La Scuola della Parola

La Scuola della Parola


Il 24 gennaio del 2023 si è celebrata la Domenica della Parola, voluta da papa Francesco per sottolineare l’importanza delle Scritture nella vita della Chiesa. «Tra chi, già prima del Concilio, mise al centro la Bibbia fu il beato Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina che in quest’anno ha celebra uno speciale Anno Biblico», dice suor Piera Moretti

Suor Piera Moretti, 59 anni

Suor Piera Moretti, 59 anni

Siamo tutti come i discepoli di Emmaus, impauriti e smarriti. È apparendo loro, dopo la Risurrezione, che Gesù, come racconta il Vangelo di Luca, «aprì la mente all’intelligenza delle Scritture». La Parola come antidoto alla paura. E quindi «sorgente di vita e cammino di approfondimento dell’identità cristiana, della nostra appartenenza a Cristo», dice suor Piera Moretti, Pia Discepola del Divin Maestro (una Congregazione religiosa della Famiglia Paolina fondata dal Beato Giacomo Alberione il 10 Febbraio 1924) nonché liturgista.

Il tema scelto per la Domenica della Parola del 2023 fu una frase tratta dalla Lettera che Paolo, in prigione, scrive ai Filippesi: «Tenendo alta la Parola di vita» (Fil 2,16). Più di un invito, un programma di vita: «Tenendo alta la parola di vita», scrive mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, «i discepoli di Cristo “brillano come astri nell’universo”. È una bella immagine quella che l’apostolo offre oggi anche a tutti noi. Viviamo un momento drammatico. L’umanità pensava di avere raggiunto le più solide certezze della scienza e le soluzioni di un’economia per garantire sicurezza di vita. Oggi è costretta a verificare che nessuna delle due le garantisce il futuro. Emerge in maniera forte il disorientamento e la sfiducia a causa dell’incertezza sopraggiunta in maniera inaspettata. I discepoli di Cristo hanno la responsabilità anche in questo frangente di pronunciare una parola di speranza. Lo possono realizzare nella misura in cui rimangono saldamente ancorati alla Parola di Dio che genera vita e si presenta come carica di senso per l’esistenza personale».

La sensibilità del popolo di Dio verso la Parola ha attraversato diverse fasi storiche ma è indubbio che l’impulso maggiore arriva dal Concilio Vaticano II con la Costituzione dogmatica Dei Verbum per arrivare fino a Benedetto XVI che nel 2008 convoca un Sinodo ad hoc sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” e poi scrive l’Esortazione Apostolica Verbum Domini. Fino a papa Francesco che nel 2019 con la Lettera apostolica Aperuit illis stabilisce che «la III Domenica del Tempo ordinario sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio».

In questo cammino l’apporto della Famiglia Paolina, che quest’anno celebra uno speciale Anno Biblico, è stato decisivo e, con il beato Giacomo Alberione, del quale quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della morte, persino profetico: «Don Alberione», ricorda suor Moretti, «ha celebrato l’Anno Biblico più volte nel corso della sua vita e anche prima del Concilio. In questo è stato un precursore. Ha indicato la strada, invitando a mettere al centro la Parola senza la quale non possiamo vivere. Per questo dobbiamo interpretare la nostra storia alla luce della Parola e solo così troveremo risposta e significato anche in quelle situazioni di male, dolore e sofferenza che in un primo momento e a uno sguardo superficiale sembrano non abbiano risposta».

Perché papa Bergoglio ha voluto collocare la Domenica della Parola nella terza domenica del tempo ordinario? «Perché», risponde suor Moretti, «è quella successiva alla Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani che si svolge dal 18 al 25 gennaio. La Parola, che è Cristo stesso, deve condurci alla comunione. Francesco ha sottolineato più volte che questa Giornata ha una valenza fortemente ecumenica, volta ad approfondire l’identità di ogni battezzato che se non attinge alla Parola di Dio perde la sua identità cristiana, ed è un richiamo a conoscere la Scrittura».

C’è chi afferma che questa venerazione del Libro sia qualcosa che appartiene più alla tradizione protestante che al cattolicesimo: «Ci stiamo avvicinando ai protestanti? Per me è un segno positivo», risponde la religiosa, «loro ci hanno insegnato tanto e noi dobbiamo imparare di più, è un avvicinamento reciproco, un cammino che facciamo insieme nella conoscenza del Signore. Tenere alta la parola di vita significa offrire una testimonianza autentica della Parola: la Torah è qualcosa ma di vivo, è lo Spirito esce dalla bocca di Dio e noi dobbiamo renderne testimonianza».

La Domenica della Parola, in comunione con tutta la Chiesa, è solo la prima tappa dell’Anno Biblico Paolino: «Ci saranno altri eventi», spiega suor Moretti, «approfondimenti, incontri, come il webinar del 12 gennaio scorso. A novembre, a cinquant’anni esatti dalla morte del beato Alberione, la chiusura solenne. San Paolo e il suo impegno instancabile ad annunciare la Parola non sono solo “patrimonio” della Famiglia Paolina. Noi abbiamo il compito di far brillare e risplendere la sua missione che seppe oltrepassare i confini della Palestina coinvolgendo migliaia di persone e interi popoli. Oggi c’è tanto bisogno di persone che tengano alta la Parola e che non siano altisonanti nel proclamarla ma gareggino nel darle testimonianza».

Domenica della Parola di Dio

Domenica della Parola di Dio

Vangelo di Giovanni: «Rimanete nella mia Parola» (Gv 8,31).

Il motto per la Domenica della Parola di Dio 2024

Per la prossima edizione della Domenica della Parola di Dio, che si celebrerà nella Basilica di San Pietro alla presenza di Papa Francesco Domenica 21 gennaio 2024, il motto scelto è ripreso dal Vangelo di Giovanni: «Rimanete nella mia Parola» (Gv 8,31).

La “Domenica della Parola di Dio” e la sua dimensione liturgica

Nella terza domenica del tempo ordinario la Chiesa celebra la “Domenica della Parola di Dio”. Papa Francesco l’ha istituita per “far crescere nel popolo di Dio la familiarità religiosa e assidua con la Sacra Scrittura”. Questo articolo chiarisce il rapporto esistente tra la Parola di Dio e la liturgia.

LA PAROLA DI DIO È DINAMICA, ATTIVA, CI METTE IN MOVIMENTO

La Parola di Dio, che “penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito” (Eb 4, 12), è dinamica, attiva, ci mette in movimento. Nel corso dei secoli la vita dei santi dimostra che esiste un ambito privilegiato in cui la Parola di Dio esercita la sua potenza. Questo ambito è la liturgia. Infatti, «considerando la Chiesa come “casa della Parola”, si deve innanzitutto porre attenzione alla sacra liturgia. È questo, infatti, l’ambito privilegiato in cui Dio parla a noi nel presente della nostra vita, parla oggi al suo popolo, che ascolta e risponde» (Verbum Domini, 52).

Perché è un ambito privilegiato?

Con la sua Parola il Signore può toccare le profondità della nostra anima in qualunque momento o circostanza. Tuttavia, coloro che osservano la storia della salvezza scopriranno situazioni e contesti particolari che costituiscono una sorta di grammatica con la quale Dio articola il suo dialogo con noi. Se pensiamo al Sinai, vedremo un’assemblea riunita per ascoltare la Parola e suggellare l’Alleanza. Dopo aver ascoltato, attraverso Mosè, le parole del Signore, tutto il popolo rispose ad una voce: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!” (Es 19, 8; 24, 3-8). Uno schema rituale simile noi lo troviamo nel Secondo Libro dei Re (2 Re 23, 1-3) e nel Libro di Neemia (Nee 10, 30).

Quando la Chiesa, il nuovo Israele, si rivelerà al mondo, insegnerà agli uomini la stessa grammatica che aveva imparato dai suoi padri. Perciò il giorno di Pentecoste “quelli che accolsero la parola di Pietro furono battezzati” (At 2, 41). La sequenza “proclamazione della Parola – obbedienza alla Parola” definisce il DNA delle azioni liturgiche. Come ci ricorda il Concilio Vaticano II, “rito e parola sono intimamente connessi” (Sacrosanctum Concilium, 35). E ancora, nel caso paradigmatico dell’Eucaristia, “la liturgia della parola e la liturgia eucaristica sono congiunte tra loro così strettamente da formare un solo atto di culto” (Sacrosanctum Concilium, 56).

L’iniziazione cristiana ha un dinamismo che rivitalizza la Chiesa dall’interno. I catecumeni che volevano diventare cristiani ricevevano per prima cosa l’annuncio della fede, poi dovevano interiorizzare la Parola, e alla fine erano inviati a una missione evangelizzatrice di scala universale. In questa sequenza la proclamazione liturgica della Parola si colloca nel secondo momento, quello della interiorizzazione. Condivide con il primo la dimensione dell’annuncio, poiché nella liturgia la Chiesa stessa si mette all’ascolto delle parole di Cristo, vero esegeta del Padre. Condivide con il terzo momento la dimensione della missione, perché la Parola non si interiorizza né individualmente né soltanto per la salvezza personale, ma rivela i suoi segreti quando è accolta nella comunione ecclesiale (cfr. Dei Verbum, 12; Verbum Domini, 29-30) ed è capace di aprire nei nostri cuori la via della condivisione e della solidarietà (cfr. Aperuit illis, 13).

La parola viva nella liturgia, la proclamazione della Parola Trinitaria

L’assemblea liturgica è il contesto per eccellenza in cui la Scrittura diventa Parola viva. Il cristianesimo non è la religione del libro, ma la religione della Parola di Dio, di una Parola che “non è una parola scritta e muta, ma Parola incarnata e viva” (San Bernardo di Chiaravalle, Omelia super Missus est, 4, 11). Questo fatto spiega perché la parola di Dio non si trova principalmente in un papiro o in una edizione a stampa. Come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, “la Sacra Scrittura è scritta nel cuore della Chiesa prima che su strumenti materiali” (CCC, 113).

L’ASSEMBLEA LITURGICA È IL CONTESTO PER ECCELLENZA IN CUI LA SCRITTURA DIVENTA PAROLA VIVA

Nello stesso tempo, la Chiesa non ha ricevuto la parola per tenerla nascosta nel suo cuore. Grazie alla mediazione umana ed ecclesiale, la Parola risuona nell’aula liturgica come un evento che può cambiare i nostri cuori. Nella proclamazione del Vangelo da parte del vescovo e poi nell’omelia liturgica abbiamo sia la mediazione di un corpo, di una bocca, di un respiro rigenerati nel Battesimo, sia la mediazione qualificata di chi ha ricevuto la pienezza del sacramento dell’Ordine e che, dunque, può essere garante qui e ora della presenza di Cristo che parla con la sua Sposa.

In questo senso, notiamo la coerenza della logica secondo la quale Dio ha rivelato il suo progetto di salvezza. Nel corso della storia Dio ha parlato “per mezzo di uomini alla maniera umana” (Dei Verbum, 12). Questa stessa logica conduce all’incarnazione del Verbo e più ancora al prolungamento della sua presenza tra gli uomini attraverso la mediazione di altri esseri umani. L’adattamento di Dio al nostro linguaggio, alla nostra piccolezza, la misericordia incredibile che dona la Parola della vita attraverso creature limitate e limitanti, è l’evento che contempliamo ogni volta che risuona il “Lode a Te, o Cristo”. Non diciamo: “Grazie diacono, grazie signor vescovo per averci letto un testo così illuminante”. Acclamare “Lode a Te, o Cristo” significa, invece, che crediamo, confessiamo e annunciamo che Cristo è qui presente e che, attraverso le labbra della Chiesa, ci rivela il vero volto di suo Padre.

D’altra parte, l’acclamazione “Rendiamo grazie a Dio” dopo le letture ci può ricordare che il nostro interlocutore non è soltanto Gesù, ma anche Dio Padre, perché attraverso l’annuncio liturgico “il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro” (Dei Verbum, 21). Imparare ad ascoltare la “Parola del Signore” guardando al Padre ci mette nelle condizioni di capire che Egli non smette di parlarci del suo Figlio amato, perché, attraverso tutte le parole della Sacra Scrittura, il Padre “non dice che una sola Parola, il suo unico Verbo, nel quale dice se stesso interamente” (CCC, 102).

È LO SPIRITO CHE RENDE PRESENTE IL VERBO DI DIO NELLE PAROLE UMANE

Perché questo dialogo avvenga, tuttavia, è necessaria l’azione dello Spirito Santo (cfr. Aperuit illis, 10.12). Questa azione prosegue la logica della Rivelazione. Come nel caso dei profeti, a ancor più nel caso dell’Incarnazione, è lo Spirito che rende presente il Verbo di Dio nelle parole umane: Egli “rende presente” la Parola. Dato che lo Spirito è la memoria viva della Chiesa (cfr. Gv 14, 26), egli è l’unico capace di dare a coloro che annunciano la Parola e a coloro che l’ascoltano, la capacità di diventare una risonanza vive dell’evento salvifico. In questo senso, l’invito “il Signore sia con voi” che precede il Vangelo, o la ricca varietà di preghiere con le quali i ministri della Parola si sono preparati nel corso della storia, costituiscono una chiamata ad attualizzare la presenza dello Spirito in ognuno di noi, sia come frutto del nostro Battesimo, sia come frutto del sacramento dell’Ordine. Senza l’azione dello Spirito, quindi, non è possibile né la mediazione umana della Parola di Dio nella liturgia, né l’atto di fede che l’accoglie, né la sua intelligenza spirituale durante l’omelia.

È stato detto che la Parola di Dio compie un viaggio all’interno di noi. Durante la liturgia la Parola risuona nello spazio celebrativo, incontra i nostri corpi e attraverso le orecchie passa nei nostri cuori. Se il nostro cuore si apre allo Spirito e accoglie la Parola con fede, allora essa pulisce, illumina, ordina e comincia ad abitare in noi: passa nel nostro corpo, nelle nostre mani, nei nostri occhi. Questo è il processo che la Domenica della Parola vuole che ricordiamo perché, come nel caso di Maria, il Verbo di Dio sta desiderando di “farsi carne” in ciascuno di noi.

Preghiera dei fedeli

Preghiera dei fedeli

Preghiera dei fedeli universali

C – Fratelli e sorelle, il servizio della carità comprende anche la nostra preghiera per quanti condividono con noi le fatiche e le speranze della vita quotidiana. Prestiamo la nostra voce alle suppliche di tutta la Chiesa.

Lettore – Preghiamo insieme dicendo:

A – Ascolta, Signore, la nostra preghiera.

1. Per tutti i battezzati in Cristo, perché siano sempre e in ogni luogo testimonianza credibile di quell’amore che è più forte dell’odio e di ogni divisione, preghiamo.

2. Per quanti occupano posti di responsabilità, perché non lascino inquinare il proprio cuore dalla corruzione, ma agiscano sempre a servizio del prossimo nel segno della verità e della giustizia, preghiamo.

3. Per i giovani, perché non si lascino condizionare da stili egoisti di vita, ma aprano il loro cuore all’impegno generoso per rendere migliore la nostra convivenza su questa terra, preghiamo.

4. Per le nostre famiglie, perché restino salde nell’amore e siano per i figli la prima scuola di vita secondo il Vangelo, preghiamo. Intenzioni della comunità locale.

Intenzioni della comunità locale

C – Signore Dio, che in Cristo hai manifestato la tua attenzione per i piccoli e i poveri, fa’ che nel reciproco servizio della carità diventiamo strumenti della tua misericordia. Per Cristo nostro Signore.

A – Amen.

Dio ascolta la preghiera di un cuore umile e paziente

Dio ascolta la preghiera di un cuore umile e paziente

Francesco: Dio ascolta la preghiera di un cuore umile e paziente

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

All’udienza generale, il Papa parla della “contestazione radicale” di chi prega senza vedersi all’apparenza esaudito e ricorda che anche nel Vangelo molte delle invocazioni trovano risposta più avanti nel tempo: “Il Male è signore del penultimo giorno” perché l’ultimo “appartiene a Dio”

Se Dio è Padre “perché non ascolta” la preghiera di una mamma per un figlio malato o di tanti “perché cessi una guerra”? Da questa domanda parte la catechesi di Papa Francesco nell’udienza generale di questa mattina, tenuta, per la terza volta in questo mese di maggio, nel cortile di San Damaso, dedicata ancora alla preghiera cristiana. Seguendo la traccia del Catechismo della Chiesa Cattolica, il Papa affronta “una contestazione radicale alla preghiera”, che deriva da una osservazione comune: “noi preghiamo, domandiamo, eppure a volte le nostre preghiere sembrano rimanere inascoltate”.

Immacolata Concezione

Immacolata Concezione

Il dogma

Immacolata Concezione (8 dicembre):
Il dogma dell’Immacolata Concezione fu proclamato da Papa Pio IX nell’Ottocento attraverso la bolla “Ineffabilis Deus”.

Il dogma indica che la Vergine “è stata preservata immune da ogni macchia di colpa originaria nel primo momento del suo concepimento”.

La festa in realtà veniva già celebrata in Palestina alla fine del VII secolo ed era conosciuta come la festa della Concezione di Sant’Anna (mamma di Maria). Il documento più antico che si riferisce a tale festa è il canone della festa, composto da Sant’Andrea di Creta, che ha scritto il suo inno liturgico nella II metà del VII secolo.

Il dogma tra devozione popolare e teologia

La parola “dogma” non gode di buona reputazione nel nostro contesto culturale occidentale. Il pensiero critico della modernità compiuta, con Immanuel Kant, si è assunto il compito di svegliare l’umanità dal “sonno dogmatico”. Il pensiero liquido della post-modernità o tarda modernità non ama i punti fermi e si delinea come post-veritativo, garantendo cittadinanza esclusivamente alle opinioni. Eppure, un grande pensatore russo come Pavel A. Florenskij, evocando la dimensione paradossale e antinomica del dogma, ammoniva: «Se la verità non fosse antinomica, il raziocinio, muovendosi in cerchio nel proprio campo, non avrebbe un punto d’appoggio, non vedrebbe l’oggetto extra-razionale, e quindi non avrebbe lo stimolo ad abbracciare l’eroismo della fede. Questo punto d’appoggio è il dogma. Proprio con il dogma incomincia la nostra salvezza, perché il dogma, essendo antinomico non costringe la nostra libertà e dischiude tutta l’estensione della fede volontaria o della maligna incredulità» (La colonna e il fondamento della verità).

Trovarsi di fronte a ciò che sovrasta di gran lunga la nostra povera ragione, come nel caso della fede nell’Immacolata Concezione della Vergine Madre, che siamo chiamati a celebrare, non significa, tuttavia, aver a che fare con una formula irrazionale. Piuttosto questo dogma, come tutti gli altri, nasce certamente dalla devozione popolare, ma è stato preceduto, accompagnato e deve essere seguito da una rigorosa riflessione, perché, come afferma Antonio Rosmini: «badisi bene, che quando un dogma è reso un assurdo, egli è bello ed annullato in tutte le intelligenze umane; e quand’esso è ridotto ad una parola, basta un frego sulla carta per cancellarlo. No, i dogmi della Chiesa non consistono in meri vocaboli; sono ciò che i vocaboli significano, e costituiscono l’oggetto della nostra credenza: la Chiesa colle sue parole non cerca di illudere gli uomini» (Razionalismo teologico).

Come noto la devozione popolare all’Immacolata è stata contrastata e messa in discussione da illustri teologi e pensatori, quali ad esempio Bernardo di Chiaravalle (cui Dante affiderà la preghiera a Maria nell’ultimo canto della Commedia) e Tommaso d’Aquino con al suo seguito i domenicani di Parigi. Ad Oxford, dove invece prevaleva la teologia francescana, la formula venne accolta e difesa fino ad una famosa disputa parigina del 1307 da Giovanni Duns Scoto. Il film Scotus (2010, regia di Fernando Muraca) rappresenta in maniera decisamente attendibile tale disputa, riportando le motivazioni del dottore sottile con l’efficacia che compete alle immagini in movimento, spesso prevalente rispetto ai libri. Le obiezioni di quanti erano contrari all’immunità di Maria dal peccato originale fin dal suo concepimento vanno prese, come fa Scoto, in seria considerazione, non solo allora, ma anche oggi. La preoccupazione che animava questi teologi consisteva nel fatto che una tale formula avrebbe potuto intaccare l’universalità della redenzione operata da Cristo, che quindi non avrebbe riguardato tutto il genere umano, non avendone la madre bisogno in quanto scevra dal peccato. In tale prospettiva si poteva pensare che Maria fosse stata concepita col peccato d’origine e che prima della sua nascita ne sarebbe stata liberata, in vista della sua maternità divina (dogma di Efeso, anno 431 della nostra era). Tale impostazione sembrava meglio garantire l’universalità della redenzione e al tempo stesso maggiormente coerente con la ragione.

Il dottore francescano e la scuola che lo ha sostenuto e seguito ha trovato in età moderna il significativo sostegno della Compagnia di Gesù, facendo leva, con ragioni profondamente teologiche, sulle seguenti argomentazioni. In primo luogo, la devozione (lex orandi) che si andava diffondendo in Europa non poteva essere sostenuta da una semplice opinione teologica. Il popolo di Dio, che pure ha bisogno di riflettere su ciò che prega, non si lascia ammaliare dal razionalismo dei teologi. Lex orandi è lex credendi (ciò che si prega si crede). In secondo luogo, il riferimento alla potenza assoluta (come dirà il confratello Guglielmo da Ockham) per cui «potuit, decuit ergo fecit: ciò conveniva, era possibile, e dunque Dio lo fece», secondo il dettato di Scoto, ma anche di altri teologi: se Dio poteva liberare la Vergine dal peccato originale (potuit); era conveniente che colei che doveva essere Madre di Dio fosse concepita senza il peccato originale (decuit), quindi se Dio lo poteva compiere (potuit) e, se era conveniente che Dio lo facesse (decuit), allora Dio lo fece (fecit). Infine, con la formula dell’Immacolata Concezione della Vergine Madre non viene affatto intaccata l’universalità della redenzione operata da Cristo, perché è in vista dell’incarnazione del Verbo che ciò accade. Questo in quanto, nella visione scotista, «chi vuole ordinatamente, vuole prima il fine, poi ciò che immediatamente raggiunge in fine, e il terzo luogo tutto ciò che è ordinato remotamente al raggiungimento del fine. Così anche Dio, che è ordinatissimo, vuole prima il fine e poi ciò che è ordinato immediatamente al fine; in secondo luogo, vuole altri amanti attorno a sé; in terzo luogo, vuole anche ciò che è necessario per raggiungere questo fine, ossia i beni della grazia; e in quarto luogo infine vuole altri beni più remoti come mezzi per raggiungere i primi (beni della grazia)». Insomma: l’Immacolata ci consente di leggere la storia della salvezza a partire dal fine che è la redenzione, di cui in Lei risplende non solo l’universalità, ma il profondo realismo e la radicalità. E il redentore è sempre e comunque il Cristo Signore.

Nel 1848 al beato Antonio Rosmini veniva chiesto di esprimere il proprio voto-parere sull’opportunità di proclamare da parte del romano pontefice il dogma dell’Immacolata Concezione della Vergine Madre. La risposta del Roveretano è molto interessante e la si può leggere nell’edizione critica degli Scritti teologici minori (2019, Città Nuova, dove si trova anche una riflessione dell’Autore sulle testimonianze del Corano alla Vergine Maria). Rosmini ritiene che non si tratta di mettere in dubbio questa verità presente nella fede e nella devozione di tanti credenti, bensì dell’opportunità di proclamarla come verità dogmatica, ovvero salvifica, per cui è richiesta l’adesione di fede. A tal proposito chiede che si proceda con grande prudenza, interpellando tutti i vescovi, in modo che l’eventuale promulgazione non susciti divisioni nella comunità ecclesiale, consiglia inoltre di non entrare in troppi particolari come quello della generazione attiva e passiva. La consultazione avverrà l’anno seguente con l’enciclica Ubi Primum. Dei 603 vescovi consultati 546 approveranno l’iniziativa e il dogma verrà solennemente promulgato nel 1854 con la bolla Ineffabilis Deus, che venne limata attraverso ben otto redazioni successive.

Nella Summa Theologiae (II/II, q. I, art. 2, ad II) san Tommaso avverte che l’atto di fede non termina, ossia non è rivolto, all’enunziato, ma alla cosa stessa, ovvero alla realtà che nella formula viene espressa. E di qui la necessità di pensare e vivere il mistero dell’Immacolata, anche alla luce delle obiezioni che i maestri soprattutto medievali rivolgevano alla tesi dogmatica e con attenzione alle loro preoccupazioni. Quale è la res che siamo chiamati a venerare e celebrare? Alla luce delle argomentazioni del dottore sottile, si tratta innanzitutto del primato assoluto di Dio che si esprime nella sua onnipotenza (polo teologico), quindi del carattere reale e radicale della redenzione operata da Cristo (polo cristologico), infine della precedenza della grazia sui meriti (polo antropologico e soteriologico). Se saranno chiare queste dimensioni del dogma, nella nostra predicazione e nella nostra catechesi, eviteremo il rischio di idolatrare Maria e assumeremo la sua profonda umiltà, espressa nel Magnificat e sottolineata con decisione da Martin Lutero nel suo commento (1521) al testo di Luca. Infine, all’obiezione che il dogma non avrebbe un suo fondamento nel dettato della Scrittura, mi sembra si possa tranquillamente rispondere con l’annotazione, suggerita da Paolo VI, e contenuta nella Dei Verbum del Concilio Vaticano II, secondo cui «la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura» (n. 9).

Immacolata Concezione, il dogma tra devozione popolare e teologia (avvenire.it)

Il canto del Tota Pulchra 

Tota pulchra es Maria - inno mariano

Per la festa dell’Immacolata Concezione e per tutta la Novena abbiamo cantato o canteremo il canto in latino del Tota Pulchra.
Ma cosa è?
Il Tota Pulchra, una delle più antiche tradizioni francescane, è una composizione che nasce dall’unione di alcune antifone dei Primi Vespri della festa dell’Immacolata Concezione, tratte dal Cantico dei Cantici e dal libro di Giuditta: la prima antifona Tota pulchra es Maria et originalis macula non est in te (Cantico dei Cantici, 4,7), e la terza Tu gloria Jerusalem, tu letitia Israel, tu honorificentia populi nostri (Giuditta, 15,10), usata anche per la Natività. «Tutta bella sei, o Maria, e non vi è in Te alcuna macchia. Tu gloria di Gerusalemme, Tu letizia di Israele, Tu onore del nostro popolo». A queste antifone la tradizione francescana ha aggiunto l’invocazione «Tu avvocata dei peccatori. O Maria! Prega per noi, intercedi per noi presso il Signore Gesù Cristo». Cantato dai frati francescani, in semplice melodia gregoriana, il canto mariano si è diffuso tra i fedeli, ininterrottamente, eseguito nelle Chiese e Cattedrali per la novena all’Immacolata.

Tota pulchra

Tota pulchra es, Maria.
Tota pulchra es, Maria.

Et macula originalis non est in Te.
Et macula originalis non est in Te.

Tu gloria Ierusalem.
Tu laetitia Israel.

Tu honorificentia populi nostri.
Tu advocata peccatorum.

O Maria, o Maria.
Virgo prudentissima.

Mater clementissima.
Ora pro nobis.

Intercede pro nobis.
Ad Dominum Iesum Christum.
Traduzione :
Tutta bella sei, Maria,
e il peccato originale
non è in te.
Tu sei la gloria di Gerusalemme,
tu letizia d’Israele,
tu onore del nostro popolo,
tu avvocata dei peccatori.

O Maria! O Maria!
Vergine prudentissima,
Madre clementissima,
prega per noi,
intercedi per noi
presso il Signore Gesù Cristo.

La corona dell’Avvento

La corona dell’Avvento

4 Settimane fino al Natale

E’ tempo di accendere le candele della Corona d’Avvento in chiesa e a casa. Siamo entrati in quel periodo dell’anno che più di tutti per i cristiani simboleggia l’attesa trepidante della venuta di Cristo, del rinnovarsi della Sua nascita miracolosa, ma anche la speranza per il Suo ritorno, alla fine dei tempi. Non si tratta solo di celebrare l’avvicinarsi del Natale. L’Avvento è più di una tradizione natalizia: è un periodo liturgico ben definito che, come tutti i tempi liturgici, richiede un atteggiamento particolare da parte di chi crede, che deve predisporre il proprio animo per vivere nel migliore dei modi questo particolare momento di fede e speranza.
Vediamo brevemente tutto quello che è opportuno sapere riguardo all’Avvento e in particolare alla Corona d’Avvento in chiesa e a casa.

La Corona dell’Avvento è nello stesso tempo un addobbo natalizio che abbellisce la casa in occasione delle Feste e un oggetto di grande valore sacro per i credenti. Infatti la Corona dell’Avvento accompagna i fedeli per quattro settimane fino al Natale. È composta da molti elementi dal forte carattere simbolico: i rami verdi e le bacche richiamano alla stagione invernale, la corona è simbolo di unità, comunione e eternità e richiama il sole e la terra, mentre le quattro candele simboleggiano la luce di salvezza offerta a tutti gli uomini in occasione del Natale.

Una candela viene accesa per ogni domenica dell’Avvento, e tutte e quattro hanno un valore preciso.

La prima candela è quella “del Profeta”: ricorda le profezie sulla venuta del Messia.

La seconda candela è quella “di Betlemme”, in memoria del luogo in cui Gesù ha visto la luce.

La terza candela è quella “dei pastori”, gli umili tra gli umili, i primi a vedere e adorare il Messia.

La quarta candela è quella “degli Angeli”, che annunciarono a tutto il mondo la nascita miracolosa di Nostro Signore.

Le quattro candele rappresentano anche la progressiva vittoria della Luce contro le Tenebre, che conosce la sua apoteosi nella nascita di Gesù. In quest’ottica le candele simboleggiano SperanzaPaceGioia e Amore, il messaggio portato dal Bambino al mondo.

La Corona dell’Avvento nasce a metà del XIX secolo da un’idea del pastore protestante Johann Hinrich Wichern, che volle con questo addobbo rischiarare le notti dei fanciulli orfani e bisognosi di Berlino.  In un primo tempo essa prese piede soprattutto negli oratori, negli orfanotrofi e nelle scuole, ma ben presto l’usanza si diffuse e si affermò anche nelle case private. Ancora oggi regalare una Corona dell’Avvento è un gesto di affetto e devozione.

Le Corone dell’Avvento sono belle, decorate oltre che con rami verdi anche con bacche, nastri, addobbi natalizi d’oro e d’argento. Possono fungere da eleganti centritavola per le Feste oltre che da oggetti liturgici, e portano luce, calore e bellezza a tutta la casa.


Cosa simboleggia l’Avvento?

L’Avvento è il periodo che precede il Natale, durante il quale i cristiani attendono (dal latino adventus, “attesa”) con penitenza, preghiera e fede la nascita di Gesù. Ogni settimana dell’Avvento è simboleggiata da una delle candele che troviamo nella Corona d’Avvento, una decorazione natalizia che non può mancare in una casa cristiana. Di solito è costituita da un cerchio di rami sempreverdi, che richiamano la stagione invernale, ma anche la vita eterna e l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, e da quattro candele, simbolo della salvezza e della luce che scaccia le tenebre e il peccato. La forma circolare della corona dell’Avvento rimanda all’eternità, all’unità del tutto. Nasce da una tradizione di origine germanica, che risale ai primi dell’Ottocento.

Qual è il colore dell’Avvento?

Il colore liturgico dell’Avvento è il viola, che richiama la penitenza, il digiuno e l’attesa, oltre che il lutto.

Come si chiamano le 4 domeniche d’Avvento?

nomi delle domeniche di Avvento sono tratti dalle prime parole dell’introito, l’antifona che apre la celebrazione della messa nelle suddette domeniche:

  1. Domenica d’Avvento: Ad te levavi (Ad te levavi animam meam, “A te, Signore, innalzo l’anima mia”), dal salmo 24/25;
  2. Domenica d’Avvento: Populus Sion (Populus Sion, ecce Dominus veniet ad salvandas gentes, “Popolo di Sion, ecco il Signore verrà a salvare i popoli!”), dal salmo 79/80;
  3. Domenica d’Avvento: Gaudete (Gaudete in Domino semper, “Rallegratevi nel Signore sempre”), dal salmo 84/85;
  4. Domenica d’Avvento: Rorate (Rorate, coeli desuper, et nubes pluant iustum, “Stillate, cieli, dall’alto e le nubi piovano il Giusto”), dal libro di Isaia (45,8[12])

Quando inizia la prima domenica dell’Avvento?

Il tempo dell’Avvento dura quattro settimane, sei nel rito Ambrosiano: comincia con i vespri della prima domenica 3 dicembre e si conclude con i vespri di Natale, il 24 dicembre.

Quando si accendono le candele dell’Avvento?

Ogni domenica di Avvento si accende una candela, fino ad averle accese tutte e quattro alla Vigilia di Natale.

Come si accende la corona dell’Avvento?

L’ideale sarebbe che tutta la famiglia partecipasse all’accensione di ogni candela, magari accompagnandola con un momento di preghiera comune. La tradizione vuole che siano i bambini di casa ad accendere le candele della corona di Avvento. Per quanto riguarda la corona d’Avvento in chiesa essa viene posizionata in un posto ben visibile a tutti i fedeli e il sacerdote si preoccupa di coinvolgere l’intera assemblea nell’accensione di ogni singola candela, spiegandone il significato e guidando i fedeli nella preghiera comune appropriata.

Quali sono i nomi delle candele dell’Avvento?

Ogni candela ha un nome e un significato simbolico particolare:

  • Prima candela d’Avventocandela del Profeta, fa riferimento alle profezie riguardo la nascita di Gesù. È la candela della Speranza;
  • Seconda candela d’Avventocandela di Betlemme, ricorda la città in cui Lui è nato. È la candela della Salvezza;
  • Terza candela d’Avvento: candela dei Pastori, ricorda coloro i quali per primi adorarono Gesù. È la candela della Gioia;
  • Quarta candela d’Avvento: candela degli Angeli, celebra i messaggeri che portarono nel mondo la notizia della nascita miracolosa.

Quali sono i quattro colori delle candele dell’Avvento?

Il colore delle candele dell’Avvento può essere sempre il viola, ma sono accettati anche il bianco, simbolo di purezza e luce, e il rosso, colore natalizio per eccellenza, che esprime anche l’amore di Gesù per noi tutti.

Come si usano le candele dell’Avvento?

Le candele dell’Avvento simboleggiano SperanzaPaceGioia e Amore, il messaggio portato dal Bambino al mondo. Vengono accese una per volta per esprimere l’idea della luce di Gesù che diventa sempre più forte e splendente man mano che ci si avvicina al Natale.

Quando spegnere la prima candela dell’Avvento?

Le candele della corona d’Avvento devono arrivare accese alla Vigilia di Natale. Si consumeranno lentamente e in autonomia, accompagnando l’attesa della Festa.