Strumenti per la Consegna: 16 – Amplificazione Sonora e microfoni

Strumenti per la Consegna: 16 – Amplificazione Sonora e microfoni

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

Altro elemento critico da considerare al fine di avere una buona lettura durante la liturgia è quella di comprendere, magari anche in modo elementare, come funzionano gli impianti usati per amplificare la voce.

Un impianto di amplificazione è composto da tre tipi di attrezzature:

  • i microfoni, che servono a raccogliere la voce di chi parla, posizionati negli amboni.

  • L’amplificatore, che ha lo scopo di amplificare, potenziare i suoni catturati dai vari microfoni.

  • gli altoparlanti, colonnine verticali che servono a ritrasmettere fedelmente nell’ambiente i suoni catturati e amplificati. (voci o strumenti)

Per sfruttare meglio le potenzialità di queste attrezzature bisogna almeno capire alcune differenze fondamentali dei microfoni.

I microfoni si suddividono in 4 gruppi, in base alle caratteristiche interne di ogni tipo di microfono:

  • i microfoni onnidirezionali: che ricevono i suoni provenienti da ogni direzione;

  • i microfoni direzionali: che captano soltanto i suoni provenienti dalla direzione frontale.

  • i microfoni dinamici: che hanno una membrana interna poco sensibile per cui il lettore deve avvicinarsi molto (2/3 centimetri) per ottenere un suono consistente e hanno una qualità sonora medio bassa.

  • i microfoni a condensatore: che hanno un piccolo condensatore interno che li rende molto sensibili e di alta qualità, il lettore può parlare anche ad una distanza di 10/20 centimetri dal microfono; sono in genere protetti da una spugna “antipop” che riduce i picchi di volume generati spesso dalle consonanti “p” o “b”; sono cosi sensibili che il lettore NON deve assolutamente avvicinarsi troppo al microfono.

Normalmente un ambone funzionale deve essere dotato di un microfono direzionale e di tipo a condensatore.

Durante la lettura è importante usare variazioni di volume. Questo si può ottenere variando sia il volume della propria voce, ma anche variando la distanza della bocca rispetto al microfono.

La posizione media ideale con i microfoni a condensatore consiste nel disporre il microfono a circa venti centimetri dalla bocca, e leggermente rivolto verso l’alto.

Quando è necessario, si può variare la distanza della bocca dal microfono, con spostamenti completi della persona in modo che questi spostamenti siano visivamente meno invadenti; ogni spostamento va fatto senza abbassare la testa, cosa questa che produce un gesto troppo vistoso e poco elegante.

Va tenuto in debito conto anche la “proiezione” del suono; con questo termine s’intende la distanza a cui si vuole far giungere la propria voce. È diverso se si vuole far arrivare la propria voce a 5 o a 20 metri, perché ciò esige uno sforzo differente. Un bravo lettore deve esercitarsi a regolare la proiezione della propria voce a seconda del luogo, dell’impianto di amplificazione, dell’Assemblea e del testo.

Si possono distinguere tre zone, corrispondenti a tre distanze dai microfoni:

  • la zona dell’intimità (da 2 a 10 cm) che richiede di parlare a basso volume, in tono confidenziale;

  • la zona della conversazione (da 10 a 20 cm) che richiede di parlare come facciamo normalmente;

  • la zona del parlare in pubblico, o della proclamazione (da 20 a 35 cm) che richiede di parlare come se ci trovassimo in un locale di grandi dimensioni, con molte persone e senza microfono.

 

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Consigli pratici:

  • Prima che inizi la liturgia: controllare con un colpetto sul microfono che tutto l’impianto acustico sia acceso e controllare soprattutto l’efficienza di tutti i microfoni.

  • Sempre prima dell’inizio della liturgia: assicurarsi che all’ambone sia predisposto tutto quanto è necessario per lo svolgimento del rito.

  • Una volta arrivato all’ambone e prima d’iniziare a leggere, ogni lettore deve preoccuparsi di regolare bene il microfono alla giusta altezza, con movimenti delicati, evitando di innescare brutti rumori nell’ambiente.

  • Verificare che il Lezionario sia alla pagina esatta per la propria lettura e ben collocato per le proprie esigenze.

  • Dare uno sguardo all’Assemblea e attendere che tutti abbiano preso posto.

  • A questo punto inizia la lettura vera e propria del testo biblico.

  • Non parlare direttamente in direzione del microfono, ma leggermente spostati di lato al microfono; per evitare quei rumori sgradevoli che si producono quando si pronunciano a distanza ravvicinata nel microfono le consonanti più potenti (P e B) e quelle sibilanti (S e Z).

  • Quando si parla o canta assieme all’Assemblea (nel ritornello del salmo, o nelle acclamazioni alla preghiera dei fedeli, o nel canto in generale, ecc.) bisogna usare un volume moderato per non coprire l’Assemblea stessa.

    Se la nostra voce è troppo forte e schiaccia l’Assemblea, l’effetto che otterremo è quello che molti dell’Assemblea canteranno o risponderanno in modo molto più basso, sentendo che la propria voce ha una potenza insignificante ed è schiacciata dal cantore o dal lettore.

  • Ricordati di spegnere il telefono durante la lettura, ma non tanto per evitare che in quel momento qualcuno ti telefoni ma anche perché può trasmettere interferenze ache l’amplificazione può amplificare e diffondere in chiesa.

  • Ricorda che anche i fogli dei libri che leggiamo o i nostri movimenti su vecchi amboni di legno possono essere fonti di rumore che il microfono può rilevare.

  • Ricordati che i microfoni più sensibili amplificano tutto: il rumore di una collana o di un bracciale al polso, un problema respiratorio, di asma ecc. Anche il rumore delle vibrazioni della propria asta su cui è fissato o del leggio; quindi cerca di utilizzare il microfono con molta cautela.

  • Attenzione al cosiddetto effetto Larsen; questo è il classico “fischio” che il microfono innesca se regolato troppo alto di volume. Quindi i microfoni non devono mai essere rivolti verso i diffusori acustici presenti. E quello che il lettore puo fare per “tentare” di interrompere questo fischio tecnico è quello di alzare rapidamente il microfono verso l’alto e allontanarsi dal microfono. Mai e dico mai commettere l’errore di chiudere il microfono nel pugno della mano come per fermare questo suono fastidioso: questo gesto provocherà subito un aumento immediato del fischio in modo fastidiosissimo.

  • Davanti al microfono, ATTENZIONE, non parlare, a qualcuno che ti sta vicino, non fare commenti, non fare colpi di tosse, starnuti ecc. vicino al microfono acceso, perché il microfono amplificherà pure questi. Se devi farlo girati e allontanati dal microfono.

 

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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Strumenti per la Consegna: 15 – Carattere musicale, Articolazione, Mordente

Strumenti per la Consegna: 15 – Carattere musicale, Articolazione, Mordente

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

I compositori musicali scrivono all’inizio di ogni partitura degli aggettivi per indicare, a chi eseguirà la musica, il carattere generale della composizione.

Lo strumentista esecutore, guidato anche dal direttore d’orchestra, viene così facilitato ad entrare nella corretta interpretazione.

Se guardiamo le partiture musicali più importanti, troviamo all’inizio di ogni sezione degli aggettivi del tipo: andante, maestoso, brillante, e molte altre parole simili che danno l’idea del carattere generale che tutta la partitura musicale deve avere. Da notare che, dovunque nel mondo, questi aggettivi usati nelle partiture sono espressi in termini “italiani” perché l’Italia è stata veramente la culla della musica.

Possiamo raggruppare questi aggettivi in gruppi simili e avere una idea delle aree espressive che si possono ottenere anche con la voce:

CARATTERE TRISTE:

Malinconico, triste, severo, doloroso, commosso, dolente, patetico, tragico…

CARATTERE CALMO:

Tranquillo, intimo, quieto, delicato, sognante, calmo, dimesso, dolce…

CARATTERE ESPRESSIVO:

Poetico, lirico, espressivo, amabile, amoroso, patetico…

CARATTERE SOLENNE:

Solenne, nobile, maestoso, trionfale, imponente, grandioso…

CARATTERE BRILLANTE:

Ironico, scherzoso, gioioso, animato, agitato, vivo, brillante, energico…

Il nostro corpo è un pò come uno strumento musicale naturale; abbiamo l’aria che entra nei polmoni e che spinta nell’apparato fonatorio produce un suono che si ripercuote risuonandoin tutto il nostro corpo, nelle ossa fino al cranio. Questo per dire che tutta la nostra persona è come uno strumento musicale molto particolare che esprime diversi suoni con innumerevoli espressioni musicali, come possiamo sperimentare bene nel canto.

Quindi la potente espressività della nostra voce va usata proprio come fosse uno strumento, applicando ai brani letti una certa “musicalità”, come quella che viene suggerita nelle partiture delle grandi opere musicali. La differenza è che nei brani sacri, chiaramente, non ci sono scritti questi aggettivi, ma siamo noi che, approfondendo la lettura dei testi, dobbiamo percepire la sua caratteristica; così quell’aggettivo particolare che impostiamo forse mentalmente “colorerà” tutto il brano che leggeremo.

Abbiamo quindi esaminato tutti gli elementi espressivi della voce che un lettore deve applicare.

Questi elementi hanno una funzione ben chiara e distinguibile per le persone che ascoltano; ogni lettore deve studiare, quindi, approfondire e controllare questi elementi organizzandoli e immettendoli nella lettura secondo la propria sensibilità, in modo che chi ascolta, senta che la lettura è vera, vissuta e significativamente espressiva.

Ora ti suggerisco un piccolo esercizio: prendiamo una filastrocca di Gianni Rodari: “Il primo giorno di scuola”.

Leggendo questa filastrocca devi TROVARE il carattere “musicale” che è nascosto in ogni sezione e poi “disegnare” a fianco dei segni o dei suggerimenti per la sua lettura; poi leggerai ad alta voce la filastrocca trovando la sua musicalità che per te è più adatta.

Un secondo esercizio sarà quello di assegnare un carattere musicale alla filastrocca e cercare di rileggerla più volte secondo la “chiave” che hai deciso di impostare; ad esempio: sognante, o solenne, o tragico, o ironico ecc.

Il primo giorno di scuola

Suona la campanella;

scopa, scopa la bidella;

viene il bidello ad aprire il portone;

viene il maestro dalla stazione;

viene la mamma, o scolaretto,

a tirarti giù dal letto…

Viene il sole nella stanza:

su, è finita la vacanza.

Metti la penna nell’astuccio,

l’assorbente nel quadernuccio,

fa la punta alla matita

e corri a scrivere la tua vita.

Scrivi bene, senza fretta

ogni giorno una paginetta.

Scrivi parole diritte e chiare:

Amore, lottare, lavorare.


Passiamo ora a descrivere l’ARTICOLAZIONE.

Semplificando: per una buona articolazione è indispensabile parlare con la bocca ben aperta, soprattutto per articolare bene le vocali.

L’articolazione è il modo di come vengono creati i suoni attraverso i movimenti degli organi designati per la voce: labbra, lingua, denti, palato duro, velo palatino, cavità nasali; messi in movimento o risonanza dal flusso d’aria che fuoriesce dalle corde vocali mentre espiriamo.

L’articolazione influisce molto nella pronuncia e affinché ogni parola sia chiara occorre che sia ben “articolata”. L’uso combinato degli organi detti sopra rendono “articolato” il suono che le corde vocali producono.

Articolare significa, dunque, formare nettamente le sillabe. La sillaba è la più piccola unità fonetica che possa essere articolata e udita e nella quale una parola può essere divisa.

Il “rumore dell’articolazione” è dato dalle consonanti più sonore che si creano in bocca. Una cattiva articolazione è indotta dalla pigrizia, che induce molti a parlare con il minimo movimento dei muscoli facciali e degli organi che collaborano alla formazione delle parole.

 

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Molti non sono consapevoli della cattiva articolazione che hanno nel parlare. Se l’articolazione è fatta bene, chi ascolta può distinguere le parole anche se pronunciate a voce bassa. Al contrario se questa non è scandita bene sentirai spesso chi ti ascolta ripetere… “come?…”, “non ho capito bene…”, o peggio accigliare le sopracciglia, senza parlare, e con una espressione interrogativa, perché non ha capito proprio niente di quello che stai dicendo.

Una buona sillabazione è la prima regola per una altrettanto buona articolazione delle parole. Mentre vi esercitate davanti allo specchio, osservate il movimento dei vostri muscoli facciali. Magari “esagerate” questi movimenti nell’esercizio per ottenere una articolazione più sonora.

Si scoprirà, che per dire “ba” e “pa” si adoperano soltanto le labbra, che per dire “va” e “fa” bisogna chiedere anche l’aiuto dei denti, che per dire “na” occorre: la punta della lingua sul palato, i denti e il naso…

Insomma, bisogna vedere che l”apparecchio vocale” è formato da tanti strumenti diversi, il cui perfetto funzionamento garantisce la chiarezza dell’articolazione.

La dizione è il modo in cui articoliamo la voce. Così come la calligrafia chiara permette a chi legge di capire quello che scriviamo, così la corretta dizione consente a chi ascolta di comprendere le sillabe e le parole che pronunciamo.

Il suo obiettivo è quello di essere più chiaramente udibili a tutti nella lettura; e non solo quello di eliminare difetti di pronuncia, ma anche mirare alla efficace articolazione delle singole parole, in modo che le frasi fluiscano senza incertezze.

La perfetta dizione riesce ad ottenere una espressione vocale neutra, cioè priva di inflessioni regionali e tale da permettere una più funzionale esposizione verbale. Più otteniamo una voce neutra, più chi ascolta comprende chiaramente il messaggio che presentiamo, senza inutili distrazioni.

Parlare bene in italiano è importante soprattutto nel settore professionale; anche se in ambito familiare a volte sono ammessi intercalari dialettali o personali.

In alcune professioni, dove è importante l’uso della voce, la perfetta dizione e articolazione sono fondamentali vedi: attori, doppiatori, cantanti, presentatori, giornalisti, conduttori televisivi e radiofonici, dj, ma anche per politici, insegnanti, avvocati, formatori, guide, manager, liberi professionisti, ecc.

Possedere controllo e proprietà di linguaggio, scioltezza, padronanza dei vocaboli e consapevolezza nell’uso della voce, aumentano l’efficacia comunicativa, danno forza al messaggio e valorizzano la personalità di chi parla.

Parlare bene significa usare nel sociale una lingua comune, esente dai dialetti; questi infatti rendono difficile la comprensione e creano barriere discriminatorie; d’altro canto rappresentano anche e comunque un patrimonio culturale regionale da conservare.

Altri esercizi utili per l’articolazione sono gli scioglilingua.

Gli scioglilingua servono come dice la parola a sciogliere la lingua o meglio esercitarsi con parole difficili nella “articolazione”. Qualcuno può anche dire che servono per garantire qualche risata a cuore aperto fra amici.

Gli scioglilingua sono consigliati anche da logopedisti e coach per mantenere la concentrazione ed allenare la mente e per migliorare la propria pronuncia.

Eccovi dei “classici” da usare come esercitazione:

Sopra la panca la capra campa. Sotto la panca la capra crepa.

Una rana nera e rara sulla rena errò una sera.

Oggi seren non è, doman seren sarà, se non sarà seren si rasserenerà.

Tre tigri contro tre tigri.

Pietro Ponzio Paolo, pittore poco pratico, pensò partir per Pisa portando parecchi pappagalli parlatori.

Trentatré trentini scendevano giù da Trento tutti e trentatré trotterellando.

Apelle figlio di Apollo, Fece una palla di pelle di pollo, Tutti i pesci vennero a galla, Per vedere la palla di pelle di pollo, Fatta da Apelle figlio di Apollo.

Sul tagliere gli agli taglia, non tagliare la tovaglia, la tovaglia non è aglio, se la tagli fai uno sbaglio.

La strega stringendo lo straccio, strapazzò lo straborrito animale che stramazzò al suolo con strepito straziante.

Eva dava l’uva ad Ava, Ava dava le uova ad Eva, ora Eva è priva d’uva mentre Ava è priva d’uova

Sul campanil d’Antraccoli c’è una biribaula con trecento biribaulini: se la biribaula muore, chi li sbiribaulinerà i trecento biribaulini?

33 corridori attraversano di corsa 33 coppie di rotaie rosse, mentre 33 treni che corrono sulle 33 coppie di rotaie rosse sono costretti a rallentare la corsa per non travolgere i 33 corridori che attraversano le 33 coppie di rotaie rosse.

Ripetete questi scioglilingua, crescendo progressivamente in velocità finché non diventate maestri nel ripeterli; così potrete anche stupire gli amici ad una cena.

In funzione del lavoro che si svolge e a seconda degli obiettivi che ci si pone, ci sono diversi livelli di miglioramento della articolazione per perfezionare l’uso della corretta pronuncia italiana.

Per gli attori, presentatori, giornalisti, conduttori radiofonici, è d’obbligo frequentare una scuola di dizione per migliorare la pronuncia corretta dell’italiano e raggiungere un modo di parlare senza inflessioni dialettali o altri difetti di pronuncia. Ricorrono alle scuole di dizione tutti coloro per i quali parlare correttamente l’italiano è un prerequisito essenziale per accedere al mondo del lavoro.

Subito dopo ci sono tutte le persone che desiderano avere una buona dizione e correggere i difetti di pronuncia per esigenze personali o per accrescere la propria professionalità. In questo caso un corso di dizione può essere una soluzione adeguata. Esistono anche numerosi corsi di dizione online, che prevedono lezioni teoriche, esercizi per articolare bene le parole e test di autovalutazione.

Passiamo ora a descrivere il MORDENTE

Se cerchiamo di capire cosa significa il termine, “mordente” troviamo questo:

Spirito aggressivo, grinta, determinazione, capacità di fare presa sugli altri di persuadere gli altri, una forza determinata alla persuasione, che incide sull’animo e sulla sensibilità degli altri.

Quindi in un discorso denota uno stile di parola “ricco”, una lettura che “gioca di anticipa” e riesce a trasmettere un messaggio con grinta e determinazione

Nella tecnica musicale: abbellimento alla nota cui è applicato.

Che si tratti di una tesina di maturità, di laurea, dell’esame di scuole medie o di leggere la parola di Dio, riuscire in un’esposizione chiara, piena di “mordente” e capace di catturare l’attenzione di chi ti ascolta, può fare la differenza per il raggiungimento del massimo risultato.

Quindi il Mordente è una “tensione” di tutto il corpo, della muscolatura della voce che si esprime in una particolare articolazione vocale generale.

Il mordente è un insieme di tensioni, vibrazioni, contrazioni, modi personali espressivi che vengono immessi nel discorso e nella lettura, nell’impeto di trasmettere un coinvolgimento interiore e un trasporto umano.

Questo rende la comunicazione viva, piena di emozioni, espresse attraverso le vibrazioni vocali che la persona riesce ad immettere nelle parole pronunciate.

Un modo di rendere la lettura “penetrante”, sagace, con uno stile eloquente che riesce ad esprimere animosità, determinazione e carattere.

Quindi è anche una modalità difficile da descrivere, ma diventa come un “abbellimento” personale generato dalla sensibilità del Lettore e da una profonda rielaborazione interiore del testo.

Questo sempre si ottiene con uno studio e una concentrazione sul brano che viene letto, cercando di far vibrare la propria espressività vocale tesa a valorizzare al massimo l’intenzione dell’autore dell’opera.

 

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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Strumenti per la Consegna: 14 – Linguaggio del corpo e Contatto visivo

Strumenti per la Consegna: 14 – Linguaggio del corpo e Contatto visivo

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

La comunicazione non verbale è un elaborato codice segreto che non è scritto da nessuna parte, non è conosciuto da nessuno ed è compreso da tutti. (Edward Sapir)La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto. (Peter Drucker)

Se non vi è accordo tra le parole e quel che esprimono linguaggio del corpo e voce, l’interlocutore finirà col seguire il messaggio non verbale. (Henrik Fexeus)

Qualunque cosa tu stia facendo, la comunicazione non verbale è come un accompagnamento costante; non puoi smettere di mostrare l’espressione del tuo volto o la tua gestualità, né puoi nascondere il tono di voce. (Daniel Goleman)

Oggi si tende a inserire nelle email degli strumenti di supporto alla corretta decodifica: gli emoticon, che in fondo non sono altro che dei surrogati della comunicazione non verbale che è venuta a mancare. (Pietro Trabucchi)

Sia che tu ne sia consapevole o meno, in qualsiasi interazione con gli altri, dai e ricevi tutta una serie di segnali che vanno oltre le parole pronunciate. Ogni tuo gesto, la tua postura, il tuo tono di voce o il modo in cui mantieni il contatto visivo con i tuoi interlocutori comunicano messaggi ben precisi.

Tutto questo viene definito come: comunicazione non verbale e influisce più di quanto tu possa immaginare nelle tue relazioni. Ma ancor più durante le liturgie svolgendo il tuo ministero dall’ambone. L‘Assemblea, si ti ascolta, ma ha anche gli occhi puntati su quello che fai “oltre le parole”, cioè quello che succede “intorno” alle parole.

Il linguaggio del corpo include diverse tipologie di comunicazione non verbale:

  1. Espressioni facciali. Il volto umano è estremamente espressivo e riesce a comunicare un’ampia varietà di emozioni per avvalorare o contraddire ciò che leggiamo. Sebbene possano essere controllate, le espressioni facciali spesso si palesano senza che la persona se ne renda conto. Ecco perché sono molto importanti, perché rivelano la “verità” di ciò che l’interlocutore prova, diversamente da quello che formalmente vorrebbe manifestare a parole!

  2. Movimenti e postura. Il modo in cui le persone siedono, camminano o tengono la testa influenza la nostra percezione sulla comunicazione che ci arriva. Pensa ad esempio ad una persona che non ti guarda mai negli occhi… ti fideresti o pensi che ti sta nascondendo qualcosa?

  3. Gesti. Uno dei principali metodi di comunicazione è quello dei gesti. Gesticoliamo per rafforzare ciò che diciamo, per sintetizzare i concetti; anche se, i gesti che facciamo, non hanno lo stesso significato in tutte culture.

  4. Contatto visivo. Il modo in cui guardiamo i nostri interlocutori può comunicare diverse sensazioni tra cui interesse, affetto, ostilità, attrazione… e quindi può mantenere più o meno attiva la conversazione.

  5. Tatto. Il modo in cui stringiamo le mani, stringiamo oggetti o tocchiamo elementi dello spazio intorno a noi, comunica tutta una serie di informazioni che sfuggono dal nostro controllo.

  6. Spazio. È un’area entro cui non vogliamo che entrino altre persone. Ogni persona identifica il suo “spazio vitale” con una distanza diversa. Modificare lo spazio equivale spesso a modificare la comunicazione che vogliamo dare all’esterno.

  7. Voce. Non stiamo parlando delle parole delle nostre letture, ma in questo caso ci concentriamo su ciò che comunichiamo con la nostra voce oltre le semplici parole. Elementi come il tono di voce, le pause, le esitazioni e l’attitudine generale che tieni mentre leggi.

Quindi qualsiasi nostra comunicazione principalmente passa per la nostra bocca, ma la comunicazione si completa e si precisa dettagliatamente con tutte le altre componenti del nostro corpo: occhi, testa, mani, braccia, bocca, sopracciglia, labbra, guance, e anche le nostre gambe i piedi e la postura del nostro corpo per intero.

In definitiva studi scientifici certificano che l80% della nostra comunicazione passa a livello non verbale e solo il 20% a livello verbale. Se pensiamo alle comunicazioni moderne su WhatsApp, tutti si sono accorti che le sole parole scritte comunicano spesso concetti ambigui e che molte volte danno adito a cattive interpretazioni o rapidi litigi per incomprensioni; perché le stesse parole scritte nei social suonerebbero molto diversamente se fossero pronunciate “in presenza” e completate da tutto il restante 80% di espressioni non verbali.

La comunicazione non verbale può offrire delle informazioni aggiuntive alla comunicazione verbale, come quelle che riguardano lo stato d’animo del soggetto e l’intenzione del messaggio (per esempio far ridere o esprimere ironia). Nel corso di un dialogo, i soggetti trasmettono dei segnali che vanno oltre il significato semantico delle parole pronunciate e che possono fornire ulteriori indicazioni, utili alla comprensione e all’interpretazione del messaggio.

Questi “indizi” non verbali possono “supportare” i dati forniti verbalmente, aggiungendo enfasi al messaggio che si vuole trasmettere (per esempio quando il soggetto esprime verbalmente la propria tristezza mentre piange).

L’interpretazione del messaggio va valutata tenendo conto non solo dei differenti indizi forniti (verbali e non verbali), ma anche del contesto della conversazione e del contesto fisico in cui si trovano i soggetti, così come della conoscenza che si ha della persona che diffonde il messaggio.

La comunicazione non verbale fa riferimento alle azioni che vengono inviate in maniera intenzionale.

Molti però hanno un pregiudizio e sono indotti a credere che certa gestualità del linguaggio del corpo sia inappropriata in alcuni ambienti come le nostre chiese; e che questo disturba la lettura.

Certo, in alcune circostanze questa considerazione può essere anche vera, ma vale il fatto che paralizzarsi e bloccare qualsiasi forma di comunicazione non verbale è per forza anche questa una forma di comunicazione e il risultato può essere veramente pessimo.

La missione che siamo chiamati a svolgere, che il lettore è chiamato a svolgere, è una missione, come dicevamo, molto importante per le persone che ascoltano, per cui la parola merita di essere trasmessa con ogni strumento di comunicazione che abbiamo. L’importante è che la comunicazione sia naturale, sincera, reale e credibile, senza drammatizzazione teatrale; se la lettura, compreso anche il linguaggio del corpo, viene fatta in modo naturale, la comunicazione raggiunge il suo effetto.

La conferma se il nostro linguaggio del corpo è appropriato al contesto, al messaggio e all’ambiente, possiamo verificarla quando vediamo che l’Assemblea si sente a proprio agio e c’è stata una comprensione profonda di quello che è stato detto.

Nell’Antico Testamento spesso le parole sono suggellate con un gesto delle mani, molte volte compare la frase: “…stese la mano…” per confermare con una azione gestuale, un accadimento importante. Ma anche “…prese la mano…” per sottolineare l’azione di Dio. E ancora altre azioni gestuali sia nel Nuovo che nell’Antico Testamento con la parola “…toccò…” o con la parola “…mani…” in occasione di miracoli o imposizione delle mani.

Nelle Liturgie ogni proclamazione del Vangelo è preceduta da un “canto di ALLELUIA…”; se leggiamo nella Treccani cosa significa vediamo che è:


Esclamazione di gioia in inni e orazioni della chiesa; è una formula liturgica ebraica che ricorre in alcuni salmi detti alleluiatici, passata poi nella liturgia cristiana come acclamazione di trionfo, grido di santo tripudio: è il canto proprio del tempo pasquale”

Quindigioia, trionfo, grido di tripudio, Pasqua, cioè il passaggio dalla Morte alla Vita……….

Non mi sembra che queste emozioni che la liturgia cerca di vivere possano escludere un atteggiamento anche gestuale più alleluiatico e festoso!

Quindi se negli stessi testi sacri troviamo della gestualità, perché non dovremmo usarla noi per completare il messaggio divino se chiaramente riuscissimo a fare questo con naturalezza e cautela del contesto? E inoltre controllando sempre di non mettere a disagio nessuno e considerando anche le abitudini liturgiche delle diverse assemblee che possono esistere?


Ecco alcuni esempi di cosa intendiamo e di come usare il linguaggio del corpo durante la lettura; sono suggerimenti che poi vanno studiati seriamente per capire il limite e i confini di applicazione:

  • Si può sorridere gentilmente per esprimere accoglienza e gioia nella proclamazione; il sorriso denota servizio, sottomissione come a voler dire… non sono una minaccia, voglio aiutarti sinceramente.

  • Spesso i Lettori proclamano la Parola con un fare “tetro”, serioso, ammonitorio… ma chi sorride di rado, non sembra apparire servizievole, ma anzi come un giudice che proclama una sentenza…

  • Il sorriso è invece contagioso e predispone chi lo riceve ad ascoltare di buon grado chi lo ha lanciato.

  • Alzare le sopracciglia per sottolineare meraviglia o sorpresa.

  • Sollevare appena una mano in un punto particolare della lettura.

Santa Monica

  • Allungare una mano verso l’Assemblea quando il testo si riferisce a “te” o “voi”.

  • La mano aperta, col palmo verso l’Assemblea indica in genere disponibilità.

  • Espressione accigliata per mostrare preoccupazione o dispiacere inclinare il corpo verso l’Assemblea per dare enfasi ad una frase importante.

  • Scuotere leggermente la testa in segno di negazione o “no” o viceversa annuire di “si”.

  • Leggere smorfie di disappunto se si trasmette disprezzo o azioni deprecabili.

  • Appoggiare le mani nel Libro sull’ambone per confermare la Verità delle Parole lette.

  • Inclinare la testa di lato per indicare tenerezza o curiosità.

  • Spostare il peso del corpo da un piede ad un altro quando il dialogo passa ad un altro personaggio.

  • O cambiare la direzione in cui si punta il viso nei cambi di persone che dialogano.

Questi sono alcuni esempi, ma se ne possono usare anche altri sempre che rimangano naturali, accennati, non troppo enfatizzati, ma solamente come piccoli segni di “punteggiatura” del corpo.

Ora descriviamo alcuni gesti che sono da evitare, perché sono segnali che il corpo invia istintivamente, ma che comunicano incertezza, falsità, imbarazzo:

  • La mano sulla bocca: come a trattenere una bugia.

  • Toccarsi il naso: quando si mente, vengono liberate le “catecolamine” che provocano prurito al naso.

  • Stropicciarsi l’occhio: si verifica quando non si vuole vedere la persona alla quale si sta mentendo.

  • Sfregarsi l’orecchio: è come per non sentire, lo fanno i bambini quando si tappano le orecchie per non ascoltare i genitori.

  • Grattarsi il collo: denota dubbio o incertezza.

  • Scostarsi il colletto: perché il collo suda a seguito di un imbarazzo o di una menzogna.

  • Le dita in bocca: quando si è sotto pressione o stress elevato e c’è bisogno come di rassicurazione.

Dunque, come hai potuto intuire, comunicare in maniera efficace può essere complesso. Controllare i segnali trasmessi dal corpo più o meno involontariamente, servirà a diventare più esperto ed efficace nel servizio della Parola.

Il contatto visivo è una componente molto importante della comunicazione non verbale. Nel contatto visivo vi sono molteplici significati, si passa dal voler comunicare interesse, fino ad arrivare ad un messaggio di sfida. Ovviamente sia il contesto in cui avviene la comunicazione che l’aspetto socio culturale influenzano anche questo elemento del linguaggio non verbale.

Lo sguardo ha una forte importanza comunicativa, tanto che negli anni è entrato anche a far parte di molti modi di dire ad esempio: “lo avrebbe ucciso con lo sguardo”, “aveva una luce particolare negli occhi”, “guardare in cagnesco”, “uno sguardo sfuggente” o “uno sguardo affascinante”, “guardare con la coda dell’occhio” ed altri.

Nel corso della conversazione, lo sguardo svolge diverse funzioni a livello non verbale: attraverso il contatto oculare si può esprimere simpatia e confermare l’andamento della relazione; è provato che tendiamo a fissare di più coloro che ci sono più simpatici.

Nell’Antico e nel Nuovo Testamento ci sono circa 800 versetti dove viene citata la parola “occhi” e ci sono molti passi dove sono descritti personaggi che parlano con altri e che fanno il gesto di “alzare gli occhi” o di “guardare”. Lo scopo che dobbiamo immettere come Lettori, usando bene il contatto visivo con l’Assemblea, è quello di aiutare, chi sta ascoltando, a mantenere l’interesse per la Parola e a connettersi intimamente con essa.

Il contatto visivo è una delle cose più difficili da gestire, ed esso deve cambiare in base ai differenti contesti che ci troviamo ad affrontare. Ma usato insieme agli altri strumenti di comunicazione come le pause, i toni di voce, o sottolineare parti importanti del discorso, serve a completare e rendere naturale e comunicativa la lettura che stai proclamando. Il consiglio generale da seguire è quello di non fissare troppo a lungo l’interlocutore, o alcune persone dell’Assemblea, ma neanche di distogliere o evitare sistematicamente lo sguardo!


Per fare un esempio se leggi un brano particolarmente importante puoi rallentare il ritmo, assumere un tono più serio e proclamare le ultime parole della lettura, come una “chiusura finale”, guardando negli occhi l’Assemblea e continuando a farlo anche nella seguente piccola pausa finale.

Nella maggior parte delle culture se si vuole instaurare un rapporto che sia valido, si deve incrociare lo sguardo per il 60-70% del tempo, questo atteggiamento induce nell’altro apprezzamento.

Leggendo alcuni brani che contengono parole rivolte alle persone come: “tu, tuo, noi”, può essere importante usare il contatto visivo per comunicare all’Assemblea in modo più diretto che quello che stai leggendo è importante e riguarda “me e te o tutti noi”.

Enfatizzando, con il contatto visivo, alcune parti che contengono ad esempio il “noi” dobbiamo proiettare il messaggio con un tono caldo e avvolgente, facendo capire che quella Parola è per tutti in modo inclusivo.

Può inoltre accadere che chi parla distolga lo sguardo ogni tanto, per poi riprendere il contatto visivo e questo comportamento diventa istintivo come per appurare se chi ha di fronte lo sta ascoltando o meno e per assicurarsi se è ancora interessato al discorso e lo sta comprendendo.

Nel versante opposto, chi ascolta una conversazione dimostra che ne è interessato, se mantiene il più possibile la frequenza alta del contatto visivo.

Oppure l’ascoltatore dimostrerà di non essere interessato alla conversazione e quindi annoiato o disorientato o in disaccordo con quanto detto, se il contatto visivo si ridurrà al minimo. Se ancora chi ascolta è intento a guardare costantemente da un’altra parte, allora significa che è intervenuto un qualsiasi fattore serio che ha causato la caduta completa della sua attenzione.

Quindi lo sguardo del Lettore contribuirà a mantenere un contatto vivo con l’Assemblea, e leggendo sui loro occhi potrà ricevere altre informazioni importanti, come: controllare quante persone sono “coinvolte” o se chi ascolta è attento o è distratto o non interessato o se è d’accordo con quello che dice e se capisce veramente il brano letto o anche se… è ancora sveglio!

In definitiva, anche tenere abbassato lo sguardo e fisso nel Libro senza mai alzare gli occhi, può suggerire a chi ascolta e vede… varie “impressioni” sul lettore:

  • Che non gli interessa se le persone sono o non sono attente a seguirlo.

  • Che è stanco fisicamente e sta abbassando anche la testa, decontraendo anche le spalle, quasi concentrato sul proprio “ombelico”.

  • Che è triste e svogliato nel fare il servizio, tutto il contrario di dimostrare la Resurrezione del cristiano.

  • Sta provando diverse emozioni negative: imbarazzo o addirittura senso di colpa, dimostra di essere stato messo li per forza e non per piacere.

Chiaramente sono tutte “impressioni” che il nostro linguaggio non verbale lascia trasparire all’esterno, nonostante noi cerchiamo di “nasconderle” all’Assemblea.

Come abbiamo visto, saper osservare il proprio interlocutore è complesso. Ci sono mille sfumature da considerare per interpretare lo sguardo della persona di fronte a te. Però sapere come usare il proprio sguardo significa ottenere un vantaggio notevole nella conversazione.

Se nella lettura si prova un pò di nervosismo ed imbarazzo, nel momento di guardare negli occhi qualcuno dell’Assemblea, può tornare utile puntare la direzione dello sguardo sul muro in fondo, appena sopra le teste delle persone.

Migliore però, è la modalità di guardare negli occhi le persone saltuariamente o in modo casuale o ampio cioè qualcuno sul lato destro, poi sul lato sinistro e poi sulle prime sedie o sul fondo o sulla zona mediana.

Con questa modalità i singoli individui dell’Assemblea presteranno più attenzione perché non sapranno dove casualmente si poserà il prossimo sguardo del Lettore.

Nel contatto visivo la durata è importante, cioè più il contatto visivo è lungo e più è efficace la comunicazione. Ma certo per un Lettore sarà più difficile usare delle durate lunghe se deve comunque leggere la Parola del Libro. Per questo è sempre meglio prepararsi e studiare bene ogni brano ed esercitarsi con delle prove, fissando i punti strategici e necessari dove alzare lo sguardo con sicurezza e usare il contatto visivo con alcuni dell’Assemblea.

Altri suggerimenti da segnalare sono quelli di non usare il contatto visivo in passaggi che hanno sapore accusatorio o di condanna, perché la persona che incrocia il tuo sguardo in quel preciso momento potrebbe sentirsi come accusata o condannata personalmente!

Devi fare anche attenzione, se vuoi usare questo strumento comunicativo, perché alzando lo sguardo potresti perdere il segno del fluire della lettura; una strategia semplice è quella di leggere continuamente seguendo le righe con il dito della mano sinistra e mantenere ferma la mano a tenere il “segno” nel momento in cui si alza lo sguardo all’Assemblea.

Per concludere, anche con il contatto visivo la comunicazione sarà efficace solo se questo verrà usato in modo “naturale” come accade in una conversazione spontanea, normale.

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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Strumenti per la Consegna: 13 – La Narrazione e il Gioco di Ruolo

Strumenti per la Consegna: 13 – La Narrazione e il Gioco di Ruolo

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

La modalità con cui Gesù cercava di trasmettere la sua guida spirituale era affidata molto alla capacità di raccontare storie attraverso le parabole per raggiungere il pensiero di chi ascoltava in un modo semplice, pratico ed efficace.

Le parabole, o la modalità di raccontare storie, è una tecnica di narrazione efficace che cattura l’attenzione di tutte le persone, dai bambini agli adulti, quindi anche leggendo e impostando un tono o una cadenza del tipo c‘era una volta” questa modalità catalizza sicuramente l’attenzione di tutti.

Quando raccontiamo delle favole di buonanotte ai bambini stiamo cercando di aiutarli a prendere sonno; quando invece leggiamo storie ispirate da Dio, il nostro obiettivo sarà quello di stimolare al massimo il coinvolgimento dell’Assemblea che ci ascolta.

La narrazione orale ha radici ben profonde. Nella storia dell’uomo già dalle prime civiltà tutte le informazioni fondamentali, importanti anche per la sopravvivenza, così come altre storie epiche di quel popolo, sono state trasmesse di generazione in generazione attraverso storie narrate oralmente.

Quindi, potrebbe essere questo il motivo per cui questa forma di narrazione è quasi geneticamente rimasta in profondità nella nostra connotazione umana.

Forse è proprio per questo che istintivamente le persone prestano più attenzione alle storie narrate che a dei concetti teorici.

Per capire come impostare questa modalità di raccontare storie, basta pensare a come viene detta una favola ad un bambino: in genere si inizia con il fatidico “C’era una volta” cercando di impostare un tono, un ritmo particolare che suggeriscono un senso di avventura, di eccitazione; tutto creato facilmente con quelle paroline magiche che attirano e che catturano l’attenzione.

In seguito l’ascolto viene continuamente rilanciato con dei cambiamenti di voce per descrivere i vari personaggi e le varie situazioni: le variazioni di ritmo per sottolineare le azioni che avvengono, utilizzando anche qualche pausa, per dare tempo al bambino di pensare, di assorbire e gustare quello che abbiamo letto.

Tutto questo atteggiamento attira l’attenzione del bambino; questa “narrazione” solo per la modalità di come viene interpretata e presentata, lo mette in allarme e gli suggerisce che sta per ascoltare qualcosa di straordinariamente interessante.

Quindi la formula per mantenere l’attenzione di chi ascolta passa attraverso:

la “narrazione” usando variazioni di volume, di ritmo e di intonazioni;

– l’uso intelligente di pause per anticipare gli accadimenti e dare tempo alla riflessione;

– la capacità di creare ambienti e atmosfere diverse riempiti con stati d’animo particolari che rappresentano, con diverse impostazioni di voce, i diversi personaggi della storia.

– la modalità di raccontarla come se ci fossero più persone in azione; in pratica, cambiando “ruolo” all’interno di ogni narrazione e impersonando, cioè dando personalità concreta, ad esempio: al narratore o ad altri personaggi o all’eroe della storia.

Questi cambi di ruolo all’interno di una storia semplice, o complessa che sia, possono aiutare chi ti ascolta a comprendere meglio il carattere dei personaggi che agiscono nella storia narrata.

Ma attenzione, non stiamo dicendo che il nostro obiettivo è quello di rappresentare una storia della Bibbia in un modo “drammaturgico”!

Questa modalità “teatrale” confonde chi ti ascolta e sposta l’attenzione sull’ego personale del lettore e la sua capacità di recitazione.

La rappresentazione dei diversi ruoli che agiscono, nel racconto o nella storia, devono essere presentati sempre in modo naturale; che non vuol dire improvvisare in modo “superficiale”, perché anche in questo caso ogni narrazione va studiata prima.

Per prepararla bisogna individuare chi sono i personaggi che agiscono, che cosa stanno facendo, dove si svolge questa azione e in che ora del giorno sta accadendo questo, qual è il loro stato d’animo, che relazione c’è con il tema principale della lettura, perché quelle persone sono lì, quali sono i loro ruoli e perché dovrebbero essere importanti per chi ascolta.

La comprensione delle cose elencate prima, può suggerire al lettore di immedesimarsi meglio nei sentimenti e negli stati d’animo che la parola di Dio cerca di descrivere. La lettura, organizzata in questo modo, avrà il potere di comunicare a chi ascolta emozioni e sentimenti reali, lontani certamente da una finzione artificiale.

Quindi l’obiettivo non è quello di “recitare” bene ma raggiungere una consegna chiara e comprensibile del messaggio. Non si tratta di ricercare voci per caratterizzare e “spettacolizzare” le parti dei personaggi, ma presentare voci con sottili differenze per dare un significato diverso ai vari soggetti della storia, modificando “moderatamente” intonazione, voce, tono, volume, ritmo, pause ed enfasi.

Questo aiuterà chi ascolta a distinguere i vari ruoli che agiscono nella storia.

Facciamo un esempio con il capitolo 24 della 1Samuele:

In questa lettura agiscono diverse persone… il narratore, Saul, Davide, i soldati di Saul e quelli di Davide per cui a volte riesce difficile seguire gli interventi dei vari personaggi, per cui, utilizzando varie sfumature interpretative l’ascoltatore potrà seguire meglio l’azione che si svolge, al differenza di una lettura fredda secca priva di coinvolgimento emotivo.

Santa Monica

1 Davide da quel luogo salì ad abitare nei luoghi impervi di Engàddi. 2 Quando Saul tornò dall’azione contro i Filistei, gli riferirono: «Ecco, Davide è nel deserto di Engàddi». 3 Saul scelse tremila uomini valorosi in tutto Israele e partì alla ricerca di Davide e dei suoi uomini di fronte alle Rocce dei Caprioli. 4 Arrivò ai recinti delle greggi lungo la strada, ove c’era una caverna. Saul vi entrò per coprire i suoi piedi, mentre Davide e i suoi uomini se ne stavano in fondo alla caverna. 5 Gli uomini di Davide gli dissero: «Ecco il giorno in cui il Signore ti dice: «Vedi, pongo nelle tue mani il tuo nemico: trattalo come vuoi»». Davide si alzò e tagliò un lembo del mantello di Saul, senza farsene accorgere.  6 Ma ecco, dopo aver fatto questo, Davide si sentì battere il cuore per aver tagliato un lembo del mantello di Saul. 7 Poi disse ai suoi uomini: «Mi guardi il Signore dal fare simile cosa al mio signore, al consacrato del Signore, dallo stendere la mano su di lui, perché è il consacrato del Signore». 8 Davide a stento dissuase con le parole i suoi uomini e non permise loro che si avventassero contro Saul. Saul uscì dalla caverna e tornò sulla via. 9 Dopo questo fatto, Davide si alzò, uscì dalla grotta e gridò a Saul: «O re, mio signore!». Saul si voltò indietro e Davide si inginocchiò con la faccia a terra e si prostrò.  10 Davide disse a Saul: «Perché ascolti la voce di chi dice: «Ecco, Davide cerca il tuo male»? 11 Ecco, in questo giorno i tuoi occhi hanno visto che il Signore ti aveva messo oggi nelle mie mani nella caverna; mi si diceva di ucciderti, ma ho avuto pietà di te e ho detto: «Non stenderò le mani sul mio signore, perché egli è il consacrato del Signore». 12 Guarda, padre mio, guarda il lembo del tuo mantello nella mia mano: quando ho staccato questo lembo dal tuo mantello nella caverna, non ti ho ucciso. Riconosci dunque e vedi che non c’è in me alcun male né ribellione, né ho peccato contro di te; invece tu vai insidiando la mia vita per sopprimerla. 13 Sia giudice il Signore tra me e te e mi faccia giustizia il Signore nei tuoi confronti; ma la mia mano non sarà mai contro di te. 14 Come dice il proverbio antico: «Dai malvagi esce il male, ma la mia mano non sarà contro di te». 15 Contro chi è uscito il re d’Israele? Chi insegui? Un cane morto, una pulce. 16 Il Signore sia arbitro e giudice tra me e te, veda e difenda la mia causa e mi liberi dalla tua mano». 17 Quando Davide ebbe finito di rivolgere a Saul queste parole, Saul disse: «È questa la tua voce, Davide, figlio mio?». Saul alzò la voce e pianse.  18 Poi continuò rivolto a Davide: «Tu sei più giusto di me, perché mi hai reso il bene, mentre io ti ho reso il male. 19 Oggi mi hai dimostrato che agisci bene con me e che il Signore mi aveva abbandonato nelle tue mani e tu non mi hai ucciso. 20 Quando mai uno trova il suo nemico e lo lascia andare sulla buona strada? Il Signore ti ricompensi per quanto hai fatto a me oggi.  21 Ora, ecco, sono persuaso che certamente regnerai e che sarà saldo nelle tue mani il regno d’Israele. 22 Ma tu giurami ora per il Signore che non eliminerai dopo di me la mia discendenza e non cancellerai il mio nome dalla casa di mio padre». 23 Davide giurò a Saul. Saul tornò a casa, mentre Davide con i suoi uomini salì al rifugio.


Analizziamo le varie parti:

Versetto 1: il narratore localizza dove avviene la scena. Quindi con una voce rilassata carica di aspettative la storia quasi come una “favola di mezzanotte” o un racconto epico.

Versetto 2: i soldati di Saul parlano con voce decisa ma anticipano la trappola che cercano di suggerire a Saul.

Versetto 3: il narratore racconta tutti i movimenti complessi che accadono, grandi spostamenti di truppe a caccia di Davide.

Versetto 4: il narratore racconta come Saul si mette in pericolo da solo. Qui il lettore deve andare più lento per far comprendere quale è la situazione di pericolo in cui per imprudenza Saul si è cacciato.

Versetto 5: gli uomini di David riconoscono che quello che sta succedendo è un evento favorevole permesso dal Signore.

Versetto 6: descrizione del pentimento di Davide, il lettore deve impostare un tono compassionevole di conversione.

Versetto 7: Davide proclama ai suoi soldati di non voler uccidere Saul per motivi Spirituali, qui un tono affermativo come un proclama chiaro, letto lentamente ma in modo inequivocabile.

Versetto 8: il narratore ordina ai suoi uomini con voce risoluta di non uccidere Saul; i soldati saranno rimasti perplessi da quell’ordine.

Versetto 9: Davide esce e cerca di parlare con il Re Saul da lontano, inginocchiato, per cui il tono è implorante; e la voce è come di uno che parla da molto lontano ad un altro.

Versetto 10: Davide cerca di presentare l’opera che Dio ha voluto compiere per tutti e due. Un atteggiamento di convinzione razionale ed evidente dell’accaduto.

Versetto 11-12-13: Davide racconta l’accaduto ma sempre con tono implorante ed umile, ma anche con stupore e meraviglia di quello che è successo ed è grato a Dio perché ha rivolto a lui la benedizione.

Versetto 14: Davide cita un Proverbio della Legge. Quindi il tono del lettore deve essere diverso più ufficiale di fronte ad una parola che è la Legge per gli ebrei.

Versetto 15-16: Davide sempre più umiliato ricerca la pietà del padre, ultime esortazioni disperate.

Versetto 17: Saul con meraviglia riconosce il figlio e grida ad alta voce e piange riconoscendo la contorta situazione in cui è caduto.

Versetto 18-19-20-21-22: Saul riconosce il suo peccato e capisce con estremo dolore che il Signore lo sta abbandonando e che il “suo favore” è passato dalla parte di Davide, rilancia così una richiesta di perdono e misericordia a Davide implorando suo figlio come al nuovo Re. Spesso abbiamo sentito proclamare questo dialogo intenso e sofferto tra padre e figlio in un modo neutro, freddo, senza la profonda sofferenza interiore che la lettura cerca di raccontare.

Versetto 23: Il narratore conclude lentamente e con voce normale, precisando gli spostamenti dei due gruppi.

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Strumenti per la Consegna: 12 – Enfasi e Varietà

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Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

La varietà di una qualsiasi comunicazione parlata è quella che non ci fa perdere l’interesse ad ascoltare, mentre una lettura monotona diventa senza novità se è prevedibile e noiosa.

 

Tutte le persone reagiscono in modo attivo e favorevole ad una comunicazione articolata e variata nella sua espressione: è una reazione istintiva, perché quando non sai e non è prevedibile quello che succede dopo ogni frase, allora la mente è più attenta a recepire qualsiasi cosa sta succedendo.

Per questa reazione umana ogni lettore dovrebbe essere così intelligente da comunicare attraverso questa strategia. Tutto questo certamente, non per un utilitarismo personale, ma perché l’Assemblea sia attenta a interpretare il messaggio di Dio in modo più profondo.

Nel ciclo delle letture liturgiche ricorrono spesso alcune parole ripetute nei tempi forti o nel ciclo triennale; questo non vuol dire che la stessa lettura a distanza di un anno o più anni debba essere letta nella stessa maniera.

Ogni volta se il lettore è creativo e se lui stesso, attraverso una crescita spirituale, troverà nuovi modi per presentare questa lettura in forme diverse, detesterà una migliore ricezione da parte dell’ascoltatore.

Sappiamo che la parola di Dio è sempre nuova e non cade sulla terra senza che lo Spirito la irrighi; il lettore quindi deve sforzarsi consapevolmente di capire i nuovi contesti con nuove intuizioni: il brano si propone anche in rapporto al contesto del periodo storico in cui viene proclamato, in maniera che anche questa consegna porti frutto e nuove ispirazioni all’Assemblea che ascolta.

Questa varietà può essere innescata nella parola con lo strumento dell’enfasi.

L’enfasi è una figura retorica di tipo sintattico che consiste nell’accentuare mediante una determinata costruzione una parola o una frase, in modo da sottolinearne il significato e le implicazioni connesse.

L’enfasi è infatti un modo per attirare l’attenzione su specifiche parole frasi o idee.

Sappiamo bene che il senso della frase cambia a seconda di dove noi mettiamo l’accento principale. In base a dove cade questo accento, essa viene pronunciata un pò più forte, un pò più lenta e magari con una intonazione più alta.

Prendiamo una frase con cinque parole ad esempio:

Lunedì Pietro consegna il pacco ad Andrea”.

Ora pronunciamo la stessa frase ripetendola per cinque volte e mettendo l’accento la prima volta sulla prima parola, poi sulla seconda, ecc. Vedremo che il senso della frase cambierà per 5 volte in questo modo:

  1. Viene caricato il senso temporale preciso …il Lunedì… perché forse è la cosa più importante da comunicare, cioè il giorno in cui avverrà la consegna.

  2. Qui viene enfatizzato …Pietro… e cioè la persona unica, precisa, incaricata, che deve compiere assolutamente questa azione.

  3. Ora la cosa più importante è la …consegna… che avverrà. Questo pacco così necessario passerà finalmente da una persona ad un’altra, ma non è così essenziale: quando e chi lo farà.

  4. Il …pacco… adesso sembra che è la cosa più importante; non so, forse un pacco che contiene qualcosa di prezioso, per cui nel messaggio si capisce che bisogna fare attenzione a questo pacco.

  5. Enfatizzando l’ultima parola è come se comunichiamo a qualcuno che sta lontano, ma che è molto più vicino ad Andrea, che l’azione descritta finirà nelle mani di …Andrea…

È curioso vedere che per ognuna delle 5 enfatizzazioni possiamo ipotizzare tutta una serie di frasi e motivazioni non scritte. Ma la posizione di quell’accentuazione riesce a stimolare la nostra immaginazione e la mente va subito alla ricerca del perché quella particolare parola è stata enfatizzata e di conseguenza è diventata una PAROLA CHIAVE per l’interpretazione di tutto il messaggio.

Possiamo quindi definire L‘ENFASI come una modalità (o figura retorica) che consiste nel porre in rilievo un termine o un’espressione o una frase grazie a una “sottolineatura” che può avvenire in modo verbale (con parole), o in modo paraverbale (tono, ritmo, volume, timbro, intonazione, inflessione), ma anche non verbale (postura, gestualità, mimica facciale, ossia con il “linguaggio del corpo”).

Questa funzione che richiama l’attenzione su parole e idee che definiamo parole chiave si può attuare anche attraverso varie strategie:

  • uso delle parentesi che evidenziano qualcosa di fondamentale

  • o altre forme grafiche come il grassetto o la sottolineatura,

  • oppure usando un Volume più alto nel pronunciare certe parole

  • o rallentando e pronunciando più lentamente certe parole

  • o con un ritmo più lento in prossimità della particolare parola chiave

  • o con tonalità particolari diverse dalla modalità normale della lettura

  • con pause più lunghe posizionate prima o dopo una determinata parola

  • ma anche con altri modi non verbali cioè con il linguaggio del corpo, la sua postura, il contatto visivo

  • il lettore potrebbe anche cambiare l’enfatizzazione che lo scrittore ha stabilito, ad esempio in grassetto, sminuendolo questa ed enfatizzando invece un’altra parola particolare della frase.

Santa Monica

L’enfasi può essere considerata una tecnica “dell’insistenza”, giacché viene utilizzata dall’emittente del messaggio per attirare o ravvivare l’attenzione del ricevente e per rafforzare l’idea che si vuole esprimere.

Ci sono molti motivi per enfatizzare il testo che viene letto; ma in ogni caso questo artificio deve sembrare “naturale” senza esagerazioni. Ed ora possiamo elencare una serie di “motivazioni” che possono giustificare l’uso dell’enfasi in determinate parti delle frasi. L’ENFASI deve avere una precisa motivazione, va usata nei punti giusti e per delle ragioni concrete e motivate; non può essere usata a caso banalmente solo per stupire chi ascolta.

  • Chi ascolta, non può certamente vedere la punteggiatura del brano e le lettere Maiuscole o Minuscole; a volte nei brani possiamo incontrare parole che si presentano con iniziale “minuscola” anche se sono determinanti e anche “chiavi” del discorso. Il lettore deve capire il contesto e se necessario enfatizzare anche alcune parole che sono scritte con il minuscolo.

  • Le parole che sono delle evidenti “Parole Chiave” devono essere enfatizzate per aiutare l’ascoltatore a centrare l’obiettivo del messaggio.

  • Le parole fra parentesi, trattini o virgolette, a volte sono aggiunte come clausole subordinate. Solo il Lettore dopo aver analizzato il testo e compreso il contesto può decidere se sottolinearle con enfasi.

  • Concetti nuovi o altri già sentiti: la prima volta che si presenta una idea nuova va certamente enfatizzata per cercare di imprimere il concetto nella coscienza di chi ascolta. La seconda volta che viene toccata la stessa idea è meglio di no perché ormai ha il sapore di una cosa già sentita e quasi “vecchia”.

  • Parti del testo che hanno un sapore “insolito”, “intrigante”, vanno enfatizzate perché catturano l’interesse con il sapore del mistero o della sorpresa.

  • Parole che proiettano al trascendente. Certe parole ci spingono per il loro contenuto verso qualcosa di superiore alla materia come per esempio: sconfinato, infinito, moltitudine, tutto, espansione, aumento, ampliamento e altre del genere. Queste parole con questo potere di elevazione dello spirito possono essere leggermente enfatizzate allungandole un pò o con un tono più carico per aiutare chi ascolta ad elevare il pensiero verso il trascendente.

  • Altre parole possono suggerire forza e potere come: comandare, impossibile, deve, insistere, assolutamente ecc. L’enfasi potrebbe essere immessa con un ritmo lento con un contatto visivo all’Assemblea e separando le sillabe, come questo esempio: AS-SO-LU-TA-MEN-TE!

  • Ci sono anche alcune frasi molto “Forti”, come perle di saggezza o idee radicali che accendono lo spirito personale. Qui il Lettore può trasmettere il suo apprezzamento testimoniato con la propria vita, e il desiderio di condividere l’efficacia di queste frasi importanti con l’Assemblea; oppure presentarle con cordialità, importanza, o in un tono lento e paziente.

  • Testi che presentano conclusioni logiche e ragionamenti efficaci. Un testo che presenta un ragionamento logico in genere contiene parole tipo: perché, quindi, se, allora, quando ecc. Enfatizzando queste frasi o parole si ottiene l’effetto di smuovere e costringere l’ascoltatore a porsi questi interrogativi e accendere la propria mente per darsi risposte logiche.

Un altro esercizio interessante per giungere ad una lettura naturale ma con profonda comprensione, è quella di trasformare la lettura biblica in una modalità chiara ed attuale, così da riproclamare la lettura originale con una enfasi generata da una interpetazione più vissuta e personale.

Abbiamo già detto che i testi sacri sono frutto di traduzioni molteplici di scritti originari fatti millenni prima e quindi con un linguaggio un pò arcaico e innaturale. A volte non riusciamo a trasmettere il senso della lettura poiché le terminologie e la costruzione della frase possono essere un pò “spigolose”.

Una tecnica per esercitarsi è questa:

Riscrivi il testo traducendolo in un linguaggio attuale, in un modo semplice e colloquiale come potresti dirlo oggi ai tuoi amici.

Poi rileggi ad alta voce questa “traduzione” conversativa, adatta ai nostri giorni, che hai elaborato; leggendola ripetutamente annotati il tono della tua voce, il ritmo e il volume che usi, le enfatizzazioni che introduci e i punti in cui ti fermi o cambi velocità. Ripetendola così a voce alta ti permetterà di assorbire anche meglio il significato della Parola.

Infine ritorna al brano originale da leggere e proclamalo ad alta voce, ma immettendo l’enfasi, i ritmi e l’intonazione che avevi percepito nella seconda fase precedente. Ti accorgerai che il brano non ha più questo sapore arcaico e anche la lettura prende un fluire naturale e comprensibile.

Questo effetto automatico è dovuto all’impegno che hai messo per trasformare il brano con parole semplici e più attuali e questo ha prodotto una tua comprensione profonda del testo, che poi si riflette nell’interpretazione generale che darai alla lettura, una volta che ne avrai compreso seriamente il messaggio.

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