Preghiera della notte per casi impossibili

Preghiera della notte per casi impossibili

Buon Gesù, Tu hai trascorso lunghe ore della notte in preghiera con tuo Padre: io ti chiedo, in particolar modo per i meriti che ci hai guadagnato durante la notte della tua Passione nell’Orto degli Ulivi, per il sudore di sangue, per i dolori interiori del tuo Sacro Cuore e per i dolori fisici delle benedette piaghe del tuo corpo, di toccare con il tuo amore misericordioso (nome), che in questo momento sta dormendo, e di fargli/le sentire che Tu lo/la ami più di quanto lui/lei immagina. Amen.

Preghiera dei fedeli

Preghiera dei fedeli

Preghiera dei fedeli universali

C – Fratelli e sorelle, il servizio della carità comprende anche la nostra preghiera per quanti condividono con noi le fatiche e le speranze della vita quotidiana. Prestiamo la nostra voce alle suppliche di tutta la Chiesa.

Lettore – Preghiamo insieme dicendo:

A – Ascolta, Signore, la nostra preghiera.

1. Per tutti i battezzati in Cristo, perché siano sempre e in ogni luogo testimonianza credibile di quell’amore che è più forte dell’odio e di ogni divisione, preghiamo.

2. Per quanti occupano posti di responsabilità, perché non lascino inquinare il proprio cuore dalla corruzione, ma agiscano sempre a servizio del prossimo nel segno della verità e della giustizia, preghiamo.

3. Per i giovani, perché non si lascino condizionare da stili egoisti di vita, ma aprano il loro cuore all’impegno generoso per rendere migliore la nostra convivenza su questa terra, preghiamo.

4. Per le nostre famiglie, perché restino salde nell’amore e siano per i figli la prima scuola di vita secondo il Vangelo, preghiamo. Intenzioni della comunità locale.

Intenzioni della comunità locale

C – Signore Dio, che in Cristo hai manifestato la tua attenzione per i piccoli e i poveri, fa’ che nel reciproco servizio della carità diventiamo strumenti della tua misericordia. Per Cristo nostro Signore.

A – Amen.

Dio ascolta la preghiera di un cuore umile e paziente

Dio ascolta la preghiera di un cuore umile e paziente

Francesco: Dio ascolta la preghiera di un cuore umile e paziente

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

All’udienza generale, il Papa parla della “contestazione radicale” di chi prega senza vedersi all’apparenza esaudito e ricorda che anche nel Vangelo molte delle invocazioni trovano risposta più avanti nel tempo: “Il Male è signore del penultimo giorno” perché l’ultimo “appartiene a Dio”

Se Dio è Padre “perché non ascolta” la preghiera di una mamma per un figlio malato o di tanti “perché cessi una guerra”? Da questa domanda parte la catechesi di Papa Francesco nell’udienza generale di questa mattina, tenuta, per la terza volta in questo mese di maggio, nel cortile di San Damaso, dedicata ancora alla preghiera cristiana. Seguendo la traccia del Catechismo della Chiesa Cattolica, il Papa affronta “una contestazione radicale alla preghiera”, che deriva da una osservazione comune: “noi preghiamo, domandiamo, eppure a volte le nostre preghiere sembrano rimanere inascoltate”.

Maria di Magdala- apostola degli apostoli

Maria di Magdala- apostola degli apostoli

Meditazioni Mese Maggio-Volti e Storie di Donne

È patrona dei penitenti e venerata anche dalla Chiesa d’Oriente. La Chiesa latina era solita accomunare nella liturgia le tre donne di cui parla il Vangelo e che la liturgia greca commemora separatamente: Maria di Betania, sorella di Lazzaro e di Marta, la peccatrice «cui molto è stato perdonato perché molto ha amato», e Maria Maddalena o di Magdala, l’ossessa miracolata da Gesù, che ella seguì e assistette con le altre donne fino alla crocifissione ed ebbe il privilegio di vedere risorto. L’identificazione delle tre donne è stata facilitata dal nome Maria comune almeno a due e dalla sentenza di San Gregorio Magno che vide indicata in tutti i passi evangelici una sola e medesima donna. I redattori del nuovo calendario, riconfermando la memoria di una sola Maria Maddalena senz’altra indicazione, come l’aggettivo “penitente”, hanno inteso celebrare la discepola alla quale Gesù apparve dopo la Risurrezione. È questa la Maddalena che la Chiesa oggi commemora e che, secondo un’antica tradizione greca, sarebbe andata a vivere a Efeso, dove sarebbe morta. In questa città avevano preso dimora anche Giovanni, e Maria Madre di Gesù.

I dipinti rappresentano un episodio del Vangelo secondo Giovanni conformemente alla iconografia tradizionale: l’ apparizione presso il sepolcro del Cristo risorto alla Maddalena piangente.

La Chiesa latina era solita accomunare nella liturgia le tre distinte donne di cui parla il Vangelo e che la liturgia greca commemora separatamente: Maria di Betania, sorella di Lazzaro e di Marta, la peccatrice «cui molto è stato perdonato perché molto ha amato», e Maria Maddalena o di Magdala, l’ossessa miracolata da Gesù, che ella seguì e assistette con le altre donne fino alla crocifissione ed ebbe il privilegio di vedere risorto. L’identificazione delle tre donne è stata facilitata dal nome Maria comune almeno a due e dalla sentenza di San Gregorio Magno che vide indicata in tutti i passi evangelici una sola e medesima donna. I redattori del nuovo calendario, riconfermando la memoria di una sola Maria Maddalena senz’altra indicazione, come l’aggettivo “penitente”, hanno inteso celebrare la santa donna cui Gesù apparve dopo la Risurrezione. È questa la Maddalena che la Chiesa oggi commemora e che, secondo un’antica tradizione greca, sarebbe andata a vivere a Efeso, dove sarebbe morta. In questa città avevano preso dimora anche Giovanni, l’apostolo prediletto, e Maria, Madre di Gesù. Papa Francesco ha elevato al grado di Festa la sua memoria.

“Apostola degli apostoli”, si deve a Tommaso d’Aquino il titolo riconosciuto a Maria Maddalena, il cui nome deriva da Magdala, il villaggio di pescatori, di cui era originaria, sulla sponda occidentale del lago Tiberiade. Di lei racconta l’evangelista Luca, nel capitolo 8: Gesù andava per città e villaggi annunciando la buona notizia del regno di Dio e c’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità e li servivano con i loro beni. Fra loro vi era “Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni”.

“- Maria: Tu ami mio figlio, vero? Devi essere preparata, come me.
– Maria Maddalena: A cosa?
– Maria: A perderlo. ”

Maria la madre di Gesù certamente viveva per Gesù, Maria di Magdala invece viveva grazie a Gesù. A lei è stato dato di fare quell’esperienza che alcuni nella propria vita fanno per straordinaria grazia: risalire, grazie a qualcuno, dall’ombra di morte, dal non senso, dall’essere preda del nulla, a una vita che conosce l’essere amati e l’amare. La Maddalena, infatti, è amata da Gesù e ama a sua volta Gesù, verso il quale si sente debitrice. Ecco perché il suo pianto è quello dell’amata-amante che ha perduto il suo amato-amante, come avviene nel Cantico dei cantici, dove la ragazza di notte cerca il suo amato, si alza, con audacia vaga nel buio per cercarlo, interroga le guardie notturne, e poi finalmente lo trova nel suo giardino (cf. Ct 3,1-4). E così avviene in quell’aurora primaverile, sul monte degli aromi (cf. Ct 2,17; 8,14), là dove c’era un giardino, luogo della sepoltura di Gesù.

Tra le lacrime, Maria risponde ai due angeli che l’hanno interrogata sul suo pianto: “‘Hanno portato via il mio Signore, e non so dove l’abbiano posto’. Detto questo, si voltò indietro (estráphe eis tà opíso)”, dando inizio al dialogo con un altro personaggio, questa volta umano. Il suo voltarsi indietro ha un valore simbolico: Maria rilegge tutta la sua vita con Gesù, fa anamnesi del suo rapporto carico di amore con lui e quindi continua a piangere anche per la nostalgia per ciò che è stato e non potrà più ritornare. Nel suo dolore, si volta indietro, non guarda più la tomba né gli angeli, ma scorge un uomo, il quale le pone la medesima domanda: “Donna, perché piangi?”. Come Gesù pianse per Lazzaro morto (cf. Gv 11,35), così Maria piange per Gesù morto. Piange per amore e per dolore dell’amore, e non affatto i suoi peccati: Maria è la sola che piange per Gesù! È solo Pietro l’icona evangelica che piange i suoi peccati, la sua orrenda viltà, il suo amore breve come la rugiada del mattino (cf. Os 6,4). Pietro non piange su Gesù ma su di sé, per aver tradito l’amico (cf. Mc 14,72 e par.). Sì, Pietro dovrebbe essere icona del pentimento cristiano e Maria Maddalena icona dell’amore per Gesù!

Maria, pensando che colui che ora ha di fronte sia il giardiniere, il custode di quel giardino in cui Gesù era stato seppellito da Giuseppe di Arimatea e da Nicodemo, gli risponde: “Signore, se lo hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto, e io andrò a prenderlo”. Ma quell’uomo, che è Gesù, le chiede anche: “Chi cerchi?”, domanda analoga a quella da lui posta ai due discepoli del Battista: “Che cosa cercate?” (Gv 1,38: le sue prime parole nel quarto vangelo!). In questo interrogativo c’è qualcosa che per Maria non è nuovo, perché è la domanda essenziale che Gesù poneva a chiunque volesse diventare suo discepolo: cercare è la condizione specifica del discepolo. A quel punto Gesù, con il suo volto contro il volto di Maria, le dice: “Mariám!”, la chiama per nome, e subito lei, “voltandosi” (strapheîsa) nuovamente verso di lui, il Gesù glorificato, è pronta a riconoscerlo e a dirgli: “Rabbunì, mio maestro!”. Quante volte era avvenuto quel dialogo tra lei e Gesù: lei, la pecora perduta ma ritrovata da Gesù (cf. Mt 18,12-14; Lc 15,4-7), chiamata per nome, riconosce la voce del pastore (cf. Gv 10,3-4). “Maria!”, una nuova chiamata, e, subito dopo, un invito: “Cessa di toccarmi”, cioè stacca le tue mani da me, perché non c’è più possibilità di incontro tra corpi come prima, essendo ormai il corpo di Gesù risorto nel seno del Padre. Maria, che poteva dire di essere tra quelli che “avevano udito, visto con i loro occhi, contemplato e toccato con le loro mani la Parola della vita” (cf. 1Gv 1,1), ora deve credere e amare Gesù in modo altro: il suo amore non muore, non verrà meno, ma altro è il modo in cui ora Maria deve amare Gesù! Si era voltata indietro verso il suo passato, ma ora, chiamata da Gesù, si volta verso di lui, il Risorto, senza più nostalgia del tempo precedente il suo esodo da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1).

Gli equivoci sulla sua identità: non era una meretrice
Come insegna l’esegesi biblica, l’espressione ‘sette demoni’ poteva indicare un gravissimo male fisico o morale, che aveva colpito la donna e da cui Gesù l’aveva liberata. Nel capitolo 7 del Vangelo di Luca, si narra la storia della conversione di un’anonima “peccatrice nota in quella città”, che aveva cosparso di olio profumato i piedi di Gesù, ospite in casa di un notabile fariseo, li aveva bagnati con le sue lacrime e li aveva asciugati coi suoi capelli”. Così, senza nessun reale collegamento testuale, Maria di Magdala è stata identificata con quella peccatrice senza nome.  Ma c’è un ulteriore equivoco, spiega il cardinale Ravasi, l’unzione con l’olio profumato è un gesto che è stato compiuto anche da Maria, la sorella di Marta e Lazzaro, in una diversa occasione, di cui riferisce l’evangelista Giovanni. E così, Maria di Magdala da alcune tradizioni popolari verrà identificata proprio con questa Maria di Betania, dopo essere stata confusa con la meretrice di Galilea.

Sotto la croce  
Maria Maddalena compare ancora nei Vangeli nel momento più terribile e drammatico della vita di Gesù, quando lo accompagna al Calvario e insieme ad altre donne rimane ad osservarlo da lontano. Ed è presente ancora quando Giuseppe d’Arimatea depone il corpo di Gesù nel sepolcro, che viene chiuso con una pietra. Ed è lei che dopo il sabato, al mattino del primo giorno della settimana torna al sepolcro e scopre che la pietra è stata tolta e corre ad avvisare Pietro e Giovanni, i quali, a loro volta, correranno al sepolcro scoprendo l’assenza del corpo del Signore.

L’incontro con il Risorto  

Mentre i due discepoli fanno ritorno a casa, Maria Maddalena rimane, in lacrime. Qui ha inizio un percorso che dall’incredulità si apre progressivamente alla fede. Chinandosi verso il sepolcro scorge due angeli e dice loro di non sapere dove sia stato posto il corpo del Signore. Poi, volgendosi indietro, vede Gesù ma non lo riconosce, pensa sia il custode del giardino e quando Lui le chiede il motivo di quelle lacrime e chi stia cercando, lei risponde: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù allora la chiama per nome: “Maria!” E lei voltandosi risponde: “Rabbunì!”, che in ebraico significa: “Maestro!”. Gesù le consegna quindi una missione: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Maria di Magdala andò quindi ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore! e anche ciò che le aveva detto” (cf. Gv 20).

E’ lei che proclama Gesù come Colui che ha vinto la morte
Maria Maddalena è la prima fra le donne al seguito di Gesù a proclamarlo come Colui che ha vinto la morte, la prima apostola ad annunciare il gioioso messaggio centrale della Pasqua. Quando il Figlio di Dio entra nella storia, questa donna è fra coloro che maggiormente lo amarono, dimostrandolo. Quando giunse il tempo del Calvario, Maria Maddalena era insieme a Maria Santissima e a San Giovanni, sotto la Croce. Non fuggì per paura come fecero i discepoli, non lo rinnegò per paura come fece il primo Papa, ma rimase presente ogni ora, dal momento della sua conversione, fino al Santo Sepolcro.

Il 3 giugno 2016 la Congregazione per il Culto Divino ha pubblicato un decreto con il quale, «per espresso desiderio di papa Francesco», la celebrazione di santa Maria Maddalena, che era memoria obbligatoria, viene elevata al grado di festa. Il Papa ha preso questa decisione «per significare la rilevanza di questa donna che mostrò un grande amore a Cristo e fu da Cristo tanto amata», ha spiegato il segretario del Dicastero, l’arcivescovo Arthur Roche. Ma chi era Maria Maddalena, che Tommaso d’Aquino definì «apostola degli apostoli»? 

La Festa di Maria Maddalena
Per volontà di Papa Francesco, la memoria obbligatoria di Maria Maddalena, è stata elevata al grado di Festa, il 22 luglio 2016, per significare la rilevanza di questa fedele discepola di Cristo.

Magdala

Nei Vangeli si legge che era originaria di Magdala, villaggio di pescatori sulla sponda occidentale del lago di Tiberiade, centro commerciale ittico denominato in greco Tarichea (Pesce salato). Qui, negli anni Settanta del Novecento è stata condotta un’estesa campagna di scavi dai francescani dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme: è venuta alla luce una vasta porzione del tessuto urbano comprendente, fra gli altri, una grande piazza a quadriportico, una villa mosaicata e un completo complesso termale. Con successivi scavi i francescani hanno riportato alla luce anche importanti resti di strutture portuali. In un’area adiacente, di proprietà dei Legionari di Cristo, una campagna di scavi avviata nel 2009 ha invece permesso di rinvenire la sinagoga cittadina, una delle più antiche scoperte in Israele: per la sua posizione, sulla strada che collega Nazaret e Cafarnao, si ritiene che probabilmente sia stata frequentata da Gesù.

Gli equivoci sull’identità 
Maria Maddalena fa la sua comparsa nel capitolo 8 del Vangelo di Luca: Gesù andava per città e villaggi annunciando la buona notizia del regno di Dio e c’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità e li servivano con i loro beni. Fra loro vi era «Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni». Come ha scritto il cardinale Gianfranco Ravasi, «di per sé, l’espressione [sette demoni] poteva indicare un gravissimo (sette è il numero della pienezza) male fisico o morale che aveva colpito la donna e da cui Gesù l’aveva liberata. Ma la tradizione, perdurante sino a oggi, ha fatto di Maria una prostituta e questo solo perché nella pagina evangelica precedente – il capitolo 7 di Luca – si narra la storia della conversione di un’anonima “peccatrice nota in quella città”, che aveva cosparso di olio profumato i piedi di Gesù, ospite in casa di un notabile fariseo, li aveva bagnati con le sue lacrime e li aveva asciugati coi suoi capelli». Così, senza nessun reale collegamento testuale, Maria di Magdala è stata identificata con quella prostituta senza nome. 
Ma c’è un ulteriore equivoco: infatti, prosegue Ravasi, l’unzione con l’olio profumato è un gesto che è stato compiuto anche da Maria, la sorella di Marta e Lazzaro, in una diversa occasione (Gv 12,1-8). E così, Maria di Magdala «da alcune tradizioni popolari verrà identificata proprio con questa Maria di Betania, dopo essere stata confusa con la prostituta di Galilea».

La liberazione dal male 
Afflitta da un gravissimo male, di cui si ignora la natura, Maria Maddalena appartiene dunque a quel popolo di uomini, donne e bambini in molti modi feriti che Gesù sottrae alla disperazione restituendoli alla vita e ai loro affetti più cari. Gesù, nel nome di Dio, compie solo gesti di liberazione dal male e di riscatto della speranza perduta. Il desiderio umano di una vita buona e felice è giusto e appartiene all’intenzione di Dio, che è Dio della cura, mai complice del male, anche se l’uomo (fuori e dentro la religione) ha sempre la tentazione di immaginarlo come un prevaricatore dalle intenzioni indecifrabili. 

Sotto la croce 
Maria Maddalena compare ancora nei Vangeli nel momento più terribile e drammatico della vita di Gesù. Nel suo attaccamento fedele e tenace al Maestro Lo accompagna sino al Calvario e rimane, insieme ad altre donne, ad osservarlo da lontano. È poi presente quando Giuseppe d’Arimatea depone il corpo di Gesù nel sepolcro, che viene chiuso con una pietra. Dopo il sabato, al mattino del primo giorno della settimana – si legge al capitolo 20 del Vangelo di Giovanni – torna al sepolcro: scopre che la pietra è stata tolta e corre ad avvisare Pietro e Giovanni, i quali, a loro volta, correranno al sepolcro scoprendo l’assenza del corpo del Signore.

L’incontro con il Risorto 
Mentre i due discepoli fanno ritorno a casa, lei rimane, in lacrime. E ha inizio un percorso che dall’incredulità si apre progressivamente alla fede. Chinandosi verso il sepolcro scorge due angeli e dice loro di non sapere dove sia stato posto il corpo del Signore. Poi, volgendosi indietro, vede Gesù ma non lo riconosce, pensa sia il custode del giardino e quando Lui le chiede il motivo di quelle lacrime e chi stia cercando, lei risponde: «“Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”» (Gv 20,15-16). 
Il cardinale Carlo Maria Martini al riguardo commentava: «Avremmo potuto immaginare altri modi di presentarsi. Gesù sceglie il modo più personale e il più immediato: l’appellazione per nome. Di per sé non dice niente perché “Maria” può pronunciarlo chiunque e non spiega la risurrezione e nemmeno il fatto che è il Signore a chiamarla. Tutti però comprendiamo che quell’appellazione, in quel momento, in quella situazione, con quella voce, con quel tono, è il modo più personale di rivelazione e che non riguarda solo Gesù, ma Gesù nel suo rapporto con lei. Egli si rivela come il suo Signore, colui che lei cerca».
Il dialogo al sepolcro prosegue: Maria Maddalena, «si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!”, che significa: “Maestro!”. Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Maria di Magdala andò ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e anche ciò che le aveva detto» (Gv 20, 16-18). 


La maternità della Maddalena 
«La Maddalena è la prima fra le donne al seguito di Gesù a proclamarlo come Colui che ha vinto la morte, la prima apostola ad annunciare il gioioso messaggio centrale della Pasqua», osserva la teologa Cristiana Dobner, carmelitana scalza. «Ella esprime la maternità nella fede e della fede ossia quella attitudine a generare vita vera, una vita da figli di Dio, nella quale il travaglio esistenziale comune ad ogni uomo trova il suo destino nella risurrezione e nell’eternità promesse e inaugurate dal Figlio, «primogenito» di molti fratelli (Rom 8,29). Con Maria Maddalena si apre quella lunga schiera, ancor oggi poco conosciuta, di madri che, lungo i secoli, si sono consegnate alla generazione di figli di Dio e si possono affiancare ai padri della Chiesa: insieme alla Patristica esiste anche, nascosta ma presente, una Matristica. 
La decisione di Francesco è un dono bello, espressione di una rivoluzione antropologica che tocca la donna e investe l’intera realtà ecclesiale. L’istituzione di questa festa, infatti, non va letta come una rivincita muliebre: si cadrebbe stolidamente nella mentalità delle quote rosa. Il significato è ben altro: comprendere che uomo e donna insieme e solo insieme, in una dualità incarnata, possono diventare annunciatori luminosi del Risorto».

Nella storia dell’arte: la mirofora 
Maria Maddalena, nel corso dei secoli, è stata raffigurata principalmente in quattro modi: «Anzitutto – afferma monsignor Timothy Verdon, docente di storia dell’arte alla Stanford University e direttore del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze – è spesso ritratta come una delle mirofore, le pie donne che la mattina di Pasqua si recarono al sepolcro portando gli unguenti per il corpo del Signore. Fra loro la Maddalena è riconoscibile per il fatto che, a partire dalla fine del Medioevo, viene raffigurata con lunghi capelli sciolti, spesso biondi: questo fa capire che gli artisti, secondo una tradizione affermatasi in Occidente (e non condivisa nell’Oriente cristiano), la identificavano con la donna peccatrice che aveva asciugato i piedi di Gesù con i propri capelli. I capelli lunghi sono quindi un’allusione a questo intimo contatto e alla condizione di prostituta: le donne per bene non andavano in giro con i capelli sciolti». 

La penitente 
Nell’arte del tardo Medioevo Maria Maddalena compare anche come penitente perché – spiega Verdon – secondo una leggenda ella era una grande peccatrice che, dopo la conversione e l’incontro con il Risorto, era andata a vivere come romitessa nel sud della Francia, vicino a Marsiglia, dove annunciava il vangelo: «Il culto della Maddalena penitente ha affascinato molti artisti, che l’hanno considerata il corrispettivo femminile di Giovanni Battista. In genere viene raffigurata con abiti simili a quelli del Battista oppure è coperta solo dai capelli. La bellezza esteriore l’ha abbandonata, il volto è segnato dai digiuni e dalle veglie notturne in preghiera, ma è illuminata dalla bellezza interiore perché ha trovato pace e gioia nel Signore. La statua della Maddalena penitente di Donatello, scolpita per il Battistero di Firenze, è un autentico capolavoro». 

L’addolorata 
Sovente la Maddalena è ritratta anche ai piedi della croce: una delle opere più significative, a giudizio di Verdon, è un piccolo pannello di Masaccio (esposto a Napoli) nel quale la Maddalena è ritratta di spalle, sotto la croce, le braccia protese a Cristo, i lunghi capelli biondi che cadono quasi a ventaglio su un enorme mantello rosso: «Un’immagine di forte drammaticità. Non di rado il dolore composto della Vergine è stato contrapposto a quello della Maddalena, quasi senza controllo. Si pensi ad esempio, alla Pietà di Tiziano, nella quale la donna avanza come volesse chiamare il mondo intero a riconoscere l’ingiustizia della morte di Gesù, che giace fra le braccia di Maria; oppure si pensi al celebre gruppo scultoreo di Niccolò dell’Arca, nel quale fra le molte figure la più teatrale è proprio quella della Maddalena che si precipita con la forza di un uragano verso il Cristo morto». 

Chiamata per nome 
Vi sono inoltre molte raffigurazioni dell’incontro con il Risorto: «Esemplari e magnifiche sono quelle di Giotto, nella Cappella degli Scrovegni, e del Beato Angelico nel convento di san Marco», conclude Verdon. «Maria Maddalena ha vissuto un’esperienza di salvezza profonda per opera di Gesù: quando si sente chiamata per nome in lei si accende il ricordo dell’intera storia vissuta con Lui: c’è tutto questo nell’iconografia della scena che chiamiamo “Noli me tangere”».


Papa Giovanni Paolo II e Papa Francesco hanno riproposto nella Chiesa cattolica la figura della Maddalena che il Vangelo ci offre: discepola, testimone, partecipe e collaboratrice nell’evangelizzazione con i 12, “apostola della nuova e più grande speranza”.

La sete di tutte le donne che cercano la Resurrezione. Ricordiamole come ricercatrici di un’unica sete.

Il forestiero - Adriano Celentano (Gesù e la Samaritana)

Idea progettazione a cura di Marilena Marino vocedivina.it

S Filippo Neri- Figliuoli miei siate devoti della Madonna

S Filippo Neri- Figliuoli miei siate devoti della Madonna

Meditazioni Mariane di Maria

Chiamava Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia.

Offri la vita tua come Maria
Ai piedi della croce
E sarai servo di ogni uomo
Servo per amore
Sacerdote dell’umanità

Figlio di un notaio fiorentino di buona famiglia. Ricevette una buona istruzione e poi fece pratica dell’attività di suo padre; ma aveva subito l’influenza dei domenicani di san Marco, dove Savonarola era stato frate non molto tempo prima, e dei benedettini di Montecassino, e all’età di diciott’anni abbandonò gli affari e andò a Roma. Là visse come laico per diciassette anni e inizialmente si guadagnò da vivere facendo il precettore, scrisse poesie e studiò filosofia e teologia. A quel tempo la città era in uno stato di grande corruzione, e nel 1538 Filippo Neri cominciò a lavorare fra i giovani della città e fondò una confraternita di laici che si incontravano per adorare Dio e per dare aiuto ai pellegrini e ai convalescenti, e che gradualmente diedero vita al grande ospizio della Trinità. Filippo passava molto tempo in preghiera, specialmente di notte e nella catacomba di san Sebastiano, dove nel 1544 sperimentò un’estasi di amore divino che si crede abbia lasciato un effetto fisico permanente sul suo cuore. Nel 1551 Filippo Neri fu ordinato prete e andò a vivere nel convitto ecclesiastico di san Girolamo, dove presto si fece un nome come confessore; gli fu attribuito il dono di saper leggere nei cuori. Ma la sua occupazione principale era ancora il lavoro tra i giovani. San Filippo era assistito da altri giovani chierici, e nel 1575 li aveva organizzati nella Congregazione dell’Oratorio; per la sua società (i cui membri non emettono i voti che vincolano gli ordini religiosi e le congregazioni), costruì una nuova chiesa, la Chiesa Nuova, a santa Maria “in Vallicella”. Diventò famoso in tutta la città e la sua influenza sui romani del tempo, a qualunque ceto appartenessero, fu incalcolabile.

Tra le periferie del centro
Quando Filippo Neri arriva a Roma nel 1534, è come se una luce venisse accesa nel buio della miseria che annida tra le glorie dell’Ara Pacis e i lustri travertini dei palazzi nobiliari. Il centro dell’Urbe ha la faccia sporca delle periferie e lì Filippo andrà a prendere una stanzetta, a San Girolamo a via Giulia. Di giorno, viso simpatico e cuore lieto che porta a chi incontra il calore di Dio, senza nemmeno essere un prete, accompagnandolo se può con un pezzo di pane. O una carezza sulla fronte, un conforto sussurrato, a chi si lamenta sui pagliericci dell’Ospedale degli Incurabili. Di notte, un’anima di fuoco, Filippo, perso in un dialogo talmente intimo con Dio che il suo letto può essere senza problemi il sagrato di una chiesa o la pietra di una catacomba.

Il sorriso sempre
Questo – ricorda il Papa nel suo messaggio per il 500.mo – lo rese “appassionato annunciatore della Parola di Dio”. Questo è stato il segreto che fece di lui un “cesellatore di anime”. La sua paternità spirituale, osserva Francesco, “traspare da tutto il suo agire, caratterizzato dalla fiducia nelle persone, dal rifuggire dai toni foschi ed accigliati, dallo spirito di festosità e di gioia, dalla convinzione che la grazia non sopprime la natura ma la sana, la irrobustisce e la perfeziona”. “Si accostava alla spicciolata ora a questo, ora a quello e tutti divenivano presto suoi amici”, racconta il suo biografo e il Papa commenta: “Amava la spontaneità, rifuggiva dall’artificio, sceglieva i mezzi più divertenti per educare alle virtù cristiane, al tempo stesso proponeva una sana disciplina che implica l’esercizio della volontà per accogliere Cristo nel concreto della propria vita”.

L’ora dell’Oratorio
Tutto questo affascina chi, conoscendo Filippo, vuole fare come lui. L’“Oratorio” nasce così, tra i tuguri fetidi profumati giorno per giorno da una carità fatta di carne e non per un progetto disegnato sulla carta e calato dall’alto come un’elemosina data a freddo. “Grazie anche all’apostolato di San Filippo – riconosce Papa Francesco – l’impegno per la salvezza delle anime tornava ad essere una priorità nell’azione della Chiesa; si comprese nuovamente che i Pastori dovevano stare con il popolo per guidarlo e sostenerne la fede”. E pastore lo diventa lui stesso, Filippo, che nel 1551 approda al sacerdozio senza per questo cambiare vita e stile. Col tempo, attorno a lui prende corpo la prima comunità, la cellula della futura Congregazione che nel 1575 riceve il placet di Gregorio XIII.

“State bassi”
“Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi”, ripete ai suoi padre Filippo, che ricorda che per essere figli di Dio “non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare”. E colpisce, da un’anima tanto contemplativa come Maria ai piedi di Gesù, il piglio di Marta che convive nel suo cuore quando afferma: “È meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che starsene in camera a fare orazione”. Filippo Neri, il terzo Apostolo di Roma, chiude gli occhi alle prime ore del 26 maggio 1595. Mai spento è il dinamismo del suo amore e a Roma che si prepara al Giubileo della misericordia sembra che ripeta: “Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni”.


Filippo Neri nasce a Firenze il 21 luglio 1515, e riceve il battesimo nel “bel san Giovanni” dei Fiorentini il giorno seguente, festa di S. Maria Maddalena.
La famiglia dei Neri, che aveva conosciuto in passato una certa importanza, risentiva allora delle mutate condizioni politiche e viveva in modesto stato economico. Il padre, ser Francesco, era notaio, ma l’esercizio della sua professione era ristretto ad una piccola cerchia di clienti; la madre, Lucrezia da Mosciano, proveniva da una modesta famiglia del contado, e moriva poco dopo aver dato alla luce il quarto figlio.
La famiglia si trovò affidata alle cure della nuova sposa di ser Francesco, Alessandra di Michele Lenzi, che instaurò con tutti un affettuoso rapporto, soprattutto con Filippo, il secondogenito, dotato di un bellissimo carattere, pio e gentile, vivace e lieto, il “Pippo buono” che suscitava affetto ed ammirazione tra tutti i conoscenti.
Dal padre, probabilmente, Filippo ricevette la prima istruzione, che lasciò in lui soprattutto il gusto dei libri e della lettura, una passione che lo accompagnò per tutta la vita, testimoniata dall’inventario della sua biblioteca privata, lasciata in morte alla Congregazione romana, e costituita di un notevole numero di volumi. La formazione religiosa del ragazzo ebbe nel convento dei Domenicani di San Marco un centro forte e fecondo. Si respirava, in quell’ambiente, il clima spirituale del movimento savonaroliano, e per fra Girolamo Savonarola Filippo nutrì devozione lungo tutto l’arco della vita, pur nella evidente distanza dai metodi e dalle scelte del focoso predicatore apocalittico.
Intorno ai diciotto anni, su consiglio del padre, desideroso di offrire a quel figlio delle possibilità che egli non poteva garantire, Filippo si recò da un parente, avviato commerciante e senza prole, a San Germano, l’attuale Cassino. Ma l’esperienza della mercatura durò pochissimo tempo: erano altre le aspirazioni del cuore, e non riuscirono a trattenerlo l’affetto della nuova famiglia e le prospettive di un’agiata situazione economica.
Lo troviamo infatti a Roma, a partire dal 1534. Vi si recò, probabilmente, senza un progetto preciso. Roma, la città santa delle memorie cristiane, la terra benedetta dal sangue dei martiri, ma anche allettatrice di tanti uomini desiderio di carriera e di successo, attrasse il suo desiderio di intensa vita spirituale: Filippo vi giunse come pellegrino, e con l’animo del pellegrino penitente, del “monaco della città” per usare un’espressione oggi di moda, visse gli anni della sua giovinezza, austero e lieto al tempo stesso, tutto dedito a coltivare lo spirito.
La casa del fiorentino Galeotto Caccia, capo della Dogana, gli offrì una modesta ospitalità – una piccola camera ed un ridottissimo vitto – ricambiata da Filippo con l’incarico di precettore dei figli del Caccia. Lo studio lo attira – frequenta le lezioni di filosofia e di teologia dagli Agostiniani ed alla Sapienza – ma ben maggiore è l’attrazione della vita contemplativa che impedisce talora a Filippo persino di concentrarsi sugli argomenti delle lezioni.
La vita contemplativa che egli attua è vissuta nella libertà del laico che poteva scegliere, fuori dai recinti di un chiostro, i modi ed i luoghi della sua preghiera: Filippo predilesse le chiese solitarie, i luoghi sacri delle catacombe, memoria dei primi tempi della Chiesa apostolica, il sagrato delle chiese durante le notti silenziose. Coltivò per tutta la vita questo spirito di contemplazione, alimentato anche da fenomeni straordinari, come quello della Pentecoste del 1544, quando Filippo, nelle catacombe si san Sebastiano, durante una notte di intensa preghiera, ricevette in forma sensibile il dono dello Spirito Santo che gli dilatò il cuore infiammandolo di un fuoco che arderà nel petto del santo fino al termine dei suoi giorni.
Questa intensissima vita contemplativa si sposava nel giovane Filippo ad un altrettanto intensa, quanto discreta nelle forme e libera nei metodi, attività di apostolato nei confronti di coloro che egli incontrava nelle piazze e per le vie di Roma, nel servizio della carità presso gli Ospedali degli incurabili, nella partecipazione alla vita di alcune confraternite, tra le quali, in modo speciale, quella della Trinità dei Pellegrini, di cui Filippo, se non il fondatore, fu sicuramente il principale artefice insieme al suo confessore P. Persiano Rosa.
A questo degnissimo sacerdote, che viveva a san Girolamo della Carità, e con il quale Filippo aveva profonde sintonie di temperamento lieto e di impostazione spirituale, il giovane, che ormai si avviava all’età adulta, aveva affidato la cura della sua anima. Ed è sotto la direzione spirituale di P. Persiano che maturò lentamente la chiamata alla vita sacerdotale. Filippo se ne sentiva indegno, ma sapeva il valore dell’obbedienza fiduciosa ad un padre spirituale che gli dava tanti esempi di santità. A trentasei anni, il 23 maggio del 1551, dopo aver ricevuto gli ordini minori, il suddiaconato ed il diaconato, nella chiesa parrocchiale di S. Tommaso in Parione, il vicegerente di Roma, Mons. Sebastiano Lunel, lo ordinava sacerdote.
Messer Filippo Neri continuò da sacerdote l’intensa vita apostolica che già lo aveva caratterizzato da laico. Andò ad abitare nella Casa di san Girolamo, sede della Confraternita della Carità, che ospitava a pigione un certo numero di sacerdoti secolari, dotati di ottimo spirito evangelico, i quali attendevano alla annessa chiesa. Qui il suo principale ministero divenne l’esercizio del confessionale, ed è proprio con i suoi penitenti che  Filippo iniziò, nella semplicità della sua piccola camera, quegli incontri di meditazione, di dialogo spirituale, di preghiera, che costituiscono l’anima ed il metodo dell’Oratorio. Ben presto quella cameretta non bastò al numero crescente di amici spirituali, e Filippo ottenne da “quelli della Carità” di poterli radunare in un locale, situato sopra una nave della chiesa, prima destinato a conservare il grano che i confratelli distribuivano ai poveri.
Tra i discepoli del santo, alcuni – ricordiamo tra tutti Cesare Baronio e Francesco Maria Tarugi, i futuri cardinali – maturarono la vocazione sacerdotale, innamorati del metodo e dell’azione pastorale di P. Filippo. Nacque così, senza un progetto preordinato, la “Congregazione dell’Oratorio”: la comunità dei preti che nell’Oratorio avevano non solo il centro della loro vita spirituale, ma anche il più fecondo campo di apostolato. Insieme ad altri discepoli di Filippo, nel frattempo divenuti sacerdoti, questi andarono ad abitare a San Giovanni dei Fiorentini, di cui P. Filippo aveva dovuto accettare la Rettoria per le pressioni dei suoi connazionali sostenuti dal Papa. E qui iniziò tra i discepoli di Filippo quella semplice vita famigliare, retta da poche regole essenziali, che fu la culla della futura Congregazione.
Nel 1575 Papa Gregorio XIII affidò a Filippo ed ai suoi preti la piccola e fatiscente chiesa di S. Maria in Vallicella, a due passi da S. Girolamo e da S. Giovanni dei Fiorentini, erigendo al tempo stesso con la Bolla “Copiosus in misericordia Deus” la “Congregatio presbyterorm saecularium de Oratorio nuncupanda”. Filippo, che continuò a vivere nell’amata cameretta di San Girolamo fino al 1583, e che si trasferì, solo per obbedienza al Papa, nella nuova residenza dei suoi preti, si diede con tutto l’impegno a ricostruire in dimensioni grandiose ed in bellezza la piccola chiesa della Vallicella.
Qui trascorse gli ultimi dodici anni della sua vita, nell’esercizio del suo prediletto apostolato di sempre: l’incontro paterno e dolcissimo, ma al tempo stesso forte ed impegnativo, con ogni categoria di persone, nell’intento di condurre a Dio ogni anima non attraverso difficili sentieri, ma nella semplicità evangelica, nella fiduciosa certezza dell’infallibile amore divino, nella letizia dello spirito che sgorga dall’unione con Dio. Si spense nelle prime ore del 26 maggio 1595, all’età di ottant’anni, amato dai suoi e da tutta Roma di un amore carico di stima e di affezione.
La sua vita è chiaramente suddivisa in due periodi di pressoché identica durata: trentasei anni di vita laicale, quarantaquattro di vita sacerdotale. Ma Filippo Neri, fiorentino di nascita – e quanto amava ricordarlo! – e romano di adozione – tanto egli aveva adottato Roma, quanto Roma aveva adottato lui! – fu sempre quel prodigio di carità apostolica vissuta in una mirabile unione con Dio, che la Grazia divina operò in un uomo originalissimo ed affascinante.
“Apostolo di Roma” lo definirono immediatamente i Pontefici ed il popolo Romano, attribuendogli il titolo riservato a Pietro e Paolo, titolo che Roma non diede a nessun altro dei pur grandissimi santi che, contemporaneamente a Filippo, avevano vissuto ed operato tra le mura della Città Eterna. Il cuore di Padre Filippo, ardente del fuoco dello Spirito, cessava di battere in terra in quella bella notte estiva, ma lasciava in eredità alla sua Congregazione ed alla Chiesa intera il dono di una vita a cui la Chiesa non cessa di guardare con gioioso stupore. Ne è forte testimonianza anche il Magistero del Santo Padre Giovanni Paolo II che in varie occasioni ha lumeggiato la figura di san Filippo Neri e lo ha citato, unico dei santi che compaiano esplicitamente con il loro nome, nella Bolla di indizione del Grande Giubileo del 2000.

MARIA LA FORMATRICE DEI SANTI

L’AMATA DAI SANTI

Maria Santissima è la Madre dei Santi. Dove c’è un Santo c’è Maria, ho già scritto. Sì, perché senza Maria il cammino verso la santità è impossibile. E’ Lei la Formatrice dei Santi come anche Lei formò il Santissimo nel concepirLo, darLo al mondo, curarLo, guidarLo nei Suoi primi passi e nella crescita. È stata la Maestra di Gesù Bambino, di quel Bambino il cui Spirito era lo Spirito del Creatore del mondo. Maria ha ricevuto dal Figlio, l’incarico di formare tutti i Santi, e Lei svolge questo compito con lo stesso amore e con la stessa obbedienza che mostrò nell’Incarnazione del Verbo in Lei. Però, non sempre Maria trova l’anima eletta docile alle Sue chiamate alla Santità, allora, come Madre premurosa e sapiente, si serve anche di circostanze che apparentemente sembrano cattive. Così San Camillo de Lellis dovette benedire per tutta la vita la guerra a cui prese parte contro i turchi, e la piaga inguaribile della sua gamba; San Girolamo baciò le catene della sua prigionia a Treviso; Sant’Ignazio diLojola scrisse che la grave ferita di Pamplona, gli aprì gli occhi dell’anima; San Pietro Gonzales benedisse la sua caduta, per l’impennarsi del cavallo, tra gli scherni del popolo che prima lo aveva applaudito; Sant’Alfonso Maria dè Liguori dovette alla dimenticanza di un documento, per pura distrazione, una sconfitta in tribunale, che gli fece abbandonare il foro e il mondo, per abbracciare una vita che lo condusse alla santità. Diventerà uno dei più appassionati innamorati della Madonna e, su Lei, scriverà uno dei libri più letti nel mondo: “Le Glorie di Maria”. La Madonna è la Regina dei Santi, perchè Li supera tutti nelle virtù e nella gloria. Ella apparve a San Tommaso di Canterbuy dicendo che in Cielo gode sette particolari gaudi:1- perchè è glorificata più di tutte le creature;2- perchè supera tutte le gerarchie celesti nella Verginità;3- perchè l’intera corte celeste rifulge della Sua gloria;4- perchè tutta la corte celeste La onora e La venera quale Madre di Dio;5- perchè da Sua Figlio ha ottenuto il potere di ottenere per noi qualsiasi favore;6- perchè ai Suoi devoti in Cielo è preparata una gloria speciale;7- perchè la Sua gloria aumenta e dura per tutta l’eternità.Tutti i Santi hanno faticato per imitare Maria, essendo a conoscenza che, più si ama Lei e più si diventa come Lei. Più si prega Maria e più l’anima viene inondata dello Spirito di Maria. Se si dovesse scrivere l’amore che ogni Santo ha avuto per Maria, si dovrebbero riempire di libri le più grandi Biblioteche del mondo, anzi, non basterebbero neppure. Ogni Santo ha amato appassionatamente Maria. Dice San Bernardino da Feltre, che “tutti i Santi del Paradiso guardano a Maria. Se tu hai Maria dalla tua, allora hai tutto, altrimenti non hai nulla, perchè tutto il Paradiso guarda a Lei; e se i Santi La vedono favorevole, tutti presentano suppliche, altrimenti nessuno osa incominciare: tutti tacciono”.Amiamo la Madonna, perchè è la Maestra di santità. Tutti i Santi si sono consumati nell’amare Maria e, se sono stati i più grandi ed anime eroiche, è per la devozione a Maria Santissima. Santi canonizzati dalla Santa Chiesa Cattolica e anime che in vita si sono distinte per la vita particolarmente evangelica, in Paradiso osannano Maria e saranno eternamente riconoscenti per l’ineguagliabile aiuto che Maria ha dato a tutti Loro. San Francesco d’Assisi fu un’anima eminentemente mariana: venerava la Madonna nelle veglie notturne, Le cantava speciali lodi, Le elevava continue preghiere, a Lei consacrò tutti i suoi affetti, La volle come Protettrice dell’Ordine, faceva ogni anno una austera Quaresima in onore di Maria che iniziava il 29 giugno e durava fino al 15 agosto; Santa Veronica Giuliani per tre anni si nutrì solamente di pane ed acqua, e non era mai appagata delle inaudite penitenze che faceva per la Madonna; Padre Pio da Pietrelcina recitava ogni giorno innumerevoli Ave Maria, digiunava ogni sabato a pane ed acqua in onore di Maria, e diceva ai numerosi miracolati: “Ringraziate la Madonna”San Salvatore da Horta, straordinario operatore di miracoli, prima di invocare la Madonna per ottenere miracoli e guarigioni, faceva mettere gli innumerevoli pellegrini davanti l’altare della Madonna e li invitava ad avere grande fiducia nella potenza di Maria; San Massimiliano Maria Kolbe è chiamato il folle dell’Immacolata per il suo infuocato amore alla Madre di Dio; al mortificato e penitente Beato Bernardo da Corleone apparve la Madonna e gli disse che dopo poco tempo sarebbe morto, allorchè il fraticello pieno di gioia, corse in cucina saltellando e sospirando “Paradiso! Paradiso!”San Leonardo da Porto Maurizio ogni volta che suonava l’orologio recitava un’Ave Maria; San Crispino da Viterbo rimaneva ogni sera per più ore dinanzi un quadro di Maria, assorto in contemplazione; San Giuseppe da Copertino quando pregava la Madonna andava in estasi, si alzava da terra e rimaneva sollevato in aria senza appoggio dinanzi una Statua della Madonna, anzi, gli bastava sentire solamente il Nome di Maria per volare in alto; San Luigi da Monfort salutava la Madonna trecento volte al giorno con atti d’amore; Sant’Alfonso Rodriguez digiunava rigorosamente tutti i sabati dell’anno, teneva sempre in mano la Corona del Rosario e recitava l’Ave Maria in onore della Madonna a tutte le ore del giorno e della notte. Pregava pensando a Maria presente, donava tutte le sue suppliche a Maria; San Bonaventura, Generale francescano, ordinò che dopo la preghiera di Compieta in ogni Convento si recitasse il saluto Angelico che si diffuse in tutta la Chiesa, e volle, che ogni sabato si cantasse la Messa solenne della gran Signora; Santa Teresa di Gesù Bambino a cinque anni faceva a casa il mese di maggio, nel giorno della sua Prima Comunione fece la consacrazione totale e perenne di se stessa alla Madonna. Partendo per il Carmelo, portò con sè la statuetta della Vergine Maria e morì esclamando: “Gesù! Maria! Vi amo”San Casimiro scrisse una lode a Maria per recitarla ogni giorno e volle venisse messa nella sua tomba; Cristoforo Colombo cantò la Salve Regina quando scoprì l’America; San Pietro Tommaso era il confidente di Maria, e l’abitudine di portare Maria nel cuore lo trasformò in Lei; la Beata Giovanna, carmelitana, quando desiderava qualche Grazia straordinaria dalla Madonna, recitava quindicimila Ave Maria, e chiudeva ogni centinaio con la Salve Regina; il monaco Bartolomeo si metteva, spogliato, sotto i ghiacci e le nevi per offrire penitenze a Maria, e per questo fu molto perseguitato dai diavoli; la Regina Santa Elisabetta faceva un digiuno di quaranta giorni in preparazione della Festa dell’Assunzione della Madonna, e nelle altre Feste digiunava a pane ed acqua; il Beato Simone digiunava più volte la settimana in onore della Madonna, ed era moderato nel parlare perchè Maria nel Vangelo non parla più di cinque volte; San Ludovico Re di Francia, sommamente devoto della Madonna, recitava ogni giorno in privato l’Ufficio della Santissima Vergine, ogni sabato dava da mangiare a tre poveri dopo aver lavato loro i piedi; Ilarione da Conversano portava sempre con sè un’immaginetta della Madonna e molto spesso la baciava, commosso e devoto; l’umile Sant’Alessio amava intensamente un’Immagine di Maria esposta nella città d’Edessa, ma restò sulla porta della Chiesa per diciassette anni e da lì La guardava, non volendo entrare dentro per profondo rispetto alla Santissima Madre; San Giuseppe Moscati, il dolce dottore dei poveri, in onore della Madonna tutti i sabati e in tutte le novene delle Sue Feste si asteneva dalla frutta. Pregava alcune ore ogni mattina prima di andare all’ospedale e recitava il Santo Rosario per essere guidato da Maria; il Beato Egidio di San Giuseppe aveva una particolare devozione alla Madonna, tanto che teneva accesi quattro ceri giorno e notte davanti ad una copia dell’Immagine della Madonna del Pozzo di Bari, e prima di uscire per la questua e quando rientrava passava sempre a salutarLa; San Gaspare del Bufalo confidava pienamente nella Madonna: quando predicava e improvvisamente pioveva, benediceva il cielo con il quadro della Madonna e subito smetteva di piovere, oppure, l’acqua non bagnava i suoi ascoltatori; San Roberto Re di Francia, nelle vigilie delle Feste di Maria faceva un rigoroso digiuno e vegliava tutta la notte in preghiera; San Francesco Solano cantava spesso le Lodi di Maria, e cantando andava in estavi per l’impeto della dolcezza; la Beata Cunegonda faceva penitenze straordinarie per amore della Madonna, ma il sabato le aumentava, tormentando il suo corpo in memoria dei Dolori di Maria; Sant’Ignazio di Lojola, appena convertito, non aveva uno zelo ordinato e voleva uccidere un moro che aveva dubitato della perpetua Verginità di Maria, ma la Santa Madre lo calmò; San Domenico di Guzman recitava ventiquattro Corone del Santo Rosario al giorno, nonostante i molti impegni di predicatore umile e straordinario; Santa Teresa d’Avila ogni sera, alla presenza della comunità, metteva devotamente nelle mani di Maria le chiavi che le venivano consegnate come si usava nel Monastero, perchè aveva fatto Priora la Madonna; San Giovanni Berchmans consacrò fin dalla fanciullezza la sua castità a Maria e ottenne il dono di straordinaria purità che l’ispirava anche a coloro che lo guardavano. Inoltre, digiunava il sabato e nei giorni di passeggio visitava sette Chiese dedicate a Maria; la Beata Maria Schininà digiunava in onore della Madonna tutti i sabati dell’anno, ogni volta che sentiva battere le ore ripeteva: “Ai Tuoi piedi, piissima Signora, voglio vivere e morire”; il figlio di Carlo II, Re di Sicilia, ammalato gravemente, fece voto alla Madonna di entrare nell’Ordine francescano se fosse guarito, e infatti, dopo la guarigione, diventerà Vescovo di Tolosae poi San Ludovico; alla bambina Rosa non piaceva il suo nome e si rivolse ad una Immagine della Beata Vergine del Rosario, che la consolò e disse che quel nome piaceva anche a Gesù, ma doveva aggiungere un altro nome: Maria. Si chiamerà Rosa di Santa Maria e dalla Chiesa canonizzata come Santa Rosa da Lima; il primo a salutare Maria, Madre di Dio, fu San Giovanni Battista, addirittura non ancora nato, quando si agitò, sentendo la voce di Maria, nel grembo della madre Sant’Elisabetta; San Giuseppe Calasanzio fu un grandissimo devoto della Madonna: ancora bambino si deliziava nel recitare il Santo Rosario, digiunava a pane ed acqua in tutte le vigilie delle Feste mariane e fondò l’Istituto, I poveri della Madre di Dio; San Tommaso d’Aquino per il suo amore alla Vergine, era chiamato: il Servo della Vergine Maria e in punto di morte gli apparve la Madonna; San Leopoldo Mandic visse da innamorato della Madonna. Cercava tutti i modi per onororLa: tutti i giorni celebrava la Messa all’altare della Madonna, più volte al giorno recitava il Santo Rosario, ogni giorno recitava l’Ufficio di Maria, digiunava in tutte le vigilie delle Feste mariane; San Francesco di Paola alla scuola di Maria imparò l’umiltà più profonda, la purezza più eroica, l’uniformità alla Volontà di Dio, l’amore verso il prossimo, la carità ardente verso Dio; per tutta la vita San Giovanni di Dio visse sotto lo sguardo materno di Maria. La sua pietà mariana era ardentissima, i suoi sacrifici per la Madonna erano innumerevoli, le suppliche continue, le privazioni per Maria di ogni genere e sulle labbra aveva sempre il nome di Maria; il Beato Antonio Baldinucci con una Immagine di Maria operava miracoli, come fermare la pioggia, far venire il bel tempo, guarire gli ammalati, moltiplicare il raccolto, convertire le anime; Santa Matilde aveva paura della morte, ma apparve la Madonna e le disse: “Se vuoi morire serenamente e santamente, recita ogni giorno tre Ave Maria”. E la Santa fece una morte invidiabile; San Francesco Saverio portava sempre appesa al collo una Corona del Rosario, e con quella otteneva guarigioni miracolose agli ammalati; San Camillo de Lellis assisteva i moribondi e li metteva sotto la protezione della Madonna, assicurando la loro salvezza eterna; San Giovanni Leonardi dall’inizio alla fine della sua vita fu veramente tutto di Maria; Padre Baldassare Guinigi, nella gioventù era amante del giuoco e del divertimento, sperperò le ricchezze paterne, ma poi fu convertito dalla Madonna e morì santamente da Sacerdote, dopo 60 anni di vita religiosa; San Paolo della Croce portava sempre al collo l’abitino dell’Addolorata e diffondeva la devozione ai Dolori di Maria; Santo Stefano Re d’Ungheria, consacrò il suo regno alla Madonna, Le edificò un grandioso tempio e volle che i suoi sudditi La chiamassero “Grande Signora”Padre Marco Calvo ornò del nome di Maria -quasi fosse un sigillo- i libri, le vesti e tutte le altre cose che aveva in uso. Avrebbe voluto che il nome di Maria fosse scolpito sulle porte e sulle pareti; Giovanni Giuseppe Sahun godeva della presenza abituale della Madonna e l’amore per Lei, lo elevò in pochi anni, alle vette della santità; Sant’Alfonso Maria dè Liguori digiunava ogni sabato a pane ed acqua, ogni giorno recitava il Rosario intero e l’Ave Maria al suono della campana; San Gabriele dell’Addolorata era chiamato il messaggero dell’Addolorata, e l’Addolorata fu quasi tutta la ragione della sua vita; Sant’Alberto Magno onorava la Madonna in tutti i modi, e pur essendo incapace nello studio diventò un dotto per Grazia di Maria; San Pierluigi una volta si ferì ad un dito, intinse con la penna un poco del suo sangue e scrisse: “Amare Maria e farLa amare”Padre Duscarne era devoto dei Dolori di Maria e un giorno ottenne una Grazia dopo aver meditato su Maria Addolorata, facendo per quattordici volte la Via Crucis; Santa Giacinta Marescotti dal giorno della sua “seconda conversione” avvenuta fra le clarisse dopo dieci anni di vita dissipata e scandalosa nel monastero, non volle chiamarsi più Marescotti, ma Giacinta di Maria Vergine, e da quel giorno cominciò una vita di straordinaria penitente.E innumerevoli altri esempi di devozione alla Madonna si potrebbero narrare, perché ogni Santo è stato formato dall’Amore di Maria, modellato secondo l’esemplare, che è Maria, e trasformato per gli insegnamenti di Maria. La Madonna è sempre vicina ad ogni anima, e guarda con compassione chi soffre e La invoca. Per consolare Suor Josefa Menendez le disse: “Figlia mia, non temere mai nè le sofferenze nè i sacrifici. Le vie di Dio sono fatte così. Se vuoi uscire vittoriosa dagli assalti del nemico, ti raccomando due cose: umiliati poiché sei un nulla e meriti nulla, tutto è Grazia di Dio; in secondo luogo, quando ti trovi abbandonata, circondata da tentazioni, con l’anima fredda e senza forza per combattere, non tralasciare mai la preghiera… e va subito ad aprire il tuo cuore a Colei che mio Figlio ti ha dato per Madre quaggiù”.

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La Santa degli impossibili-Rita da Cascia

La Santa degli impossibili-Rita da Cascia

Meditazioni Mese Mariano di Maria

I vari volti della santità. Pensiamo a Maria sposa, madre, sorella, anche lei Donna dell’impossibile che ha reso tutto possibile!

Come tu mi vuoi
Eccomi Signor, vengo a te mio Re
Che si compia in me la tua volontà
Eccomi Signor vengo a te mio Dio
Plasma il cuore mio e di te vivrò
Se tu lo vuoi Signore manda me e il tuo nome annuncerò
Santa Rita nacque a Roccaporena (Cascia) verso il 1380. Secondo la tradizione era figlia unica e fin dall’adolescenza desiderò consacrarsi a Dio ma, per le insistenze dei genitori, fu data in sposa ad un giovane di buona volontà ma di carattere violento. Dopo l’assassinio del marito e la morte dei due figli, ebbe molto a soffrire per l’odio dei parenti che, con fortezza cristiana, riuscì a riappacificare. Vedova e sola, in pace con tutti, fu accolta nel monastero agostiniano di santa Maria Maddalena in Cascia. Visse per quarant’anni anni nell’umiltà e nella carità, nella preghiera e nella penitenza. Negli ultimi quindici anni della sua vita, portò sulla fronte il segno della sua profonda unione con Gesù crocifisso. Morì il 22 maggio 1457. Invocata come taumaturga di grazie, il suo corpo si venera nel santuario di Cascia, meta di continui pellegrinaggi. Beatificata da Urbano VIII nel 1627, venne canonizzata il 24 maggio 1900 da Leone XIII. E’ invocata come santa del perdono e paciera di Cristo.Patronato: Donne maritate infelicemente, Casi disperati
Etimologia: Rita = accorc. di Margherita
Martirologio Romano: Santa Rita, religiosa, che, sposata con un uomo violento, sopportò con pazienza i suoi maltrattamenti, riconciliandolo infine con Dio; in seguito, rimasta priva del marito e dei figli, entrò nel monastero dell’Ordine di Sant’Agostino a Cascia in Umbria, offrendo a tutti un sublime esempio di pazienza e di compunzione.

   

E’ la piccola borgata di Roccaporena, in Umbria, a dare i natali, molto probabilmente nel 1371, a Margherita Lotti, chiamata col diminutivo “Rita”. I genitori, modesti contadini e pacieri, provvedono a farle avere una buona educazione scolastica e religiosa nella vicina Cascia, dove l’istruzione è curata dai frati agostiniani. Matura in tale contesto la devozione verso Sant’Agostino, San Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, che Rita sceglie come suoi santi protettori.

Rita moglie e madre

Intorno al 1385 sposa Paolo di Ferdinando di Mancino. Contese e rivalità politiche sono i tratti che contraddistinguono la società di allora; anche il marito di Rita ne è coinvolto. Ma la giovane sposa, con la preghiera, la sua pacatezza e con quella capacità di pacificare appresa dai genitori, lo aiuta pian piano a vivere una condotta più autenticamente cristiana. Con l’amore, la comprensione e la pazienza, quella di Rita e Paolo diviene così un’unione feconda, allietata dall’arrivo di due figli maschi: Giangiacomo e Paolo Maria. Al sereno focolare domestico si contrappone però la spirale d’odio delle fazioni dell’epoca. Lo sposo di Rita vi si trova coinvolto anche per i vincoli di parentela, e viene assassinato. Per evitare di indurre i figli alla vendetta, nasconde loro la camicia insanguinata del padre. In cuor suo Rita perdona chi ha ucciso il marito, ma la famiglia di Mancino non si rassegna, fa pressioni; ne scaturiscono rancori ed ostilità. Rita non smette di pregare perché non si sparga altro sangue e fa della preghiera la sua arma e consolazione. Eppure le tribolazioni non vengono meno. Una malattia provoca la morte di Giangiacomo e Paolo Maria: l’unico conforto è pensare le loro anime salve, non più nel pericolo della dannazione nel clima di ritorsioni suscitato dall’assassinio del coniuge.

Monaca agostiniana
Rimasta sola, Rita comincia una vita di più intensa preghiera, per i suoi cari defunti, ma anche per i “di Mancino”, perché perdonino e trovino la pace. All’età di 36 anni chiede di essere accolta tra le monache agostiniane del Monastero Santa Maria Maddalena di Cascia, ma la sua richiesta viene respinta: le religiose, forse, temono con l’ingresso di Rita – vedova di un uomo assassinato – di mettere a repentaglio la sicurezza della loro comunità. Le preghiere di Rita e le intercessioni dei suoi santi protettori portano invece alla pacificazione tra le famiglie coinvolte nell’uccisione di Paolo di Mancino e dopo tanti ostacoli avviene l’ingresso in monastero. Si racconta che, durante il noviziato, la badessa, per provare l’umiltà di Rita, le abbia chiesto di innaffiare un arido legno e che la sua obbedienza sia stata premiata da Dio con una vite tutt’ora rigogliosa. Negli anni Rita si distingue come religiosa umile, zelante nella preghiera e nei lavori affidatile, capace di frequenti digiuni e penitenze. Le sue virtù divengono note anche fuori dalle mura del monastero, pure a motivo delle opere di carità cui Rita si dedica insieme alle consorelle, che alla vita di preghiera affiancano le visite agli anziani, la cura degli ammalati, l’assistenza ai poveri.


La santa delle rose
Sempre più immersa nella contemplazione di Cristo, Rita chiede di poter partecipare alla sua Passione e nel 1432, assorta in preghiera, si ritrova sulla fronte la ferita di una spina della corona del Crocifisso che persiste fino alla morte, per 15 anni. Nell’inverno che precede la sua morte Rita, malata e costretta a letto, chiede a una cugina, venuta in visita da Roccaporena, di portarle due fichi e una rosa dall’orto della casa paterna. É il mese di gennaio, la donna l’asseconda, pensandola nel delirio della malattia. Rientrata, trova, stupefatta, la rosa e i fichi e li porta a Cascia. Per Rita sono segno della bontà di Dio che ha accolto in cielo i suoi due figli e il marito. Rita spira nella notte tra il 21 e il 22 maggio dell’anno 1447. Per il grande culto fiorito immediatamente dopo, il suo corpo non è mai stato sepolto. Oggi lo custodisce un’urna in vetro. Rita ha saputo fiorire nonostante le spine che la vita le ha riservato, donando il buon profumo di Cristo e sciogliendo il gelido inverno di tanti cuori. Per tale ragione, e a ricordo del prodigio di Roccaporena, il simbolo ritiano per eccellenza è la rosa.

 Fra le tante stranezze o fatti strepitosi che accompagnano la vita dei santi, prima e dopo la morte, ce n’è uno in particolare che riguarda santa Rita da Cascia, una delle sante più venerate in Italia e nel mondo cattolico, ed è che essa è stata beatificata ben 180 anni dopo la sua morte e addirittura proclamata santa a 453 anni dalla morte.
Quindi una santa che ha avuto un cammino ufficiale per la sua canonizzazione molto lento (si pensi che sant’Antonio di Padova fu proclamato santo un anno dopo la morte), ma nonostante ciò s. Rita è stata ed è una delle più venerate ed invocate figure della santità cattolica, per i prodigi operati e per la sua umanissima vicenda terrena.
Rita ha il titolo di “santa dei casi impossibili”, cioè di quei casi clinici o di vita, per cui non ci sono più speranze e che con la sua intercessione, tante volte miracolosamente si sono risolti.
Nacque intorno al 1381 a Roccaporena, un villaggio montano a 710 metri s. m. nel Comune di Cascia, in provincia di Perugia; i suoi genitori Antonio Lottius e Amata Ferri erano già in età matura quando si sposarono e solo dopo dodici anni di vane attese, nacque Rita, accolta come un dono della Provvidenza.
La vita di Rita fu intessuta di fatti prodigiosi, che la tradizione, più che le poche notizie certe che possediamo, ci hanno tramandato; ma come in tutte le leggende c’è alla base senz’altro un fondo di verità.
Si racconta quindi che la madre molto devota, ebbe la visione di un angelo che le annunciava la tardiva gravidanza, che avrebbero ricevuto una figlia e che avrebbero dovuto chiamarla Rita; in ciò c’è una similitudine con s. Giovanni Battista, anch’egli nato da genitori anziani e con il nome suggerito da una visione.
Poiché a Roccaporena mancava una chiesa con fonte battesimale, la piccola Rita venne battezzata nella chiesa di S. Maria della Plebe a Cascia e alla sua infanzia è legato un fatto prodigioso; dopo qualche mese, i genitori, presero a portare la neonata con loro durante il lavoro nei campi, riponendola in un cestello di vimini poco distante.
E un giorno mentre la piccola riposava all’ombra di un albero, mentre i genitori stavano un po’ più lontani, uno sciame di api le circondò la testa senza pungerla, anzi alcune di esse entrarono nella boccuccia aperta depositandovi del miele. Nel frattempo un contadino che si era ferito con la falce ad una mano, lasciò il lavoro per correre a Cascia per farsi medicare; passando davanti al cestello e visto la scena, prese a cacciare via le api e qui avvenne la seconda fase del prodigio, man mano che scuoteva le braccia per farle andare via, la ferita si rimarginò completamente. L’uomo gridò al miracolo e con lui tutti gli abitanti di Roccaporena, che seppero del prodigio.
Rita crebbe nell’ubbidienza ai genitori, i quali a loro volta inculcarono nella figlia tanto attesa, i più vivi sentimenti religiosi; visse un’infanzia e un’adolescenza nel tranquillo borgo di Roccaporena, dove la sua famiglia aveva una posizione comunque benestante e con un certo prestigio legale, perché a quanto sembra ai membri della casata Lottius, veniva attribuita la carica di ‘pacieri’ nelle controversie civili e penali del borgo.
Già dai primi anni dell’adolescenza Rita manifestò apertamente la sua vocazione ad una vita religiosa, infatti ogni volta che le era possibile, si ritirava nel piccolo oratorio, fatto costruire in casa con il consenso dei genitori, oppure correva al monastero di Santa Maria Maddalena nella vicina Cascia, dove forse era suora una sua parente.
Frequentava anche la chiesa di s. Agostino, scegliendo come suoi protettori i santi che lì si veneravano, oltre s. Agostino, s. Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, canonizzato poi nel 1446. Aveva tredici anni quando i genitori, forse obbligati a farlo, la promisero in matrimonio a Fernando Mancini, un giovane del borgo, conosciuto per il suo carattere forte, impetuoso, perfino secondo alcuni studiosi, brutale e violento.
Rita non ne fu entusiasta, perché altre erano le sue aspirazioni, ma in quell’epoca il matrimonio non era tanto stabilito dalla scelta dei fidanzati, quando dagli interessi delle famiglie, pertanto ella dovette cedere alle insistenze dei genitori e andò sposa a quel giovane ufficiale che comandava la guarnigione di Collegiacone, del quale “fu vittima e moglie”, come fu poi detto.
Da lui sopportò con pazienza ogni maltrattamento, senza mai lamentarsi, chiedendogli con ubbidienza perfino il permesso di andare in chiesa. Con la nascita di due gemelli e la sua perseveranza di rispondere con la dolcezza alla violenza, riuscì a trasformare con il tempo il carattere del marito e renderlo più docile; fu un cambiamento che fece gioire tutta Roccaporena, che per anni ne aveva dovuto subire le angherie.
I figli Giangiacomo Antonio e Paolo Maria, crebbero educati da Rita Lottius secondo i principi che le erano stati inculcati dai suoi genitori, ma essi purtroppo assimilarono anche gli ideali e regole della comunità casciana, che fra l’altro riteneva legittima la vendetta.
E venne dopo qualche anno, in un periodo non precisato, che a Rita morirono i due anziani genitori e poi il marito fu ucciso in un’imboscata una sera mentre tornava a casa da Cascia; fu opera senz’altro di qualcuno che non gli aveva perdonato le precedenti violenze subite.
Ai figli ormai quindicenni, cercò di nascondere la morte violenta del padre, ma da quel drammatico giorno, visse con il timore della perdita anche dei figli, perché aveva saputo che gli uccisori del marito erano decisi ad eliminare gli appartenenti al cognome Mancini; nello stesso tempo i suoi cognati erano decisi a vendicare l’uccisione di Fernando Mancini e quindi anche i figli sarebbero stati coinvolti nella faida di vendette che ne sarebbe seguita.
Narra la leggenda che Rita per sottrarli a questa sorte, abbia pregato Cristo di non permettere che le anime dei suoi figli si perdessero, ma piuttosto di toglierli dal mondo, “Io te li dono. Fa’ di loro secondo la tua volontà”. Comunque un anno dopo i due fratelli si ammalarono e morirono, fra il dolore cocente della madre.
A questo punto inserisco una riflessione personale, sono del Sud Italia e in alcune regioni, esistono realtà di malavita organizzata, ma in alcuni paesi anche faide familiari, proprio come al tempo di s. Rita, che periodicamente lasciano sul terreno morti di ambo le parti. Solo che oggi abbiamo sempre più spesso donne che nell’attività malavitosa, si sostituiscono agli uomini uccisi, imprigionati o fuggitivi; oppure ad istigare altri familiari o componenti delle bande a vendicarsi, quindi abbiamo donne di mafia, di camorra, di ‘ndrangheta, di faide familiari, ecc.
Al contrario di santa Rita che pur di spezzare l’incipiente faida creatasi, chiese a Dio di riprendersi i figli, purché non si macchiassero a loro volta della vendetta e dell’omicidio.
Santa Rita è un modello di donna adatto per i tempi duri. I suoi furono giorni di un secolo tragico per le lotte fratricide, le pestilenze, le carestie, con gli eserciti di ventura che invadevano di continuo l’Italia e anche se nella bella Valnerina questi eserciti non passarono, nondimeno la fame era presente.
Poi la violenza delle faide locali aggredì l’esistenza di Rita Lottius, distruggendo quello che si era costruito; ma lei non si abbatté, non passò il resto dei suoi giorni a piangere, ma ebbe il coraggio di lottare, per fermare la vendetta e scegliere la pace. Venne circondata subito di una buona fama, la gente di Roccaporena la cercava come popolare giudice di pace, in quel covo di vipere che erano i Comuni medioevali. Esempio fulgido di un ruolo determinante ed attivo della donna, nel campo sociale, della pace, della giustizia.
Ormai libera da vincoli familiari, si rivolse alle Suore Agostiniane del monastero di S. Maria Maddalena di Cascia per essere accolta fra loro; ma fu respinta per tre volte, nonostante le sue suppliche. I motivi non sono chiari, ma sembra che le Suore temessero di essere coinvolte nella faida tra famiglie del luogo e solo dopo una riappacificazione, avvenuta pubblicamente fra i fratelli del marito ed i suoi uccisori, essa venne accettata nel monastero.
Secondo la tradizione, l’ingresso avvenne per un fatto miracoloso: si narra che una notte, Rita, come al solito, si era recata a pregare sullo “Scoglio” (specie di sperone di montagna che s’innalza per un centinaio di metri al di sopra del villaggio di Roccaporena) e che qui ebbe la visione dei suoi tre santi protettori sopra citati, i quali la trasportarono a Cascia, introducendola nel monastero; era l’anno 1407. Quando le suore la videro in orazione nel loro coro, nonostante tutte le porte chiuse, convinte dal prodigio e dal suo sorriso, l’accolsero fra loro.
Quando avvenne ciò Rita era intorno ai trent’anni e benché fosse illetterata, fu ammessa fra le monache coriste, cioè quelle suore che sapendo leggere potevano recitare l’Ufficio divino, ma evidentemente per Rita fu fatta un’eccezione, sostituendo l’ufficio divino con altre orazioni.
La nuova suora s’inserì nella comunità conducendo una vita di esemplare santità, praticando carità e pietà e tante penitenze, che in breve suscitò l’ammirazione delle consorelle. Devotissima alla Passione di Cristo, desiderò di condividerne i dolori e questo costituì il tema principale delle sue meditazioni e preghiere.
Gesù l’esaudì e un giorno nel 1432, mentre era in contemplazione davanti al Crocifisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte, producendole una profonda piaga, che poi divenne purulenta e putrescente, costringendola ad una continua segregazione.
La ferita scomparve soltanto in occasione di un suo pellegrinaggio a Roma, fatto per perorare la causa di canonizzazione di s. Nicola da Tolentino, sospesa dal secolo precedente; ciò le permise di circolare fra la gente.
Si era talmente immedesimata nella Croce, che visse nella sofferenza gli ultimi quindici anni, logorata dalle fatiche, dalle sofferenze, ma anche dai digiuni e dall’uso dei flagelli, che erano tanti e di varie specie; negli ultimi quattro anni si cibava così poco, che forse la Comunione eucaristica era il suo unico sostentamento e fu costretta a restare coricata sul suo giaciglio.
E in questa fase finale della sua vita avvenne un altro prodigio: essendo immobile a letto, ricevé la visita di una parente la quale, nel congedarsi, le chiese se desiderava qualcosa della sua casa di Roccaporena; Rita rispose che le sarebbe piaciuto avere una rosa dall’orto; la parente obiettò che si era in pieno inverno e quindi ciò non era possibile. Ma Rita insistè. Tornata a Roccaporena, la parente si recò nell’orticello e, in mezzo ad un rosaio, vide una bella rosa sbocciata. Stupita, la colse e la portò da Rita a Cascia la quale, ringraziando, la consegnò alle meravigliate consorelle.
Così la santa vedova, madre, suora, divenne la santa della ‘Spina’ e la santa della ‘Rosa’; nel giorno della sua festa questi fiori vengono benedetti e distribuiti ai fedeli.
Il 22 maggio 1447 (o 1457, come viene spesso ritenuto) Rita si spense, mentre le campane da sole suonavano a festa, annunciando la sua ‘nascita’ al cielo. Si narra che il giorno dei funerali, quando ormai si era sparsa la voce dei miracoli attorno al suo corpo, comparvero delle api nere, che si annidarono nelle mura del convento e ancora oggi sono lì: sono api che non hanno un alveare, non fanno miele e da cinque secoli si riproducono fra quelle mura.
Per singolare privilegio il suo corpo non fu mai sepolto, in qualche modo trattato secondo le tecniche di allora, fu deposto in una cassa di cipresso, poi andata persa in un successivo incendio, mentre il corpo miracolosamente ne uscì indenne e riposto in un artistico sarcofago ligneo, opera di Cesco Barbari, un falegname di Cascia, devoto risanato per intercessione della santa.
Sul sarcofago sono vari dipinti di Antonio da Norcia (1457), sul coperchio è dipinta la santa in abito agostiniano, stesa nel sonno della morte su un drappo stellato; il sarcofago è oggi conservato nella nuova basilica costruita nel 1937-1947; anche il corpo riposa incorrotto in un’urna trasparente, esposto alla venerazione degli innumerevoli fedeli, nella cappella della santa nella Basilica-Santuario di santa Rita a Cascia.
Accanto al cuscino è dipinta una lunga iscrizione metrica che accenna alla vita della “Gemma dell’Umbria”, al suo amore per la Croce e agli altri episodi della sua vita di monaca santa; l’epitaffio è in antico umbro ed è di grande interesse quindi per conoscere il profilo spirituale di santa Rita.
Bisogna dire che il corpo rimasto prodigiosamente incorrotto e a differenza di quello di altri santi, non si è incartapecorito, appare come una persona morta da poco e non presenta sulla fronte la famosa piaga della spina, che si rimarginò inspiegabilmente dopo la morte.
Tutto ciò è documentato dalle relazioni mediche effettuate durante il processo per la beatificazione, avvenuta nel 1627 con papa Urbano VIII; il culto proseguì ininterrotto per la santa chiamata “la Rosa di Roccaporena”; il 24 maggio 1900 papa Leone XIII la canonizzò solennemente.
Al suo nome vennero intitolate tante iniziative assistenziali, monasteri, chiese in tutto il mondo; è sorta anche una pia unione denominata “Opera di santa Rita” preposta al culto della santa, alla sua conoscenza, ai continui pellegrinaggi e fra le tante sue realizzazioni effettuate, la cappella della sua casa, la cappella del “Sacro Scoglio” dove pregava, il santuario di Roccaporena, l’Orfanotrofio, la Casa del Pellegrino.
Il cuore del culto comunque resta il Santuario ed il monastero di Cascia, che con Assisi, Norcia, Cortona, costituiscono le culle della grande santità umbra.

Supplica a Santa Rita

Santa Rita da Cascia, modello di donna, di sposa, di mamma e di religiosa, io ricorro alla tua intercessione nei momenti difficili della mia vita. Tu sai che spesso la tristezza mi opprime perché non so trovare la via d’uscita in tante situazioni dolorose.
Ottienimi dal Signore le grazie di cui ho bisogno, specialmente la serena fiducia in Lui e la tranquillità interiore. Fa’ che io imiti la tua dolce mitezza, la tua forza nelle prove e la tua eroica carità e chiedi al Signore che sappia sopportare le mie sofferenze perché possano giovare a tutti i miei cari e che tutti possano camminare sereni verso la Patria eterna, dove tu ci attendi nella gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre

Ideazione Progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it