ogni adulazione e di ogni onorificenza, si rifiutò sempre di ricevere riconoscimenti particolari. Solo nel 2015 accettò il Dottorato Honoris Causa in Sacra Teologia, in riconoscimento del suo immenso contributo alla formazione cristiana in tutto il mondo, conferitole dalla Catholic University of America di Washington, l’unica università Pontificia negli Stati Uniti.

Una donna dal carattere schietto e dal linguaggio diretto
Ha partecipato sino alla fine, anche quando era ormai già molto malata, in modo eroico all’evangelizzazione. Un tratto che rivela l’anima di questa donna eccezionale, dal carattere e dal linguaggio diretto, mai doppio, mai ipocrita – e per questo spesso quasi temuta – è quanto ha confessato una volta a Kiko: “Vedi, Kiko, io spesso passo da scorbutica e da impertinente davanti a vescovi e cardinali, ma lo faccio perché essi accettino te”!

Il ricordo di Kiko
Per questo Kiko, dando l’annuncio della sua morte, ha detto: “Carmen, che grande aiuto per il Cammino! Mai mi ha adulato, sempre pensando al bene della Chiesa. Che donna forte! Non ho mai conosciuto nessuno come lei”. E ancora diceva: “Carmen è stata per me un avvenimento meraviglioso: la donna, il suo genio grande, il suo carisma, il suo amore per il Papa e, soprattutto, il suo amore per la Chiesa”.
Autore: Don Ezechiele Pasotti
I missionari

I missionari

Chi sono i missionari? Sono sacerdoti, religiosi e religiose, laici e laiche chiamati a diffondere la fede “fino agli estremi confini della terra” (Atti 1,8).

missionarie Saveriane in Thailandia

L’origine teologica del termine “Missione” è la traduzione latina della parola greca “apostolo”. Nel Nuovo Testamento il verbo αποστέλλω (apostello) ricorre 131 volte, 119 delle quali solo nei Vangeli e negli Atti. Esso traduce l’ebraico shằlakh (שלה) stendere, inviare (in latito mittere, il cui participio passato è missio).

L’utilizzo del termine tuttavia prende corpo solo verso la metà del ‘500 con i Gesuiti: è infatti sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, ad aggiungere ai classici tre voti di povertà, castità e obbedienza, quello di obbedienza al Papa “circa missiones”, con il quale i gesuiti si mettono a disposizione del Papa per qualsiasi “missione” egli ritenga necessaria o utile per il bene della Chiesa.

Il Concilio Vaticano II segna un cambio di prospettiva radicale. Il termine «missionario» viene usato per tutti i battezzati, consapevoli che «in virtù del battesimo ricevuto, ogni membro del popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione», testo di Papa Francesco, ripreso dal documento Ad Gentes (EG 120).

I missionari “ad gentes”

Tuttavia c’è una missione specifica: è quella che viene chiamata la missione “ad gentes”, rivolta a chi vive in terre lontane e ancora non conosce la buona notizia del Vangelo, ai popoli di prima evangelizzazione, alle Chiese sorelle giovani che stanno muovendo i primi passi.

Tale vocazione missionaria si manifesta nella totalità dell’impegno per il servizio dell’evangelizzazione: è un impegno che coinvolge tutta la persona e la vita, esigendo da uomini e donne una donazione senza limiti di forze e di tempo. È una consacrazione piena ad vitam.

Oggi il missionario/a è chiamato a dare la sua testimonianza a partire da una vita di fraternità e di comunione, rivolgendosi con particolare attenzione ai poveri, ai deboli, agli emarginati, alle vittime dell’ingiustizia e dell’oppressione, destinatari privilegiati del Regno.

Dobbiamo molto a quanti, uomini e donne, hanno seguito Gesù fino a donare la vita. L’agenzia Fides, organo di informazione delle Pontificie Opere Missionarie, pubblica ogni anno un elenco degli operatori pastorali rimasti uccisi, includendo sacerdoti, religiosi, religiose, volontari e volontarie laici.

Premio Cuore Amico. I Nobel missionari del 2021: ecco chi sono


Il Premio Cuore Amico va a monsignor Christian Carlassare, suor Filomena Alicandro e al missionario laico Riccardo Giavarini. Con il premio si finanziano i progetti in Sud Sudan, Bangladesh e Bolivia

I Nobel missionari del 2021: ecco chi sono

Per la Giornata Missionaria Mondiale Cuore Amico ha assegnato il Premio Cuore Amico 2021 tre «Nobel missionari» nel mondo; ecco le loro storie. Si tratta di un riconoscimento che non esalta non esalta l’ingegno umano, ma la testimonianza evangelica e l’amore agli ultimi. I premiati sono missionari e testimoni che si fanno carico della fragilità propria e degli altri, promuovendo la fraternità e l’amicizia sociale, e ancora testimoniando che la fede è in grado di dare impulso a iniziative e plasmare comunità.

Christian Carlassare, nato a Schio (VI), missionario comboniano nel Sudan del Sud, premiato Per l’unità e la pace. Ha 43 anni ed è il vescovo italiano missionario più giovane nel mondo. Nominato nei mesi scorsi da papa Francesco vescovo della diocesi di Rumbek in Sud Sudan, è sacerdote dal 2004 e nel Paese dal 2005. Per questo popolo, che ha vissuto un conflitto cominciato negli anni Cinquanta, le cui tensioni non si sono mai placate del tutto.

Il contributo del Premio Cuore Amico verrà utilizzato per sostenere l’opera nella Diocesi di Rumbek: progetti di riconciliazione e pace, sostegno alle famiglie in difficoltà, promozione della donna. Va ricordato inoltre che, in Sud Sudan, poche settimane prima della consacrazione, il 26 aprile 2021 monsignor Carlassare è stato ferito in un attentato proprio a Rumbek. La sua video testimonianza di quanto accaduto in Sud Sudan.


Secondo premio va a suor Filomena Alicandro, la decana delle suore Missionarie dell’Immacolata in Bangladesh. È giunta in questo Paese nel 1966 stabilendosi nella zona di Bonpara. Dopo qualche anno si è trasferita al nord, a Boldipukur dove, con le consorelle, ha vissuto il difficile periodo della guerra di indipendenza del Bangladesh dal Pakistan. Dal 1979 avvia una missione a Muladuli, in una zona carente di ogni cosa, come estrema è la povertà in cui versano le comunità tribali Paharia che la abitano.

Con il contributo del Premio Cuore Amico ristrutturerà gli ambienti del centro di cucito di Golpalpur e avvierà l’insegnamento del cucito e del ricamo nel villaggio di Dhayerpara, a nord del Paese, per le donne di etnia Mandi.

Va in Bolivia il terzo premio a Riccardo Giavarini, costruttore di speranza, missionario laico a El Alto, una città molto giovane, popolosa ed estremamente povera. Delinquenza, prostituzione, contrabbando di beni, di alcol e droga trovano qui terreno fertile, anche perché la mancanza di lavoro porta spesso a cercare denaro in qualunque modo. Giavarini, missionario laico originario di Telgate (Bergamo), vive nel paese latinoamericano dal 1976.

L’importo del Premio Cuore Amico verrà utilizzato per recuperare le produzioni agricole tradizionali boliviane (frutta, miele, fiori, caffè, piccoli allevamenti di animali, riforestazione) in una azienda agricola in via di ristrutturazione che si trova nella zona di Quilo Quilo. Insieme alle comunità indigene di quest’area, si realizzerà anche un impianto idrico e un serbatoio di raccolta. L’azienda darà lavoro a ragazzi e ragazze che escono dal carcere o che hanno avuto problemi legati allo sfruttamento sessuale.

Nella stessa giornata è stato assegnato il premio voluto dall’Associazione Carlo Marchini Onlus a una religiosa che, da tanti anni, presta la sua opera educativa e di sostegno dell’infanzia in Brasile. Il premio di 10mila euro va alla salesiana suor Jane Maria da Silva per l’impegno a favore di bambini e ragazzi in diverse missioni tra cui il centro di accoglienza Chiara Palazzoli a Nova Contagem, in Brasile, istituito grazie all’Associazione Carlo Marchini, e oggi nell’oratorio Madre Maddalena Morano, a Barbacena, sempre in Brasile.

Cuoreamico.org

Sesta di nove figli, suor Jane Maria da Silva è nativa dello Stato del Minas Gerais, in Brasile. Dopo aver compiuto la professione religiosa nell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice nel 1999 ha svolto la propria azione pastorale in diverse missioni in Brasile. Al centro della sua vita e della sua azione pastorale ci sono i bambini: la loro formazione e la formazione degli educatori che li seguono. Suor Jane si è sempre occupata del pieno sviluppo di ogni bambino e giovane affinché si realizzi grazie alla compresenza della propria famiglia e di una comunità sociale e spirituale accoglienti.

La disperazione delle madri dei migranti

La disperazione delle madri dei migranti

Se Michelangelo fosse vissuto ai nostri giorni, forse La pietà l’avrebbe raffigurata così: con i volti straziati dalla disperazione delle madri che piangono i loro figli. Figli migranti, saliti a bordo di barche di fortuna in cerca di un futuro migliore lontano da casa e finiti, invece, inghiottiti dalle acque del mare, a causa di tragici naufragi.

Le madri ritratte in questa fotografia vivono nella città settentrionale siriana di Manbij, al confine con la Turchia. Le lacrime che rigano i loro volti sono quelle per nove migranti curdi, i loro figli che non torneranno mai più indietro, perché annegati, ad ottobre, al largo delle coste dell’Algeria.

Ma il pianto di queste donne siriane non è diverso da quello della madre del piccolo Hudaifa, di soli due anni, partito a settembre su un “barcone della speranza” da Antalya, in Turchia, e morto di sete in mare aperto, a circa 71 miglia dalla Libia. È stata la mamma ad accorgersi che il piccolo non respirava più. Ed è stata lei a lavarlo e a rivestirlo con abiti puliti, custoditi accuratamente in una busta e pensati per l’arrivo sulla terra ferma. Ed è stata sempre lei ad affidarlo alle acque del mare, che lo hanno travolto per sempre.

Lo stesso dolore e le stesse lacrime le immaginiamo sul volto e nel cuore della giovane mamma di 19 anni che, pochi giorni fa, è stata soccorsa al largo di Lampedusa insieme ad altri migranti e che ha visto morire suo figlio, un neonato di soli venti giorni. E a nulla serve dire che il piccolo soffriva di problemi respiratori, perché ciò non allevia lo strazio della madre.

Quel medesimo strazio accompagna da tempo le donne che partecipano al “Movimiento Migrante Mesoamericano”, organizzazione che, dal 2004, attraversa il Messico con una carovana. A comporla sono le madri di migranti scomparsi durante il loro viaggio dall’America Latina verso la frontiera settentrionale con gli Stati Uniti. Le statistiche diffuse dal Registro nacional de personas desaparecidas y no localizadas (Rnpdno) rivelano che le persone migranti delle quali non si ha più traccia sono quasi 3.000, a cui si aggiungono oltre 20.000 di nazionalità non identificata, per un totale di quasi 100.000 desaparecidos in tutto il Messico. Erano partiti in cerca di fortuna, ma hanno incontrato la morte. Pietà per loro, pietà per le loro madri.

di ISABELLA PIRO

Papa Francesco a Dubai

Papa Francesco a Dubai

Dal 1° al 3 dicembre per la Cop28”

“Accogliendo l’invito di Sua Altezza lo Sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, Presidente degli Emirati Arabi Uniti”, Papa Francesco si recherà, “come annunciato”, a Dubai, dal 1° al 3 dicembre, in occasione della prossima Conferenza degli Stati Parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP-28). A dichiararlo ai giornalisti è il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni.

Il Papa alla Cop28 di Dubai per rilanciare l’appello ad un’azione urgente per il clima

Per la prima volta alla “Conferenza delle Parti”, per la seconda negli Emirati Arabi Uniti dopo il viaggio del 2019 ad Abu Dhabi, Francesco sarà presente dall’1 al 3 dicembre tra i leader del mondo per ribadire appelli, aspettative e speranze già espressi nella Laudate Deum

Il “grido” di Francesco perché il mondo si impegni a dare una risposta alla crisi climatica, il grido, cioè, lanciato nella Laudato si’ e poi cristallizzato nella Laudate Deum, risuonerà a dicembre a Dubai. Nel futuristico emirato, città di opulenza e architetture ultra moderne, tra i maggiori esportatori di energia fossile ma, al contempo, grande investitore in energie rinnovabili, si svolgerà la Cop28, il più importante appuntamento dell’anno organizzato dall’Onu in cui i leader mondiali dovranno fare il punto su progressi e ritardi in quella che il Papa, mutuando San Francesco, definisce “la cura della nostra Casa comune”.

La partecipazione del Papa 

“Laudate Deum”, il grido del Papa per una risposta alla crisi climatica

“Laudate Deum”, il grido del Papa per una risposta alla crisi climatica

La “Conferenza delle Parti” aprirà i battenti il prossimo 30 novembre fino al 12 dicembre e questa ventottesima edizione vedrà per la prima volta la partecipazione di un Pontefice, Francesco, al suo secondo viaggio negli Emirati Arabi Uniti, dopo la trasferta ad Abu Dhabi del febbraio 2019 che è stata occasione della firma della storica Dichiarazione sulla Fratellanza Umana.

Il viaggio internazionale, il 45.mo del pontificato e il sesto del 2023, è stato confermato oggi dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. “Accogliendo l’invito di Sua Altezza lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, presidente degli Emirati Arabi Uniti, Sua Santità Papa Francesco si recherà, come annunciato, a Dubai, dal 1° al 3 dicembre 2023, in occasione della prossima Conferenza degli Stati Parte alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP-28)”, si legge nel comunicato, senza ulteriori informazioni sul programma.

L’annuncio di Francesco

Già il Papa stesso aveva annunciato la sua presenza nella recente intervista al Tg1: “Sì, andrò a Dubai. Credo che partirò il 1° dicembre fino al 3 dicembre. Starò tre giorni lì”, ha detto Francesco ricordando che proprio una Cop, la numero 21 del 2015 svoltasi a Parigi, aveva dato l’impulso per la stesura dell’enciclica sociale Laudato si’.

“Io ricordo che quando sono andato a Strasburgo, al Parlamento europeo, e il presidente Hollande ha mandato la ministra dell’ambiente Ségolène Royal a ricevermi e lei mi ha chiesto: ‘Ma lei sta preparando qualche cosa sull’ambiente? Lo faccia prima dell’incontro di Parigi’. Io ho chiamato alcuni scienziati qui, che si sono affrettati, è uscito Laudato si’ che è uscito prima di Parigi. E l’incontro di Parigi è stato il più bello di tutti. Dopo Parigi tutti sono andati indietro e ci vuole coraggio per andare avanti in questo”, ha raccontato Jorge Mario Bergoglio.

Aspettative e speranze

Laudate Deum e la COP28

Ora, alla luce della Laudate Deum pubblicata il 4 ottobre scorso, giorno della memoria liturgica del Santo d’Assisi dal quale ha preso il nome e la missione, Francesco vuole farsi presente anche fisicamente a questo importante consesso internazionale sul quale, peraltro, gravano le recenti tensioni in Europa e in Medio Oriente.

Il Papa ha dedicato uno intero capitolo della esortazione apostolica all’appuntamento di Dubai: “Cosa ci si aspetta dalla Cop28 di Dubai?” è il titolo e in esso si condensano le attese e le speranze del Vescovo di Roma che guarda alla realtà di Dubai dove, afferma, “le compagnie petrolifere e del gas ambiscono lì a nuovi progetti per espandere ulteriormente la produzione”. “Dire che non bisogna aspettarsi nulla sarebbe autolesionistico, perché significherebbe esporre tutta l’umanità, specialmente i più poveri, ai peggiori impatti del cambiamento climatico”, scrive.

Punto di svolta

“Se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la Cop28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente”, si legge ancora nella esortazione papale. “Questa Conferenza può essere un punto di svolta, comprovando che tutto quanto si è fatto dal 1992 era serio e opportuno, altrimenti sarà una grande delusione e metterà a rischio quanto di buono si è potuto fin qui raggiungere”.

L’apprezzamento del presidente della Cop28 

Il presidente di COP28: "Ridurre 22 gigatonellate di emissioni entro il 2030"

Il presidente di COP28: “Ridurre 22 gigatonellate di emissioni entro il 2030”

Le preoccupazioni del Papa erano state condivise anche da Sultan Al Jaber, ministro dell’Industria e della tecnologia avanzata degli Emirati Arabi e presidente della Cop28., che Papa Francesco ha ricevuto l’11 ottobre scorso nel Palazzo Apostolico. In una intervista con i media vaticani, Al Jaber esprimeva l’apprezzamento degli Emirati Arabi Unirti per il “fermo sostegno” del Papa “a un’azione positiva per il clima al fine di promuovere il progresso umano” e ribadiva pure l’impegno del suo Paese “a fare tutto il possibile per unire le parti, garantire l’inclusività, ottenere impegni e azioni chiari e fornire un’azione climatica ambiziosa per le persone in tutto il mondo”. Quindi delineava il “punto fermo” che guida i partecipanti alla Conferenza, “mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi Celsius”, e l’obiettivo principale: “Ridurre 22 gigatonnellate di emissioni entro il 2030”. “Il cambiamento climatico ci sta già influenzando”, diceva il ministro, “dobbiamo adattarci a questo cambiamento”. 

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-11/papa-francesco-viaggio-dubai-cop28-clima.html

La Grazia del Cuore Ardente in Missione

La Grazia del Cuore Ardente in Missione

OTTOBRE MISSIONARIO

“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
LO STILE DI EMMAUS COME STILE DI DISCERNIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO
di Rosalba Manes
Consacrata dell’ordo virginum e biblista (Pontificia Università Gregoriana)
La Bibbia ebraica si conclude con questo invito al viaggio: «Chiunque di voi appartiene al suo
popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!» (2Cr 36,23). Qual è la meta del salire di ogni
membro del popolo di Dio? È detto poco prima nello stesso versetto: «Così dice Ciro, re di Persia:
“Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli
un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda”».
Il Signore vuole che Gerusalemme sia la meta di attrazione di tutto il suo popolo. A partire da
questa conclusione, si può affermare davvero che «la Bibbia ebraica si pone interamente sotto il
segno del pellegrinaggio»1. E siccome la Bibbia ebraica confluisce negli scritti cristiani, anche il
Nuovo Testamento è posto sotto questo segno. I cristiani sono pellegrini, senza fissa dimora. Essi,
come ricorda la Lettera a Diogneto, «vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a
tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e
ogni patria è straniera»2. I cristiani di ogni tempo e di ogni età sono pellegrini muniti di una ricca
collezione di parole, la Bibbia, che si offre sempre come casa “portatile”.
I giovani e la vita come viaggio
Anche la pericope evangelica di Luca relativa al viaggio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)
offre lo spunto per pensare la vita umana come un pellegrinaggio3. Le vite dei due discepoli, come
di tutti i personaggi che la Bibbia ci consegna, più che essere modelli, sono «vite in evoluzione»4,
investite in un pellegrinaggio che può essere percorso in modo spento oppure dinamico, a seconda
della compagnia e della meta. E questo ci fa pensare soprattutto alle vite dei giovani che sono così
tanto in evoluzione a motivo della crescita, della loro curiosità e del desiderio di mettersi alla
prova coinvolgendosi nelle esperienze più disparate.
Luca invita i suoi lettori a immedesimarsi con i suoi due pellegrini5, quasi ad offrire una
sintesi del suo vangelo6. Si tratta, però, di due pellegrini coinvolti in un viaggio drammatico, che si
1 J.-P. SONNET, Il canto del viaggio, Qiqajon, Magnano (Bi) 2009, 12.
2 A Diogneto, Città nuova, Roma 2008, V,5, 83.
3
«Con ogni probabilità, questo insistente richiamo al tema del cammino ha la sua spiegazione nel fatto che il
cammino di cui parla l’evangelista altro non è se non la vita del cristiano recepita a mo’ di pellegrinaggio e che esso ha
bisogno della presenza del Risorto per non diventare alienante e triste» (V. PASQUETTO, «L’apparizione del Risorto ai
discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)», in M. LACONI E COLLABORATORI, Vangeli sinottici e Atti degli apostoli, Elle di ci,
Leumann (To) 1994, 438).
4 G. BONIFACIO, «Emmaus e il secondo annuncio», Esperienza e teologia 30 (2014), 26.
5 «Leggere la Bibbia sino in fondo è diventare pellegrini; diventare pellegrini biblici è accogliere il libro della
Scritture come guida delle nostre strade, divine e umane, da percorrere sino alla Gerusalemme di Dio» (J.-P. SONNET, Il
canto del viaggio, 12).
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
muove, cioè, in direzione opposta a Gerusalemme. Essi, infatti, dopo aver smarrito l’entusiasmo
durante i tristi eventi della Passione, decidono di lasciarsi la città santa alle spalle, di dimenticare il
cammino fatto fino a quel momento, di tornare indietro, al punto di partenza, quando una parola
“altra” li aveva affascinati, interpellati e mossi a salire a Gerusalemme. Vogliono riabbracciare la
vita di un tempo, prima che la precarietà della sequela venisse a ritmare il cammino, prima di
investirsi in un percorso che ha condotto ad un vicolo cieco. I due partono risoluti verso Emmaus,
ma non è mai piacevole ritornare a casa senza premi o trofei e un senso di sconfitta fa capolino
interiormente: il cuore è gonfio di tristezza e il passo si fa pesante, lento.
Solo alla fine dell’intreccio narrativo, che ha un Sitz im Leben7 squisitamente liturgico, dopo
un incontro illuminante attraverso il quale il cuore si riaccende e gli occhi sono in grado di
riconoscere il Risorto e di vedere la novità, essi potranno riprendere lieti la marcia, consapevoli di
accogliere una chiamata e una missione rinnovate che hanno ancora una volta a che fare con
Gerusalemme, luogo dove germoglia la chiesa madre8.
Luca ci ricorda così che tutta la vita è un cammino di uscita incontro agli altri, un esodo dalla
tirannia dei bisogni, che porta a concentrarsi su di sé, alla ricerca appassionata della libertà da sé
per scoprire la forza del desiderio che allarga gli orizzonti, rende cercatori di senso e permette di
gustare la piena fioritura dei propri doni personali. La vita è un viaggio verso di sé, a contatto con
la propria vocazione più profonda, alla scoperta di un volto che interpella con la sua parola e con la
sua presenza, in un graduale apprendistato delle relazioni che porta chi non teme le salite e i
sentieri impervi alla scoperta della storia di alleanza e di salvezza di cui fa parte. La vita è un
viaggio meraviglioso che contempla, tuttavia, deragliamenti e battute d’arresto, prima di diventare
un «cammino di giustizia» (Sal 23,3) o «sentiero della vita» che è «gioia piena» e «dolcezza senza
fine» (Sal 16,11)
Chiamati a mettere «ali come aquile»
L’evangelista Luca offre ai destinatari della sua diḗghēsis («resoconto ordinato»)9 l’occasione
di riflettere sulla vita come occasione di incontro con un Dio pellegrino che non aspetta che la
creatura umana gli vada incontro, ma che si mette sulle sue tracce, la intercetta, l’accompagna
dispiegando la forza del suo eterno Io-con-te (cfr. Es 3,12; Sal 23,4) e si fa suo commensale (cf Gen
18,1-15).
6
«Lc 24 contiene… la storia biblica: leggendo questo capitolo, si attraversano tutte le promesse, tutte le
Scritture. Capitolo enciclopedico, gravido di tutto il passato: di Gesù e della storia che lo precedeva. […] Inizio e fine
del vangelo si corrispondono… In Lc 1, il narratore e l’angelo avevano invitato a rileggere la storia dei patriarchi e dei
profeti. In Lc 24, l’invito è lo stesso, esplicito stavolta; d’altronde non si tratta più di allusioni sparse qua e là, ma di una
rassegna completa: “E incominciando da Mosè e tutti i profeti, interpretò loro in tutte le Scritture ciò che lo riguardava”
(v. 27; cfr. anche v. 44)» (J.-N. ALETTI, L’arte di raccontare Gesù Cristo. La scrittura narrativa del vangelo di Luca,
Queriniana, Brescia 1991, 153).
7 Espressione tedesca che indica il «contesto vitale», cioè la situazione storica, sociale e culturale della comunità
primitiva.
8 I due discepoli di Emmaus «“descrivono” un cammino plausibile con cui confrontarsi, aprendo una possibilità
di incontro con il Risorto, che resta a disposizione di chi si lascia intrigare dal racconto» (G. BONIFACIO, «Emmaus e il
secondo annuncio», 27).
9 Si tratta del termine con cui l’evangelista in Lc 1,1, all’inizio del prologo, designa il suo vangelo.
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Dalla carenza di energia sperimentata da chi cammina con le sue sole forze il Dio pellegrino
dà a chi cammina in sua compagnia la possibilità di acquisire misteriosamente «ali come aquile»,
com’è descritto all’inizio del Libro della Consolazione di Isaia10. Questa forza supplementare,
queste «ali di aquile» (Es 19,4), la Sacra Scrittura desidera offrirle ai suoi lettori e in modo speciale
ai giovani perché diventino atleti dello Spirito del Risorto, pieni dell’energia che viene dalla Parola,
dall’Eucaristia e dalla comunione con gli altri.
Per questo il Sinodo dei giovani ha privilegiato l’icona biblica dei discepoli di Emmaus e l’ha
letta alla luce del cammino di accompagnamento dei giovani11. Il racconto evangelico che ne parla
non è tanto un racconto di apparizione ma piuttosto il «racconto della trasformazione di due
discepoli a partire dal riconoscimento del Risorto»12. Non il vedere qualcosa è al cuore del
racconto di Luca, ma il riconoscere qualcuno. Non sono, infatti, le cose che trasformano il cuore di
un giovane che si apre alla vita, ma un incontro con una Persona che si incide per sempre nella
memoria del cuore, creando un prima e un dopo. Si tratta di un’esperienza simile
all’innamoramento che aiuta a distinguere la vita da tutto ciò che è una sua copia sbiadita13 e
mette le ali ai piedi…
La delusione del vivere: i giovani in cerca di senso
Lc 24,13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome
Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme.
Il racconto di Luca parte da due discepoli increduli e delusi che si stanno separando da
Gerusalemme e dalla comunità. Si potrebbe parlare di un cammino di «de-vocazione»14. Gli eventi
della Pasqua hanno scandalizzato i seguaci di Gesù, al punto che alcuni di loro decidono di mettere
una pietra sopra alla loro esperienza di discepolato per ritornare alla vita di un tempo. È il
sopravvento dello scoramento che prende quanti si sentono feriti da un’esperienza sulla quale
avevano proiettato tante attese, ma che poi ha lasciato l’amaro in bocca.
L’evangelista Luca ci parla, in particolare, di due discepoli che lasciano Gerusalemme per
riprendere la strada di casa, compiendo il viaggio inverso a quello che domina l’intero Vangelo di
Luca. Sono diretti ad Emmaus, città non molto lontana (forse 7 km), ancora oggi di difficile
identificazione15. Attratti dalla parola di Gesù ed estratti dal loro ambiente, avevano intrapreso il
cammino della sequela, riponendo nel maestro di Nazareth le loro attese e soprattutto le loro
10 «Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti
inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza
affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,29-31).
11 FRANCESCO, Christus vivit, Esortazione Apostolica Postsinodale ai giovani e a tutto il Popolo di Dio, LEV,
Città del Vaticano 2019, nn. 156; 236; 292; 296.
12 L. MANICARDI, Raccontami una storia. Narrazione come luogo narrativo, Messaggero, Padova 2012, 189.
13 «Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai
ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza» (C. YANNARÁS, Variazioni sul Cantico dei cantici, Servitium, Milano
1997, 25).
14 Così viene chiamato il cammino dei due discepoli di Emmaus in L. MANICARDI, Raccontami una storia, 192.
15 Questo cammino da Gerusalemme a Emmaus appare anche simbolico: Emmaus è la cittadina dove Giuda
Maccabeo nel 167 a.C. aveva sconfitto Gorgia, generale di Antioco IV Epifane (cfr. 1Mac 3,40.57; 4,3), quindi luogo
della vittoria contro un nemico di Israele. Dalla città della Pasqua i due discepoli scelgono di dirigersi alla città della
vittoria e della prospettiva messianica.
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speranze messianiche. Dopo gli eventi della Pasqua, però, non restano in loro che delusione e
tristezza per un’operazione non andata a buon fine, per un piano naufragato nel peggiore dei
modi.
Non resta che dimenticare, rimuovere il dolore per il fallimento e tornare alle sicurezze di un
tempo, quando il senso del vivere era dettato dal bisogno di procurarsi i mezzi di sussistenza e
prepararsi un futuro di benessere. Vi è un regresso che porta il cuore all’oblio dell’esperienza
fallimentare per cercare sostegno nel “mondo conosciuto”. La delusione, infatti, è nemica della
memoria e quando la memoria sbiadisce si perde il senso della propria chiamata, si azzera anche
tutto il bene che si è potuto sperimentare e ci si sente attratti a vivere «soltanto di pane» (Dt 8,3;
cfr. Lc 4,4).
Questo è lo sconforto che porta molti giovani a passare frettolosamente da un’esperienza
all’altra, senza il coraggio e la pazienza di rileggere ogni evento per «distinguere ciò che è prezioso
da ciò che è vile» (Ger 15,19).
La grazia del condividere: superare il mutismo dei giovani
Lc 24,14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
Inizia il viaggio di ritorno. I due se ne vanno da Gerusalemme, quella città che avrebbe dovuto
profumare di pace – come dice il suo nome, che contiene la parola shalom – e che invece è satura
di odio. Imboccano la strada del ritorno, ma il silenzio fa paura e iniziano a conversare, accendono
il dialogo che libera la forza della compagnia che sola tiene a bada le angosce del cuore umano. È
la vittoria della relazione sul silenzio della solitudine, il trionfo della parola che sfida la morte, che
vuole aggrapparsi alla vita, nonostante la tristezza abbia preso il sopravvento nel cuore. Parlano i
due discepoli e parlano di tutto ciò che è accaduto nella città santa. Hanno voglia di parlare, forse
perché il silenzio li mette in un contatto troppo ravvicinato con la propria interiorità o forse
perché, pur volendosi sganciare al più presto dall’esperienza che li ha delusi, si sentono ancora
intimamente connessi ad essa.
La situazione iniziale del brano si caratterizza per un viaggio di ritorno scandito dalle parole di
una conversazione tra amici. Il parlare dei due discepoli presenta dei tratti particolari: Luca usa il
verbo omiléo, «discorrere», che proviene dal contesto liturgico (cfr. At 20,11), e il verbo syzetéo,
«cercare insieme», che evidenzia un conversare orientato a trovare una soluzione comune (cfr. At
15,7). Questo conversare manifesta la grazia di condividere, tenendo i cuori connessi l’uno
all’altro. Parlano i due amici, praticano l’arte salutare e salvifica del racconto16 e testimoniano che
c’è ancora un soffio di vita nel loro cuore indolenzito per via della grande delusione.
16 «la magia fondamentale della narrazione sta nella sua capacità di dare senso. Non è la cronaca dei fatti o la
mera registrazione di ciò che accade, ma solo la loro narrazione che produce senso e quindi rende vivibile e
sopportabile il mondo. Nel racconto i fatti divengono umani, cioè una trama di eventi significativi. Il racconto umanizza
il tempo. […] Così la vita si fa somigliante a un testo, a un tessuto, a un tappeto, per esempio, che è costituito da una
trama infinita di segni ciascuno dei quali, preso in se stesso, è privo di senso, ma che insieme agli altri forma un disegno
misterioso e affascinante. Il racconto crea ordine nel caos, crea unità fra le dimensioni del passato, del presente e del
futuro […] strappa l’uomo alla tirannia del presente…» (L. MANICARDI, Raccontami una storia, 25-26.27).
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Anche qui si coglie il bisogno impellente che i giovani hanno di raccontarsi esperienze,
problemi, paure, ignari a volte di non disporre tra coetanei di tutti i mezzi utili ad avanzare.
Parlano i due pellegrini che lasciano la città santa e gli altri amici, ma non come chi parla al vento.
Questa parola è suono che qualcuno riesce ad ascoltare…
La grazia del camminare insieme: vincere la solitudine e lo smarrimento dei giovani
Lc 24,15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con
loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi
discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?».
Il racconto lucano presenta una complicazione per via dell’apparizione di un terzo personaggio,
Gesù, che innesca la tensione drammatica del processo di riconoscimento. Mentre il lettore ne
conosce l’identità, i due discepoli la ignorano. Il Risorto, che è lo straniero per eccellenza, il
pellegrino che si lascia trovare mentre è vicino (cfr. Is 55,6) ed itinera lungo i nostri sentieri, in
cerca della pecora (cfr. Lc 15,4-7), della dracma (cfr. Lc 15,8-10) e dei figli (cfr. Lc 15,11-32)
smarriti, si fa loro compagno di viaggio, anche se “in borghese”. I loro occhi, però, non vedono o
meglio non sanno riconoscere e senza riconoscenza, si smarrisce anche la conoscenza del Maestro
e non è possibile il suo riconoscimento. Gli occhi dei discepoli sono chiusi alla fede, «incapaci di
leggere la storia alla luce della fede»17.
La pedagogia del Risorto sarà allora proprio quella di aiutarli a riconoscerlo, riaccendendo
gradualmente la memoria del cuore. Egli si accosta invitandoli a raccontarsi perché possano tirare
fuori il loro dolore e consegnarlo. Li stimola ulteriormente all’arte del racconto che permette di
dire, di dirsi e di dare senso. La narrazione, infatti, implica, per ogni persona e soprattutto per i
giovani, il coinvolgimento di tutte le facoltà personali alla ricerca dell’unità, della forma e del
senso, che spesso si nascondono nei dettagli della storia o nello sguardo di chi accoglie il racconto,
offrendo il suo tempo, donando se stesso. Essere attesi dallo sguardo di un altro è proprio per ogni
giovane la base per approdare a una comprensione nuova del proprio esistere e della propria
chiamata nella storia.
La grazia di raccontare e raccontarsi: intercettare gioie e dolori dei giovani
Lc24,17Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Cleopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero
a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli
risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti
a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per
farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe
liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma
alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo
trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano
17 L. MANICARDI, Raccontami una storia, 192.
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che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le
donne, ma lui non l’hanno visto».
Il pellegrino viene scambiato per uno straniero18 ignaro dei fatti. Egli allora sta al gioco e chiede
delucidazioni. Finge non per mentire, ma per guarire. Non vuole giocare con loro, ma aiutarli ad
esternare l’amarezza e riaccendere la memoria. Allora per liberarli dal senso di delusione, libera la
domanda: «Che cosa è successo?» e i due si fermano e mostrano la loro tristezza19 che incontra
finalmente un “luogo” dove poter essere depositata, consegnata: l’orecchio, il cuore, il tempo di
quel pellegrino.
La Christus vivit sottolinea la qualità dell’ascolto del Risorto e offre questo esempio come
prototipo a chiunque si accosti ai giovani per accompagnarli:
La prima sensibilità o attenzione è alla persona. Si tratta di ascoltare l’altro che ci sta
dando sé stesso nelle sue parole. Il segno di questo ascolto è il tempo che dedico
all’altro. Non è una questione di quantità, ma che l’altro senta che il mio tempo è suo:
il tempo di cui ha bisogno per esprimermi ciò che vuole. Deve sentire che lo ascolto
incondizionatamente, senza offendermi, senza scandalizzarmi, senza irritarmi, senza
stancarmi. Questo ascolto è quello che il Signore esercita quando si mette a
camminare accanto ai discepoli di Emmaus e li accompagna per un bel pezzo lungo una
strada che andava in direzione opposta a quella giusta (cfr Lc 24,13-35)20.
Alla domanda del pellegrino uno dei due, l’unico di cui si conosca il nome, Cleopa, imbastisce un
racconto sintetico del ministero di Gesù e della loro sequela, segnata dal ritmo della speranza, una
speranza che però la crocifissione ha spento del tutto e che i racconti della tomba vuota non sono
riusciti ad alimentare. Parla di Gesù di Nazaret, senza sapere che egli è suo compagno di viaggio.
Riprende le grandi tappe della sua vita: nome, luogo di origine, ministero, passione, identità dei
suoi avversari, tipo di morte. Identifica Gesù a «un profeta potente», solidarizza con i sommi
sacerdoti che chiama «nostri», parla di una pasqua priva di risurrezione cui fa cenno solo
rimandando a delle ipotesi (che i due non hanno voluto verificare) e termina con una speranza
naufragata nell’assenza di colui che era stato riconosciuto come un potenziale liberatore.
Cleopa allude a una storia ben precisa, senza però collegarla alla storia sacra. Richiama alla
mente, ma non risveglia la memoria. Sa parlare di Gesù, ma senza evangelizzare. Narra un vangelo
senza gioia e coinvolgimento emotivo, un resoconto cronachistico che lascia indifferenti21.
Cleopa somiglia a molti giovani di oggi che conoscono Cristo solo “per sentito dire”, che lo
nominano solo perché parte di una narrazione familiare trasmessa per via di «carne e sangue» e
non «per la potenza dello Spirito», che lo sentono morto o troppo lontano dalla loro esistenza così
18 Il verbo che Luca mette sulle labbra di Cleopa è paroikéō che indica la situazione di provvisorietà e di
estraneità del suo interlocutore, il fatto di dimorare in una terra straniera, come Abramo che «soggiornò (cioè si stabilì
come straniero) nella terra promessa come in una regione straniera» (Eb 11,9).
19 «Lo stato della loro “salute spirituale” traspare dai riflessi somatici: “scuri in volto”, “occhi impediti”. Sono
simbolicamente in una situazione di morte. Il loro stesso racconto riguardante Gesù appare come un necrologio, una
triste cronaca» (L. MANICARDI, Raccontami una storia, 192-193).
20 FRANCESCO, Christus vivit n. 292.
21 Dopo il primo momento in cui si mostra alquanto evasivo, Cleopa si lancia nel racconto e «dà il via alla sua
esposizione, che non è un semplice resoconto dei fatti, ma un’evidente presa di posizione circa Gesù, il suo operato e la
sua sorte: riferisce di un passato ormai finito (vv. 19-20), denuncia un futuro disatteso (v. 21), approda su un presente
segnato dallo sconcerto e dal dubbio (vv. 22-24). Quello che manca non è la ricchezza del vissuto, ma un criterio che gli
dia senso, come dimostra il brusco intervento del Risorto» (G. BONIFACIO, «Emmaus e il secondo annuncio, 34).
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lontana dal gergo con cui comunemente si narra la fede, un gergo che rigettano perché
moralistico, volto più a castigare che ad animare e a vivificare.
La grazia della comprensione della Pasqua: appassionare i giovani alle Scritture
Lc 24,25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non
bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando
da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Solo dopo che i due di Emmaus hanno fatto l’autodiagnosi della loro perdita di speranza il
forestiero interviene e prende la parola. Dopo aver ascoltato e aver permesso loro di estrarre tutta
l’amarezza e il non senso, rimprovera i due di mancare di intelligenza e di sentimenti per aver
creduto alla parola dei profeti. I profeti avevano parlato della prova come costante della vita
umana e del Dio che salva non dalle prove, ma all’interno delle prove e inizia a leggere le Scritture
profetiche, mostrando l’intima connessione tra queste e la sua vita. Lo sconosciuto denuncia la
loro fatica di cogliere il filo rosso della storia della salvezza e inaugura un’esposizione cristologica
delle Scritture: il Messia annunciato dai profeti ama gli asini e non i cavalli, elimina i carri e l’arco di
guerra (cfr. Zc 9,9), è compassionevole verso il dolore e la sofferenza umana (cfr. Is 53,4).
Formando i discepoli alla sequela, il Maestro aveva parlato della sua passione come via per
accedere alla gloria. Perciò il forestiero li scuote perché dall’essere ripiegati sulla fine di una storia
si aprano al germogliare di una creazione nuova. È una narrazione ossigenata la sua che va oltre la
lettera per coglierne lo Spirito e che illumina gli occhi del cuore. La Pasqua si può comprendere
solo alla luce delle Scritture d’Israele che contengono una pedagogia dell’umano che si realizza
pienamente in Cristo: «la parola del comando orienta, la parola profetica interviene per cambiare,
la parola sapienziale legge la storia. Gesù non è nella tomba, dietro una pietra che chiude il
passato, ma nelle Scritture gravide di speranza e portatrici di futuro che egli solo è venuto a
compiere (cfr. Lc 4,21)»22.
Gesù conferma le parole della Scrittura, mettendone in luce il loro sensus plenior23: l’eventoCristo, cioè tutti gli eventi connessi alla sua persona, conferma l’agire salvifico del Dio di Israele nel
passato, segno che la sua morte di Croce è la consegna piena di Dio all’uomo e combacia con
l’intenzionalità originaria di Dio di donare all’uomo tutto se stesso in un amore che va fino alla
fine.
Il Risorto insegna ad ogni educatore ed educatrice, ad ogni padre e madre spirituale, l’arte di
comunicare con larghezza la Parola che nutre il cuore e di aiutare la persona a loro affidata «a
decifrare il linguaggio che Dio usa verso di lei e a scoprire negli eventi della vita la parola di Dio per
lei»24. I giovani in tal modo si sentono adottati da qualcuno che li ama e sa donare loro il suo
tempo, che sa consegnare loro parole di senso, che li fa volgere verso un Altro, il Padre, e li aiuta a
vedersi nell’unità e non più nella dispersione, a vedersi con gli occhi di Dio e a tessere la propria
storia con il tessuto della Chiesa, per non rimanere individui ma un organismo vivo, comunitario.
22 R. MANES, «Il cielo si aprì». Il Dio misericordioso e tenero di Luca, Cittadella, Assisi 2015, 149.
23 «è importante rilevare la costante connessione fra la comprensione delle Scritture e la croce… La Croce non è
predetta dalla Scritture ma è “conforme” ad esse. V’è una circolarità ermeneutica: le Scritture rinviano a Cristo e Cristo
rinvia alle Scritture. Nel prisma della Pasqua i discepoli comprendono Gesù alla luce delle Scritture, ma anche le
Scritture alla luce di Gesù» (M. CRIMELLA, Luca. Introduzione, traduzione e commento, San Paolo, Cinisello Balsamo
(Mi) 2015, 371).
24 M.I. RUPNIK, Nel fuoco del roveto ardente. Iniziazione alla vita spirituale, Lipa, Roma 1996, 62012, 97.
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La grazia di riconoscere il Vivente: insegnare ai giovani l’arte del discernimento
Lc 24,28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più
lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto».
Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione,
lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.
L’ermeneutica di Gesù esercita un tale fascino sui due discepoli di Emmaus che, pur essendo
giunti a destinazione, non possono più staccarsi dallo straniero. Egli fa come per andarsene e i due
reagiscono e lo invitano a restare: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al
tramonto» (Lc 24,29). Lo invitano così a restare e a condividere il pasto con loro, momento sacro
per la cultura orientale per rifare le forze e consolidare il vincolo di amicizia.
La Christus vivit ricorda la potenza della convivialità o ospitalità che il Nuovo Testamento
chiama filoxenía (cfr. Rm 12,13; Eb 13,2): «Quando Gesù fa come se dovesse proseguire perché
quei due sono arrivati a casa, allora capiscono che aveva donato loro il suo tempo, e a quel punto
gli regalano il proprio, offrendogli ospitalità. Questo ascolto attento e disinteressato indica il
valore che l’altra persona ha per noi, al di là delle sue idee e delle sue scelte di vita»25.
Dopo aver ricevuto in dono il tempo di quello straniero, i due discepoli desiderano donare il
proprio: resta con noi è, al tempo stesso, una richiesta e un’offerta. È chiedere aiuto e,
contemporaneamente, dimenticarsi di sé per mettere al centro l’altro. È incominciare a sentire il
sapore del dono e il senso del proprio stare al mondo.
Il pellegrino accetta e la sua presenza, le sue parole e i suoi gesti provocano un forte
impatto. Gli occhi si aprono e lo riconoscono: «dinanzi a loro non vi è più un ospite sconosciuto,
ma quel crocifisso che la tomba non è riuscita a trattenere e che per restare con i suoi si è fatto
parola e pane»26. La fractio panis libera tutta la fragranza del dono di Cristo che scompare ma
accende nei due il fuoco della fede, con il quale possono scaldare il gelo della vita ed infiammare il
mondo.
Alla luce della Parola di Dio letta in chiave cristologica27 inizia l’arte del discernimento, la
capacità di fiutare la presenza del Risorto nella storia e nella propria vicenda esistenziale e di
sperimentarla, in comunione con i fratelli, all’interno della celebrazione liturgica che permette di
accedere sin d’ora alla vita del Regno, alla gloria destinata ai figli.
La grazia del cuore ardente: formare i giovani all’annuncio gioioso
Lc 24,31Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro
cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono
senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano
con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi
i
25 FRANCESCO, Christus vivit, n. 292.
26 R. MANES, «Il cielo si aprì», 150.
27 Nelle Scritture spiegate da Cristo che ne è la chiave si trova «il modo di trarre le fila delle diversissime
esperienze umane, nel campo del bene e della verità, per riunificarle in un quadro coerente in cui l’annuncio della
Risurrezione appaia come il sigillo di Dio su un disegno di salvezza e non come un evento strano e inaspettato» (C.M.
MARTINI, L’evangelizzatore in san Luca, Ancora, Milano 2000, 153).
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Prima ancora che si aprissero gli occhi, il cuore aveva già iniziato a scaldarsi e a risvegliarsi,
alimentando quel fuoco che il Cristo è venuto a gettare sulla terra (cfr. Lc 12,49) e la cui fiamma si
propagherà a partire dall’evento dell’effusione dello Spirito a Pentecoste (cfr. At 2,3) come
potenza di Dio che divampa nella predicazione della Parola. Il fuoco ha sempre nelle Scritture una
coloritura teofanica, è cioè un elemento che nel racconto biblico dice l’irruzione di Dio (cfr. Es 3,2)
e la natura del suo amore (cfr. Ct 8,6).
Il Risorto appicca un fuoco nel cuore dei suoi, ma lui non è più visibile, perché egli non è quel
viandante: è il Risorto che vive e si fa sperimentare vivo nella vita stessa di chi crede in lui. Egli è
assente perché «non è più legato all’orizzonte terreno, non è più palpabile, visibile in maniera
fisica; eppure è ancora realmente presente e sperimentabile»28. Inoltre c’è un’importante
pedagogia che il Risorto dispiega come afferma la Christus vivit che ci ricorda che chi accompagna i
giovani deve «scomparire come scompare il Signore dalla vista dei suoi discepoli, lasciandoli soli
con l’ardore del cuore, che si trasforma in impulso irresistibile a mettersi in cammino»29.
È il segno sacramentale che permette di riconoscere il Signore non come uno di fuori che si
può vedere, ma come uno che abita dentro e scalda il cuore. Il riconoscimento del Risorto
trascende l’empiria superficiale: è un’esperienza di fede! Luca gioca sul contrasto tra gli occhi
“impediti” (v. 16) e gli occhi “spalancati” (v. 31). Tra le due situazioni irrompe la fede: «la presenza
del Signore è accessibile tramite la Parola ascoltata, tramite il pane spezzato e, più in generale, per
mezzo della fede»30.
Ed è proprio a partire dalla fede che si compie la trasformazione interiore dei discepoli che
non sono più prigionieri di segni miracolosi. Il gesto del pane spezzato, infatti, «allontana
definitivamente l’attesa idolatrica dei segni e permette ai discepoli di dire l’essenziale – la loro
trasformazione interiore all’ascolto della sua parola sulle Scritture – senza rattristarsi per la sua
scomparsa»31. Il binomio Parola-Pane eucaristico trasfigura il senso della sequela vissuta e
permette di riprendere la strada per tornare dai compagni e annunciare loro che il Maestro è vivo
e a farsi pane per loro32.
I discepoli passano così dall’abbattimento allo slancio, dal bisogno di vedere i segni al
desiderio di ascoltare e annunciare la parola, dall’attesa di un messia foriero di rivoluzione politica
o sociale e capace di spazzare via da Israele ogni presenza ostile all’accoglienza del dono d’amore
di Cristo che spinge a tornare a Gerusalemme, in mezzo agli altri, alla nuova famiglia dei credenti
in Cristo, nel clima fecondo e gioioso della lode e della comunione.
La Scrittura rimane sigillata senza la luce che promana dall’evento della morte e risurrezione
di Cristo e senza narratori, testimoni capaci cioè di attraversare la storia “sacramentalmente”,
28 G. RAVASI, I Vangeli, EDB, Bologna 2016, 431.
29 FRANCESCO, Christus vivit, n. 296.
30 M. CRIMELLA, Luca, 367.
31 J.-N. ALETTI, L’arte di raccontare Gesù Cristo, 162.
32
«Perché il Risorto sia veramente presente, non basta la partecipazione al rito. Questo diventa portatore di vita
se riesce a trasformare anche i commensali in pane che si spezza per i fratelli» (V. PASQUETTO, «L’apparizione del
Risorto ai discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)», 439).
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
aprendola a Dio e vivificandola attraverso il loro pellegrinaggio pieno di zelo e dedizione e la loro
parola incisiva e gravida di Spirito Santo.
Il Maestro è vivo e chiede ai giovani, che sono “la promessa del Padre”, di seguirlo lungo le
vie del mondo, non come individui che rifuggono nelle proprie sicurezze o nel benessere
personale, ma come comunione di fratelli e sorelle che sanno nutrire la memoria dell’incontro con
Cristo e ravvivarla mediante la preghiera, la testimonianza, la forza dei sacramenti e degli affetti e
che sanno accogliere «ali come aquile» per collaborare alla corsa di una Parola (cfr. 2Ts 3,1) che
non subisce mai battute d’arresto perché eterna.
Lc 24,13-35, capolavoro catechetico e didattico, invita noi formatori e accompagnatori a
lasciarci lavorare dallo Spirito per generare i giovani alla vita filiale di Cristo che si compie nel dono
di sé. Invita inoltre i giovani a scoprire la bella esperienza di affrontare il pellegrinaggio della vita
sapendosi sempre accompagnati33 in una pastorale feconda perché intesa come un processo
rispettoso, paziente, fiducioso e compassionevole34 e a sentirsi destinatari di una grande
attenzione e di un ascolto profondo35 che li renda capaci di udire il battito del Padre che, nel cuore
del Figlio, palpita per loro di amore eterno.
SOMMARIO
L’articolo propone una lettura narrativa del racconto di Emmaus (Lc 24,13-35) che privilegia il
tema del «viaggio» come metafora della vita e offre una serie di indicazioni preziose per ripensare
la necessità e l’urgenza di avviare i giovani all’arte del discernimento. Attraverso la prossimità
tipica di un accompagnamento che si realizza come un processo graduale e che contempla la
possibilità di una reale esperienza di generazione spirituale, il contatto con la Parola contenuta
nelle Scritture e rivelatrice di senso e l’esperienza sacramentale all’interno di un contesto
ecclesiale che testimoni un’alta qualità dei rapporti e di comunione, è offerta ai giovani
l’opportunità di coltivare sogni e desideri grandi e di aprirsi serenamente al futuro, sentendosi
depositari di una chiamata al dono di sé, a cui dare carne giorno per giorno.

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2023

Cuori ardenti, piedi in cammino (cfr Lc 24,13-35)

Cari fratelli e sorelle!

Per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno ho scelto un tema che prende spunto dal racconto dei discepoli di Emmaus, nel Vangelo di Luca (cfr 24,13-35): «Cuori ardenti, piedi in cammino». Quei due discepoli erano confusi e delusi, ma l’incontro con Cristo nella Parola e nel Pane spezzato accese in loro l’entusiasmo per rimettersi in cammino verso Gerusalemme e annunciare che il Signore era veramente risorto. Nel racconto evangelico, cogliamo la trasformazione dei discepoli da alcune immagini suggestive: cuori ardenti per le Scritture spiegate da Gesù, occhi aperti nel riconoscerlo e, come culmine, piedi in cammino. Meditando su questi tre aspetti, che delineano l’itinerario dei discepoli missionari, possiamo rinnovare il nostro zelo per l’evangelizzazione nel mondo odierno.

1. Cuori ardenti «quando ci spiegava le Scritture». La Parola di Dio illumina e trasforma il cuore nella missione.

Sulla via da Gerusalemme a Emmaus, i cuori dei due discepoli erano tristi – come traspariva dai loro volti – a causa della morte di Gesù, nel quale avevano creduto (cfr v. 17). Di fronte al fallimento del Maestro crocifisso, la loro speranza che fosse Lui il Messia è crollata (cfr v. 21).

Ed ecco, «mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro» (v. 15). Come all’inizio della vocazione dei discepoli, anche ora nel momento del loro smarrimento, il Signore prende l’iniziativa di avvicinarsi ai suoi e camminare al loro fianco. Nella sua grande misericordia, Egli non si stanca mai di stare con noi, malgrado i nostri difetti, i dubbi, le debolezze, nonostante la tristezza e il pessimismo ci inducano a diventare «stolti e lenti di cuore» (v. 25), gente di poca fede.

Oggi come allora, il Signore risorto è vicino ai suoi discepoli missionari e cammina accanto a loro, specialmente quando si sentono smarriti, scoraggiati, impauriti di fronte al mistero dell’iniquità che li circonda e li vuole soffocare. Perciò, «non lasciamoci rubare la speranza!» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 86). Il Signore è più grande dei nostri problemi, soprattutto quando li incontriamo nell’annunciare il Vangelo al mondo, perché questa missione, in fin dei conti, è sua e noi siamo semplicemente i suoi umili collaboratori, “servi inutili” (cfr Lc 17,10).

Esprimo la mia vicinanza in Cristo a tutti i missionari e le missionarie nel mondo, in particolare a coloro che attraversano un momento difficile: il Signore risorto, carissimi, è sempre con voi e vede la vostra generosità e i vostri sacrifici per la missione di evangelizzazione in luoghi lontani. Non tutti i giorni della vita sono pieni di sole, ma ricordiamoci sempre delle parole del Signore Gesù ai suoi amici prima della passione: «Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).

Dopo aver ascoltato i due discepoli sulla strada per Emmaus, Gesù risorto «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27). E i cuori dei discepoli si riscaldarono, come alla fine si confideranno l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (v. 32). Gesù infatti è la Parola vivente, che sola può far ardere, illuminare e trasformare il cuore.

Così comprendiamo meglio l’affermazione di San Girolamo: «Ignorare le Scritture è ignorare Cristo» (In Is., Prologo). «Senza il Signore che ci introduce è impossibile comprendere in profondità la Sacra Scrittura, ma è altrettanto vero il contrario: senza la Sacra Scrittura restano indecifrabili gli eventi della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo» (Lett. ap. M.P. Aperuit illis, 1). Perciò, la conoscenza della Scrittura è importante per la vita del cristiano, e ancora di più per l’annuncio di Cristo e del suo Vangelo. Altrimenti, che cosa si trasmette agli altri se non le proprie idee e i propri progetti? E un cuore freddo, potrà mai far ardere quello degli altri?

Lasciamoci dunque sempre accompagnare dal Signore risorto che ci spiega il senso delle Scritture. Lasciamo che Egli faccia ardere il nostro cuore, ci illumini e ci trasformi, affinché possiamo annunciare al mondo il suo mistero di salvezza con la potenza e la sapienza che vengono dal suo Spirito.

2. Occhi che «si aprirono e lo riconobbero» nello spezzare il pane. Gesù nell’Eucaristia è culmine e fonte della missione.

I cuori ardenti per la Parola di Dio spinsero i discepoli di Emmaus a chiedere al misterioso Viandante di restare con loro sul far della sera. E, intorno alla mensa, i loro occhi si aprirono e lo riconobbero quando Lui spezzò il pane. L’elemento decisivo che apre gli occhi dei discepoli è la sequenza delle azioni compiute da Gesù: prendere il pane, benedirlo, spezzarlo e darlo a loro. Sono gesti ordinari di un capofamiglia ebreo, ma, compiuti da Gesù Cristo con la grazia dello Spirito Santo, rinnovano per i due commensali il segno della moltiplicazione dei pani e soprattutto quello dell’Eucaristia, sacramento del Sacrificio della croce. Ma proprio nel momento in cui riconoscono Gesù in Colui-che-spezza-il-pane, «egli sparì dalla loro vista» (Lc 24,31). Questo fatto fa capire una realtà essenziale della nostra fede: Cristo che spezza il pane diventa ora il Pane spezzato, condiviso con i discepoli e quindi consumato da loro. È diventato invisibile, perché è entrato ora dentro i cuori dei discepoli per farli ardere ancora di più, spingendoli a riprendere il cammino senza indugio per comunicare a tutti l’esperienza unica dell’incontro con il Risorto! Così Cristo risorto è Colui-che-spezza-il-pane e al contempo è il Pane-spezzato-per-noi. E dunque ogni discepolo missionario è chiamato a diventare, come Gesù e in Lui, grazie all’azione dello Spirito Santo, colui-che-spezza-il-pane e colui-che-è-pane-spezzato per il mondo.

A questo proposito, occorre ricordare che un semplice spezzare il pane materiale con gli affamati nel nome di Cristo è già un atto cristiano missionario. Tanto più lo spezzare il Pane eucaristico che è Cristo stesso è l’azione missionaria per eccellenza, perché l’Eucaristia è fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa.

Lo ha ricordato il Papa Benedetto XVI: «Non possiamo tenere per noi l’amore che celebriamo nel Sacramento [dell’Eucaristia]. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti. Ciò di cui il mondo ha bisogno è l’amore di Dio, è incontrare Cristo e credere in Lui. Per questo l’Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa; lo è anche della sua missione: “Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria”» (Esort. ap. Sacramentum caritatis, 84).

Per portare frutto dobbiamo restare uniti a Lui (cfr Gv 15,4-9). E questa unione si realizza attraverso la preghiera quotidiana, in particolare nell’adorazione, nel rimanere in silenzio alla presenza del Signore, che rimane con noi nell’Eucaristia. Coltivando con amore questa comunione con Cristo, il discepolo missionario può diventare un mistico in azione. Che il nostro cuore brami sempre la compagnia di Gesù, sospirando l’ardente richiesta dei due di Emmaus, soprattutto quando si fa sera: “Resta con noi, Signore!” (cfr Lc 24,29).

3. Piedi in cammino, con la gioia di raccontare il Cristo Risorto. L’eterna giovinezza di una Chiesa sempre in uscita.

Dopo aver aperto gli occhi, riconoscendo Gesù nello «spezzare il pane», i discepoli «partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme» (cfr Lc 24,33). Questo andare in fretta, per condividere con gli altri la gioia dell’incontro con il Signore, manifesta che «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 1). Non si può incontrare davvero Gesù risorto senza essere infiammati dal desiderio di dirlo a tutti. Perciò, la prima e principale risorsa della missione sono coloro che hanno riconosciuto Cristo risorto, nelle Scritture e nell’Eucaristia, e che portano nel cuore il suo fuoco e nello sguardo la sua luce. Costoro possono testimoniare la vita che non muore mai, anche nelle situazioni più difficili e nei momenti più bui.

L’immagine dei “piedi in cammino” ci ricorda ancora una volta la perenne validità della missio ad gentes, la missione data alla Chiesa dal Signore risorto di evangelizzare ogni persona e ogni popolo sino ai confini della terra. Oggi più che mai l’umanità, ferita da tante ingiustizie, divisioni e guerre, ha bisogno della Buona Notizia della pace e della salvezza in Cristo. Colgo pertanto questa occasione per ribadire che «tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile» (ibid., 14). La conversione missionaria rimane l’obiettivo principale che dobbiamo proporci come singoli e come comunità, perché «l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa» (ibid., 15).

Come afferma l’apostolo Paolo, l’amore di Cristo ci avvince e ci spinge (cfr 2 Cor 5,14). Si tratta qui del duplice amore: quello di Cristo per noi che richiama, ispira e suscita il nostro amore per Lui. Ed è questo amore che rende sempre giovane la Chiesa in uscita, con tutti i suoi membri in missione per annunciare il Vangelo di Cristo, convinti che «Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (v. 15). A questo movimento missionario tutti possono contribuire: con la preghiera e l’azione, con offerte di denaro e di sofferenze, con la propria testimonianza. Le Pontificie Opere Missionarie sono lo strumento privilegiato per favorire questa cooperazione missionaria a livello spirituale e materiale. Per questo la raccolta di offerte della Giornata Missionaria Mondiale è dedicata alla Pontificia Opera della Propagazione della Fede.

L’urgenza dell’azione missionaria della Chiesa comporta naturalmente una cooperazione missionaria sempre più stretta di tutti i suoi membri ad ogni livello. Questo è un obiettivo essenziale del percorso sinodale che la Chiesa sta compiendo con le parole-chiave comunione, partecipazione, missione. Tale percorso non è sicuramente un piegarsi della Chiesa su sé stessa; non è un processo di sondaggio popolare per decidere, come in un parlamento, che cosa bisogna credere e praticare o no secondo le preferenze umane. È piuttosto un mettersi in cammino come i discepoli di Emmaus, ascoltando il Signore Risorto che sempre viene in mezzo a noi per spiegarci il senso delle Scritture e spezzare il Pane per noi, affinché possiamo portare avanti con la forza dello Spirito Santo la sua missione nel mondo.

Come quei due discepoli narrarono agli altri ciò che era accaduto lungo la via (cfr Lc 24,35), così anche il nostro annuncio sarà un raccontare gioioso il Cristo Signore, la sua vita, la sua passione, morte e risurrezione, le meraviglie che il suo amore ha compiuto nella nostra vita.

Ripartiamo dunque anche noi, illuminati dall’incontro con il Risorto e animati dal suo Spirito. Ripartiamo con cuori ardenti, occhi aperti, piedi in cammino, per far ardere altri cuori con la Parola di Dio, aprire altri occhi a Gesù Eucaristia, e invitare tutti a camminare insieme sulla via della pace e della salvezza che Dio in Cristo ha donato all’umanità.

Santa Maria del cammino, Madre dei discepoli missionari di Cristo e Regina delle missioni, prega per noi!

Roma, San Giovanni in Laterano, 6 gennaio 2023, Solennità dell’Epifania del Signore.
 

FRANCESCO