Civile o religioso?
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Nella Domenica della Parola di Dio, Francesco ricorda l’urgenza dell’annuncio, la necessità di professare “un Dio dal cuore largo”
“Gesù sconfina” per dirci che la misericordia di Dio è per tutti. Non dimentichiamo questo: la misericordia di Dio è per tutti e per ognuno di noi. ‘La misericordia di Dio è per me’, ognuno può dire questo”. Così il Papa, a braccio, ha spiegato che “la Parola di Dio è per tutti”: “È un dono rivolto a ciascuno e che perciò non possiamo mai restringerne il campo di azione perché essa, al di là di tutti i nostri calcoli, germoglia in modo spontaneo, imprevisto e imprevedibile, nei modi e nei tempi che lo Spirito Santo conosce”.
Nella Domenica della Parola di Dio, Francesco ricorda l’urgenza dell’annuncio, la necessità di professare “un Dio dal cuore largo”, di far salire sulla barca di Pietro chi si incontra perché questa è la Parola di Dio, “non è proselitismo”
“E se la salvezza è destinata a tutti, anche ai più lontani e perduti – ha spiegato Francesco nell’omelia della Messa celebrata domenica, nella basilica di San Pietro, per la quarta Domenica della Parola di Dio – allora l’annuncio della Parola deve diventare la principale urgenza della comunità ecclesiale, come fu per Gesù. Non ci succeda di professare un Dio dal cuore largo ed essere una Chiesa dal cuore stretto – questa sarebbe, mi permetto di dire, una maledizione –; non ci succeda di predicare la salvezza per tutti e rendere impraticabile la strada per accoglierla; non ci succeda di saperci chiamati a portare l’annuncio del Regno e trascurare la Parola, disperdendoci in tante attività secondarie, o tante discussioni secondarie”.
“Impariamo da Gesù a mettere la Parola al centro, ad allargare i confini, ad aprirci alla gente”, l’invito: “Metti la tua vita sotto la Parola di Dio. Questa è la strada che ci indica la Chiesa: tutti, anche i Pastori della Chiesa, siamo sotto l’autorità della Parola di Dio. Non sotto i nostri gusti, le nostre tendenze o preferenze, ma sotto l’unica Parola di Dio che ci plasma, ci converte, ci chiede di essere uniti nell’unica Chiesa di Cristo”.
I cristiani, ha spiegato il Papa, sull’esempio di Gesù sono “esperti nel cercare gli altri”: “E questo non è proselitismo, perché quella che chiama è la Parola di Dio, non la nostra parola”, ha precisato. “Questa è la nostra missione”, ha concluso Francesco: “Diventare cercatori di chi è perduto, di chi è oppresso e sfiduciato, per portare loro non noi stessi, ma la consolazione della Parola, l’annuncio dirompente di Dio che trasforma la vita”.
La vita di San Paolo di Tarso, noto anche come San Paolo Apostolo, è un racconto straordinario di trasformazione e dedizione alla diffusione del cristianesimo. Ecco una panoramica della sua vita e della sua conversione:
La conversione di San Paolo è uno degli eventi più notevoli nella storia cristiana, e la sua trasformazione da persecutore a fervente apostolo ha avuto un impatto duraturo sulla diffusione del cristianesimo nel mondo antico. Le sue lettere, presenti nel Nuovo Testamento, sono ancora oggi fonte di insegnamento e ispirazione per i cristiani.
Dopo la sua conversione miracolosa sulla Via di Damasco, Paolo si ritrovò in una condizione di cecità, sia fisica che spirituale. Gli occhi, una volta aperti solo per cercare e perseguitare i seguaci di Gesù, ora erano chiusi, incapaci di vedere il mondo esterno. Ma nel buio della sua cecità fisica, qualcosa di straordinario stava accadendo dentro di lui.
Durante quei tre giorni di oscurità, Paolo fu attraversato da una profonda riflessione e preghiera. Riconsiderò le sue azioni passate, confrontando il suo zelo per la legge con la luce divina che aveva sperimentato sulla strada per Damasco. In quel silenzio oscuro, Paolo fu visitato da Anania, un seguace di Gesù, che gli impose le mani, restituendogli la vista e il senso spirituale.
La trasformazione di Saulo in Paolo fu radicale. L’uomo che una volta era un accanito persecutore dei cristiani divenne un ardente apostolo di Cristo. Non solo cambiò il suo nome, ma cambiò completamente il corso della sua vita. La luce divina che lo aveva accecato fisicamente lo illuminò interiormente, aprendo gli occhi del suo cuore alla verità del Vangelo.
Da quel momento in poi, Paolo si dedicò instancabilmente a diffondere la buona notizia di Gesù Cristo. Viaggiò per terre lontane, affrontò persecuzioni, incarcerazioni e sofferenze, ma nulla poteva fermare la fiamma della sua fede. Le città, i villaggi e le comunità incontrate nel corso delle sue missioni furono testimoni della sua passione e dedizione.
Le sue lettere, scritte in momenti di prigionia o durante le sue peregrinazioni, diventarono una testimonianza duratura della sua teologia profonda e della sua saggezza spirituale. Attraverso la sua scrittura appassionata, Paolo continuò a guidare e nutrire le comunità cristiane, esortandole all’amore, alla fede e alla speranza.
Il suo cammino apostolico lo portò infine a Roma, la capitale dell’Impero, dove subì il martirio per la sua fede. Paolo, l’ex persecutore diventato apostolo, affrontò la sua fine con la stessa determinazione e fede che aveva guidato la sua vita.
La conversione di Paolo è un racconto di trasformazione straordinaria, un esempio di come la grazia divina può cambiare radicalmente una vita e trasformare un cuore ostile in uno devoto. La storia di Paolo è intrisa di avventure, prove e, soprattutto, della potenza trasformatrice dell’amore di Dio.
Il viaggio di Paolo, dall’oscurità alla luce, è una narrazione che va al di là delle circostanze terrene. La sua vita diventò una testimonianza vivente della grazia redentrice di Cristo, un racconto di speranza che risuona attraverso i secoli.
Mentre Paolo si trovava in prigione a Roma, le sue lettere continuarono a fluire, portando conforto e insegnamento alle comunità cristiane sparse in tutto l’impero. Nelle sue parole, traspariva la consapevolezza profonda della grazia di Dio, della sua misericordia e dell’amore che travalicava le barriere etniche e culturali.
La sua epistola ai Filippesi, scritta in una situazione di apparente difficoltà, riflette la sua prospettiva straordinaria sulla gioia e sull’importanza di concentrarsi su Cristo. “Rallegratevi sempre nel Signore; ve lo ripeto, rallegratevi!” sono parole che risuonano con un tono di fiducia radicata in una fede salda.
Paolo, l’apostolo delle nazioni, non solo trasformò la sua vita, ma contribuì in modo significativo allo sviluppo teologico del cristianesimo. Le sue lettere, considerate parte integrante del Nuovo Testamento, trattano questioni fondamentali sulla grazia, la fede, la giustificazione e l’amore di Dio.
La sua eredità vive ancora attraverso le comunità cristiane in tutto il mondo, che attingono ispirazione dalle sue parole e dal suo esempio. La conversione di Paolo è un richiamo potente a tutti coloro che si sentono lontani da Dio o intrappolati nel buio delle proprie scelte sbagliate. Essa ci ricorda che, attraverso la grazia, ogni cuore può essere trasformato, e ogni vita può diventare un testimonio vivente della potenza redentrice di Cristo.
La storia di Paolo di Tarso è una testimonianza di come la grazia divina può raggiungere anche il più duro dei cuori e trasformare un persecutore in un apostolo, un testimone ardente della verità che ha incontrato sulla strada di Damasco. La sua vita ci invita a riflettere sulla nostra risposta alla chiamata di Dio e a credere nella possibilità di una trasformazione radicale attraverso l’amore e la grazia divina.
San Paolo, attraverso la sua vita, le esperienze e le lettere, lascia alla fede cristiana un ricco patrimonio teologico e spirituale. Alcuni degli insegnamenti chiave che Paolo offre alla fede includono:
Il contributo di San Paolo alla fede cristiana è di una portata eccezionale. Le sue lettere, ispirate dallo Spirito Santo, forniscono una guida profonda e pratica per la vita cristiana. Paolo ci lascia una eredità che ci invita a vivere con fede e amore, a riconoscere la potenza trasformatrice della grazia di Dio e a impegna rci nella costruzione del Regno di Dio sulla terra.
Il contributo di Paolo alla fede cristiana va ben oltre le sue parole. La sua vita e il suo ministero incarnano la trasformazione che la grazia di Dio può operare in un individuo. Ciò che ci lascia è un invito a vivere con fede, speranza e amore, a essere testimoni del Vangelo in ogni aspetto della nostra vita quotidiana.
San Paolo, attraverso la sua vita e le sue lettere, ci offre un ampio spettro di insegnamenti che abbracciano aspetti teologici, etici e pratici della vita cristiana. Il suo lascito è un richiamo costante a vivere secondo i principi del Vangelo, a crescere nella fede, nella speranza e nell’amore, e a perseguire la santità in ogni aspetto della vita. La sua eredità continua a guidare e ispirare milioni di credenti nel loro cammino di fede.
Questi insegnamenti di San Paolo formano un ricco tesoro per la fede cristiana, offrendo orientamenti pratici, etici e teologici. Paolo ci sfida a vivere in modo coerente con la nostra fede, ad abbracciare la grazia di Dio e a essere testimoni del Vangelo in ogni aspetto della nostra vita. La sua eredità continua a illuminare il cammino di coloro che cercano di seguire Cristo oggi.
La ricchezza degli insegnamenti di Paolo continua a offrire guida e ispirazione alla comunità cristiana. La sua eredità si riflette nella profondità teologica, nella praticità etica e nella saggezza spirituale che permea le sue lettere. Paolo ci incoraggia a vivere con fede, a lottare per la verità e a crescere nell’amore di Dio, invitandoci a una vita di consacrazione e speranza nella promessa della vita eterna.
Da
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Capita a molti di indossare delle maschere, ritenute utili a farci apprezzare dagli altri. In questo modo, però, corriamo il rischio di snaturarci, senza ottenere ciò che desideriamo: cioè che le persone a cui teniamo possano ricambiare genuinamente il nostro affetto.
Ognuno ha bisogno di essere amato, ma di esserlo per ciò che è, in maniera autentica e incondizionata. Quanto invece dipendiamo da ciò che pensano gli altri di noi?
Questo fenomeno, in termini analoghi, è detto “rispetto umano”, e si tratta di una terminologia che, nell’ambito della fede, descrive proprio ciò che subentra quando si dipende da quello che pensano gli altri di noi.
Santa Caterina da Siena (1347-1380), in una sua lettera ai sacerdoti Giovanni Sabbatini e don Taddeo dei Malavolti, affermava: “Nel nome di Gesù Cristo Crocifisso e della dolce Maria. Carissimi figli in Cristo Gesù. Io, Caterina, serva dei servi di Gesù Cristo, vi scrivo nel suo sangue prezioso, desiderosa di vedervi cavalieri forti, senza nessun rispetto umano.
Così vuole il nostro dolce Redentore, vuole cioè che noi temiamo di disobbedire a Lui e non agli uomini del mondo; come egli disse: ‘Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo; temete, piuttosto, di disobbedire a me, perché l’anima e il corpo vostro non cada nell’inferno’”.
L’antidoto più immediato a questo atteggiamento della mente è proprio il considerare come Dio ci chieda di piacere a Lui e non agli altri: per quanto potremo amare ed essere amati, niente ci darà la gioia di una comunione piena con Dio, e la consapevolezza del suo di amore.
Questo atteggiamento, che al giorno d’oggi viene inquadrato in un contesto psicologico di affettività e emotività in qualche modo assoggettate all’altro, può avere radici profonde anche dal punto di vista spirituale: le ferite che ci sono state causate sono spesso motivo di debolezza anche nel cammino di fede.
È indubbio che una tale condizione di subordinazione alle opinioni altrui su di sé denoti uno stato di profonda sofferenza; tuttavia questo atteggiamento interiore non va assecondato, invece va combattuto alla luce di un percorso interiore e di fede.
Essere impegnati, ad esempio, sul piano umano e sociale, sentirsi utili e riusciti (essere attivi in parrocchia, fare volontariato, essere padroni di sé…), sono tutti esempi di elementi che possono portare a non necessitare più di quell’”iniezione di autostima” che spesso necessitiamo dagli altri.
In questo Gesù ci dice chiaramente: “Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro, perché questa è la legge ed i profeti” (Mt 7,12).
In questo modo, avremo anche per noi la stessa gioia che doniamo, e saremo noi protagonisti attivi, non più passivi, della nostra vita.
Riguardo al rispetto umano, il gesuita belga Cornelio a Lapide (1567-1637) scriveva: “Cosa indegna e vile è il rispetto umano, e non ve n’è altra che tanto degradi, abbassi e disonori l’uomo… Colui che ne è schiavo, non merita più il nome di uomo, ma il suo luogo è tra le banderuole che segnano la direzione dei venti; poiché non sa fare altro che questo… Una tale persona è sommamente spregevole… Che cosa è che la trattiene? Un motto, un sarcasmo, una beffa, un segno… Oh! che piccolezza di spirito, che viltà di cuore!
Ne arrossiamo noi medesimi in segreto, e non ci sentiamo l’animo di superare simili bagattelle!… Cerchiamo pure di nascondere e di orpellare con altri nomi questa fiacchezza, questa viltà, ma invano… Noi temiamo le censure del mondo, degli increduli, degli empi, degli ignoranti, degli accidiosi, dei dissoluti…
Noi temiamo di acquistarci nome di spiriti deboli e pregiudicati, se pratichiamo la religione; e non vediamo che somma debolezza è non praticarla. Qual cosa più vergognosa e più degradante, che la vergogna di comparire quello che si deve essere? Siamo canzonati; ma cosa vi è di più frivolo che le beffe? Chi è che si burla di noi? Quale ne è il merito, il credito, la scienza, la virtù? E noi osiamo vantarci coraggiosi, di animo grande, di carattere generoso?”.
Ecco che questo tipo di atteggiamento non è in primis rispettoso di noi stessi, perché ci costringe a portare un pesante macigno di maschere, a costo di apparire migliori, e chi ci relazionerà con noi non vedrà come siamo ma come vogliamo apparire.
Non dobbiamo dimenticarci mai che non si può piacere a tutti, che Dio ci ama così come siamo e che la libertà è forse il dono più grande che ci ha dato, perché ci consente di essere felici. Quindi, senza dimenticarci ciò che ci ha indicato Gesù, abbiamo tutto il diritto di esprimerci per quello che siamo. “Ama”, direbbe Sant’Agostino, “e fa’ ciò che vuoi”.
Civile o religioso?
il 14 Febbraio si festeggia San Valentino però
La vita è un cammino da sempre e per tutti
Il mistero di Maria
COMPENDIO
DELLA DOTTRINA SOCIALE
DELLA CHIESA
Di cosa si tratta?
“Oltre le passioni tristi. Credenti che contagiano speranza”
Discernere, scegliere separando.
La catechesi promuove i contenuti della fede
Perché accadono cose brutte? Cosa succede quando preghi? Dio è buono? Che senso ha la vita? Perché non sono felice? Che cosa ci vuole per iniziare una relazione con Dio? Come posso andare avanti nel cammino oggi? E se queste domande potessero essere risolte?
Celebriamo oggi la solennità dell’Epifania, la “Manifestazione” del Signore. Il Vangelo racconta come Gesù venne al mondo in grande umiltà e nascondimento. San Matteo, tuttavia, riferisce l’episodio dei Magi, che giunsero dall’oriente, guidati da una stella, per rendere omaggio al neonato re dei Giudei. Ogni volta che ascoltiamo questo racconto, siamo colpiti dal netto contrasto tra l’atteggiamento dei Magi, da una parte, e quello di Erode e dei Giudei, dall’altra. Dice infatti il Vangelo che, all’udire le parole dei Magi, “il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme” (Mt 2,3). Una reazione che può avere differenti comprensioni: Erode è allarmato, perché vede in colui che i Magi ricercano un concorrente per sé stesso e per i suoi figli. I capi e gli abitanti di Gerusalemme, invece, sembrano più che altro stupefatti, come risvegliati da un certo torpore, e bisognosi di riflettere. Isaia, in realtà, aveva preannunciato: “Un bambino è nato per noi, / ci è stato dato un figlio. / Sulle sue spalle è il potere / e il suo nome sarà: / Consigliere mirabile, / Dio potente, / Padre per sempre, / Principe della pace” (Is 9,5).
La festa dell’Epifania ha origini teologiche che risalgono al cristianesimo primitivo. Il termine “epifania” deriva dal greco “epiphaneia,” che significa “apparizione” o “manifestazione.” In ambito teologico, la festa commemorava l’apparizione di Gesù Cristo come Messia agli uomini, simboleggiata dalla visita dei Magi o Re Magi.
Secondo il racconto evangelico di Matteo, i Magi giunsero da Oriente seguendo una stella fino a Betlemme, dove adorarono il bambino Gesù e gli offrirono doni simbolici: oro, incenso e mirra. Questo evento sottolinea la manifestazione di Gesù non solo come il Messia atteso dagli ebrei, ma come il Salvatore universale per tutti i popoli.
La festa dell’Epifania, che cade il 6 gennaio, conclude il periodo delle festività natalizie e rappresenta la rivelazione di Gesù al mondo. In molte tradizioni cristiane, questo giorno è anche associato al battesimo di Gesù nel fiume Giordano da parte di Giovanni Battista.
Quindi, le origini teologiche della festa dell’Epifania sono profondamente radicate nella manifestazione di Gesù come Salvatore e nella sua accettazione universale.
Oltre alla sua dimensione teologica, la festa dell’Epifania ha acquisito nel corso dei secoli diverse tradizioni culturali e folkloristiche. In molte regioni del mondo, le celebrazioni sono accompagnate da eventi e rituali specifici.
Ad esempio, in alcune culture europee, la figura di San Nicola o Babbo Natale può essere associata alle celebrazioni dell’Epifania, portando doni ai bambini. In alcune regioni dell’Italia, la notte dell’Epifania è particolarmente significativa, con la tradizione della Befana, una figura simile a una vecchia strega che porta regali o dolci ai bambini buoni e carbone a quelli cattivi.
Nella liturgia cristiana, la festa dell’Epifania è un momento importante che sottolinea la rivelazione di Gesù a tutti i popoli e la sua missione di portare la salvezza a tutta l’umanità. La stella che guidò i Magi è spesso vista come un simbolo di luce divina che illumina le tenebre del mondo.
In sintesi, la festa dell’Epifania ha radici teologiche profonde, ma nel corso del tempo ha assorbito varie influenze culturali, diventando una celebrazione ricca di significati sia spirituali che tradizionali.
In molti paesi, la festa dell’Epifania è anche associata a riti di purificazione e di inizio del nuovo anno. In alcune comunità cristiane, viene celebrato il battesimo di Gesù nel Giordano, simboleggiando il suo impegno nel compiere la volontà divina e iniziare la sua missione pubblica.
La figura dei Magi stessi ha suscitato molte interpretazioni simboliche nel corso della storia cristiana. I doni che portano, l’oro, l’incenso e la mirra, sono spesso interpretati come simboli della regalità di Gesù, della sua divinità e della sua umanità, rispettivamente.
La festa dell’Epifania, quindi, offre un momento di riflessione sulla manifestazione di Dio nella storia umana e sulla chiamata alla fede universale. Attraverso la storia, la liturgia e le tradizioni popolari, questa celebrazione continua a offrire spunti di meditazione sulla luce divina che si manifesta nelle diverse sfaccettature della vita umana.
In definitiva, la festa dell’Epifania rappresenta un momento significativo nel calendario liturgico e culturale, invitando le persone a riflettere sulla presenza di Dio nella loro vita e sulla chiamata a camminare nella luce della fede.
La figura dei Re Magi, o Magi, è strettamente legata alla festa dell’Epifania. Secondo il racconto evangelico di Matteo nel Nuovo Testamento, i Magi erano saggi o astrologi provenienti dall’Oriente che giunsero a Betlemme seguendo una stella luminosa che annunciava la nascita di un re speciale.
Il numero esatto dei Magi non è specificato nei Vangeli, ma tradizionalmente si parla di tre, in quanto i doni portati erano tre: oro, incenso e mirra. La tradizione ha poi assegnato loro nomi: Melchiorre, Gaspare e Baldassarre.
I doni che i Magi portarono a Gesù sono carichi di simbolismo. L’oro rappresenta la regalità di Cristo, l’incenso la sua divinità, e la mirra è associata alla sua umanità e alla profezia della sua futura sofferenza.
La figura dei Re Magi ha avuto un impatto significativo nella cristianità, rappresentando la ricerca della verità, la risposta umana alla manifestazione di Dio e l’accettazione della fede oltre i confini culturali. Nella liturgia cristiana, la loro visita a Gesù è vista come l’apertura della salvezza a tutti i popoli, non solo a quelli di origine ebraica.
Le tradizioni popolari legate ai Re Magi variano, ma in molte culture la notte dell’Epifania è celebrata con processioni, eventi e riti che rievocano la loro visita a Betlemme. La figura dei Magi continua a essere un elemento chiave nelle rappresentazioni e nelle celebrazioni legate a questa festa.
Cosa rappresentano i doni dei magi
I doni portati dai Magi a Gesù sono carichi di significato simbolico, e la loro interpretazione ha radici profonde nella tradizione teologica cristiana. Ecco una breve analisi di ciascun dono:
Complessivamente, questi doni riflettono la complessità della natura di Gesù, combinando elementi di regalità, divinità e umanità. La tradizione ha interpretato i doni dei Magi come segni profetici della missione di Gesù sulla terra, sottolineando la sua identità unica e il suo ruolo nella redenzione dell’umanità.