Sabato santo

Sabato santo

IL Re dorme La terra tace perché il Dio fatto carne si è addormentato

Ha svegliato coloro che da secoli dormono

Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati Lc 23,50-56 – Sepoltura di Gesù

IL SABATO SANTO È L’ORA DELLA MADRE

Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: « Sia con tutti il mio Signore ». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: « E con il tuo spirito ». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura.Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all’albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell’inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli ».Da un’antica « Omelia sul Sabato santo ». (PG 43, 439. 451. 462-463) OrazioneO Dio eterno e onnipotente, che ci concedi di celebrare il mistero del Figlio tuo Unigenito disceso nelle viscere della terra, fa’ che sepolti con lui nel battesimo, risorgiamo con lui nella gloria della risurrezione. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.A cura dell’Istituto di Spiritualità: 
Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino

Il Sabato Santo è il giorno del silenzio, unico giorno della Settimana Santa in cui non è prevista alcuna liturgia, non si celebrano messe e l’Eucaristia viene data solo a chi è in punto di morte. I riti religiosi del Sabato Santo iniziano al calare del giorno. La notte del Sabato Santo è il momento in cui la Settimana Santa inizia ad andare verso il suo apice con i riti religiosi della veglia pasquale in cui si celebra la resurrezione di Cristo.

Nella giornata del Sabato Santo, il corpo di Gesù Cristo, tolto dalla croce su cui è morto il Venerdì santo e deposto nel sepolcro, viene preservato dalla corruzione grazie alla virtù divina, discende agli inferi con la sua divinità e con la sua anima umana, ma non con il suo corpo. Secondo certe tradizioni cristiane, resta negli inferi per un tempo corrispondente a circa quaranta ore, compiendo la sua vittoria sulla morte e sul diavolo, libera le anime dei giusti morti prima di lui e apre loro le porte del Paradiso.

Portata a termine la missione, la divinità e l’anima di Gesù si ricongiungono al corpo nel sepolcro: ciò costituisce il mistero della resurrezione, centro della fede di tutti i cristiani, che verrà celebrato nella seguente domenica di Pasqua.

Sabato Santo: giorno del silenzio

Il Sabato Santo è considerato un giorno di silenzio, di raccoglimento, di meditazione, per Gesù che giace nel sepolcro. Si attende l’annuncio della risurrezione di Gesù, che avverrà durante la solenne veglia pasquale.

Un’antica omelia recitava così: “Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi”.

L’Ora della Madre, liturgia del dolore nella speranza

Fin dai primi secoli dell’era cristiana, esiste una liturgia nel Sabato Santo che accompagna Maria nell’attesa e si stringe a lei in questo giorno di silenzio. Una celebrazione del rito orientale, accolta anche in quello latino.

L’Ora della Madre è un’antica liturgia, recitata la mattina del Sabato Santo dal 1987, Anno Mariano, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove fu per la prima volta officiata – IX secolo – dai santi Cirillo e Metodio. La celebrazione alterna salmi, letture e brevi preghiere ritmiche, i cosiddetti “tropari” della liturgia bizantina. Ma la celebrazione non si svolge soltanto nella papale arcibasilica maggiore: il favore di cui gode l’ha estesa anche ad altri luoghi. Per due volte è stata celebrata a San Pietro, per desiderio di san Giovanni Paolo II e, anche oggi, in altre chiese. Questa tradizione è alimentata da padre Ermanno Toniolo, dell’Ordine dei Servi di Maria, direttore del Centro di cultura mariana di Roma e docente emerito della Pontificia Facoltà Teologica “Marianum”. Nata in ambiente bizantino, L’Ora di Maria diventa legame vivo tra oriente e occidente.

Maria addolorata

Nessun dolore è più grande di quello di una madre che ha perso il figlio. Immaginiamo il dolore di Maria: sapeva quello che doveva accadere e ha imparato ad accettarlo per tutta la vita, fin da quel primo  dell’Annunciazione. Vede compiersi tutto sotto i suoi occhi con la sicura consapevolezza della fede che suo figlio è Dio, ma lo vede soffrire come un uomo qualsiasi, sottoposto ad atroci torture e umiliazioni e condannato alla pena capitale. La Vergine riconosce quel dolore che le aveva predetto Simeone, “A te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35). Citando Paolo nella Lettera ai Romani (4,18), a proposito di Abramo, padre Toniolo, scrive che Maria “Credette contro ogni evidenza, sperò contro ogni speranza”.

L’Ora della Madre: Lei sa che Gesù ritornerà glorioso

Il sì di Maria 

Sotto la croce, Maria pronuncia ancora una volta – nel silenzio del suo cuore – il suo sì incondizionato. Il dolore di Maria non è disperato, ma è comunque straziante, perché è il dolore purissimo di una madre. Trascorre il sabato, quel giorno interminabile in cui attende che tutto si compia. Questa forza nella fede, questa speranza sicura certamente non ha potuto lenire il suo dolore. Ha dovuto assistere all’agonia del Figlio e alla sua morte. L’ha cullato per l’ultima volta tra le braccia, prima di lasciarlo portare via per la sepoltura. Ha dovuto accettare il distacco e quel vuoto che le è calato addosso. Impossibile capire quanti pensieri “serbava nel suo cuore” (Lc 2, 51) nel frastuono dei lamenti delle pie donne e fra gli Apostoli smarriti. Sola, pur non nella solitudine e nell’abbandono: Cristo prima di morire ha pensato a sua Madre e a tutti gli uomini. Prima di spirare, dalla croce affida sua Madre a Giovanni:

Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. (Giovanni 19, 26 -27)

“L’urlo di pietra” della Maddalena del Compianto sul Cristo morto in terracotta di Niccolò dell’Arca, conservato a Santa Maria della Vita a Bologna è tra le opere più impressionanti e misteriose della seconda metà del XV secolo.

Unione della Madre con il Figlio

Così, tutta la Chiesa si stringe intorno a Lei, che diventa ponte tra il Figlio e l’umanità, tra la morte e la vita, in attesa della Risurrezione. Se Venerdì Santo è l’ora del Cristo, morto sulla croce, il Sabato Santo è l’Ora della Madre.

Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. 54Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati

Idea progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it

Triduo Pasquale-Venerdì Santo

Triduo Pasquale-Venerdì Santo

Il Venerdì Santo è il giorno in cui si celebra la crocifissione e morte di Gesù, è il giorno dei grandi interrogativi: perché il male, perché il dolore innocente, perché la sofferenza? Domande che trovano risposta nella Croce solo se la si guarda nella prospettiva della Risurrezione e già illuminato dalla Pasqua

La Passione di Maria - "...e una spada trafiggerà la tua anima"

Alla ‘Passione’ di Gesù è associata l’immagine della Vergine Addolorata, che i più grandi artisti hanno rappresentato insieme alla Crocifissione, ai piedi della Croce, o con Cristo adagiato fra le sue braccia dopo la deposizione, come la celebre ‘Pietà’ di Michelangelo, il ‘Compianto sul Cristo morto’ di Giotto, la ‘Crocifissione’ di Masaccio, per citarne alcuni

In questo giorno non si celebra l’Eucaristia. La Chiesa celebra solamente l’Azione liturgica della Passione del Signore, composta dalla Liturgia della Parola, dall’Adorazione della croce e dai Riti di Comunione.

È giorno di digiuno e astinenza dalle carni. E’ la seconda celebrazione del Triduo Pasquale.

Il Venerdì Santo è il giorno della morte di Gesù Cristo. È il giorno più doloroso della Settimana Santa.

Tutti i riti religiosi del Venerdì Santo sono dedicati a questo. La Chiesa celebra la Passione in tre diversi momenti con altrettanti riti religiosi: si inizia con la liturgia della Parola, con la lettura del quarto canto del servo del Signore di Isaia (52,13-53,12), dell’Inno cristologico della lettera ai Filippesi (2,6-11) e della Passione secondo Giovanni. Si prosegue con l’adorazione della croce, a cui viene così tolto il velo, e si conclude con la santa comunione con i presantificati, cioè con le specie consacrate la sera del Giovedì Santo. Nella sera del Venerdì Santo, il rito religioso cattolico prevede anche la via Crucis, il ricordo cioè del percorso di Cristo verso la crocifissione sul monte Golgota. Durante il Venerdì Santo non si fanno altre consacrazioni e non si celebra altra messa.

Sotto l’aspetto delle celebrazioni religiose è una giornata particolare: infatti gli altari sono spogli, la custodia del sacramento è vuota, le  campane tacciono, non si canta.

La funzione religiosa si svolge nel ricordo della passione e morte di Gesu’, seguita dalla preghiera universale, dall’adorazione della croce e dal sacramento della comunione.

Terminata la celebrazione si tiene, come di tradizione, la via crucis per le strade del paese.

Il sacro corteo è arricchito da preghiere e considerazioni spirituali, nonchè’ da vecchi canti tradizionali riscoperti meritoriamente per l’occasione.

Il Triduo pasquale è un tempo liturgico e non un giorno liturgico, non essendo un singolo giorno; non è pertanto una solennità, dato che la qualifica di solennità è un grado del giorno liturgico e non del tempo liturgico. Però, come nelle solennità, si inizia con una celebrazione serale: “Il giorno liturgico decorre da una mezzanotte all’altra. La celebrazione, però, della domenica e delle solennità inizia dai vespri del giorno precedente”.

Il Triduo pasquale ha una durata temporale equivalente a tre giorni liturgici, ma non corrisponde esattamente a tre giorni civili poiché si dispiega in quattro giorni civili, ossia:

nel giovedì Santo, ma solo la sera;

nel venerdì della Passione del Signore detto anche e più comunemente venerdì Santo, in cui ricorre la Giornata per i luoghi santi conosciuta anche con la denominazione di Giornata mondiale per la Terra santa;

nel sabato Santo;

nella domenica di Pasqua.

Di questi quattro giorni, dal punto di vista del calendario civile, solo il venerdì, il sabato santo e la domenica fanno parte interamente del triduo: “Il Triduo pasquale della passione e risurrezione del Signore inizia dalla messa vespertina in Cena Domini, ha il suo fulcro nella Veglia pasquale, e termina con i vespri della domenica di risurrezione”.

La ragione per cui questo tempo liturgico venne chiamato Triduo risiede, però, nel diverso computo del giorno come effettuato dai cristiani dei primi secoli in continuazione della tradizione biblica per la quale il giorno veniva computato non dalla mezzanotte alla mezzanotte successiva ma dal calar del sole al successivo calar del sole, ossia dal momento vespertino al successivo momento vespertino: in quest’ottica il triduo corrispondeva esattamente a tre giorni anche se la durata dello stesso era identica sia complessivamente sia nei termini di inizio e fine con quella del triduo attuale per cui, essendo stata la durata del triduo sempre la stessa, è cambiato solo il modo di computare l’inizio e la fine del giorno, e tale cambio di computo ha fatto sì che il triduo un tempo corrispondesse a tre giorni mentre ora si dispiega in quattro giorni.

Nell’antichità cristiana, infatti, il fatto che il triduo corrispondesse esattamente a tre giorni significa che esso era l’insieme del Venerdì Santo, del Sabato santo e della Domenica di Pasqua. L’identità dell’inizio e della fine della durata del triduo primitivo con quello attuale è dovuta al fatto che il primitivo iniziava con l’inizio del venerdì santo, cioè il calar della sera dell’attuale giovedì santo, e terminava con la fine della domenica di pasqua, ossia il calar della sera dell’attuale domenica di pasqua.

Le celebrazioni principali del Triduo sono:

la Celebrazione vespertina del Giovedì santo che normalmente consiste nella messa vespertina nella Cena del Signore o, eccezionalmente e solo per coloro che non vi partecipano, nella recita dei Vespri del Giovedì santo;

la Celebrazione della Passione del Signore del Venerdì Santo che solo da coloro che non vi partecipano è sostituita con la celebrazione dei Vespri del Venerdì Santo;

la Veglia Pasquale, centro del Triduo, officiata dopo il tramonto del sabato, e che sostituisce la Compieta del Sabato Santo e l’Ufficio delle Letture della domenica di Pasqua, recitati separatamente solo da coloro che non partecipano alla Veglia;

la Messa del giorno della Domenica di Pasqua, e la celebrazione della Liturgia della Ore (da Lodi a Vespri alle ore convenienti).

La triste e dolorosa vicenda della ‘Passione’, ha ispirato da sempre la pietà popolare a partecipare ai riti del Venerdì Santo, con manifestazioni di grande suggestione e penitenza, con le processioni dei ‘Misteri’, grandi e piccole raffigurazioni, con statue per lo più di cartapesta, dei vari episodi della ‘Via Crucis’, in particolare l’incontro di Gesù che trasporta la croce con sua madre e le pie donne; oppure con Gesù morto, condotto al sepolcro, seguito dall’effige della Vergine Addolorata.
In tutte le chiese, a partire dal Colosseo con il papa, si svolgono le ‘Vie Crucis’, anche per le strade dei Paesi e nei rioni delle città; in alcuni casi per secolare tradizione esse sono svolte da fedeli con i costumi dell’epoca e giungono fino ad una finta crocifissione; in altri casi da secoli si svolgono cortei penitenziali di Confraternite con persone incappucciate o no, che si flagellano o si pungono con oggetti acuminati e così insanguinati proseguono nella processione penitenziale, come nella celebre penitenza di Guardia Sanframondi.
Ci vorrebbe un libro per descriverle tutte, ma non si può dimenticare di citare i riti barocchi del Venerdì Santo di Siviglia.
Il soggetto della ‘Passione’, ha continuato ad essere rappresentato anche con le moderne tecnologie, le quali utilizzando attori capaci, scenografie naturali e drammaticità delle espressioni dolorose; ha portato ad un più vasto pubblico nazionale ed internazionale l’intera vicenda terrena di Gesù.
È il caso soprattutto del cinema, con tanti filmati di indubbio valore emotivo, come “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini; il “Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli, la serie di quelli storici e colossali, come “Il Re dei re”, “La tunica”, ecc. fino all’ultimo grandioso per la sua drammaticità “La Passione di Cristo” di Mel Gibson.

La passione di Cristo di Mel Gibson

E’ come fosse l’ora zero della fede. Non la disperazione ma la preghiera rivolta al vuoto, a quella che sembra un’assenza insuperabile. David Maria Turoldo ci offre più che una poesia una meditazione sul modo di pensare Cristo, la speranza, la trascendenza. Non c’è un aggettivo sprecato, né una sillaba che sfiori la retorica. Solo la parola ruvida, nuda ma robusta a reclamare il diritto a una risposta anche davanti all’abisso di quello che pare il Nulla

No, credere a Pasqua non e’
giusta fede:
troppo bello sei a Pasqua!
Fede vera
e’ al Venerdi’ Santo
quando Tu non c’eri
lassu’.
Quando non una eco
risponde
al suo grido
e a stento il Nulla
da’ forma
alla Tua assenza

David Maria Turoldo

Mettere in fuga la morte

Matthias Grunewald, “Crocifissione”

Proprio la croce è il luogo in cui si manifesta in modo più tragicamente chiaro l’amore di Dio per l’uomo. Cristo infatti è venuto nel mondo per vincere la morte. 

«Tu sei venuto tra noi
per mettere in fuga la morte
per snidare e uccidere la morte.
Anche a Te la morte fa male
per questo sei amico
di ognuno segnato dal male
e ogni male
Tu vuoi condividere».

Idea progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it

GIOVEDÌ SANTO- LA LAVANDA DEI PIEDI

GIOVEDÌ SANTO- LA LAVANDA DEI PIEDI

Il Triduo pasquale

Il gesto che compie Gesù nei confronti dei discepoli durante

l’Ultima Cena, prima di essere condannato a morte, è

raccontato dal Vangelo di Giovanni ed era una caratteristica

dell’ospitalità nel mondo antico.

Ultima Cena - Capolavori

Con il Giovedì Santo si conclude la Quaresima, iniziata con il Mercoledì delle Ceneri, e con essa finisce anche il digiuno penitenziale. Con la messa vespertina “in Coena Domini” inizia il Triduo pasquale, ossia i tre giorni nei quali si commemora la Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, che ha il suo fulcro nella solenne Veglia pasquale e si conclude con i secondi vespri della Domenica di Pasqua.

Dal punto di vista liturgico quella del Triduo è un unica celebrazione.

Nella Messa “in Coena Domini” non c’è congedo, ma l’assemblea si scioglie in silenzio;

il Venerdì Santo la celebrazione inizia nel silenzio, senza riti di introduzione, e termina senza benedizione e senza congedo, nel silenzio;

 La Veglia Pasquale inizia con il lucernario, senza segno di croce e senza saluto; solo alla fine della Veglia si trova la benedizione finale e il congedo.

LA MESSA MATTUTINA DEL CRISMA

Il giorno del Giovedì Santo è riservato a due distinte celebrazioni liturgiche, al mattino nelle Cattedrali, il vescovo con una solenne cerimonia consacra il sacro crisma, cioè l’olio benedetto da utilizzare per tutto l’anno successivo per i Sacramenti del Battesimo, Cresima e Ordine Sacro e gli altri tre oli usati per il Battesimo, Unzione degli Infermi e per ungere i Catecumeni. A tale cerimonia partecipano i sacerdoti e i diaconi, che si radunano attorno al loro vescovo, quale visibile conferma della Chiesa e del sacerdozio fondato da Cristo; accingendosi a partecipare poi nelle singole chiese e parrocchie, con la liturgia propria, alla celebrazione delle ultime fasi della vita di Gesù con la Passione, Morte e Resurrezione.

LA MESSA VESPERTINA “IN COENA DOMINI”

Nel tardo pomeriggio in tutte le chiese c’è la celebrazione della Messa in “Coena Domini”, cioè la “Cena del Signore”. Si tratta dell’Ultima Cena – raffigurata da intere generazioni di artisti – che Gesù tenne insieme ai suoi apostoli prima dell’arresto e della condanna a morte.

Tutti e quattro i Vangeli riferiscono che Gesù, avvicinandosi la festa “degli Azzimi”, ossia la Pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la rituale cena, in casa di un loro seguace. La Pasqua è la più solenne festa ebraica e viene celebrata con un preciso rituale, che rievoca le meraviglie compiute da Dio nella liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana (Esodo 12); e la sua celebrazione si protrae dal 14 al 21 del mese di Nisan (marzo-aprile).

In quella notte si consuma l’agnello, precedentemente sgozzato, durante un pasto (la cena pasquale) di cui è stabilito ogni gesto; in tale periodo è permesso mangiare solo pane senza lievito (in greco, “azymos”), da cui il termine “Azzimi”. Gesù con gli Apostoli non mangiarono solo secondo le tradizioni, ma il Maestro per l’ultima volta aveva con sé tutti i dodici discepoli da lui scelti e a loro fece un discorso dove s’intrecciano commiato, promessa e consacrazione.

LA LAVANDA DEI PIEDI SIMBOLO DI OSPITALITÀ

Il Vangelo di Giovanni, al capitolo 13, racconta l’episodio della lavanda dei piedi. Gesù «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine», e mentre il diavolo già aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota, il proposito di tradirlo, Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua nel catino e con un gesto inaudito, perché riservato agli schiavi ed ai servi, si mise a lavare i piedi degli Apostoli, asciugandoli poi con l’asciugatoio di cui era cinto.

Bisogna sottolineare che a quell’epoca si camminava a piedi su strade polverose e fangose, magari sporche di escrementi di animali, che rendevano i piedi, calzati da soli sandali, in condizioni immaginabili a fine giornata. La lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico, era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito, del figlio verso il padre e veniva effettuata con un catino apposito e con un “lention” (asciugatoio) che alla fine era divenuto una specie di divisa di chi serviva a tavola.

Quando fu il turno di Simon Pietro, questi si oppose al gesto di Gesù: “Signore tu lavi i piedi a me?” e Gesù rispose: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”; allora Pietro che non comprendeva il simbolismo e l’esempio di tale atto, insisté: “Non mi laverai mai i piedi”. Allora Gesù rispose di nuovo: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” e allora Pietro con la sua solita impulsività rispose: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”. Questa lavanda è una delle più grandi lezioni che Gesù dà ai suoi discepoli, perché dovranno seguirlo sulla via della generosità totale nel donarsi, non solo verso le abituali figure, fino allora preminenti del padrone, del marito, del padre, ma anche verso tutti i fratelli nell’umanità, anche se considerati inferiori nei propri confronti.

L’ANNUNCIO DEL TRADIMENTO DA PARTE DI GIUDA

Dopo la lavanda Gesù si rivestì e tornò a sedere fra i dodici apostoli e instaurò con loro un colloquio di alta suggestione, accennando varie volte al tradimento che avverrà da parte di uno di loro, facendo scendere un velo di tristezza e incredulità in quel rituale convivio. “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”, dice Gesù. Parole alle quali gli apostoli reagiscono sgomenti e in varie tonalità gli domandano chi fosse, lo stesso Giovanni il discepolo prediletto, poggiandosi con il capo sul suo petto, in un gesto di confidenza, domandò: “Signore, chi è?”. E Gesù commosso rispose: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” e intinto un boccone lo porse a Giuda Iscariota, dicendogli: “Quello che devi fare, fallo al più presto”; fra lo stupore dei presenti che continuarono a non capire, mentre Giuda, preso il boccone si alzò, ed uscì nell’oscurità della notte.

LA REPOSIZIONE DELL’EUCARISTIA E L’INIZIO DELLA PASSIONE

I riti liturgici del Giovedì Santo, giorno in cui la Chiesa celebra oltre l’istituzione dell’Eucaristia, anche quella dell’Ordine Sacro, ossia del sacerdozio cristiano, si concludono dopo la messa della Cena con la reposizione dell’Eucaristia in un cappella laterale delle chiese, addobbata a festa per ricordare l’istituzione del Sacramento; cappella che sarà meta di devozione e adorazione, per la rimanente sera e per tutto il giorno dopo, finché non iniziano i riti del pomeriggio del Venerdì Santo. Tutto il resto del tempio viene oscurato, in segno di dolore perché è iniziata la Passione di Gesù; le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti.

https://www.famigliacristiana.it/articolo/giovedi-santo-cosa-significa-la-lavanda-dei-piedi.aspx

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Il Seder di Pesach: dal vino all’agnello

Il Seder di Pesach: dal vino all’agnello

L’origine delle tradizioni di Pasqua

La Cena Pasquale in ebraico si chiama Seder di Pesach. Seder significa “ordine” in quanto si consuma secondo un ben preciso ordine rituale, che – in estrema sintesi – è il seguente: Kadesh – la Benedizione sul Vino, Karpas – “l’Antipasto”, Yachatz: si spezza la matzà. Si intingono le erbe, si prende l’uovo, si usa l’acqua salata e poi l’agnello: tutto ha un significato.

La Pasqua Ebraica si celebra al tramonto del 14^ giorno del mese di Nissan del calendario ebraico (luni-solare)

Pesach, la memoria della Pasqua ebraica tramandata a tavola

Ci dice il Vangelo“Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua ebraica, i discepoli dissero a Gesù: dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?”. Tutti noi, quando si parla della cena pasquale, abbiamo in mente le bellissime opere d’arte che nei secoli l’hanno rappresentata, prima fra tutte l’Ultima Cena di Leonardo.

Gesù fece l’ultima cena non come viene comunemente raffigurata, tutti seduti attorno ad una tavola imbandita, con una tovaglia ben stirata, bicchieri e bottiglie di vetro e così via. Dobbiamo tenere presente infatti che Gesù ed i suoi discepoli erano dei girovaghi, l’equivalente di senza fissa dimora di oggi, che transitando a piedi nel deserto, si presentavano sporchi, polverosi ed accaldati. Venivano allora messi dei tappeti per terra ove si sedevano distesi sulla sinistra.

Secondo il rito ebraico infatti i commensali si adagiavano sul lato sinistro, per evidenziare il fatto che erano uomini liberi. Nei tempi antichi infatti, soltanto le persone libere potevano adagiarsi mentre mangiavano. Ma andiamo avanti con il Vangelo: “Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua. Seguitelo. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta: là preparate per noi”. I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro il Maestro e prepararono per la Pasqua”. Gesù viene così a trovarsi in mezzo alla fiera del bestiame, condotto a Gerusalemme dalle colline circostanti ed alle spezie portate dalle carovane fin dalla Mesopotamia.

I pellegrini che venivano ospitati da famiglie del luogo, consumavano nelle case la cena. Tutti gli altri per strada, nelle piazze od in campagna. Quando scendeva la sera, migliaia di agnelli venivano arrostiti nei cortili delle case, nelle vie, intorno alle tende. E mangiavano tutti insieme, ricchi e poveri, uomini e donne, servi e padroni. La Pasqua ebraica si chiama “Pesach”, che significa “passaggio” ed in Israele dura 7 giorni. Si celebra la notte in cui l’Angelo Sterminatore passò sull’Egitto, uccidendo tutti i suoi primogeniti, uomini e animali. Era la decima piaga, quella che dette il colpo di grazia all’ottusa chiusura del faraone e lo costrinse a lasciar andare gli ebrei per la loro strada. Era l’inizio della loro liberazione.

Scrive Renzo Infante (esperto in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico, con dottorato alla Pontificia Università Gregoriana) “Nei testi sulla Pasqua, Giuseppe Flavio sottolinea la dimensione di grande festa popolare, che radunava folle immense in Gerusalemme. Egli stimò che il numero dei giudei saliti a Gerusalemme per l’ultima Pasqua al tempo di Nerone fosse di circa 2.500.000”. La Pasqua ebraica non va però confusa con la Festa degli Azzimi (si festeggia infatti il giorno dopo), vuol essere un ricordo della fuga dall’Egitto, quando gli Ebrei furono costretti a scappare con urgenza e non ebbero così il tempo per lasciare lievitare il pane per il viaggio. Il pane azzimo infatti è un pane che non è stato fermentato ed al quale non è stato aggiunto lievito.

La Pasqua Ebraica si celebra al tramonto del 14^ giorno del mese di Nissan del calendario ebraico (luni-solare), dunque con l’arrivo del 15 di Nissan, come stabilito dalla Torah: “Nel primo mese, il giorno quattordici del mese, alla sera, voi mangerete azzimi“. Ma qual’è il Mese di Nissan? Ce lo dice la Bibbia: “Sarà per voi il capo dei mesi, sarà il primo fra i mesi dell’anno”. La parola Nissan ha un’origine dal termine “Nes”, Miracolo, in quanto in tutto il mese si celebra l’evento più miracoloso della storia del popolo d’Israele: l’uscita dall’Egitto con la conseguente acquisizione della libertà assoluta. Il mese di Nissan è definito dalla tradizione talmudica il mese della redenzione, in quanto, come il popolo di Israele è stato redento dalla schiavitù in Egitto al tempo di Mosè, così sarà redenta l’intera Umanità durante questo mese. Comunemente cade nei mesi di marzo-aprile ed è a data variabile.

La Cena Pasquale in ebraico si chiama Seder di Pesach. Seder significa “ordine” in quanto si consuma secondo un ben preciso ordine rituale, che – in estrema sintesi – è il seguente:

Si inizia con Kadesh – la Benedizione sul Vino. I quattro bicchieri di vino che si bevono durante il Seder, secondo il Talmud, sono il simbolo delle seguenti quattro promesse di riscatto date da Yahvè (Dio) a Mosèvehotzetì – vi sottrarrò dalle tribolazioni dell’Egitto; vehitzaltì – vi salverò dal loro servaggio; vegaaltì – vi libererò con braccio disteso; velakachtì – vi prenderò quale Popolo, a Me. Si usa il vino perché è simbolo di gioia e di felicità. Dopo Kadesh vi è Urchatz, il Lavaggio Rituale delle mani. Si lavano le mani, versando acqua tre volte sulla mano destra e poi tre volte sulla mano sinistra. Questo è uno dei primi atti che vengono compiuti, anche allo scopo di attirare la curiosità dei bambini presenti.

Segue Karpas: “l’Antipasto”. Si intinge un piccolo pezzo di cipolla, patata o sedano nell’acqua salata e prima di mangiarlo si recita la benedizione sulle verdure. L’acqua salata rappresenta le lacrime amare degli antenati ebrei in Egitto.

C’è poi Yachatz: si spezza la matzà (il pane azzimo) in due, in ricordo di quando Yahvè divise in due il Mar Rosso, per consentire ai Figli di Israele di attraversarlo all’asciutto. A questo punto, venivano invitati i poveri ad unirsi al Seder.

Durante il pasto Pasquale si prendono le erbe amare e si intingono nel charoset, pasta di colore scuro fatto di frutta e noci, che ricorda l’argilla fatta dagli ebrei in Egitto, per la fabbricazione di mattoni. Le erbe amare ricordano l’amarezza della schiavitù in Egitto. E si mangia, a seguire, un uovo sodo intinto nell’acqua salataL’uovo sodo, non avendo spigoli, evidenzia che non c’è né un inizio, né una fine. E’ quindi il simbolo dell’eternità della vita. E poi c’e’ l’agnello pasquale, che va mangiato in ricordo di quanto avvenne alla vigilia della fuga dall’Egitto: “Ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per consumare un agnello, si assocerà al suo vicino, al più prossimo della casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l’agnello, secondo quanto ciascuno può mangiarne”.

Ci sono poi le benedizioni, gli inni e le lodi , nella certezza che il Seder sia ben accetto dall’Onnipotente. Il seder finisce, per gli ebrei della diaspora, in esilio, dicendo: “Leshanà habaà biYrushalayim” tradotto: “L’anno prossimo a Gerusalemme!”

Benedizione del pasto

Benedetto Colui dei cui beni abbiamo mangiato e per la cui grande bontà viviamo!

Adattamento della traduzione di Dante Lattes

realizzata da David Pacifici

testo ebraico

(chi benedice)

Maestri! Signori! Benediciamo Colui dei cui beni abbiamo mangiato!

(i presenti)

Benedetto Colui dei cui beni abbiamo mangiato e per la cui grande bontà viviamo!

(chi benedice)

Benedetto sii Tu, Eterno, Dio nostro, Re del mondo, Colui che alimenta tutto l’universo: con la Sua bontà, con grazia, con pietà e con misericordia dà cibo ad ogni creatura, poiché la Sua pietà è infinita. Per la Sua grande bontà non ci mancò mai né mai ci mancherà alimento, per virtù del Suo Nome grande, poiché Egli alimenta, nutre e benefica tutti e procura il cibo per tutte le Sue creature che Egli creò. Benedetto sii Tu, o Eterno, che dai alimento a tutto il creato.

Ti ringraziamo, o Eterno Dio nostro, perché concedesti ai nostri padri una terra attraente, feconda e spaziosa, perché ci traesti, o Eterno, dalla terra d’Egitto e ci liberasti dal luogo della schiavitù; per il Tuo patto che suggellasti nella nostra carne, per la tua Torà che ci insegnasti, per le Tue norme che ci rendesti note, per la vita, per l’amore, per la pietà che ci accordasti, per il cibo con cui Tu ci alimenti e ci nutri, di continuo, ogni giorno, in ogni stagione, in ogni ora.

Per tutte queste cose, o Eterno, Dio nostro, noi Ti rendiamo grazie e Ti benediciamo, sia benedetto il Nome Tuo dalla bocca di ogni essere vivente, ogni giorno, in perpetuo, come è scritto nella Torà: “Mangerai e ti sazierai e benedirai l’Eterno tuo Dio per il bel paese che ti ha dato”. Benedetto sii Tu, o Eterno, per la terra e per il cibo.

Abbi pietà, o Eterno, Dio nostro, d’Israel tuo popolo, di Jerushalaim tua città, del monte Sion che è sede della Tua maestà, del regno del casato di David Tuo Mashiah, della grande e sacra Casa dedicata al Tuo Nome! Dio nostro, Padre nostro, sii Tu il nostro pastore, sii Tu a darci il cibo, a porgerci il nutrimento, a fornirci l’alimento, a provvedere ai nostri bisogni. Liberaci presto, o Eterno, Dio nostro, da tutte le nostre ansie. Fa che non abbiamo bisogno, o Eterno, Dio nostro, né dei doni degli esseri mortali né dei loro prestiti, ma soltanto della Tua mano piena, aperta, santa e generosa sì che non abbiamo mai a vergognarci né a rimanere mortificati.

Se è sabato si dice: Fa, o Eterno, Dio nostro, che attingiamo un senso di vigore e di pace dall’adempimento dei Tuoi precetti e dall’osservanza del settimo giorno, di questo Sabato grande e sacro, poiché esso è per Te giorno grande e sacro, destinato alla cessazione del lavoro ed al riposo, con sentimento di amore, secondo il comandamento della Tua volontà. Concedi noi, o Eterno, Dio nostro, il sereno riposo che Tu desideri in modo che la sventura, il dolore e l’ansia non turbino il nostro giorno di pace. Concedi a noi di vedere Sion, la Tua città, riconfortata, e Jerushalaim, Tua santa città, ricostruita poiché Tu sei il Signore della salvezza, il Signore della consolazione.

Ricostruisci Jerushalaim, città santa, presto ai giorni nostri.

Benedetto sii Tu, o Eterno, che con un atto di pietà ricostruisci Jerushalaim. Così sia.

Benedetto sii Tu, o Eterno, Dio nostro, Re del mondo; Tu che sei l’unico Dio, il padre nostro, il nostro Re, il nostro onnipotente Signore, il nostro creatore, il nostro redentore, il nostro autore, il nostro santo, il santo di Giacobbe, il nostro pastore, il pastore di Israel, il Re buono e benefico verso ogni essere, Colui che quotidianamente ci ha dimostrato, ci dimostra e ci dimostrerà la Sua benevolenza, che ci ha colmato, ci colma e ci colmerà sempre di grazia, di amore, di pietà, di sollievo, di salvezza, di prosperità, di benedizione, di salute, di conforto, di nutrimento, di alimento, di pietà, di vita, di pace e di ogni bene. Egli non ci privi d’alcun bene.

Il Misericordioso regni sopra di noi in perpetuo.

Il Misericordioso Sia benedetto in cielo ed in terra.

Il Misericordioso

Altra Benedizione cibo testo ebraico

Ti ringraziamo, o Eterno Dio nostro, perché concedesti ai nostri padri una terra attraente, feconda e spaziosa, perché ci traesti, o Eterno, dalla terra d’Egitto e ci liberasti dal luogo della schiavitù; per il Tuo patto che suggellasti nella nostra carne, per la tua Torà che ci insegnasti, per le Tue norme che ci rendesti note, per la vita, per l’amore, per la pietà che ci accordasti, per il cibo con cui Tu ci alimenti e ci nutri, di continuo, ogni giorno, in ogni stagione, in ogni ora.

Per tutte queste cose, o Eterno, Dio nostro, noi Ti rendiamo grazie e Ti benediciamo, sia benedetto il Nome Tuo dalla bocca di ogni essere vivente, ogni giorno, in perpetuo, come è scritto nella Torà: “Mangerai e ti sazierai e benedirai l’Eterno tuo Dio per il bel paese che ti ha dato”. Benedetto sii Tu, o Eterno, per la terra e per il cibo.

Abbi pietà, o Eterno, Dio nostro, d’Israel tuo popolo, di Jerushalaim tua città, del monte Sion che è sede della Tua maestà, del regno del casato di David Tuo Mashiah, della grande e sacra Casa dedicata al Tuo Nome! Dio nostro, Padre nostro, sii Tu il nostro pastore, sii Tu a darci il cibo, a porgerci il nutrimento, a fornirci l’alimento, a provvedere ai nostri bisogni. Liberaci presto, o Eterno, Dio nostro, da tutte le nostre ansie. Fa che non abbiamo bisogno, o Eterno, Dio nostro, né dei doni degli esseri mortali né dei loro prestiti, ma soltanto della Tua mano piena, aperta, santa e generosa sì che non abbiamo mai a vergognarci né a rimanere mortificati.

Fa, o Eterno, Dio nostro, che attingiamo un senso di vigore e di pace dall’adempimento dei Tuoi precetti e dall’osservanza del settimo giorno, di questo Sabato grande e sacro, poiché esso è per Te giorno grande e sacro, destinato alla cessazione del lavoro ed al riposo, con sentimento di amore, secondo il comandamento della Tua volontà. Concedi noi, o Eterno, Dio nostro, il sereno riposo che Tu desideri in modo che la sventura, il dolore e l’ansia non turbino il nostro giorno di pace. Concedi a noi di vedere Sion, la Tua città, riconfortata, e Jerushalaim, Tua santa città, ricostruita poiché Tu sei il Signore della salvezza, il Signore della consolazione.

Ricostruisci Jerushalaim, città santa, presto ai giorni nostri.

Benedetto sii Tu, o Eterno, che con un atto di pietà ricostruisci Jerushalaim. Così sia.

Benedetto sii Tu, o Eterno, Dio nostro, Re del mondo; Tu che sei l’unico Dio, il padre nostro, il nostro Re, il nostro onnipotente Signore, il nostro creatore, il nostro redentore, il nostro autore, il nostro santo, il santo di Giacobbe, il nostro pastore, il pastore di Israel, il Re buono e benefico verso ogni essere, Colui che quotidianamente ci ha dimostrato, ci dimostra e ci dimostrerà la Sua benevolenza, che ci ha colmato, ci colma e ci colmerà sempre di grazia, di amore, di pietà, di sollievo, di salvezza, di prosperità, di benedizione, di salute, di conforto, di nutrimento, di alimento, di pietà, di vita, di pace e di ogni bene. Egli non ci privi d’alcun bene.

Il Misericordioso regni sopra di noi in perpetuo.  

Il Misericordioso Sia benedetto in cielo ed in terra.

Il Misericordioso sia lodato in tutte le generazioni e sia glorificato in noi per l’eternità e sia esaltato in noi, sempre, in perpetuo.

Il Misericordioso ci alimenti con decoro.

Il Misericordioso spezzi il giogo che ci sta sul collo e ci riconduca a fronte alta, alla nostra terra.

Il Misericordioso mandi una copiosa benedizione in questa casa e su questa mensa, alla quale abbiamo mangiato.

Il Misericordioso ci mandi il profeta Elia, ricordato in bene, ad annunciarci con gioia redenzioni e consolazioni.

Il Misericordioso benedica il (mio padre e mio maestro) padrone di questa casa e la (mia madre e mia maestra) padrona di questa casa; li benedica insieme con la loro famiglia, con i loro figli e con tutto ciò che essi hanno; benedica noi e tutto ciò che abbiamo; nello stesso modo in cui furono benedetti i nostri padri Abramo, Isacco e Giacobbe, in ogni loro opera, da ogni parte

Per concludere ricordiamo che Il rito del pane e del vino è di antichissima tradizione ebraica ed è interessante evidenziare che si seguiva in particolare tutti i giorni nella Comunità degli Esseni di Qumran. Era infatti previsto che in ogni gruppo di 10 uomini vi fosse almeno un Sacerdote fra di loro e che quando si riunivano a cena si disponessero a tavola secondo la scala gerarchica.

A tavola veniva servito sia del pane che del vino. Il primo a toccarli doveva essere il Sacerdote, che li benediceva. E così si legge nei rotoli trovati nel Mar Morto“E allorché disporranno la tavola per mangiare il pane o il vino per bere, il sacerdote stenderà per primo la sua mano, per benedirli”. Scrive a questo proposito David Flusser: “C’è qualche influenza essena sulla Messa cristiana e sull’Eucaristia, se si guarda alla somiglianza di ordine e significato tra il pasto esseno e l’Eucaristia cristiana, con successione di pane e vino”.

David Flusser (1917 – 2000) è stato professore di Cristianesimo Primitivo e Giudaismo del Secondo Tempio, alla Hebrew University di Gerusalemme. E’ unanimamente considerato il massimo esperto mondiale in materia. Ma va sottolineato, infine, che anche Melchisedec, re di Salem (si ritiene Gerusalemme), offrì “pane e vino”, come fece Gesù nell’ultima cena. Recitano infatti così le Sacre Scritture: “Quando Abramo fu di ritorno, dopo la vittoria su Chedorlaomer e dei re che erano con lui, il re di Sodoma gli uscì incontro nella Valle di Save, cioè la Valle del re. Intanto Melchisedec, Re di Salem offrì pane e vino”.

https://www.ildolomiti.it/blog/riccardo-petroni/gesu-e-il-seder-di-pesach-dal-vino-allagnello-ecco-lorigine-delle-tradizioni-di-pasqua

Piatto del Seder di Pesach

La tipica composizione del Seder di Pesach

Il piatto del Seder di Pesach (in ebraico: קערה‎? , ke’ara) è un piatto di specifica fattura contenente cibi simbolici che vengono consumati o solamente mostrati durante questa celebrazione. Lo scopo del piatto è quello di tramandare e valorizzare le tradizioni del popolo ebraico attraverso il cibo. Il piatto è progettato per esprimere l’unicità della celebrazione pasquale. Un altro possibile scopo è quello di tenere gli ingredienti vicini tra loro, pronti per la notte del Seder di Pesach.

I cibi simbolici

Ciascuno dei sei elementi disposti sul piatto ha un significato specifico allo scopo di ripercorrere, attraverso il pasto rituale, la storia della Pasqua ebraica e dell’esodo dall’Egitto. I tre matzos, corrispondenti al settimo elemento simbolico, non sono considerati una vera e propria parte del piatto del Seder di Pesach. I sei elementi tradizionali del piatto del Seder di Pesach sono:

Maror e Chazeret

Maror e Chazeret – Questi termini ebraici si riferiscono a erbe amare, che simboleggiano appunto la durezza e l’amarezza della schiavitù sofferta dagli ebrei in Egitto. Nella tradizione ebraica ashkenazita l’indivia, la lattuga romana fresca (entrambe rappresentanti la durezza delle invasioni romane) o il rafano possono essere consumate come Maror, per obbedire al comandamento di mangiare erbe amare durante il Seder di Pesach. Il termine Chazeret corrisponde ad altre erbe amare, tra le quali di solito figura sempre la lattuga romana, utilizzata nella preparazione del korech, un “panino” pasquale .

Charoset

Charoset – Una miscela dolce di colore marrone che rappresenta la malta e i mattoni usati dagli schiavi ebrei per costruire i granai o le piramidi d’Egitto. Nelle case degli ebrei ashkenaziti, il Charoset viene tradizionalmente preparato con noci tritate, mele grattugiate, cannella e vino rosso dolce.

Karpas

Karpas – Il termine si riferisce a tipi di verdure diverse dalle erbe amare. Queste hanno lo scopo di rappresentare speranza e rinnovamento. La verdura scelta viene immersa in acqua salata all’inizio della celebrazione. Di solito vengono utilizzati prezzemolo o altre verdure di colore verde.[1] Alcuni sostituiscono il prezzemolo con cipollotto tritato (a rappresentare l’amarezza della schiavitù in Egitto) o con patate (che rappresentano la dura condizione patita dagli ebrei nei ghetti nella Germania nazista e in altri paesi europei). Le gocce che cadono dopo aver immerso le verdure nell’acqua salata sono una rappresentazione visiva delle lacrime, un ricordo simbolico del dolore provato dagli schiavi ebrei in Egitto. Di solito, in uno Shabbat o un pasto festivo, durante la celebrazione del kiddush, la prima cosa da mangiare dopo aver bevuto il vino è il pane. Durante il Seder di Pesach, invece, la prima cosa consumata dopo il kiddush è una verdura. Segue immediatamente la famosa domanda, Ma Nishtana: “Perché questa notte è diversa da tutte le altre?”

L’elemento del Karpas simboleggia anche la primavera, dato che gli ebrei celebrano la Pasqua in questa stagione.

Zeroah

Zeroah – (traslitterato Z’roa) solitamente uno stinco d’agnello arrostito. È un pezzo particolare, in quanto unico elemento di carne del piatto. Rappresenta il “Korban Pesach” (o sacrificio pasquale) di un agnello il cui sangue fu “spruzzato” dagli israeliti schiavi in Egitto sulle porte delle proprie case, in modo che Dio “passasse oltre” quelle abitazioni durante la decima piaga.[2]

Beitzah

Beitzah – Un uovo bollito, a simboleggiare il korban chagigah (il sacrificio festivo) che veniva offerto al tempio di Gerusalemme, viene poi arrostito al forno e consumato come parte del pasto del Seder. Sebbene sia il sacrificio di Pesach che quello del chagigah fossero in origine di carne, oggi per il chagigah si utilizza un uovo, simbolo del lutto (le uova sono tradizionalmente la prima pietanza servita dopo un funerale ebraico), richiamando il sentimento di dolore per la distruzione del Tempio di Gerusalemme e la conseguente impossibilità di offrire proprio lì i sacrifici ordinati nei testi sacri in occasione della Pasqua. L’uso dell’uovo nel Seder di Pesach viene attestato per la prima volta in un commento del rabbino Moses Isserles riportato nel Shulchan Aruch, testo normativo ebraico del XVI secolo, ma il periodo preciso in cui iniziò tale usanza è sconosciuto.[3] L’uovo non viene comunque utilizzato durante la parte cerimoniale “ufficiale” del Seder. Alcuni ne mangiano uno sodo immerso in acqua salata o aceto come antipasto. L’uovo è anche il simbolo del cerchio della vita: nascita, riproduzione e morte.

Piatto del Seder di Pesach

Molti dei piatti decorativi e artistici del Seder di Pesach, venduti nei negozi d’arte cerimoniale ebraica, possiedono già gli spazi separati per la suddivisione delle varie pietanze simboliche.

Tavola apparecchiata per il Seder con sopra: il tipico piatto del Seder di Pesach, acqua salata; matza; del vino kosher e una copia del testo Haggadah per ciascuno degli ospiti.

I Tre Matzot

Il sesto elemento simbolico sul tavolo Seder di Pesach è un altro piatto contenente tre matzot interi, impilati e separati l’uno dall’altro da tovaglioli. Il matzah centrale viene spezzato e una metà viene messa da parte per essere consumato successivamente come afikoman. La parte superiore e l’altra metà del matzot centrale vengono poi utilizzate per l’hamotzi (la benedizione del pane), e il matzah inferiore viene successivamente utilizzato per la preparazione del korech (“panino” di Hillel).

Acqua salata

L’acqua salata non fa tradizionalmente parte del Piatto del Seder, ma viene comunque posta sul tavolo in un recipiente a sé. Tuttavia, viene a volte utilizzata come uno dei sei elementi tradizionali al posto del chazeret. L’acqua salata sta a rappresentare le lacrime degli israeliti ridotti in schiavitù.

Varianti

Piatto del Seder con un’arancia.

Aceto – Gli ebrei tedeschi e persiani includono tradizionalmente l’aceto per il piatto del Seder, accanto all’elemento fondamentale del karpas . Il karpas viene dunque immerso in aceto e non in acqua salata.

Olive – Ad alcuni piatti seder viene aggiunta un’oliva per esprimere solidarietà ai palestinesi. Nel 2008, il Jewish Voice for Peace lanciò un appello per aggiungere un’oliva in ricordo delle piante d’ulivo sradicate in Palestina. L’aggiunta di questo elemento al piatto come appello alla pace tra Israele e Palestina è ben vista da alcuni ebrei.

Arancio – Alcuni ebrei includono nel piatto un’arancia. L’arancia è simbolo di fertilità e fruttuosità. La sua presenza nel piatto sta a rappresentare il concetto che tutti gli ebrei, incluse alcune categorie particolarmente emarginate.

La colazione di Pasqua: origini, tradizioni e pietanze

La tradizione della colazione di Pasqua nella cultura italiana

La tradizionalissima “colazione di Pasqua”. Si tratta, infatti, di una ricchissima colazione che vede l’unione di dolce e salato. Questa ha origini antiche ed è una tradizione ancora rispettata.

La colazione di Pasqua

La colazione di Pasqua è una tradizione antica che assume caratteristiche e forme diverse in base al territorio in cui ci troviamo. Nelle tradizioni locali ogni colazione possiede le sue peculiarità

Alcuni prodotti hanno un alto valore simbolico, sono un segno che si lega alla tradizione cristiana. La Pasqua nel calendario liturgico cade sempre a Primavera, quando la natura si sta risvegliando in tutto il suo vigore, diventando segno di rinascita. L’Uovo è l’ingrediente per eccellenza.

Fin dall’antichità aveva un forte valore simbolico (l’uovo cosmico, legato ai miti della creazione del mondo e dell’Universo), nella tradizione cristiana è il segno della Resurrezione. Il suo guscio rappresenta il sepolcro, da cui Cristo resusciterà, l’interno dell’uovo è segno di forza, di potenza, della nuova vita. Nel Medioevo nasce la tradizione di regalarsi le uova (vere), mentre la tradizione golosa dell’uovo di cioccolato è molto recente, a partire dal XIX secolo.

Poi abbiamo il Pane, Il chicco di grano se non muore non genera frutto. Evidente quindi il richiamo alla morte e resurrezioneE’ il simbolo dell’Eucaristia, il pane spezzato dell’Ultima Cena. Per il pane abbiamo molte varianti sia per cottura, sia per eventuali ingredienti aggiunti nella lievitazione o nella forma. Così da avere prodotti unici nel gusto e nell’aspetto, da essere tramandati fino ai giorni nostri.

La grande varietà di ricette locali ci porta a trovare lo stesso prodotto realizzato dolce o salato, alto o basso, con ingredienti in più o in meno, e questa diversità la si può riscontrare anche tra località limitrofe.

Nelle tradizioni locali, riscopriamo la storia, i simboli e la passione tramandata da famiglia a famiglia. Un identità unica, tutta da scoprire attraverso i luoghi e i sapori.

Il tavolo è apparecchiato e decorato a tema pasquale, con posate e piatti utilizzati per l’occasione. Su questo le portate sono miste: si passa dal dolce al salato e dal salato al dolce. Ma perché si fa la colazione e non il pranzo? La motivazione, molto antica, deriva dalla necessità di mangiare molto per celebrare la fine del digiuno compiuto durante la quaresima. E cosa si mangia esattamente? I piatti che si possono trovare sulla tavola di una colazione di pasqua variano da un tipico salame denominato corallina, le uova sode , i formaggi, le torte salate, ma anche quelle dolci. E ancora la frittata con asparagi selvatici, il latte, il the e il caffe. Per i più tradizionalisti non può mancare la coratella, ovvero interiora di abbacchio, accompagnata dai carciofi, e l’agnello. E per concludere non può non esserci la colomba e l’uovo di cioccolato.

Idea Progettazione Articolo di Marilena Marino Vocedivina.it

Il Rosa della IV Domenica di Quaresima Laetare

Il Rosa della IV Domenica di Quaresima Laetare

Rallégrati, Gerusalemme,
e voi tutti che l’amate, riunitevi.
Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza:
saziatevi dell’abbondanza
della vostra consolazione.
Antifona di ingresso
(cf. Is 66,10-11)

In questo giorno la Chiesa sospende le tristezze della Quaresima; i canti della messa non parlano che di gioia e di consolazione;
si fa risentire l’organo, rimasto muto nelle tre Domeniche precedenti,si sostituiscono i paramenti viola con quelli rosa.
Gli stessi riti li abbiamo visti praticare durante l’Avvento, nella terza domenica chiamata Gaudete.
Perché in questa quarta domenica di quaresima la Chiesa ci invita a gioire, a rallegrarci?
Perché la domenica “laetare”?
Il motivo è il grande amore di Dio verso l’umanità, anche quando la situazione sembra disperata, Dio interviene, offrendo all’uomo la salvezza e la gioia.
«Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza» (antifona d’ingresso).
Dio, infatti, non se ne sta in disparte, ma entra nella storia dell’umanità, si “immischia” nella nostra vita, entra, per animarla con la sua grazia e salvarla.
“Può capitare di essere presi dall’angoscia, dall’inquietudine per il domani, dalla paura della malattia e della morte, ma questo non deve spaventarci.
E’ bene conoscere i propri limiti, le proprie fragilità, dobbiamo conoscerle, ma non per disperarci, ma per offrirle al Signore” (papa Francesco).
Lui ci aiuta, ci prende per mano, e mai ci lascia da soli!
Dio è con noi e per questo ci “rallegriamo” oggi: “Rallegrati, Gerusalemme”, dice, perché Dio è con noi.
La nostra gioia è avere accanto un Dio ricco di misericordia, che ci tiene a noi.
E’ vero ci sono limiti, tristezze, debolezze, ma il nostro alleato è un “prode valoroso” (Ger. 20,11).
Per molti studiosi la domenica Laetare, con stazione papale a S. Croce in Gerusalemme, trae la sua origine dalla terza domenica di quaresima del rito bizantino, che comportava, e comporta a tutt’oggi, l’adorazione della S. Croce, cui si tributava un omaggio di fiori profumati. A Roma si volle imitare l’uso, per cui il papa andava nella basilica di S. Croce in Gerusalemme dove si conservava un grande frammento della vera Croce, portando in mano una rosa d’oro profumata di musco, in memoria della Passione e della Resurrezione del Signore, volendo così ricordare l’omaggio fatto a lui da Maria nella cena di Betania (Gv 12,3).

La prima testimonianza diretta della rosa è del papa Leone IX nell’anno 1049, ma dal testo del pontefice si desume che questa era già una consuetudine romana. Le monache di S. Croce in Bamberga dovevano ogni anno mandare al papa la rosa dorata o di prezioso materiale affine, che con l’andare del tempo venne consacrata col crisma per poi, dopo l’omaggio alla Croce, essere donata a qualche uomo insigne o ad una città. Ancora con Paolo VI si conservava questo uso.

Dalla centralità nella celebrazione della rosa potrebbero essere sorti i colori liturgici di questa domenica che non solo esprimeva la grande gioia nella dimensione liturgica, ma anche era ricca di chiassose feste popolari.

Per la domenica terza di avvento, la cosiddetta Gaudete dalla prima parola dell’antifona di ingresso, diversi studiosi pensano ad una derivazione dalla domenica Laetare del ciclo quaresimale.

Tra tutte le domeniche di avvento questa era la più popolare per la particolare stazione papale in S. Pietro caratterizzata da una particolare ufficiatura descritta nei rituali del sec. XII (Ordo XI) e XII (Ordo X). In questa domenica piena di gioia tutta particolare per l’approssimarsi del Natale del Signore, contro l’uso di tutto il tempo di avvento, si cantava anche il Gloria.

Il colore liturgico, l’uso dei fiori e il suono dell’organo possono essere, dunque, derivati dalla domenica quaresimale. Comunque sia, al di là del gusto del nostro lettore, la collocazione che la Chiesa romana ha dato a queste particolari domenica risponde alla necessità di interrompere i lunghi e serrati ritmi del digiuno di questi due tempi liturgici. Non una prefesta, ma la risposta ad una necessità «fisiologica» dei fedeli tutti tesi a preparare le grandi solennità seguenti, il Natale del Signore e la sua Resurrezione.

Il colore rosa è un misto tra il viola, il simbolo della penitenza, e il bianco, usato nelle festività.

Questo colore, come detto, che viene utilizzato solo due volte in tutto l’anno liturgico, è tradizionalmente associato ad un senso di gioia in mezzo a una stagione di penitenza. In entrambe le domeniche (“Gaudete” in Avvento e “Laetare” in Quaresima), il rosaceo ci ricorda che la stagione di preparazione sta arrivando al termine e si sta rapidamente avvicinando una grande festività.

colori dei paramenti liturgici, quali il piviale, la casula, la dalmatica, la stola, rimandano al tempo liturgico o all’occasione festiva presente. I colori liturgici in uso sono stati codificati per volontà di Paolo VI nel Rito romano nel 1969 e sono quattro: biancoverderosso e viola. A questi colori se ne aggiungono altri, come il rosa, l’azzurro, l’oro e il nero, utilizzati nei paramenti liturgici solo in alcune occasioni particolari o come alternativa ai colori canonici. Esaminiamoli uno per uno.

Il bianco simboleggia la gioia e la purezza derivanti dalla Fede. È uno dei colori più ricorrenti nei paramenti liturgici che vengono utilizzati ogni giorno dai sacerdoti, a prescindere dal tempo liturgico e dalla festività in corso. È legato in particolare all’adorazione di Gesù e della Madonna e agli Uffici pasquali e natalizi. Simboleggia anche la risurrezione, il Cristo risorto nell’esultanza della Fede.

Dopo il bianco, il colore più utilizzato nelle messe domenicali e feriali, al di fuori di festività definite, è il verde, simbolo di speranza, costanza e ascolto perseverante. Accompagna il cammino quotidiano dei sacerdoti e dei fedeli che ad essi si rivolgono.

Il colore viola richiama la penitenza, l’attesa e il lutto. Viene utilizzato in particolare durante l’Avvento e la Quaresima. I paramenti liturgici viola caratterizzano le Messe per i defunti, nelle quali possono essere sostituiti da paramenti di colore nero.

Il rosso simboleggia la passione di Cristo e il sangue versato nel martirio da lui e dai santi. Per questo viene utilizzato per i paramenti liturgici la domenica delle Palme, il Venerdì santo, a Pentecoste, nelle celebrazioni dedicate alla Passione del Signore, nelle feste degli Apostoli, degli evangelisti e dei Santi Martiri.

Per quanto riguarda i colori non codificati, l’azzurro si utilizza soprattutto per le celebrazioni in onore della Beata Vergine Maria, specialmente nei paesi di cultura spagnola o portoghese, il rosa, indica gioia e solennità per la III domenica di Avvento e la IV domenica di Quaresima, mentre infine l’oro simboleggia la regalità e può sostituire tutti i colori in ogni occasione, sebbene di solito venga utilizzato solo in alcune Solennità di particolare importanza.

La Quaresima che porta alla Pasqua

La Quaresima che porta alla Pasqua

La vita è un cammino da sempre e per tutti. Anche la QUARESIMA vuol essere un cammino da scoprire per rimetterci in viaggio con più animo e consapevolezza!

Nella Quaresima vivremo alcuni riti molto significativi. Con l’imposizione delle CENERI sulla testa ci ricorderemo che il nostro deve essere un cammino di CONVERSIONE che comincia dal rinnovare il nostro modo di pensare, per uno sguardo più profondo e una vita più umana. Come dimenticare, poi, quel rito del giovedì santo, così sentito, della lavanda dei PIEDI. Qualcuno diceva che la quaresima è un percorso di conversione dalla testa propria ai piedi degli altri!

Dobbiamo lasciarci lavare, purificare dalla Parola e dallo Spirito di Gesù per accogliere, come famiglia di Gesù, uniti, quell’esplosione di VITA che è la Pasqua e testimoniarla agli uomini e alle donne di oggi con coraggio e amore.

Un percorso, quello della quaresima, consapevole, da vivere con leggerezza e con serietà per decidere la meta e poi non sbagliare strada nella vita. Aiutati dalla Parola di Dio saremo spinti a guardare oltre il presente che a volte ci pesa. Come in tutti i viaggi impegnativi avremo bisogno di fermarci e trovare acqua buona per dissetarci. Sarà fondamentale chiedere al Signore il dono della luce per vedere nel buio e ritrovare vita, calore, quando le forze ci mancheranno e ci verrà voglia di desistere dal camminare. Ma fondamentale sarà contemplare Gesù in croce per attraversare con Lui la sofferenza di oggi e di domani, nostra e di chi incontriamo e per ripartire con speranza, noi e gli altri.

Mercoledì delle Ceneri 2023

Il Mercoledì delle Ceneri segna, nella tradizione cristiana, l’inizio della Quaresima, il tempo di preparazione alla Pasqua.

(*) Il rito ambrosiano, osservato nella maggior parte delle chiese dell’arcidiocesi di Milano e in alcune delle diocesi vicine, fa iniziare la Quaresima con la prima domenica di Quaresima; l’ultimo giorno di carnevale è pertanto il sabato, 4 giorni dopo rispetto al martedì in cui termina per chi osserva il rito romano.

Le domeniche di quaresima sono indicate anche da un nome latino, derivato dall’introito del giorno, a sua volta tratto dall’Antico Testamento.

quaresima

Il significato etimologico, Quaresima è dal latino quadragesima, sottintendendo dies come giorno, da cui quarantesimo giorno. Il dizionario ci informa che nella liturgia cattolica è il periodo di penitenza e astinenza di quaranta giorni, dalle Ceneri al Sabato Santo.

40 GIORNI: ORIGINI E SIGNIFICATO SIMBOLICO

Vediamo subito il perché dei quaranta giorni. Questo numero simboleggia una misura di tempo spesa alla presenza di Dio. Il popolo ebraico trascorre quarant’anni nel deserto prima di raggiungere la terra promessa. Gesù trascorre quaranta giorni nel deserto prima di iniziare la sua predicazione.

Quaranta è il tempo di una generazione. Il Diluvio Universale è durato quaranta giorni e quaranta notti. La flagellazione, secondo la legge mosaica, prevedeva quaranta colpi. È un periodo di prova e isolamento, vi ricordate che, per alcune malattie, si veniva messi in quarantena? Nella liturgia cattolica le quaranta ore sono il periodo che intercorre tra la morte di Gesù, il venerdì alle quindici, e la sua risurrezione, la domenica mattina.

La storia della Quaresima è davvero antica, anche se la sua evoluzione è stata graduale, infatti, sino al II secolo, la celebrazione della Santa Pasqua era anticipata da un digiuno che non durava più di due giorni, ed era riservato soprattutto ai catecumeni oltre che alla comunità tutta. È nel secolo successivo che inizia ad abbozzarsi quella che poi diverrà la Settimana Santa, la settimana della Passione di N.S.G.C., anche se per ora i due giorni interessati erano il mercoledì e il venerdì, dove non si celebrava neppure l’Eucarestia.

Nelle settimane di preparazione era letto e commentato il Vangelo di Giovanni, il più ricco di spiritualità e di riferimento alla Passione e Risurrezione di Gesù. Dobbiamo arrivare al IV secolo perché s’inizi a parlare di Quadragesima, dove i fedeli si sottoponevano a un periodo di penitenza che durava, appunto, quaranta giorni e che iniziava con l’imposizione delle ceneri e con l’utilizzo di un sacco che fungeva da abito, segno di penitenza. Poco prima del VI secolo, il mercoledì diviene giorno dedicato alla somministrazione delle ceneri, e il rito è esteso a tutta la cristianità. Le settimane di Quaresima si allungano a sei, dando un carattere ascetico e non solo penitenziale.

LA QUARESIMA OGGI

Oggi il tempo della Quaresima è dettato dalle nuove disposizioni del Concilio vaticano II; leggasi alla voce Sacrosanctum Concilium, n. 109, che ha ripristinato il vero senso pasquale-battesimale. Ha stabilito l’inizio quaresimale il mercoledì delle ceneri sino il Giovedì Santo, Messa in Coena Domini. Il tempo di Passione inizia la Domenica delle Palme, dando inizio alla Settimana Santa. Nel Rito Ambrosiano la settimana è chiamata Settimana Autentica.

La Quaresima è l’opportunità di vivere e partecipare al Mistero della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo, puntando l’attenzione non tanto sull’atto del digiuno, ma sull’azione salvifica di Gesù. Il significato del digiuno, il Mercoledì delle Ceneri, il Venerdì per gli ambrosiani, e il Venerdì Santo vogliono sottolineare il cammino verso la propria conversione. L’astinenza dalle carni il venerdì pone l’accento come segno di rinuncia al lusso e alla mondanità, rilevando il senso cristiano della povertà, esaltando l’atto di carità verso il prossimo, così come la preghiera, che deve trovare un posto privilegiato.