«Donna de Paradiso» lauda drammatica di Jacopone da Todi

«Donna de Paradiso» lauda drammatica di Jacopone da Todi

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Rossini: Stabat Mater - 1. Stabat Mater dolorosa

La Donna de Paradiso di Jacopone da Todi Donna de paradiso è una poesia religiosa atribuita a Iacopone da Todi. Si tratta di un componimento in volgare, una lauda drammatica, chiamato anche Il pianto della Madonna, ed è pensato come un dialogo ai piedi della croce, nel quale Maria mostra tutto il suo dolore per la perdita di suo figlio.

«Donna de Paradiso
lo tuo figliolo è priso
Iesù Cristo beato.

Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;
credo che lo s’occide,
tanto l’ho flagellato.»

(Donna de Paradiso, 1-7)
Rappresenta un concitato dialogo tra il nunzio (san Giovanni Evangelista), Gesù, la Madonna e la folla durante gli ultimi momenti della vita di Cristo. Il metro utilizzato è quello della ballata sacra con quartine di settenari rimati AAAY e una ripresa rimata XXY. Il componimento è diviso in una terzina iniziale oltre a 33 quartine che rappresentano il numero degli anni che aveva Cristo alla sua morte e le strofe dedicate alla passione sono tre, simbolo della Trinità.

Ha una grande rilevanza storico-linguistica per il particolare uso del volgare: si alterna un registro basso (il cosiddetto sermo cotidianus) per i personaggi Maria e Gesù, a un registro colto e latineggiante per la folla e il nunzio.

Cristo si rivolge alla Madonna chiamandola mamma le tre volte che si rivolge a lei direttamente, e mate quando parla di lei a Giovanni.

La lauda drammatica
Donna de Paradiso è l’esempio più famoso di lauda drammatica, nonché in assoluto la prima lauda drammatica costruita interamente sotto forma di dialogo (Gesù-Maria-il nunzio).

Il carattere polifonico, di poesia a più voci, è strettamente associato a una concitazione narrativa che esprime i sentimenti drammatici e contrastanti da cui la scena è dominata: stupore, dolore, odio, amore. Fino a distendersi nell’ultima e più lunga battuta pronunciata da Maria, in una sofferta e quasi ininterrotta invocazione, dove si sommano il più tenero affetto e il dolore più straziante.

All’interno della lauda il personaggio di Maria assume particolare rilievo e viene rappresentata essenzialmente nella sua umanità di madre. La Madonna appare come una donna disperata per la vicenda del figlio, la cui condanna e morte le sono del tutto incomprensibili, dal momento che Cristo «non fece follia», «a torto è accusato», «non ha en sé peccato». La madre vede il proprio figlio martirizzato, «ensanguinato» e vuole allora morire con lui, salendo sulla stessa croce sul quale Cristo è riposto. La sua disperazione compare nel famoso corrotto, lamento funebre, nel quale con i più dolci appellativi si rivolge alla sua creatura che non è riuscita a sottrarre al martirio.

La Madonna non coglie nella sua morte l’esperienza necessaria per la redenzione dell’umanità dal peccato originale, ma solo l’aspetto terreno di terribile sofferenza.

Anche Cristo rivela attenzioni da figlio nei confronti della madre, che affida alle cure amorevoli di Giovanni, esortandola a restare in vita per servire i «compagni ch’al mondo» ha «acquistato», ma c’è in Cristo quella consapevolezza della sua missione salvifica che manca alla semplice donna del popolo.

Compito del nunzio è quello di riferire alla donna tutto quanto accade intorno alla croce; svolge con scrupolo il suo compito di cronista, non risparmiando alla madre nessuna delle torture inflitte al figlio e senza una sua partecipazione emotiva al dramma.

Due soli sono gli interventi del popolo presente alla scena ed entrambi con la funzione di affermare che in nome della legge Gesù deve essere punito, condannato.

Lo stile ha una notevole forza espressiva: scansione rapida delle frasi e prevalenza della coordinazione nella sintassi; l’uso dell’anafora (la parola figlio). Le frasi esclamative hanno il verbo all’infinito e la forma interrogativa è piena d’incertezza e di tensione. L’uso del tempo verbale al presente conferisce sia immediatezza sia eternità all’evento della passione.

È evidente da queste osservazioni che l’alta materia della Passione dal piano teologico è scesa a quello umano e spettacolarizzato; questo consente al pubblico, a cui è destinata la lauda, di identificarsi nel dramma della madre e del figlio e di parteciparvi. Iacopone nel descrivere la Passione di Cristo segue fedelmente i testi sacri della tradizione cristiana (le Sacre Scritture ed i Vangeli); inoltre la drammaticità che permea la sua opera è analoga a quella presente in alcune opere dell’arte figurativa contemporanea, come dimostra l’osservazione, ad esempio, della Crocifissione di Cimabue, conservata nella basilica superiore di San Francesco d’Assisi. La poesia viene citata da Fabrizio De André (Le nuvole) nel brano Ottocento.

(Laude, 70)

È il più celebre testo di Jacopone, uno dei primi esempi (se non il primo in assoluto) di “lauda drammatica” in quanto propone un dialogo tra più personaggi sulla crocifissione di Cristo, al centro della quale vi è il dolore di Maria per il martirio del proprio figlio (gli altri interlocutori sono Gesù stesso, la folla degli ebrei e un fedele che descrive le fasi del supplizio, probabilmente l’apostolo Giovanni). Il mistero dell’incarnazione di Cristo è espresso attraverso la pena tutta umana della madre per le sofferenze a Lui inflitte, per cui il racconto della Passione diventa un dramma concreto e naturalissimo accentuato dal movimento drammatico delle voci che si susseguono. Jacopone ha affrontato il tema del dolore della Vergine per la morte di Cristo anche nell’inno latino “Stabat Mater”, a lui generalmente attribuito.








































































































«Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso
Iesù Cristo beato.Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;
credo che lo s’occide,
tanto l’ò flagellato».«Come essere porria,
che non fece follia,
Cristo, la spene mia,
om l’avesse pigliato?».«Madonna, ello è traduto,
Iuda sì ll’à venduto;
trenta denar’ n’à auto,
fatto n’à gran mercato».«Soccurri, Madalena,
ionta m’è adosso piena!
Cristo figlio se mena,
como è annunzïato».«Soccurre, donna, adiuta,
cà ’l tuo figlio se sputa
e la gente lo muta;
òlo dato a Pilato».«O Pilato, non fare
el figlio meo tormentare,
ch’eo te pòzzo mustrare
como a ttorto è accusato».«Crucifige, crucifige!
Omo che se fa rege,
secondo la nostra lege
contradice al senato».«Prego che mm’entennate,
nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate
de que avete pensato».

«Traiàn for li latruni,
che sian soi compagnuni;
de spine s’encoroni,
ché rege ss’è clamato!».

«O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor me’ angustïato?

Figlio occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ si lattato?».

«Madonna, ecco la croce,
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
déi essere levato».

«O croce, e que farai?
El figlio meo torrai?
E que ci aponerai,
che no n’à en sé peccato?».

«Soccurri, plena de doglia,
cà ’l tuo figliol se spoglia;
la gente par che voglia
che sia martirizzato».

«Se i tollit’el vestire,
lassatelme vedere,
com’en crudel firire
tutto l’ò ensanguenato».

«Donna, la man li è presa,
ennella croc’è stesa;
con un bollon l’ò fesa,
tanto lo ’n cci ò ficcato.

L’altra mano se prende,
ennella croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è plu multiplicato.

Donna, li pè se prènno
e clavellanse al lenno;
onne iontur’aprenno,
tutto l’ò sdenodato».

«Et eo comenzo el corrotto;
figlio, lo meo deporto,
figlio, chi me tt’à morto,
figlio meo dilicato?

Meglio aviriano fatto
ch’el cor m’avesser tratto,
ch’ennella croce è tratto,
stace descilïato!».

«O mamma, o’ n’èi venuta?
Mortal me dà’ feruta,
cà ’l tuo plagner me stuta,
ch’el veio sì afferato».

«Figlio, ch’eo m’aio anvito,
figlio, pat’e mmarito!
Figlio, chi tt’à firito?
Figlio, chi tt’à spogliato?».

«Mamma, perché te lagni?
Voglio che tu remagni,
che serve mei compagni,
ch’êl mondo aio aquistato».

«Figlio, questo non dire!
Voglio teco morire,
non me voglio partire
fin che mo ’n m’esc’ el fiato.

C’una aiàn sepultura,
figlio de mamma scura,
trovarse en afrantura
mat’e figlio affocato!».

«Mamma col core afflitto,
entro ’n le man’ te metto
de Ioanni, meo eletto;
sia to figlio appellato.

Ioanni, èsto mea mate:
tollila en caritate,
àginne pietate,
cà ’l core si à furato».

«Figlio, l’alma t’è ’scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato!

Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,
figlio, e a ccui m’apiglio?
Figlio, pur m’ài lassato!

Figlio bianco e biondo,
figlio volto iocondo,
figlio, perché t’à el mondo,
figlio, cusì sprezzato?

Figlio dolc’e placente,
figlio de la dolente,
figlio àte la gente
mala mente trattato.

Ioanni, figlio novello,
morto s’è ’l tuo fratello.
Ora sento ’l coltello
che fo profitizzato.

Che moga figlio e mate
d’una morte afferrate,
trovarse abraccecate
mat’e figlio impiccato!».

Fedele: «Donna del cielo, tuo figlio, Gesù Cristo beato, è catturato.



Accorri, donna e vedi che la gente lo colpisce; credo che lo stiano uccidendo, tanto lo hanno flagellato.»



Maria: «E come potrebbe essere che abbiano catturato Cristo, la mia speranza, visto che non ha commesso peccato?»


Fedele: «Madonna, egli è stato tradito; Giuda l’ha venduto, avendone in cambio trenta denari; ne ha tratto un gran guadagno».



Maria: «Aiutami, Maddalena, mi è arrivata addosso la pena! Mio figlio Cristo è portato via, come è stato annunciato».



Fedele: «Soccorrilo, donna, aiutalo, poiché sputano addosso a tuo figlio e la gente lo sta portando via; lo hanno consegnato a Pilato».



Maria: «O Pilato, non fare torturare mio figlio, poiché io ti posso dimostrare che è accusato a torto».


Folla: «Crocifiggilo, crocifiggilo! Un uomo che si proclama re, secondo la nostra legge, contravviene ai decreti del senato».



Maria: «Vi prego di ascoltarmi, pensate al mio dolore! Forse ora cambiate idea rispetto a ciò che avete pensato».



Folla: «Tiriamo fuori [liberiamo] i ladroni, che siano suoi compagni di pena; lo si incoroni di spine, visto che si è proclamato re!».


Maria: «O figlio, figlio, figlio, figlio, giglio amoroso! Figlio, chi dà conforto al mio cuore angosciato?



Figlio dagli occhi che danno gioia, figlio, perché non mi rispondi? Figlio, perché ti nascondi dal petto dove sei stato allattato?».



Fedele: «Madonna, ecco la croce che è portata dalla folla, ove Cristo (la vera luce) dovrà essere sollevato».



Maria: «Croce, cosa farai? Prenderai mio figlio? E di cosa lo accuserai, visto che non ha commesso alcun peccato?».



Fedele: «Soccorrilo, o tu che sei piena di dolore, poiché il tuo figliolo è spogliato; sembra che la folla voglia che sia martirizzato».


Maria: «Se gli togliete i vestiti, lasciatemi vedere come lo hanno tutto insanguinato, infliggendogli crudeli ferite».



Fedele: «Donna, gli hanno preso una mano e l’hanno stesa su un braccio della croce; l’hanno spaccata con un chiodo, tanto gliel’hanno conficcato.


Gli prendono l’altra mano e la stendono sull’altro braccio della croce, e il dolore brucia, ancora più accresciuto.


Donna, gli prendono i piedi e li inchiodano al legno; aprendogli ogni giuntura, lo hanno tutto slogato».



Maria: «E io inizio il lamento funebre; figlio, mia gioia, figlio, chi ti ha ucciso [togliendoti a me], figlio mio delicato?



Avrebbero fatto meglio a strapparmi il cuore, visto che è posto anch’esso in croce e sta lì straziato!».



Cristo: «Mamma, dove sei venuta? Mi infliggi una ferita mortale, poiché il tuo pianto, che vedo così angosciato, mi uccide».


Maria: «Figlio, io ne ho ben ragione, figlio, padre e marito! Figlio, chi ti ha ferito? Figlio, chi ti ha spogliato?».



Cristo: «Mamma, perché ti lamenti? Voglio che tu rimanga qui, che assisti i miei compagni che ho acquistato nel mondo».



Maria: «Figlio, non dire questo! Voglio morire con te, non voglio andarmene finché mi esce ancora voce.


Possiamo noi avere un’unica sepoltura, figlio di mamma infelice, trovandoci nella stessa sofferenza, madre e figlio ucciso!».



Cristo: «Mamma col cuore afflitto, ti affido nelle mani di Giovanni, il mio discepolo prediletto; sia tuo figlio acquisito.



Giovanni, ecco mia madre: prendila con affetto, abbine pietà, poiché ha il cuore così trafitto».



Maria: «Figlio, l’anima ti è uscita dal corpo, figlio della smarrita, figlio della disperata, figlio avvelenato [ucciso]!



Figlio bianco e rosso, figlio senza pari, figlio, a chi mi rivolgo? Mi hai davvero abbandonata!


Figlio bianco e biondo, figlio dal volto gioioso, figlio, perché il mondo ti ha così disprezzato?



Figlio dolce e bello, figlio di una donna addolorata, figlio, la gente ti ha trattato in malo modo.



Giovanni, figlio acquisito, tuo fratello è morto. Ora sento il coltello [la pena del martirio] che fu profetizzato.



Che la madre muoia insieme al figlio, afferrati dalla stessa morte, trovandosi abbracciati, madre e figlio entrambi crocifissi!»

Interpretazione

  • Il testo ha la forma metrica di una ballata di versi settenari, con una ripresa di tre versi (rima YYX) e 33 strofe di quattro versi ciascuna (rima AAAX). Sono presenti rime siciliane ai vv. 1-2 (Paradiso / preso), vv. 28-29 (crucifige / rege), vv. 37-38 (compagnuni / encoroni), vv. 48-49 (croce / aduce), vv. 60-61 (vestire /  vedere), vv. 104-105 (afflitto / metto). Una rima imperfetta è ai vv. 76-77, corrotto / deporto.
  • La passione di Cristo è rappresentata nella sua crudezza e nella sua umanità, poiché Gesù è mostrato come un uomo che soffre e il cui corpo è flagellato e sottoposto a crudeli ferite. Altrettanto umana la figura della Madonna, il cui dolore è quello di una madre che soffre a vedere il figlio torturato senza colpa (all’inizio Maria tenta inutilmente di convincere la folla e Pilato dell’innocenza del figlio). Nelle prime strofe la sua voce si alterna a quella di un fedele (forse S. Giovanni, cui Cristo affida la madre alla fine del testo) che descrive i momenti più strazianti del martirio e invita Maria a soccorrere il figlio; interviene poi la voce della folla che incita alla crocifissione, secondo lo stereotipo medievale del popolo ebreo deicida, quindi animato dal desiderio di martirio verso Cristo.
  • Il testo si compone di 33 quartine (esclusa la ripresa) che corrispondono agli anni di Cristo quando venne crocifisso, mentre la descrizione del suo corpo inchiodato alla croce si concentra nei vv. 64-75, dunque nelle tre strofe centrali del componimento, con una perfetta simmetria e la simbologia religiosa del numero tre.
  • La prima parte della lauda contiene soprattutto la descrizione della Via crucis con le urla della folla all’indirizzo di Gesù e gli oltraggi al suo corpo, mentre nella seconda parte (dopo che Cristo è stato inchiodato alla croce) ha grande spazio il dolore di Maria, che si abbandona a un “corrotto” (lamento funebre) commovente e straziante: la Vergine si rivolge direttamente al figlio, sottolinea la sua innocenza e il fatto che sia martirizzato senza colpa, ne fa l’elogio con una serie di epiteti esornativi (l’anafora “figlio” è ripetuta per quattro quartine consecutive, vv. 112-127, poi Maria lo chiama “bianco e vermiglio”, “bianco e biondo”, “volto iocondo”). Il suo dolore è quello tutto umano di una donna che vede il figlio morire e vorrebbe essere uccisa insieme a lui, mente alla fine resta piangente ai piedi della croce.

«Maschio e femmina li creò»

«Maschio e femmina li creò»

Quattro anni fa il Vaticano smontava la teoria del gender

Nel febbraio 2019, la Congregazione per l’educazione cattolica firmava un importante documento, intitolato «Maschio e femmina li creò», che in 57 punti mostrava il carattere innaturale, antiscientifico e perfino antiecologico dell’ideologia del gender.

Pochissimi ricordano che quattro anni fa, nel febbraio 2019, il Vaticano firmò un fondamentale documento (poi pubblicato nel giugno di quell’anno), di natura sia etica che pedagogica, intitolato con parole che per alcuni andrebbero espunte dal dizionario: «Maschio e femmina li creò». Il sottotitolo era: «Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione».

Il tono di fondo del testo è misurato e riflessivo, secondo la dinamica dialogica fatta propria dalla Chiesa di papa Francesco. E tuttavia il documento, firmato dal cardinal Giuseppe Versaldi a nome della Congregazione per l’educazione cattolica, faceva chiarezza su tante questioni importanti e decisive che oggi sono diventate ancor più impellenti e ineludibili.

Si pensi al mondo della scuola e alla pretesa del cambio di nome da parte dello studente che si auto-percepisce del sesso opposto, la cosiddetta carriera alias; si pensi alla stessa prassi medica che ormai ha sdoganato una serie di farmaci per correggere la natura umana. Gli ormoni che bloccano la differenziazione sessuale dei minorenni e le chirurgie alla Frankenstein, le quali, come se nulla fosse, asportano organi sani (ovaie, seni, testicoli, utero, etc.), se in contrasto con la “transizione di genere” desiderata. Ma anche lo Stato e la legge civile sono vittime del totalitarismo arcobaleno che si diffonde ovunque, non solo a Sanremo. «Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla differenza biologica fra maschio e femmina» (n. 22).

Il documento, in 29 pagine e 57 punti, mostra quanto c’è di innaturale, antiscientifico e se vogliamo antiecologico nelle ideologie del gender, in quanto esse vorrebbero dimostrare che l’identità sessuale, «ha più a che fare con una costruzione sociale che con un dato naturale o biologico» (n. 8). La storia insegna che i periodi di maggiore crisi etica coincidono con quelli di maggiori dubbi sulla validità delle acquisizioni scientifiche ed empiriche. Si vedano i deliri razziali nazisti, “scientificamente” fondati sulla misurazione dei crani di varie tribù. Oppure i deliri classisti sovietici, per cui perfino le teorie cosmologiche di Georges Lemaître e Albert Einstein andavano rigettate perché frutto di “scienza borghese”. Il gender, nel quadro dell’edonismo assoluto e del relativismo etico imperante, fa esattamente lo stesso. Azzera la biologia, la psicologia, l’anatomia, la genetica e le altre scienze. E se mi sento queer, o gender fluid, bisessuale o poliamoroso, affari miei. Anzi, si pretende che lo Stato assecondi le mie pulsioni.

Secondo il Vaticano, in una «crescente contrapposizione tra natura e cultura», in cui per paradosso è la natura il nemico dei finti green, si legittima come normale una «dimensione fluida, flessibile, nomade» di sessualità. Senza nulla di stabile, neppure, ad esempio, i ruoli di padre e madre nella famiglia. Anzi essi sarebbero da rimuovere, perché frutto di pregiudizio sociale, moralismo cattolico, “Ur-fascismo” (Eco). In questa logica, si apre al “poliamore”, ovvero un’unione affettiva con «più di due individui» (n. 13). Progresso o ritorno alla tribù? Il matrimonio, su cui si fonda la famiglia che la nostra Costituzione definisce «società naturale», sarebbe un mero «retaggio della società patriarcale» (n. 14).

Andrebbe riletto e ristudiato con attenzione l’intero documento, qui ci limitiamo ad alcuni tratti salienti. Dopo la legittimazione dell’ideologia del gender da parte degli Stati e delle nazioni civili, che cosa resterebbe della missione educativa dei genitori e della scuola? Nulla di concreto. Solo la (sempre più insignificante) non discriminazione. Tranne, in verità, verso chi vuole la Tradizione, verso cui ogni tolleranza è bandita. Anche il particolare anti-materialismo (gnostico) dell’ideologia del gender è imbarazzante. Dire che il genere sessuale è svincolato dalla corporeità vuol dire che il corpo è “materia inerte”, manipolabile all’infinito. Anche per questo la filosofia del gender, se piace alla sinistra radicale e agli anarchici alla Cospito, garba anche alle lobby farmaceutiche, use alla manipolazione. Più si manipola e si trasforma, vendendo prodotti sempre più costosi, meglio è.

Papa Francesco, più citato che letto, insegna che «apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere se stessi» (citazione al n. 35). Frase che indica un concetto capitale. Altro che mutilare il corpo delle parti sgradite per sentirsi liberi. Non si può infine risanare e restaurare l’ambiente naturale, senza risanare in parallelo la società degli umani. E non si può risanare la società, senza promuovere la famiglia secondo natura. L’unica istituzione perenne, universale, educativa, che richiede in modo equo e paritario, l’impegno duraturo di un uomo (XY) e di una donna (XX).

O con la scienza, la natura e il Vangelo o con i capricci di un mondo senza Dio. Tertium, purtroppo o per fortuna, non datur.
 di Fabrizio Cannone https://lanuovabq.it/it/quattro-anni-fa-il-vaticano-smontava-la-teoria-del-gender

Documento vaticano sul gender: sì al dialogo sugli studi, no all’ideologia

Uno strumento per affrontare il dibattito sulla sessualità umana e le sfide che emergono dall’ideologia gender, in un tempo di emergenza educativa. Questo vuol essere il documento “Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione” a firma del cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, e dell’arcivescovo Vincenzo Zani, segretario del Dicastero

Debora Donnini – Città del Vaticano

L’obiettivo del documento “Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione” è di sostenere quanti sono impegnati nell’educazione delle nuove generazioni ad affrontare “con metodo” le questioni oggi più dibattute sulla sessualità umana, alla luce del più ampio orizzonte dell’educazione all’amore. In particolare è diretto alle comunità educative delle scuole cattoliche e a quanti, animati da una visione cristiana, operano nelle altre scuole, a genitori, alunni, personale ma anche a vescovi, a sacerdoti e religiosi, a movimenti ecclesiali e associazioni di fedeli. La Congregazione per l’Educazione Cattolica, che ha preparato il testo, parla di “un’emergenza educativa”, in particolare sui temi dell’affettività e della sessualità davanti alla sfida che emerge da “varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che nega la reciprocità e le differenze tra uomo e donna, “considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale”. L’identità verrebbe, quindi, consegnata ad “un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo”. Si parla di “disorientamento antropologico” che caratterizza il clima culturale del nostro tempo, contribuendo anche a destrutturare la famiglia. Un’ideologia che, tra l’altro, “induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina”, si evidenzia citando Amoris laetitia. Questo il contesto in cui si colloca il Documento che vuole promuovere, appunto, una “metodologia articolata nei tre atteggiamenti dell’ascoltare, del ragionare e del proporre”. Un testo che si ispira al documento “Orientamenti educativi sull’amore umano. Lineamenti di educazione sessuale” del 1983 ed è anche arricchito da citazioni di Papa Francesco, Benedetto XVI, San Giovanni Paolo II, ma anche del Concilio Vaticano II, della Congregazione per la Dottrina della Fede e di altri documenti.

Dialogo con ascolto, ragionamento e proposta

Nell’intraprendere la via del dialogo sulla questione del gender nell’educazione, il Documento opera una distinzione fra “l’ideologia del gender e le diverse ricerche sul gender portate avanti dalle scienze umane”, notando che l’ideologia “pretende, come riscontra Papa Francesco, di ‘rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili’ ma cerca ‘di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini’ e quindi preclude l’incontro”, mentre non mancano delle ricerche sul gender che cercano di approfondire adeguatamente il modo in cui si vive nelle diverse culture la differenza sessuale tra uomo e donna. Il Documento specifica quindi che “è in relazione con queste ricerche che è possibile aprirsi all’ascolto, al ragionamento e alla proposta”.

Nel breve excursus storico sull’avvento delle concezioni gender nel XX secolo, si rileva come all’inizio degli anni ’90 si sia arrivati perfino a “teorizzare una radicale separazione fra genere (gender) e sex (sesso), con la priorità del primo sul secondo. Tale traguardo viene visto come una tappa importante dell’evoluzione dell’umanità, nella quale ‘si prospetta una società senza differenze di sesso’”. E in “una crescente contrapposizione fra natura e cultura”, le proposte gender confluiscono nel “queer”, cioè in una “dimensione fluida”, “al punto da sostenere la completa emancipazione dell’individuo da ogni definizione sessuale data a priori, con la conseguente scomparsa di classificazioni considerate rigide”.

Punti di incontro e criticità

Quindi, il Documento individua “alcuni possibili punti di incontro per crescere nella comprensione reciproca” nel quadro delle ricerche sul gender. Si apprezza l’esigenza di educare i bambini a rispettare ogni persona nella sua peculiare e differente condizione in modo che “nessuno, a causa delle proprie condizioni personali (disabilità, razza, religione, tendenze affettive, ecc.), possa diventare oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste”. Si sottolinea che un altro punto di crescita nella comprensione antropologica sono “i valori della femminilità, che sono stati evidenziati nella riflessione sul gender”. Si rileva l’immensa disponibilità delle donne a spendersi nei rapporti umani, specie a vantaggio dei più deboli: le donne realizzano “una forma di maternità affettiva, culturale e spirituale, dal valore veramente inestimabile, per l’incidenza che ha sullo sviluppo della persona e il futuro della società”.

In merito alle criticità che si presentano nella vita reale, si evidenzia che le teorie gender – specialmente le più radicali – portano ad un allontanamento dalla natura: “identità sessuale e famiglia” divengono fondate su “una malintesa libertà del sentire e del volere”. Il Documento si sofferma, poi, sugli argomenti razionali che chiariscono la centralità del corpo come “elemento integrante dell’identità personale e dei rapporti familiari”: “il corpo è soggettività che comunica l’identità dell’essere”. Il dimorfismo sessuale, cioè la differenza sessuale fra uomo e donna, è infatti comprovato dalle scienze, ad esempio dai cromosomi. Si rileva anche “il processo di identificazione è ostacolato dalla costruzione fittizia di un ‘genere neutro’ o ‘terzo genere’”. Ci si richiama poi ad alcuni esempi di analisi filosofica. La formazione dell’identità si basa proprio sull’alterità: nel confronto con il “tu”, si riconosce il proprio “io”. Ad assicurare la procreazione è proprio la complementarietà fisiologica, basata sulla differenza sessuale, mentre il ricorso a tecnologie riproduttive può consentire la generazione ma comporta “manipolazioni di embrioni umani”, mercificazione del corpo umano, riduzione del bambino a “oggetto di una tecnologia scientifica”. Ricordata anche l’importante prospettiva di un dialogo fra fede e ragione.

Proporre l’antropologia cristiana

Il terzo punto è l’offerta della proposta che nasce dall’antropologia cristiana. Il primo passo consiste nel riconoscere che l’uomo possiede una natura che non può manipolare a piacere. Questo è il fulcro dell’ecologia integrale dell’uomo. Si ricorda, quindi il “maschio e femmina li creò” della Genesi e che la natura umana è da comprendere alla luce dell’unità di anima e corpo, in cui si integra la dimensione orizzontale della comunione interpersonale e quella verticale della comunione con Dio. In merito all’educazione si sottolinea, quindi, che il diritto-dovere educativo della famiglia non può essere totalmente delegato né usurpato da altri, che il bambino ha diritto a crescere con una mamma e un papà e che proprio all’interno della famiglia possa essere educato a riconoscere la bellezza della differenza sessuale. Da parte sua la scuola è chiamata a interagire con la famiglia in modo sussidiario e a dialogare rispettandone la cultura. In questo processo educativo, centrale è a anche ricostruire un’alleanza fra scuola, famiglia e società, che possono articolare “percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità finalizzati al rispetto del corpo altrui”, per accompagnare i ragazzi in maniera sana e responsabile. In questo senso si mette in luce l’importanza che i docenti cattolici ricevano una preparazione adeguata sui diversi aspetti della questione del gender e siano informati sulle leggi in vigore e in discussione nei propri Paesi.

Via del dialogo percorso per trasformare incomprensioni in risorse

Nelle conclusioni si ribadisce che “la via del dialogo – che ascolta, ragiona e propone – appare come il percorso più efficace per una trasformazione positiva delle inquietudini e delle incomprensioni in una risorsa per lo sviluppo di un ambiente relazionale più aperto e umano” mentre “l’approccio ideologizzato alle delicate questioni del genere, pur dichiarando il rispetto delle diversità, rischia di considerare le differenze stesse in modo statico, lasciandole isolate e impermeabili l’una dall’altra”. Si ricorda anche che lo Stato democratico non può ridurre la proposta educativa a pensiero unico, sottolineando la legittima aspirazione delle scuole cattoliche a mantenere la propria visione della sessualità umana. Infine, si ricorda anche, per i centri educativi cattolici, l’importanza di “un percorso di accompagnamento discreto e riservato”, con cui si vada incontro anche “a chi si trova a vivere una situazione complessa e dolorosa”. La scuola deve, quindi, proporsi come un ambiente di fiducia, “specialmente in quei casi che necessitano tempo e discernimento” e creare “le condizioni per un ascolto paziente e comprensivo, lungi da ingiuste discriminazioni”. 

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-06/documento-gender-congregazione-educazione-cattolica.html

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Pubblicità Progresso: Coesione Sociale

#primopasso - 2020/2021 Coesione Sociale

Facciamo tutti un passo verso gli altri per ridurre le distanze sociali in questa fase storica così drammatica per la nostra società. Pubblicità Progresso è sempre stata al servizio della crescita civile e della coesione sociale del nostro Paese con campagne media che sono entrate nel cuore degli italiani. Serve fiducia per la coesione sociale, dice il Capo dello Stato. Le relazioni basate sulla logica del dono sono formidabili vettori di fiducia. La nostra campagna punta, perciò, a contrastare la caduta dei sentimenti più solidali promuovendo, con un tono di voce delicato, comportamenti ispirati alla solidarietà ed alla fratellanza.

Quelle Messe mi condussero ad amare la Liturgia

Quelle Messe mi condussero ad amare la Liturgia

Jose María Casciaro conobbe san Josemaría nel 1939. l’anno seguente, si trasferì a Madrid per proseguire i suoi studi, vivendo nella residenza universitaria di via Jenner, insieme a san Josemaría. Ebbe occasione di vivere vicino al fondatore dell’Opus Dei per un lungo periodo di tempo.

Quando mi stabilii in via Jenner mi impressionò il modo in cui il san Josemaría celebrava la Santa Messa. A giudicare dai commenti che percepivo non ero il solo a restare commosso. Nella celebrazione si atteneva con grande attenzione alle norme liturgiche della Chiesa, curando che chi vi assisteva partecipasse il più attivamente possibile al Santo Sacrificio. Ogni giorno la celebrazione era “dialogata”, cioè non rispondeva solo l’accolito com’era abituale allora nelle chiese, ma l’intera assemblea, con calma e all’unisono. Questo modo di celebrare contribuiva alla alla compenetrazione di tutti nel mistero eucaristico.

I paramenti erano allo stesso tempo semplici ed eleganti. Per esempio, non mi era mai capitato prima di vedere il celebrante indossare la pianeta gotica: di solito a quei tempi si usavano quelle cosiddette “a chitarra”, per la forma della parte anteriore. In via Jenner, con il permesso del vescovo di Madrid, si usavano pianete di quest’altro stile, ampie, che davano particolare dignità all’atto sacro.

Assistere alla messa celebrata da san Josemaría, con la sua voce chiara, le intonazioni e le pause ben marcate, in evidente raccoglimento e devozione, era di forte incitamento alla devozione sincera e profonda. Non posso fare a meno di testimoniare a distanza di anni che la Messe del Padre mi condussero ad amare la liturgia della Chiesa e a partecipare al santo Sacrificio con atteggiamento nuovo. Attraverso i sensi entrava la trascendenza dell’azione che veniva celebrata.

Qual è la missione centrale e gli obiettivi dell’Opus Dei?

L’Opus Dei intende aiutare ogni persona che vive nel mondo – l’uomo comune, l’uomo della strada – a condurre una vita pienamente cristiana, senza dover cambiare il suo modo di vita quotidiana, né il suo lavoro abituale, né i propri ideali o aspirazioni.
Pertanto, con una frase che scrissi molti anni fa, si può dire che l’Opus Dei è vecchia come il Vangelo e nuova come il Vangelo. Si tratta di ricordare ai cristiani quel concetto meraviglioso che si legge nella Genesi e cioè che Dio creò l’uomo “perché lavorasse”. Ci siamo ispirati all’esempio di Cristo, che trascorse quasi tutta la sua vita terrena lavorando come artigiano in un villaggio. Il lavoro non è soltanto uno dei valori umani più alti e un mezzo con cui gli uomini debbono contribuire al progresso della società: è anche cammino di santificazione.
Se si vuole fare un paragone, il modo più facile per capire l’Opera è di pensare alla vita dei primi cristiani. Essi vivevano a fondo la loro vocazione cristiana; cercavano seriamente la perfezione alla quale erano chiamati per il fatto, semplice e sublime, di aver ricevuto il Battesimo. Non si distinguevano esteriormente dagli altri cittadini. I membri dell’Opus Dei sono persone comuni; svolgono un lavoro qualsiasi; vivono in mezzo al mondo come realmente sono: cittadini cristiani che vogliono corrispondere in pieno alle esigenze della loro fede.

Vale la pena, Ed. Ares, Milano 1999

Più leadership femminile per un mondo migliore

Più leadership femminile per un mondo migliore

“Come affermato in occasione della Giornata Internazionale delle donne l’8 marzo 2019, le donne fanno il mondo più bello, lo proteggono e lo tengono vivo. Portano la grazia del rinnovamento, l’abbraccio dell’inclusione e il coraggio di donare se stesse”.

Il Papa: il mondo sarà migliore se tra uomini e donne ci sarà parità nella diversità

Pubblichiamo la prefazione di Francesco al volume “Più leadership femminile per un mondo migliore: il prendersi cura come motore per la nostra casa comune”, a cura di Anna Maria Tarantola, edito da “Vita e Pensiero”. Il testo è il risultato di una ricerca promossa congiuntamente da Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice e Strategic Alliance of Catholic Research Universities (Sacru). La ricerca è stata presentata il 10 marzo alle 14.30 presso l’Istituto Maria Santissima Bambina a Roma

Papa Francesco

Questo libro parla di donne, dei loro talenti, delle loro capacità e competenze e delle disuguaglianze, violenze e pregiudizi che ancora caratterizzano il mondo femminile. Le questioni legate al mondo femminile mi stanno particolarmente a cuore. In molti miei interventi ho fatto riferimento a esse sottolineando quanto ancora resta da fare per la piena valorizzazione delle donne. Ho avuto modo, tra l’altro, di affermare che “Uomo e donna non sono uguali e non sono uno superiore all’altro, no. Soltanto che l’uomo non porta l’armonia, è lei, lei porta quell’armonia che ci insegna ad accarezzare, ad amare con tenerezza e che fa del mondo una cosa bella” (Omelia a Santa Marta, 9 febbraio 2017). Abbiamo tanto bisogno di armonia per combattere le ingiustizie, l’avidità cieca che danneggia le persone e l’ambiente, la guerra ingiusta e inaccettabile.

Questo libro raccoglie i risultati della ricerca comune, promossa da Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice e Strategic Alliance of Catholic Research Universities, cui hanno partecipato 15 accademici di diverse discipline appartenenti a 10 università residenti in 8 Paesi. Mi piace che il tema sia affrontato nell’ottica della multidisciplinarietà, approcci e analisi diverse consentono una visione ampia dei problemi e la ricerca di migliori soluzioni. La ricerca evidenzia le difficoltà che le donne ancora incontrano a raggiungere ruoli apicali nel mondo del lavoro e, al contempo, i vantaggi connessi a una loro maggiore presenza e piena valorizzazione negli ambiti dell’economia, della politica e della società stessa. Anche la Chiesa può avvantaggiarsi dalla valorizzazione delle donne: come ho detto nel mio intervento a conclusione del sinodo dei Vescovi della Regione Panamazzonica nell’ottobre 2019: “Non ci siamo resi conto di cosa significa la donna nella Chiesa e ci limitiamo solo alla parte funzionale […]. Ma il ruolo della donna nella Chiesa va molto al di là della funzionalità. È su questo che bisogna continuare a lavorare. Molto al di là”.

Non si può perseguire un mondo migliore, più giusto, inclusivo e integralmente sostenibile senza l’apporto delle donne. Ecco allora che dobbiamo lavorare, tutti insieme, per aprire opportunità uguali per uomini e donne, in ogni contesto per perseguire una stabile e duratura situazione di parità nella diversità perché la strada dell’affermazione femminile è recente, travagliata e, purtroppo non definitiva. Si può facilmente tornare indietro. Il pensiero delle donne è diverso da quello degli uomini, sono più attente alla tutela dell’ambiente, il loro sguardo non è volto al passato ma al futuro. Le donne sanno di partorire nel dolore per raggiungere una grande gioia: donare la vita e aprire vasti, nuovi orizzonti. Per questo le donne vogliono la pace, sempre. Le donne sanno esprimere insieme forza e tenerezza, sono brave, competenti, preparate, sanno ispirare le nuove generazioni (non solo i figli).

È giusto che possano esprimere queste loro capacità in ogni ambito, non solo in quello familiare, ed essere remunerate in modo uguale agli uomini a parità di ruolo, impegno e responsabilità. I divari che ancora sussistono sono una grave ingiustizia. Questi divari, insieme con i pregiudizi verso le donne sono alla base della violenza sulle donne. Ho in molte occasioni condannato questo fenomeno; il 22 settembre 2021 ho detto che la violenza sulle donne è una piaga aperta frutto di una cultura di sopraffazione patriarcale e maschilista. Dobbiamo trovare la cura per sanare questa piaga, non lasciare sole le donne. La ricerca qui presentata e le conclusioni raggiunte cercano di sanare la piaga della disuguaglianza e, per questa via, della violenza. Mi piace pensare che se le donne potessero godere della piena uguaglianza di opportunità, potrebbero contribuire sostanzialmente al necessario cambiamento verso un mondo di pace, inclusione, solidarietà e sostenibilità integrale. Come ho affermato in occasione della Giornata Internazionale delle donne l’8 marzo 2019, le donne fanno il mondo più bello, lo proteggono e lo tengono vivo. Portano la grazia del rinnovamento, l’abbraccio dell’inclusione e il coraggio di donare se stesse.

La pace, allora, nasce dalle donne, sorge e si riaccende dalla tenerezza delle madri. Così il sogno della pace diventa realtà quando si guarda alle donne. È mio pensiero che, come emerge dalla ricerca, la parità vada raggiunta nella diversità. Non parità perché le donne assumono i comportamenti maschili ma parità perché le porte del campo di gioco sono aperte a tutti i giocatori, senza differenze di sesso (e anche di colore, di religione, di cultura…). È quello che gli economisti chiamano diversità efficiente. È bello pensare a un mondo in cui tutti vivono in armonia e tutti possono vedere riconosciuti i propri talenti e contribuire alla realizzazione di un mondo migliore. La capacità di cura, per esempio, è senz’altro una caratteristica femminile che si deve poter esprimere non solo nell’ambito della famiglia, ma in egual misura e con ottimi risultati anche in politica, in economia, nell’accademia e sul lavoro.

La capacità di cura dobbiamo esprimerla tutti, uomini e donne. Gli uomini possono coltivare questa capacità anche nell’attività genitoriale: che bella la famiglia dove entrambi i genitori, mamme e papà insieme, si prendono cura dei loro bambini, li aiutano a crescere sani e li educano al rispetto delle persone e delle cose, alla gentilezza, alla misericordia, alla tutela del creato. Mi piace anche il cenno all’importanza dell’educazione. L’educazione è la strada maestra da un lato per fornire alle donne le competenze e le conoscenze necessarie per affrontare le nuove sfide del mondo del lavoro, e dall’altro per facilitare il cambiamento della cultura patriarcale, ancora prevalente. Purtroppo, ancora oggi, circa 130 milioni di ragazze nel mondo non vanno a scuola. Non c’è libertà, giustizia, sviluppo integrale, democrazia e pace senza l’educazione.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-03/papa-francesco-prefazione-libro-tarantola-donne.html

Leggi dentro di te- Ricordati che sei unico

Leggi dentro di te- Ricordati che sei unico

“Leggi dentro di te”, “Ricordati che sei unico”, “Fai emergere la tua bellezza”: le 15 piccole lezioni di felicità nel libro-manifesto di Papa Francesco

Esce in tutte le librerie “Ti voglio felice”, il nuovo libro del pontefice pubblicato da Libreria Pienogiorno in collaborazione con Libreria Editrice Vaticana. Il volume rappresenta il naturale completamento del bestseller “Ti auguro il sorriso” ed è il nuovo manifesto di Bergoglio per un’autentica realizzazione di sé, che intreccia le sue parole con quelle dei libri e dei film che più ha amato, da Borges a Dante, da Dostoevskij a Sant’Agostino, da Fellini a Tolkiendi F. Q.

La felicità è rivoluzionaria: abbiate il coraggio di essere felici”. Ora più che mai.

Si intitola Ti voglio felice (Il centuplo in questa vita) il nuovo libro di Papa Francesco, uscito in tutte le librerie dal 16 novembre. Pubblicato da Libreria Pienogiorno (272 pp, 16,90 euro), che ne gestisce i diritti internazionali, in collaborazione con Libreria Editrice Vaticana, il volume rappresenta il naturale completamento del precedente bestseller Ti auguro il sorriso che, dato alle stampe nelle principali lingue da alcuni dei più importanti marchi editoriali del mondo e ormai giunto in Italia alla tredicesima edizione, è risultato il libro più diffuso del Pontefice negli ultimi anni.

Ti voglio felice è il nuovo manifesto di Papa Francesco per un’autentica realizzazione di sé in questi tempi difficili, e intreccia le parole del Pontefice con quelle dei libri e dei film che più ha amato, da Borges a Dante, da Dostoevskij a Sant’Agostino, da Fellini a Tolkien. Per un percorso concreto che non disconosce affatto le difficoltà dell’esistenza, ma le affronta, le sublima, le supera.

Ilfattoquotidiano.it pubblica un’anticipazione del volume: i 15 passi verso la felicità indicati da Francesco.

1.

Leggi dentro di te. La nostra vita è il libro più prezioso che ci è stato consegnato, e proprio in quel libro si trova quello che si cerca inutilmente per altre vie. Sant’Agostino lo aveva compreso: “Rientra in te stesso. Nell’uomo interiore abita la verità”. È l’invito che voglio fare a tutti, e che faccio anche a me. Leggi la tua vita. Leggiti dentro, come è stato il tuo percorso. Con serenità. Rientra in te stesso.

2.

Ricordati che sei unico, che sei unica. Lo è ciascuno di noi ed è al mondo per sentirsi amato nella sua unicità e per amare gli altri come nessuno può fare al posto suo. Non si vive seduti in panchina a fare la riserva di qualcun altro. No, ciascuno è unico agli occhi di Dio. Quindi non lasciarti “omologare”: non siamo fatti in serie, siamo unici, siamo liberi, e siamo al mondo per vivere una storia d’amore, di amore con Dio, per abbracciare l’audacia di scelte forti, per avventurarci nel rischio meraviglioso di amare.

3.

Fai emergere la tua bellezza! Non quella secondo le mode del mondo, ma quella vera. La bellezza di cui parlo non è quella piegata su se stessa, come Narciso che, innamoratosi della propria immagine, finì per affogare nel lago dove si rispecchiava. E nemmeno quella che scende a patti con il male, come Dorian Gray che, a incantesimo finito, si ritrovò con il volto deturpato. Parlo della bellezza che non sfiorisce mai perché è riflesso della bellezza divina: il nostro Dio è inseparabilmente buono, vero e bello. E la bellezza è una delle vie privilegiate per arrivare a Lui.

4.

Impara a ridere di te stesso. I narcisisti si guardano continuamente allo specchio… Io consiglio ogni tanto di guardare nello specchio e di ridere sé. Ridete di voi stessi. Vi farà bene.

5.

Vivi una sana inquietudine, nei desideri e nei propositi, quell’inquietudine che spinge sempre a camminare, a non sentirsi mai “arrivati”. Non isolarti dal mondo rinchiudendoti nella tua stanza – come un Peter Pan che non vuole crescere – ma sii sempre aperto e coraggioso.

6.

Impara a perdonare. Ogni persona sa di non essere sempre il padre o la madre che dovrebbe essere, lo sposo o la sposa, il fratello o la sorella, l’amico o l’amica che dovrebbe essere. Tutti siamo “in deficit”, nella vita. E tutti abbiamo bisogno di misericordia. Ricorda di avere bisogno di perdonare, di avere bisogno del perdono, di avere bisogno della pazienza. E ricorda che sempre Dio ti precede e ti perdona per primo.

7.

Impara a leggere la tristezza. Nel nostro tempo è considerata solo un male da fuggire a tutti i costi, e invece può essere un indispensabile campanello di allarme, che ci invita a esplorare paesaggi più ricchi e fertili che la fugacità e l’evasione non consentono. A volte la tristezza lavora come un semaforo, ci dice: è rosso, fermati! Accoglila, sarebbe molto più grave non avvertire questo sentimento.

8.

Fai grandi sogni. Non accontentarti del dovuto. Il Signore non vuole che restringiamo gli orizzonti, non ci vuole parcheggiati ai lati della vita, ma in corsa verso traguardi alti, con gioia e con audacia. Non siamo fatti per sognare solo le vacanze o il fine settimana, ma per realizzare i sogni di Dio in questo mondo. Egli ci ha reso capaci di sognare per abbracciare la bellezza della vita.

9.

Non dare ascolto a chi vende illusioni. Una cosa è sognare, e altra è avere illusioni. Chi parla di sogni e vende illusioni è un manipolatore di felicità. Siamo stati creati per una gioia più grande.

10.

Sii rivoluzionario, va’ controcorrente. Nella cultura del provvisorio, del relativo, molti predicano che l’importante è “godere” il momento, che non vale la pena di impegnarsi, di fare scelte definitive, perché non si sa cosa riserva il domani. Ti chiedo di essere rivoluzionario, di ribellarti a questa cultura che, in fondo, crede che tu non sia in grado di assumerti responsabilità. Abbi il coraggio di essere felice.

11.

Rischia, anche se sbaglierai. Non osservare la vita dal balcone. Non confondere la felicità con un divano. Non essere un’auto parcheggiata, lascia piuttosto sbocciare i sogni e prendi decisioni. Rischia. Non sopravvivere con l’anima anestetizzata e non guardare il mondo come fossi un turista. Fatti sentire! Scaccia le paure che ti paralizzano. Vivi! Datti al meglio della vita!

12.

Cammina con gli altri. È brutto camminare da soli. Brutto e noioso. Cammina in comunità, con gli amici, con quelli che ti vogliono bene: questo ti aiuta ad arrivare alla meta. E se cadi, rialzati. Non avere paura dei fallimenti, delle cadute. Nell’arte di camminare, quello che importa è non “rimanere caduti”.

13.

Vivi la gratuità. Chi non vive la gratuità fraterna fa della propria esistenza un commercio affannoso, sempre misurando quello che dà e quello che riceve in cambio. Dio dà gratis, fino al punto che aiuta persino quelli che non sono fedeli, e “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni” (Mt 5,45). Abbiamo ricevuto la vita gratis, non abbiamo pagato per essa. Dunque tutti possiamo dare senza aspettare qualcosa. È quello che Gesù diceva ai suoi discepoli: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Ed è il senso di una vita compiuta.

14.

Guarda oltre il buio. Sforzati di avere occhi luminosi anche dentro le tenebre, non smettere di cercare la luce in mezzo alle oscurità che tante volte portiamo nel cuore e vediamo attorno a noi. Alzare lo sguardo da terra, verso l’alto, non per fuggire, ma per vincere la tentazione di rimanere steso sui pavimenti delle nostre paure. Questo è il pericolo: che siano le nostre paure a reggerci. Di rimanere rinchiusi nei nostri pensieri a piangerci addosso. Questo è l’invito: alza lo sguardo!

15.

Ricorda che sei destinato al meglio. Dio vuole per noi il meglio: ci vuole felici. Non si pone limiti e non ci chiede interessi. Nel segno di Gesù non c’è spazio per secondi fini, per pretese. La gioia che ci lascia nel cuore è gioia piena e disinteressata. Non è mai una gioia annacquata, ed è una gioia che ci rinnova.

© 2022 FullDay srl, Milano

© 2022 Libreria Editrice Vaticana – Dicastero per la Comunicazione, Città del Vaticano

https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/11/16/leggi-dentro-di-te-ricordati-che-sei-unico-fai-emergere-la-tua-bellezza-le-15-piccole-lezioni-di-felicita-nel-libro-manifesto-di-papa-francesco/6874154/