"Gridatelo dai tetti...."

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

La comunicazione non verbale è un elaborato codice segreto che non è scritto da nessuna parte, non è conosciuto da nessuno ed è compreso da tutti. (Edward Sapir)La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto. (Peter Drucker)

Se non vi è accordo tra le parole e quel che esprimono linguaggio del corpo e voce, l’interlocutore finirà col seguire il messaggio non verbale. (Henrik Fexeus)

Qualunque cosa tu stia facendo, la comunicazione non verbale è come un accompagnamento costante; non puoi smettere di mostrare l’espressione del tuo volto o la tua gestualità, né puoi nascondere il tono di voce. (Daniel Goleman)

Oggi si tende a inserire nelle email degli strumenti di supporto alla corretta decodifica: gli emoticon, che in fondo non sono altro che dei surrogati della comunicazione non verbale che è venuta a mancare. (Pietro Trabucchi)

Sia che tu ne sia consapevole o meno, in qualsiasi interazione con gli altri, dai e ricevi tutta una serie di segnali che vanno oltre le parole pronunciate. Ogni tuo gesto, la tua postura, il tuo tono di voce o il modo in cui mantieni il contatto visivo con i tuoi interlocutori comunicano messaggi ben precisi.

Tutto questo viene definito come: comunicazione non verbale e influisce più di quanto tu possa immaginare nelle tue relazioni. Ma ancor più durante le liturgie svolgendo il tuo ministero dall’ambone. L‘Assemblea, si ti ascolta, ma ha anche gli occhi puntati su quello che fai “oltre le parole”, cioè quello che succede “intorno” alle parole.

Il linguaggio del corpo include diverse tipologie di comunicazione non verbale:

  1. Espressioni facciali. Il volto umano è estremamente espressivo e riesce a comunicare un’ampia varietà di emozioni per avvalorare o contraddire ciò che leggiamo. Sebbene possano essere controllate, le espressioni facciali spesso si palesano senza che la persona se ne renda conto. Ecco perché sono molto importanti, perché rivelano la “verità” di ciò che l’interlocutore prova, diversamente da quello che formalmente vorrebbe manifestare a parole!

  2. Movimenti e postura. Il modo in cui le persone siedono, camminano o tengono la testa influenza la nostra percezione sulla comunicazione che ci arriva. Pensa ad esempio ad una persona che non ti guarda mai negli occhi… ti fideresti o pensi che ti sta nascondendo qualcosa?

  3. Gesti. Uno dei principali metodi di comunicazione è quello dei gesti. Gesticoliamo per rafforzare ciò che diciamo, per sintetizzare i concetti; anche se, i gesti che facciamo, non hanno lo stesso significato in tutte culture.

  4. Contatto visivo. Il modo in cui guardiamo i nostri interlocutori può comunicare diverse sensazioni tra cui interesse, affetto, ostilità, attrazione… e quindi può mantenere più o meno attiva la conversazione.

  5. Tatto. Il modo in cui stringiamo le mani, stringiamo oggetti o tocchiamo elementi dello spazio intorno a noi, comunica tutta una serie di informazioni che sfuggono dal nostro controllo.

  6. Spazio. È un’area entro cui non vogliamo che entrino altre persone. Ogni persona identifica il suo “spazio vitale” con una distanza diversa. Modificare lo spazio equivale spesso a modificare la comunicazione che vogliamo dare all’esterno.

  7. Voce. Non stiamo parlando delle parole delle nostre letture, ma in questo caso ci concentriamo su ciò che comunichiamo con la nostra voce oltre le semplici parole. Elementi come il tono di voce, le pause, le esitazioni e l’attitudine generale che tieni mentre leggi.

Quindi qualsiasi nostra comunicazione principalmente passa per la nostra bocca, ma la comunicazione si completa e si precisa dettagliatamente con tutte le altre componenti del nostro corpo: occhi, testa, mani, braccia, bocca, sopracciglia, labbra, guance, e anche le nostre gambe i piedi e la postura del nostro corpo per intero.

In definitiva studi scientifici certificano che l80% della nostra comunicazione passa a livello non verbale e solo il 20% a livello verbale. Se pensiamo alle comunicazioni moderne su WhatsApp, tutti si sono accorti che le sole parole scritte comunicano spesso concetti ambigui e che molte volte danno adito a cattive interpretazioni o rapidi litigi per incomprensioni; perché le stesse parole scritte nei social suonerebbero molto diversamente se fossero pronunciate “in presenza” e completate da tutto il restante 80% di espressioni non verbali.

La comunicazione non verbale può offrire delle informazioni aggiuntive alla comunicazione verbale, come quelle che riguardano lo stato d’animo del soggetto e l’intenzione del messaggio (per esempio far ridere o esprimere ironia). Nel corso di un dialogo, i soggetti trasmettono dei segnali che vanno oltre il significato semantico delle parole pronunciate e che possono fornire ulteriori indicazioni, utili alla comprensione e all’interpretazione del messaggio.

Questi “indizi” non verbali possono “supportare” i dati forniti verbalmente, aggiungendo enfasi al messaggio che si vuole trasmettere (per esempio quando il soggetto esprime verbalmente la propria tristezza mentre piange).

L’interpretazione del messaggio va valutata tenendo conto non solo dei differenti indizi forniti (verbali e non verbali), ma anche del contesto della conversazione e del contesto fisico in cui si trovano i soggetti, così come della conoscenza che si ha della persona che diffonde il messaggio.

La comunicazione non verbale fa riferimento alle azioni che vengono inviate in maniera intenzionale.

Molti però hanno un pregiudizio e sono indotti a credere che certa gestualità del linguaggio del corpo sia inappropriata in alcuni ambienti come le nostre chiese; e che questo disturba la lettura.

Certo, in alcune circostanze questa considerazione può essere anche vera, ma vale il fatto che paralizzarsi e bloccare qualsiasi forma di comunicazione non verbale è per forza anche questa una forma di comunicazione e il risultato può essere veramente pessimo.

La missione che siamo chiamati a svolgere, che il lettore è chiamato a svolgere, è una missione, come dicevamo, molto importante per le persone che ascoltano, per cui la parola merita di essere trasmessa con ogni strumento di comunicazione che abbiamo. L’importante è che la comunicazione sia naturale, sincera, reale e credibile, senza drammatizzazione teatrale; se la lettura, compreso anche il linguaggio del corpo, viene fatta in modo naturale, la comunicazione raggiunge il suo effetto.

La conferma se il nostro linguaggio del corpo è appropriato al contesto, al messaggio e all’ambiente, possiamo verificarla quando vediamo che l’Assemblea si sente a proprio agio e c’è stata una comprensione profonda di quello che è stato detto.

Nell’Antico Testamento spesso le parole sono suggellate con un gesto delle mani, molte volte compare la frase: “…stese la mano…” per confermare con una azione gestuale, un accadimento importante. Ma anche “…prese la mano…” per sottolineare l’azione di Dio. E ancora altre azioni gestuali sia nel Nuovo che nell’Antico Testamento con la parola “…toccò…” o con la parola “…mani…” in occasione di miracoli o imposizione delle mani.

Nelle Liturgie ogni proclamazione del Vangelo è preceduta da un “canto di ALLELUIA…”; se leggiamo nella Treccani cosa significa vediamo che è:


Esclamazione di gioia in inni e orazioni della chiesa; è una formula liturgica ebraica che ricorre in alcuni salmi detti alleluiatici, passata poi nella liturgia cristiana come acclamazione di trionfo, grido di santo tripudio: è il canto proprio del tempo pasquale”

Quindigioia, trionfo, grido di tripudio, Pasqua, cioè il passaggio dalla Morte alla Vita……….

Non mi sembra che queste emozioni che la liturgia cerca di vivere possano escludere un atteggiamento anche gestuale più alleluiatico e festoso!

Quindi se negli stessi testi sacri troviamo della gestualità, perché non dovremmo usarla noi per completare il messaggio divino se chiaramente riuscissimo a fare questo con naturalezza e cautela del contesto? E inoltre controllando sempre di non mettere a disagio nessuno e considerando anche le abitudini liturgiche delle diverse assemblee che possono esistere?


Ecco alcuni esempi di cosa intendiamo e di come usare il linguaggio del corpo durante la lettura; sono suggerimenti che poi vanno studiati seriamente per capire il limite e i confini di applicazione:

  • Si può sorridere gentilmente per esprimere accoglienza e gioia nella proclamazione; il sorriso denota servizio, sottomissione come a voler dire… non sono una minaccia, voglio aiutarti sinceramente.

  • Spesso i Lettori proclamano la Parola con un fare “tetro”, serioso, ammonitorio… ma chi sorride di rado, non sembra apparire servizievole, ma anzi come un giudice che proclama una sentenza…

  • Il sorriso è invece contagioso e predispone chi lo riceve ad ascoltare di buon grado chi lo ha lanciato.

  • Alzare le sopracciglia per sottolineare meraviglia o sorpresa.

  • Sollevare appena una mano in un punto particolare della lettura.

Santa Monica

  • Allungare una mano verso l’Assemblea quando il testo si riferisce a “te” o “voi”.

  • La mano aperta, col palmo verso l’Assemblea indica in genere disponibilità.

  • Espressione accigliata per mostrare preoccupazione o dispiacere inclinare il corpo verso l’Assemblea per dare enfasi ad una frase importante.

  • Scuotere leggermente la testa in segno di negazione o “no” o viceversa annuire di “si”.

  • Leggere smorfie di disappunto se si trasmette disprezzo o azioni deprecabili.

  • Appoggiare le mani nel Libro sull’ambone per confermare la Verità delle Parole lette.

  • Inclinare la testa di lato per indicare tenerezza o curiosità.

  • Spostare il peso del corpo da un piede ad un altro quando il dialogo passa ad un altro personaggio.

  • O cambiare la direzione in cui si punta il viso nei cambi di persone che dialogano.

Questi sono alcuni esempi, ma se ne possono usare anche altri sempre che rimangano naturali, accennati, non troppo enfatizzati, ma solamente come piccoli segni di “punteggiatura” del corpo.

Ora descriviamo alcuni gesti che sono da evitare, perché sono segnali che il corpo invia istintivamente, ma che comunicano incertezza, falsità, imbarazzo:

  • La mano sulla bocca: come a trattenere una bugia.

  • Toccarsi il naso: quando si mente, vengono liberate le “catecolamine” che provocano prurito al naso.

  • Stropicciarsi l’occhio: si verifica quando non si vuole vedere la persona alla quale si sta mentendo.

  • Sfregarsi l’orecchio: è come per non sentire, lo fanno i bambini quando si tappano le orecchie per non ascoltare i genitori.

  • Grattarsi il collo: denota dubbio o incertezza.

  • Scostarsi il colletto: perché il collo suda a seguito di un imbarazzo o di una menzogna.

  • Le dita in bocca: quando si è sotto pressione o stress elevato e c’è bisogno come di rassicurazione.

Dunque, come hai potuto intuire, comunicare in maniera efficace può essere complesso. Controllare i segnali trasmessi dal corpo più o meno involontariamente, servirà a diventare più esperto ed efficace nel servizio della Parola.

Il contatto visivo è una componente molto importante della comunicazione non verbale. Nel contatto visivo vi sono molteplici significati, si passa dal voler comunicare interesse, fino ad arrivare ad un messaggio di sfida. Ovviamente sia il contesto in cui avviene la comunicazione che l’aspetto socio culturale influenzano anche questo elemento del linguaggio non verbale.

Lo sguardo ha una forte importanza comunicativa, tanto che negli anni è entrato anche a far parte di molti modi di dire ad esempio: “lo avrebbe ucciso con lo sguardo”, “aveva una luce particolare negli occhi”, “guardare in cagnesco”, “uno sguardo sfuggente” o “uno sguardo affascinante”, “guardare con la coda dell’occhio” ed altri.

Nel corso della conversazione, lo sguardo svolge diverse funzioni a livello non verbale: attraverso il contatto oculare si può esprimere simpatia e confermare l’andamento della relazione; è provato che tendiamo a fissare di più coloro che ci sono più simpatici.

Nell’Antico e nel Nuovo Testamento ci sono circa 800 versetti dove viene citata la parola “occhi” e ci sono molti passi dove sono descritti personaggi che parlano con altri e che fanno il gesto di “alzare gli occhi” o di “guardare”. Lo scopo che dobbiamo immettere come Lettori, usando bene il contatto visivo con l’Assemblea, è quello di aiutare, chi sta ascoltando, a mantenere l’interesse per la Parola e a connettersi intimamente con essa.

Il contatto visivo è una delle cose più difficili da gestire, ed esso deve cambiare in base ai differenti contesti che ci troviamo ad affrontare. Ma usato insieme agli altri strumenti di comunicazione come le pause, i toni di voce, o sottolineare parti importanti del discorso, serve a completare e rendere naturale e comunicativa la lettura che stai proclamando. Il consiglio generale da seguire è quello di non fissare troppo a lungo l’interlocutore, o alcune persone dell’Assemblea, ma neanche di distogliere o evitare sistematicamente lo sguardo!


Per fare un esempio se leggi un brano particolarmente importante puoi rallentare il ritmo, assumere un tono più serio e proclamare le ultime parole della lettura, come una “chiusura finale”, guardando negli occhi l’Assemblea e continuando a farlo anche nella seguente piccola pausa finale.

Nella maggior parte delle culture se si vuole instaurare un rapporto che sia valido, si deve incrociare lo sguardo per il 60-70% del tempo, questo atteggiamento induce nell’altro apprezzamento.

Leggendo alcuni brani che contengono parole rivolte alle persone come: “tu, tuo, noi”, può essere importante usare il contatto visivo per comunicare all’Assemblea in modo più diretto che quello che stai leggendo è importante e riguarda “me e te o tutti noi”.

Enfatizzando, con il contatto visivo, alcune parti che contengono ad esempio il “noi” dobbiamo proiettare il messaggio con un tono caldo e avvolgente, facendo capire che quella Parola è per tutti in modo inclusivo.

Può inoltre accadere che chi parla distolga lo sguardo ogni tanto, per poi riprendere il contatto visivo e questo comportamento diventa istintivo come per appurare se chi ha di fronte lo sta ascoltando o meno e per assicurarsi se è ancora interessato al discorso e lo sta comprendendo.

Nel versante opposto, chi ascolta una conversazione dimostra che ne è interessato, se mantiene il più possibile la frequenza alta del contatto visivo.

Oppure l’ascoltatore dimostrerà di non essere interessato alla conversazione e quindi annoiato o disorientato o in disaccordo con quanto detto, se il contatto visivo si ridurrà al minimo. Se ancora chi ascolta è intento a guardare costantemente da un’altra parte, allora significa che è intervenuto un qualsiasi fattore serio che ha causato la caduta completa della sua attenzione.

Quindi lo sguardo del Lettore contribuirà a mantenere un contatto vivo con l’Assemblea, e leggendo sui loro occhi potrà ricevere altre informazioni importanti, come: controllare quante persone sono “coinvolte” o se chi ascolta è attento o è distratto o non interessato o se è d’accordo con quello che dice e se capisce veramente il brano letto o anche se… è ancora sveglio!

In definitiva, anche tenere abbassato lo sguardo e fisso nel Libro senza mai alzare gli occhi, può suggerire a chi ascolta e vede… varie “impressioni” sul lettore:

  • Che non gli interessa se le persone sono o non sono attente a seguirlo.

  • Che è stanco fisicamente e sta abbassando anche la testa, decontraendo anche le spalle, quasi concentrato sul proprio “ombelico”.

  • Che è triste e svogliato nel fare il servizio, tutto il contrario di dimostrare la Resurrezione del cristiano.

  • Sta provando diverse emozioni negative: imbarazzo o addirittura senso di colpa, dimostra di essere stato messo li per forza e non per piacere.

Chiaramente sono tutte “impressioni” che il nostro linguaggio non verbale lascia trasparire all’esterno, nonostante noi cerchiamo di “nasconderle” all’Assemblea.

Come abbiamo visto, saper osservare il proprio interlocutore è complesso. Ci sono mille sfumature da considerare per interpretare lo sguardo della persona di fronte a te. Però sapere come usare il proprio sguardo significa ottenere un vantaggio notevole nella conversazione.

Se nella lettura si prova un pò di nervosismo ed imbarazzo, nel momento di guardare negli occhi qualcuno dell’Assemblea, può tornare utile puntare la direzione dello sguardo sul muro in fondo, appena sopra le teste delle persone.

Migliore però, è la modalità di guardare negli occhi le persone saltuariamente o in modo casuale o ampio cioè qualcuno sul lato destro, poi sul lato sinistro e poi sulle prime sedie o sul fondo o sulla zona mediana.

Con questa modalità i singoli individui dell’Assemblea presteranno più attenzione perché non sapranno dove casualmente si poserà il prossimo sguardo del Lettore.

Nel contatto visivo la durata è importante, cioè più il contatto visivo è lungo e più è efficace la comunicazione. Ma certo per un Lettore sarà più difficile usare delle durate lunghe se deve comunque leggere la Parola del Libro. Per questo è sempre meglio prepararsi e studiare bene ogni brano ed esercitarsi con delle prove, fissando i punti strategici e necessari dove alzare lo sguardo con sicurezza e usare il contatto visivo con alcuni dell’Assemblea.

Altri suggerimenti da segnalare sono quelli di non usare il contatto visivo in passaggi che hanno sapore accusatorio o di condanna, perché la persona che incrocia il tuo sguardo in quel preciso momento potrebbe sentirsi come accusata o condannata personalmente!

Devi fare anche attenzione, se vuoi usare questo strumento comunicativo, perché alzando lo sguardo potresti perdere il segno del fluire della lettura; una strategia semplice è quella di leggere continuamente seguendo le righe con il dito della mano sinistra e mantenere ferma la mano a tenere il “segno” nel momento in cui si alza lo sguardo all’Assemblea.

Per concludere, anche con il contatto visivo la comunicazione sarà efficace solo se questo verrà usato in modo “naturale” come accade in una conversazione spontanea, normale.

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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"Gridatelo dai tetti...."