Ovunque tu sia su questo grande pianeta blu, chiunque tu sia e comunque tu viva la tua vita, una verità è universale: la Terra è casa e appartiene a tutti noi. Amiamo le cose importanti. Per le sfide future: coraggio. Per le lotte interne: la pace. E per ognuno di noi che sogna, desidera e lotta per un futuro più verde, più pacifico e più equo per tutti.
Dieci parabole moderne per approfondire il tema “L’altro è un dono”
Seguendo il Messaggio per la Quaresima 2017 di papa Francesco, il sacerdote gesuita messicano Sergio Guzmán ha pubblicato sulla pagina web dell’agenzia cattolica SIGNIS una recensione di dieci film che possono servire ad approfondire il tema del Messaggio papale, “La Parola è un dono. L’altro è un dono”.
Basandosi su questo documento e intercalandolo con la trama, padre Guzmán, che scrive dalla città messicana di Monterrey, raccomanda “alcune pellicole che, come parabole, possono aiutarci a riflettere sulla nostra vita, su come stiamo vivendo e come possiamo tornare a Dio e agli altri con tutto il cuore”.
La Strada, di Federico Fellini (Italia, 1954, 104 min.)
Questo film ci parla di un amore fino all’estremo (cfr. Gv 13,1). Gelsomina (Giulietta Masina) viene venduta dalla madre al circense e brutale Zampanò (Anthony Quinn). Nonostante l’atteggiamento aggressivo e violento dell’uomo, la ragazza si sente attratta dallo stile di vita della strada, soprattutto quando il suo padrone la inserisce nello spettacolo. Anche se vari dei personaggi che incontra le offrono di unirsi a loro, Gelsomina non si separa dal suo amato. Nel Messaggio per la Quaresima, papa Francesco dice: “Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore. La Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole”. Gelsomina, la ragazza della strada, il pagliaccio dallo sguardo tenero, è maestra in questo.
Il ladro, di Alfred Hitchcock (USA, 1956, 105 min.)
Il film racconta una storia reale: quella di Christopher Emmanuel Balestrero, un uomo accusato di un crimine che non ha commesso. Richiama l’attenzione il significato dei suoi nomi: Christopher, ovvero “colui che porta Cristo”, ed Emmanuel, “Dio con noi”. Con un’eccellente intepretazione di Henry Fonda, vediamo quest’uomo buono (onesto, felicemente sposato, padre esemplare) portato da una parte all’altra come Gesù nella sua passione (cfr. Lc 22-23). Davanti al tribunale, in alcune scene toccanti, possiamo esclamare: “Davvero quest’uomo era giusto” (Lc 23, 47). Una film, come tanti di Hitchcock, che non ci lascia tranquilli e può portarci a riflettere su ciò che ci dice papa Francesco: “La Quaresima è un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo”.
Il Vangelo secondo Matteo, di Pier Paolo Pasolini (Italia, 1964, 130 min.)
Un capolavoro della cinematografia che presenta con rispetto, emotività e realismo la vita di Gesù in base al Vangelo di San Matteo. Con poche risorse, attori non professionisti, utilizzando scenografie minime, con una colonna sonora che va dalle Messe di Bach e Mozart al blues, Pasolini crea una storia convincente di Gesù. Il film segue in modo lineare i 28 capitoli di Matteo, dall’Annunciazione alla Resurrezione. Non potremo mai sapere esattamente come fosse Gesù di Nazareth, ma il Gesù che ci presenta Pasolini convince, commuove e ci può aiutare ad avvicinarci al volto pieno d’amore, tenerezza e compassione di Gesù.
Gran Torino, di Clint Eastwood (USA, 2008, 116 min.)
Walt Kowalski (Clint Eastwood) è un vedovo che vive con la cagna Daisy a Highland Park (Michigan), un quartiere di recente “invaso” da immigrati di provenienza asiatica (comunità hmong). Walt si mostra sempre freddo e di malumore con i nuovi vicini, fino a quando scopre un ragazzo di nome Thao Vang Lor (Bee Vang) che cerca di rubare la sua macchina Gran Torino. Vedremo la trasformazione del personaggio e come tutto il film possa essere una parabola cristiana. “La giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di aprire la porta del nostro cuore all’altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto”, ci dice il papa nel suo Messaggio.
Chocolat, di Lasse Hallström (Regno Unito, 2000, 121 min.)
La pellicola rimanda al 1959 – anno in cui papa Giovanni XXIII sogna e annuncia la celebrazione di un Concilio –, e lo spettatore viene portato in un villaggio grigio e freddo della campagna francese. Nella chiesa del paese, a porte chiuse, il sacerdote annuncia l’inizio della Quaresima ed esorta al digiuno e alla penitenza. Dal pulpito il sacerdote chiede e si chiede: “Dove troveremo la verità? Dove si inizia a cercarla?” Prima di terminare la sua omelia, un forte vento apre le porte e irrompe in tutta la chiesa. In questo periodo di Quaresima, una donna e sua figlia arrivano in paese e aprono una cioccolateria. Mangiare o non mangiare, uscire o rinchiudersi, accogliere o respingere sono i dilemmi che dovranno affrontare i protagonisti di questa storia.
¿Quién sabe cuánto cuesta hacer un ojal?, di Ricardo Larraín (Cile, 2005, 60 min.)
Il film racconta la storia di Sant’Alberto Hurtado dalla sua infanzia e giovinezza fino all’ingresso nella Compagnia di Gesù. Tutto accade agli inizi del Novecento, quando il giovane Alberto si interroga sul senso della sua vita, della sua fede come cristiano, della sua vocazione. Entriamo rapidamente in sintonia con lui: lo vediamo andare in campagna, all’università o dalle sarte povere che aiuta, chiacchierare con sua madre, uscire con gli amici, pregare e digiunare. Risuonano qui le parole del Santo Padre: “La Quaresima è il momento favorevole per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre: il digiuno, la preghiera e l’elemosina. Alla base di tutto c’è la Parola di Dio, che in questo tempo siamo invitati ad ascoltare e meditare con maggiore assiduità”.
Casino, di Martin Scorsese (USA-Francia, 1995, 184 min.)
Ace Rothstein (Robert de Niro) è un allibratore, amministratore di un casinò. Egli stesso racconta la sua storia: “In mezzo al deserto guadagniamo denaro, è il risultato di tutte queste luci brillanti, dei viaggi regalati per cortesia, di champagne, suites gratis, donne ed alcool. Tutto è disposto perché vi prendiamo il denaro. Questa è la verità su Las Vegas”. Rothstein pensa di aver ricevuto un paradiso in terra, ma la verità, come vedremo nel corso della pellicola, è diversa. “Dice l’apostolo Paolo che “l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6, 10). Essa è il principale motivo della corruzione e fonte di invidie, litigi e sospetti. Il denaro può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico”, leggiamo nel Messaggio del papa.
Quarto Potere, di Orson Welles (USA, 1941, 119 min.)
Charles Foster Kane (Orson Welles) è un miliardario, magnate della stampa, che negli ultimi anni della sua vita ha vissuto solo nella sua sontuosa residenza Xanadu. Muore nel suo letto pronunciando la parola “Rosebud” mentre una palla di neve gli cade dalle mani e si scioglie. Il giornalista Jerry Thompson (William Allad) indaga sulla vita privata di Kane per scoprire il significato dell’ultima parola che ha pronunciato. Tutto il film ruota intorno a questo enigma. “Per l’uomo corrotto dall’amore per le ricchezze non esiste altro che il proprio io, e per questo le persone che lo circondano non entrano nel suo sguardo. Il frutto dell’attaccamento al denaro è dunque una sorta di cecità”, ci dice papa Francesco nel suo Messaggio. Riflettiamo: come ha vissuto Kane? Cosa lo ha accecato nella vita? A cosa anela prima di morire?
Fratello sole, sorella luna, di Franco Zeffirelli (Italia, 1972, 130 min.)
È un film pieno di colore, bellezza e poesia sulla vita di San Francesco d’Assisi (1181-1226). In poco più di due ore possiamo vedere Francesco quando torna ammalato e trascinando i piedi dopo una guerra, quando ricorda la sua vita piena di lusso, quando scende nella tintoria del padre e si commuove fino alle lacrime di fronte alla miseria di chi vi lavora, quando inizia la sua conversione e si spoglia dei suoi abiti per vivere in povertà e con più libertà, quando va in campagna e ricostruisce una vecchia chiesa, quando ispira molti giovani a vivere il Vangelo. Francesco (Fratello sole) e Chiara (Sorella luna) sono due grandi santi che possono offrirci molta luce, colore e speranza in questo periodo in cui papa Francesco ci invita a vedere l’altro come un dono.
Le chiavi del regno, di John M. Stahl (USA, 1944, 137 min.)
Un classico del genere religioso interpretato da Gregory Peck che ci presenta con rispetto ed emotività la vita di un sacerdote cattolico dedito alla missione, umile, aperto, di buonumore e con un gran cuore. Il film trabocca ecumenismo, misericordia, tolleranza e carità creativa. Vedendo questo film pensiamo a quando il papa ci dice: “La Quaresima è il tempo favorevole per rinnovarsi nell’incontro con Cristo vivo nella sua Parola, nei Sacramenti e nel prossimo. Il Signore – che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto ha vinto gli inganni del Tentatore – ci indica il cammino da seguire. Lo Spirito Santo ci guidi a compiere un vero cammino di conversione, per riscoprire il dono della Parola di Dio, essere purificati dal peccato che ci acceca e servire Cristo presente nei fratelli bisognosi”.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]
Il volume dell’arcivescovo Sorrentino sul portale che segnò la trasformazione della vita del Poverello
Tre momenti storici, tre situazioni, tre chiavi di volta. La Porta di Francesco, la meditazione scritta dal vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, Domenico Sorrentino, pubblicata dalle Edizioni francescane italiane in italiano e inglese e da lunedì prossimo in libreria, conduce innanzi tutto il lettore a conoscere alcuni accadimenti importanti, ma meno noti, nella vita di Francesco d’Assisi. Sessantaquattro pagine, tra illustrazione storica e poesia, con spunti di riflessione interessanti e foto che partono da un fatto di recente cronaca: il ritrovamento e la riapertura dell’antica porta del vescovado avvenuto il 21 maggio 2022. Alcuni scavi ipogei, a seguito di ricerche su documenti d’archivio e fonti francescane, hanno confermato che quel portale, sotto l’attuale sala della Spogliazione, era l’accesso principale al palazzo vescovile in epoca medioevale, quando lo stesso si sviluppava su un livello inferiore rispetto a quello attuale. Quella Porta è l’arco di passaggio che segna la vita di Francesco: il giovane re delle feste vi entra ricco e ne esce povero.
Nella riflessione l’antico accesso al palazzo vescovile di Assisi diventa un invito a meditare sul senso della vita, sulle scelte da prendere per realizzare l’armonia. La dedica al Papa e ai giovani di “The economy of Francesco”
È la Porta della decisione: è il 1206 quando Francesco dirà di fronte al padre, al vescovo Guido e a tutta la cittadinanza: «Non più padre mio Pietro Di Bernardone ma Padre nostro che sei nei cieli ». Nel libro questo momento fondamentale nella vita di Francesco viene attualizzato, attraverso verso poetici. «A quanti ispirerà, ora che è ridiventata visibile, l’orrore della mediocrità, la noia insopportabile di una vita priva di sogni e sempre restia ad ogni avventura? Quella porta di Francesco è una segnaletica dello spirito». Ma questo arco, che ha ancora i segni di un intonaco rosato come quello del palazzo dipinto da Giotto nel celebre affresco della Spogliazione, è anche la Porta della Riconciliazione. In pochi sanno infatti che, dopo il suo peregrinare nel mondo per annunciare il Vangelo, Francesco torna nella sua Assisi, dal “suo” vescovo, che in questo momento è un altro vescovo con lo stesso nome di Guido come il primo che lo aveva accolto e benedetto.
Il suo ritorno avviene in un momento di forte tensione tra lo stesso vescovo e il podestà. Siamo nel 1225 e il Poverello d’Assisi, che aveva composto il Cantico delle Creature fino alla strofa della terra “sora nostra Madre Terra”, ormai “stimmatizzato”, è in una condizione fisica precaria e dolorante. Ed è di fronte a questa situazione conflittuale che, secondo le memorie storiche, Francesco avrebbe composto l’ultima strofa (“Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, e sostengo infirmitate e tribulatione. Beati quelli ke ’l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati”). All’armonia cosmica delle precedenti strofe subentra qui l’orizzonte drammatico dell’umano, con le sue disarmonie, le sue sofferenze, le sue conflittualità, che solo attraverso la misericordia possono ritrovare la via di una ricomposizione che le riporti all’armonia originaria.
Il santo trascorse i suoi ultimi giorni proprio nel vescovado che divenne meta di pellegrinaggi. Poi la morte alla Porziuncola
Un’armonia che riesce a placare anche gli animi di vescovo e podestà. Ora quella stessa Porta spinge chiunque l’attraversi a un vero esame di coscienza per liberarsi da odio, ira, rancori e aprire il cuore alla misericordia e al perdono. C’è infine un ultimo episodio legato al passaggio di Francesco attraverso quella Porta ed è quello, forse, il più importante, verso l’eterno. Francesco passa qui gli ultimi giorni prima di andare a morire alla Porziuncola e il vescovado diventa luogo di pellegrinaggio continuo da parte degli assisani che ormai lo veneravano come un santo. «La porta dell’antico vescovado è ora visibile – scrive l’autore –. Riemersa dall’oblio per essere ancora varcata, come porta delle decisioni esistenziali importanti (“conversione”), porta che apre gli spazi del perdono e della riconciliazione, porta che si spalanca verso l’eterno, per dare anche all’ultimo momento della vita non la tristezza del distacco, ma la gioia di un tuffo nel grembo di Dio». La meditazione di Sorrentino è profondamente attuale perché, attraverso la vita di san Francesco d’Assisi, porta il lettore alla riflessione interiore, alla scelta, alla conversione e all’armonia. Questo volumetto, dedicato al Papa e ai giovani di “The Economy of Francesco” che da oggi saranno in Assisi per gettare le basi per una nuova economia, rispondendo proprio all’appello del Santo Padre, è un libro-messaggio per chi cerca seriamente il senso della vita.
–Amarsi non è sempre facile e immune da intoppi o incomprensioni. Questa bellissima lettera attribuita ad un celebre Santo spiega come amare anche nei momenti più difficili.
Oggi sempre di più le crisi di coppia vengono viste come motivo di allontanamento: ecco come poterle risolvere.
Qual è la strada del vero amore
Chi starà leggendo sarà con ogni probabilità qualcuno in cerca dell’amore, che ama l’amore, o che è in una situazione di coppia in cui, come tutti, potrebbe riscontrare delle difficoltà. Questa dinamica è ricorrente e Dio, anche in questo, ci aiuta indicandoci sempre la strada dell’amore vero, attraverso le sue vie infinite, e parlando al nostro cuore.
A chi non è mai capitato in tal senso di avere momenti di crisi? È Sant’Agostino in questo percorso ad insegnarci che l’amore che ama davvero non ha bisogno di tante parole, e che l’esserci, soprattutto nelle sventure, è la dimostrazione più grande del proprio amore.
Invita l’uomo a non essere orgoglioso, né invidioso delle qualità della propria donna: spesso non lo ammettiamo ma sentimenti di questo genere, paure di essere da meno, sono frequenti anche nelle coppie che si amano!
Il Santo riesce ad arrivare fino in fondo all’animo umano e slatentizza gli angoli bui, alla luce dell’amore di Dio.
L’invito che fa all’uomo è quello di non imporsi mai, ma di far capire le sue ragioni semplicemente comportandosi in modo da fornire il giusto esempio alla sua famiglia. La donna deve essere amata, non solo perché sarà all’uomo di rifugio nel momento del bisogno, ma perché “se l’amore sarà forte ogni destino vi farà sorridere. Amala come il sole che invochi al mattino. Rispettala come un fiore che aspetta la luce dell’amore. Sii questo per lei”.
La lettera che ci insegna come amare
“Giovane amico, se ami questo è il miracolo della vita. Entra nel sogno con occhi aperti e vivilo con amore fermo. Il sogno non vissuto è una stella da lasciare in cielo. Ama la tua donna senza chiedere altro all’infuori dell’eterna domanda che fa vivere di nostalgia i vecchi cuori. Ma ricordati che più ti amerà e meno te lo saprà dire.
Guardala negli occhi affinché le dita si vincolino con il disperato desiderio di unirsi ancora; e le mani e gli occhi dicano le sicure promesse del vostro domani. Ma ricorda ancora, che se i corpi si riflettono negli occhi, le anime si vedono nelle sventure.
Non sentirti umiliato nel riconoscere una sua qualità che non possiedi. Non crederti superiore poiché solo la vita dirà la vostra diversa sventura.
Non imporre la tua volontà a parole, ma soltanto con l’esempio. Questa sposa, tua compagna di quell’ignoto cammino che è la vita, amala e difendila, poiché domani ti potrà essere di rifugio.
E sii sincero giovane amico, se l’amore sarà forte ogni destino vi farà sorridere. Amala come il sole che invochi al mattino.
Rispettala come un fiore che aspetta la luce dell’amore. Sii questo per lei, e poiché questo deve essere lei per te, ringraziate insieme Dio, che vi ha concesso la grazia più luminosa della vita!”
Quando si affronta il tema del combattimento spirituale, si commettono due errori principali: o diamo un’importanza eccessiva a certe cose o le sottovalutiamo. Alcuni danno la colpa di ogni peccato, di ogni conflitto e di ogni problema ai demòni che devono essere scacciati. Altri ignorano completamente la dimensione spirituale e il fatto che la Bibbia c’insegni che il nostro combattimento è contro potenze spirituali. La chiave per il combattimento spirituale di successo sta nel trovare l’equilibrio biblico. Talvolta Gesù scacciò i demòni dalle persone e, talaltra, le guarì senza alcuna menzione dell’aspetto demoniaco. L’apostolo Paolo insegna ai cristiani a far guerra al peccato in se stessi (Romani 6) e a muovere guerra contro il maligno (Efesini 6:10-18).
È scritto in Efesini 6:10-12: “Del resto, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate star saldi contro le insidie del diavolo; il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti”. Questo testo c’insegna alcune verità cruciali: (1) possiamo essere forti sono nella potenza del Signore; (2) è l’armatura di Dio che ci protegge; (3) il nostro combattimento è contro le forze spirituali della malvagità di questo mondo di tenebre.
(1) Un esempio potente di questo è quello dell’arcangelo Michele in Giuda 9. Michele, probabilmente il più potente fra tutti gli angeli di Dio, non sgridò Satana nella sua potenza, ma disse: “Ti sgridi il Signore!”. Apocalisse 12:7-8 riferisce che, negli ultimi tempi, Michele sconfiggerà Satana. Lo ripeto: quando si trovò a scontrarsi con Satana, Michele lo sgridò nel nome e nell’autorità di Dio, non nei propri. È solo mediante la nostra relazione con Gesù Cristo che noi, come cristiani, abbiamo tutta l’autorità su Satana e sui suoi demòni. È solo nel Suo Nome che il nostro rimprovero ha tutto il potere.
(2) Efesini 6:13-18 ci dà una descrizione dell’armatura spirituale che ci dona Dio. Dobbiamo stare saldi con (a) la cintura della verità, (b) la corazza della giustizia, (c) le calzature del Vangelo della pace, (d) lo scudo della fede, (e) l’elmo della salvezza, (f) la spada dello Spirito e (g) la preghiera mediante lo Spirito. Che cosa rappresentano questi pezzi dell’armatura spirituale, per noi, nel nostro combattimento spirituale? Dobbiamo dire la verità contro le menzogne di Satana. Dobbiamo riposare nel fatto che siamo dichiarati giusti a motivo del sacrificio di Cristo per noi. Dobbiamo proclamare il Vangelo a prescindere da quanta opposizione incontriamo. Non dobbiamo vacillare nella fede, per quanto forti siano gli attacchi che riceviamo. La nostra difesa fondamentale è la sicurezza che abbiamo della nostra salvezza e il fatto che le forze spirituali non possono rubarcela. La nostra arma offensiva dev’essere la Parola di Dio, non le nostre opinioni e i nostri sentimenti personali. Dobbiamo seguire l’esempio di Gesù riconoscendo che alcune vittorie spirituali sono possibili solo mediante la preghiera.
Gesù è il nostro esempio definitivo per il combattimento spirituale. Osserva come Gesù affrontò i diretti attacchi di Satana: “Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. E, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. E il tentatore, avvicinatosi, gli disse: ‘Se tu sei Figlio di Dio, ordina che queste pietre diventino pani’. Ma egli rispose: ‘Sta scritto: Non di pane soltanto vivrà l’uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio’. Allora il diavolo lo portò con sé nella città santa, lo pose sul pinnacolo del tempio, e gli disse: ‘Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; poiché sta scritto: Egli darà ordini ai suoi angeli a tuo riguardo, ed essi ti porteranno sulle loro mani, perché tu non urti con il piede contro una pietra’. Gesù gli rispose: ‘È altresì scritto: Non tentare il Signore Dio tuo. Di nuovo il diavolo lo portò con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria, dicendogli: ‘Tutte queste cose ti darò, se tu ti prostri e mi adori’. Allora Gesù gli disse: ‘Vattene, Satana, poiché sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi il culto’. Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli si avvicinarono a lui e lo servivano” (Matteo 4:1-11). Il modo migliore per combattere Satana è quello mostratoci da Gesù e che consiste nel citare la Scrittura, perché il diavolo non può impugnare la spada dello Spirito, la Parola del Dio vivente. Riassumendo, quali sono le chiavi per avere successo nel combattimento spirituale? Primo, dobbiamo confidare nella potenza di Dio, non nella nostra. Secondo, dobbiamo sgridare nel nome di Gesù, non nel nostro. Terzo, dobbiamo proteggerci con la completa armatura di Dio. Quarto, dobbiamo muovere guerra con la spada dello Spirito — la Parola di Dio. “Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati” (Romani 8:37).
Capita a molti di indossare delle maschere, ritenute utili a farci apprezzare dagli altri. In questo modo, però, corriamo il rischio di snaturarci, senza ottenere ciò che desideriamo: cioè che le persone a cui teniamo possano ricambiare genuinamente il nostro affetto.
Ognuno ha bisogno di essere amato, ma di esserlo per ciò che è, in maniera autentica e incondizionata. Quanto invece dipendiamo da ciò che pensano gli altri di noi?
Questo fenomeno, in termini analoghi, è detto “rispetto umano”, e si tratta di una terminologia che, nell’ambito della fede, descrive proprio ciò che subentra quando si dipende da quello che pensano gli altri di noi.
Santa Caterina da Siena (1347-1380), in una sua lettera ai sacerdoti Giovanni Sabbatini e don Taddeo dei Malavolti, affermava:“Nel nome di Gesù Cristo Crocifisso e della dolce Maria. Carissimi figli in Cristo Gesù. Io, Caterina, serva dei servi di Gesù Cristo, vi scrivo nel suo sangue prezioso, desiderosa di vedervi cavalieri forti, senza nessun rispetto umano.
Così vuole il nostro dolce Redentore, vuole cioè che noi temiamo di disobbedire a Lui e non agli uomini del mondo; come egli disse: ‘Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo; temete, piuttosto, di disobbedire a me, perché l’anima e il corpo vostro non cada nell’inferno’”.
Dobbiamo cercare di piacere a Dio, più che agli altri
L’antidoto più immediato a questo atteggiamento della mente è proprio il considerare come Dio ci chieda di piacere a Lui e non agli altri: per quanto potremo amare ed essere amati, niente ci darà la gioia di una comunione piena con Dio, e la consapevolezza del suo di amore.
Questo atteggiamento, che al giorno d’oggi viene inquadrato in un contesto psicologico di affettività e emotività in qualche modo assoggettate all’altro, può avere radici profonde anche dal punto di vista spirituale: le ferite che ci sono state causate sono spesso motivo di debolezza anche nel cammino di fede.
È indubbio che una tale condizione di subordinazione alle opinioni altrui su di sé denoti uno stato di profonda sofferenza; tuttavia questo atteggiamento interiore non va assecondato, invece va combattuto alla luce di un percorso interiore e di fede.
Come evitare di cadere nel rispetto umano
Essere impegnati, ad esempio, sul piano umano e sociale, sentirsi utili e riusciti (essere attivi in parrocchia, fare volontariato, essere padroni di sé…), sono tutti esempi di elementi che possono portare a non necessitare più di quell’”iniezione di autostima” che spesso necessitiamo dagli altri.
In questo Gesù ci dice chiaramente: “Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro, perché questa è la legge ed i profeti” (Mt 7,12).
In questo modo, avremo anche per noi la stessa gioia che doniamo, e saremo noi protagonisti attivi, non più passivi, della nostra vita.
Cos’è il rispetto umano
Riguardo al rispetto umano, il gesuita belga Cornelio a Lapide (1567-1637) scriveva: “Cosa indegna e vile è il rispetto umano, e non ve n’è altra che tanto degradi, abbassi e disonori l’uomo… Colui che ne è schiavo, non merita più il nome di uomo, ma il suo luogo è tra le banderuole che segnano la direzione dei venti; poiché non sa fare altro che questo… Una tale persona è sommamente spregevole… Che cosa è che la trattiene? Un motto, un sarcasmo, una beffa, un segno… Oh! che piccolezza di spirito, che viltà di cuore!
Ne arrossiamo noi medesimi in segreto, e non ci sentiamo l’animo di superare simili bagattelle!… Cerchiamo pure di nascondere e di orpellare con altri nomi questa fiacchezza, questa viltà, ma invano… Noi temiamo le censure del mondo, degli increduli, degli empi, degli ignoranti, degli accidiosi, dei dissoluti…
Noi temiamo di acquistarci nome di spiriti deboli e pregiudicati, se pratichiamo la religione; e non vediamo che somma debolezza è non praticarla. Qual cosa più vergognosa e più degradante, che la vergogna di comparire quello che si deve essere? Siamo canzonati; ma cosa vi è di più frivolo che le beffe? Chi è che si burla di noi? Quale ne è il merito, il credito, la scienza, la virtù? E noi osiamo vantarci coraggiosi, di animo grande, di carattere generoso?”.
Saper essere sé stessi
Ecco che questo tipo di atteggiamento non è in primis rispettoso di noi stessi, perché ci costringe a portare un pesante macigno di maschere, a costo di apparire migliori, e chi ci relazionerà con noi non vedrà come siamo ma come vogliamo apparire.
Non dobbiamo dimenticarci mai che non si può piacere a tutti, che Dio ci ama così come siamo e che la libertà è forse il dono più grande che ci ha dato, perché ci consente di essere felici. Quindi, senza dimenticarci ciò che ci ha indicato Gesù, abbiamo tutto il diritto di esprimerci per quello che siamo. “Ama”, direbbe Sant’Agostino, “e fa’ ciò che vuoi”.