6 – La cura della Parola passa attraverso la cura della Persona

6 – La cura della Parola passa attraverso la cura della Persona

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

 

La voce è qualcosa di molto importante, specialmente, per esempio, per chi svolge un servizio come lettore. Per questa mansione assegnata bisogna davvero prendere maggiormente coscienza che dal modo con cui si usa la voce e la si articola, la si espone, dipende la reale efficacia del messaggio.

Pertanto, l’uso corretto della fonetica, della dizione, l’interpretazione, ecc., sono di assoluta importanza, perché avvalorano ancora di più l’enorme dono che si ha a disposizione.

Vorrei soffermarmi ancora sulla grande importanza che la Parola occupa nelle Sacre Scritture.

Bisogna prendere consapevolezza di cosa stiamo leggendo, di cosa stiamo spiegando, e situarci anche fisicamente nel racconto che abbiamo sotto gli occhi. Prendiamoci, esempio, un momento di pausa prima di proclamarlo, perché dobbiamo arrivare ad una conoscenza non solo intellettuale del testo: bisogna approfondire, cioè, vivere, quello che stiamo dicendo, altrimenti non possiamo utilizzare neanche la voce in maniera consona; e al contrario, analizzando anche com’è la nostra voce, il timbro, la modalità, il tono, noi possiamo apprendere la conoscenza persino di noi stessi, riappropriarci anche della nostra persona, conoscerci più a fondo.

Non è esagerato questo discorso, e se pensiamo di conoscere molto bene la nostra personalità, dovremmo anche riflettere sul fatto che la nostra interiorità, è soggetta a profondi cambiamenti, nel tempo, e questo influenza tantissimo anche il nostro modo esteriore di parlare. Col trascorrere degli anni, attraverso le situazioni che mutano, anche il nostro carattere, la nostra personalità è soggetta a cambiamenti, per cui quando diciamo che Dio parla oggi e la Parola raggiunge oggi la tua vita, diciamo allo stesso tempo che anche il modo di formulare un discorso esternamente è soggetto a trasformazioni col trascorrere degli anni.

La voce, infatti, non è un qualcosa di esterno a noi, come siamo abituati a credere, ma qualcosa di interno che ci appartiene, che è legato al nostro stesso essere, per cui, la voce non può essere scissa dalla nostra individualità, nel momento in cui apriamo la bocca per parlare!

La persona, infatti, la creatura umana è da sempre al centro dell’amore di Dio. Ricordate il Salmo 8,5?

….Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?”.

Così dice il bellissimo Salmo e così l’uomo deve prendersi cura di se stesso, risplendere come un vaso bellissimo, un contenitore prezioso dove si possa incarnare la divinità di Dio, dal momento che è Lui stesso a prendersene cura.

Se osserviamo tutta la creazione, la natura, gli alberi, i fiori, il cielo, gli animali, tutto risplende di questa bellezza che è in continua evoluzione verso un miglioramento, in crescendo.

Per questo anche il messaggero di Dio ha il dovere di evolversi, cercando di cogliere il meglio anche nella bellezza della propria persona senza denaturalizzarla, rispettando sicuramente i propri limiti fisici ma cercando di mettersi al posto di chi ha bisogno di recepire il messaggio di Dio che viene travasato anche da una certa estetica migliorata.

Così come non si può pretendere di apparire in un social o da qualche altra parte in pubblico se uno trascura anche la propria forma fisica, il proprio aspetto (nei limiti ovviamente della propria persona).

Per quanto riguarda l’aspetto della dizione, dell’articolazione, del tono, delle pause, delle nozioni scientifiche di quelle che sono le regole anche della pronuncia, bisognerebbe comprendere che se qualche lettore o catechista ha dei difetti inerenti a questo dovrebbe fare primariamente anche un corso a parte per migliorare, soprattutto, la pronuncia, se ci sono difetti particolari.

Bisognerebbe approcciarsi ad un vero e proprio metodo di dizione, di public speaking, per addentrarsi ancora più profondamente in quelle che sono le regole della pronuncia, per perfezionare la propria espressione per consentire al messaggio di arrivare in modo comprensibile alle platee, al popolo, al pubblico, all’ascoltatore.

Ritornando allo studio della Parola, ripetiamo che la parola di Dio è viva e può dare la vita a chi la ascolta.

 

E tu, vuoi essere un annunciatore “morto”?

E come la annunci? Accontentandoti dei tuoi difetti di pronuncia senza correggerli? Non pensi, invece, che occorre bellezza, perfezione, studio, contemplazione del mistero, affinché questa Parola possa essere degna di essere annunciata?

Ricordiamoci che, siccome noi veicoliamo il messaggio, anche la nostra persona non può essere diversa da quello che diciamo, sia interiormente, che esternamente, che esteticamente!

Come il Padre risuscita i morti e dà la Vita” dice Giovanni al capitolo 5,21,… “così anche il Figlio dà la vita a chi vuole” e prosegue Giovanni in 11,43 quando chiama il morto dal sepolcro Detto questo, gridò a gran voce: Lazzaro, vieni fuori!“.

Quando questa Parola viene predicata mediante la voce del predicatore, essa dona, a chi la ascolta esteriormente, la virtù di operare interiormente, per cui i morti riacquistano la vita e rinascono nella gioia di Abramo. Questa Parola è dunque viva nel cuore del Padre, viva sulla bocca del predicatore, viva nel cuore di chi crede e di chi ama e, siccome questa Parola è viva, non c’è dubbio che sia anche efficace.

E tu, sei efficace come questa Parola?

Sei bello come questa Parola? È importante, quindi, leggere con professionalità la parola di Dio.

A tutti gli operatori pastorali urge una vera scuola di dizione per utilizzare al meglio la voce ed entrare nelle profondità della comunicazione, per potersi degnamente esprimere senza quei difetti di pronuncia che potrebbero ostacolare e distrarre l’ascolto.

Finora hai pensato fosse già abbastanza essere lettore per proclamare un salmo, una lettura, fare catechesi e non hai mai approfondito la ricchezza della voce, non hai mai curato la sua modulazione, le varie tonalità dalle variegate espressioni, non ti sei mai accorto dei difetti che hai quando annunci la parola dall’ambone o di come arriva all’orecchio dell’uditore.

Ti sei mai registrato per sentire la tua voce?

Hai fatto mai nei tuoi confronti un’umile autocritica degli errori di pronuncia? Come puoi pretendere, poi, che l’altro ti ascolti, che non si annoi e che quel messaggio arrivi al suo cuore in modo efficace?

Scopri, dunque, la bellezza della tua voce, valorizzala, valuta l’importanza che essa ricopre, soprattutto se svolgi un servizio al pubblico, se sei un catechista, se vuoi essere un animatore o un liturgista che si fa ascoltare per l’autorevolezza con cui annuncia la parola di Dio!

Bisogna uscire dal vecchio concetto che Dio non guarda a queste cose, che noi siamo soltanto degli umili servi inutili! Vero, che siamo dei servi inutili, ma ricoperti di dignità a cui il Signore ha fatto enormi doni.

Proprio perché siamo dei servi inutili, non bisogna arroccarsi su noi stessi, ma avere il coraggio di sfruttare questi talenti, per cui è nostro dovere servire la parola di Dio nel migliore dei modi.

Il non cimentarsi nel miglioramento personale di questo mezzo di comunicazione che è la voce, potrebbe essere semplicemente una scusa per non metterti in crisi, per non evolversi e forse Dio non si compiacerebbe fino in fondo del nostro servizio.

Il Carisma della Parola si esplicita anche nel dono delle guarigioni, soprattutto quando in essa viene sviluppato quel sentimento di tenerezza, di incoraggiamento, di compartecipazione, che non può far altro che donare amore a quelli che si aspettano anche di essere “guariti” dal dono della Parola.

Se non esprimiamo la parte vitale che è il cuore e l’anima, otterremo l’effetto sonoro di una lettera proclamata senza sentimento, senza polso, inanimata; dobbiamo riscoprire quel soffio leggero dello Spirito che attraversa la Parola, la bagna, la irrora di humus, di vento, di pioggia, che è capace di irrigare il secco terreno del nostro cuore, facendo rinascere il giardino verde della speranza in chi desidera trovare un anelito di vita.

Come un tenero germoglio che sboccia a primavera, questo vento leggero contiene una forza di vita tale da raggiungere chi l’ascolta e lo risuscita a vita nuova.

Che cos’è la predicazione, dunque, se non la missione di resuscitare dalla disperazione ontica gli esseri umani che si trovano nella morte? Anche le ossa aride di Ezechiele 37,1-5 riprendono vita quando lo Spirito le raggiunge …

La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare accanto a esse da ogni parte. Vidi che erano in grandissima quantità nella distesa della valle e tutte inaridite. Mi disse: «Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?». Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai». Egli mi replicò: Profetizza su queste ossa e annuncia loro: «Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete».”

Riassumendo, quindi, un pò in breve, i principali aspetti della proclamazione della lettura, della parola di Dio, possiamo concludere che:

1 ) È importante un certo “fervore” nel pronunciare la Parola, dal momento che pronunciare la parola di Dio significa esprimere l’intensità, l’espressione dei nostri sentimenti, l’ardore, l’animazione, lo zelo, la sincerità, ma anche la tenerezza del momento, poiché leggendo in tale modo, dimostriamo un desiderio compassionevole nel conoscere i bisogni anche dell’altro che ascolta, soddisfacendo il suo desiderio di sentire la tenerezza di Dio, attraverso la consegna della sua Parola.

2) È necessario fortemente “sentire” anche noi stessi quando leggiamo, perché, connettendoci con la nostra interiorità, si conferisce valore a ciò che leggiamo, a ciò che trasmettiamo, lo facciamo nostro, lo incarniamo, diamo credibilità a Dio stesso, diciamo Amen, “è vero che Dio ha detto così”, lasciando agli altri la certezza che stiamo parlando di un Dio accessibile, vicino e non lontano dai sentimenti e dalle vicissitudini dell’uomo.

Bisogna prendere coscienza di ciò e lavorare molto sul tipo di espressione, sul tipo di tono che usiamo nel proclamare le letture con la nostra voce.

 

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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4 – Principi base per il Lettore della Parola. Profilassi e Deontologia – Terza Parte

4 – Principi base per il Lettore della Parola. Profilassi e Deontologia – Terza Parte

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

 

Il ministro non è un leader che cattura consensi per farsi il suo gruppo. È uomo di pace, di comunione e di profondo spirito ecclesiale.

Per esprimere in pienezza questa sua funzione il Lettore deve convincersi che il cristianesimo non si riduce ad un insieme di pratiche religiose, ma deve essere un fatto che coinvolge l’esistenza personale trasformata dalla fede vissuta perché l’esistenza è alimentata dalla parola di Dio; il cristianesimo non è una filosofia che ci vuole insegnare a vivere una vita diversa, ma arriva per vivere la nostra vita in un “altro modo”.

Occorre pensare a una formazione del lettore intelligente perché la celebrazione della parola di Dio è un gesto liturgico che ha una sua profonda importanza teologica ed ecclesiale; e il lettore svolge un compito fondamentale che comporta una selezione dei candidati e una “formazione continua”.

Si è creata una confusione di significati sulla parola “leggere” ritenendo che non fosse necessaria alcuna competenza specifica, né che ci si debba preparare, per leggere durante una celebrazione liturgica.

Ma la parola “leggere” indica due azioni molto diverse: leggere per sé e leggere pubblicamente, per gli altri. Nella prima azione si può anche non usare la voce, mentre per la seconda la voce è indispensabile.

E così si verifica quello che già abbiamo detto: le persone vengono incaricate di leggere alcuni secondi prima della celebrazione; lettori che, arrivano all’ambone, e vedono per la prima volta il brano da leggere; lettori che leggono distrattamente; letture importanti affidate a bambini che non possono comprenderle a fondo e nemmeno trasmetterne il contenuto, e tante altre simili disfunzioni.

Questo comporta che la parola di Dio non “arriva” all’Assemblea e la liturgia della Parola così diventa inutile. E di conseguenza anche l’omelia perde parte della sua efficacia, poiché è impossibile, spiegare ed attualizzare letture che non sono state ben ascoltate e non sono state capite.


Che cosa si può fare per cercare di risolvere problemi così importanti? Anzitutto far sì che i lettori si rendano conto che il lasciarsi andare all’impreparazione, all’improvvisazione, alla trascuratezza equivale a “prendere in giro” Dio e l’Assemblea.

Che un tale modo di comportarsi, umanamente parlando, non è serio e, cristianamente, è irriguardoso sia verso la parola di Dio, sia verso i fratelli nella fede.

L’aver preso coscienza di quanto siano importanti le leggi della comunicazione per la lettura in pubblico comporta poi che il lettore si sforzi di acquisire un’adeguata competenza tecnica, allo scopo d’imparare ad usare correttamente la propria voce e quindi consentire e favorire la trasmissione del messaggio che è chiamato ad annunciare attraverso la comunicazione orale, cioè la parola di Dio. Quindi la tecnica usata, cioè il modo di leggere, d’interpretare il testo non è un di più, un lusso: è invece la prima condizione perché sia suscitato un minimo interesse di ascolto.

Il lettore è chiamato a svolgere un compito “delicato” che sconsiglia l’improvvisazione dilagante nell’assegnare un tale ministero. Dal lettore ci si deve attendere “qualcosa di più” della semplice “lettura” di un testo biblico, che ormai anche un bambino saprebbe fare egregiamente.

Ma dev’essere in grado di esercitare con sicurezza, competenza e con stile tutta una serie di strumenti tecniche e carismi, per fare in modo che la Parola proclamata penetri con efficacia nel cuore dell’Assemblea.

Con la sua voce il lettore deve comunicare la convinzione che quello che si ascolta è “la parola di Dio”, non una parola qualsiasi ascoltata per abitudine o per conformismo. È una Parola trascendente che trasmette un messaggio di salvezza che si manifesta su un piano superiore all’ambiguità delle parole umane.

Gli obiettivi che devono definire un progetto di formazione per l’esercizio del ministero del lettore sono due:

  • dev’essere stimolato a una vita cristiana più impegnata e coerente,

  • deve apprendere certe nozioni tecniche essenziali per un servizio efficace.

Questi due obiettivi possono essere applicati in un percorso formativo che segue queste quattro direzioni:

  1. LA FORMAZIONE SPIRITUALE. Un qualsiasi incarico all’interno di una liturgia non può essere inteso come un fatto operativo e funzionale, ma presuppone una adesione consapevole di chi si rende disponibile, oltre che a svolgere un certo servizio, anche a fare un’esperienza di fede.

    Ogni ministero presuppone di vivere una concreta ed intensa esperienza di fede, uno sperimentato amore, al servizio nella comunità cristiana, la decisione dedicare tempo al servizio scelto, e l’impegno ad apprendere le competenze necessarie se non si hanno già e, la volontà convinta di vivere la spiritualità che quel ministero presuppone.

    Ogni ministero non può essere considerato solo come “prestazione” rituale, una specie di manovalanza volontaria solo operativa, ma costituisce un dono reale che lo Spirito Santo concede per il bene della Chiesa e comporta una grazia invocata dall’intercessione della Chiesa.

    Un ministero che non è alimentato da una vita di fede pian piano finisce per essere una semplice prestazione rituale. Per questo è fondamentale che la formazione spirituale del lettore non può essere delegata alla istintiva auto formazione delle singole persone. Ogni ministero presuppone una spiritualità ecclesiale, aiutata e sostenuta nel suo cammino.

  2. LA FORMAZIONE BIBLICA. Per svolgere bene il compito del lettore certo non si richiede una perfetta padronanza dei testi biblici, ma almeno un amore alla parola di Dio e, una frequentazione assidua della Scrittura. Questo avviene attraverso lo studio e la meditazione personale della parola di Dio, in modo che lo spirito del lettore sia costantemente orientato verso la Parola che proclama nella liturgia.

    Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi”.

    La formazione biblica del lettore, dev’essere finalizzata anche in senso ministeriale per conoscere sempre meglio la parola di Dio e proclamarla con maggiore efficacia:

    La formazione biblica deve portare i lettori a saper inquadrare le letture nel loro contesto e a cogliere il centro dell’annunzio rivelato alla luce della fede”.

  3. LA FORMAZIONE LITURGICA. Il lettore si pone al servizio di una struttura rituale che egli deve conoscere e animare; anche se il fascino della Bibbia può essere proposto anche in gruppi, fuori della liturgia. Perciò il lettore deve conoscere e rispettare la struttura rituale della liturgia della Parola, per consentire che questa emerga e interpelli l’Assemblea e che renda possibile l’accoglienza del suo messaggio e la conversione della vita.

    L’OLM è sempre preciso ed esigente nell’indicare le mete di un cammino di formazione liturgica dei fedeli: “La formazione liturgica deve comunicare ai lettori una certa facilità nel percepire il senso e la struttura della liturgia della Parola e le motivazioni del nesso fra la liturgia della Parola e la liturgia Eucaristica”.

    Quindi non ci si può improvvisare lettori e chiedere al primo che capita di svolgere questo servizio.

    La consapevolezza di dover essere strumenti dell’annuncio della parola di Dio a un’assemblea riunita dovrebbe rendere i lettori e i principali operatori pastorali più attenti all’importanza di una seria formazione liturgica di chi è chiamato a proclamare la Parola nell’ambito della liturgia.

  4. LA FORMAZIONE TECNICA. Un ultimo importante aspetto della formazione è quello riguardante le tecniche della comunicazione umana. I testi sacri che il lettore proclama, sono dei messaggi da “comunicare” a un gruppo di persone. Per tale compito bisogna conoscere e rispettare le tecniche della comunicazione orale.

 

La proclamazione della parola di Dio può essere definita come una vera e propria arte, diversa dall’oratoria o dalla declamazione teatrale.

 

 

Anche se le tecniche fondamentali sono simili, l’approccio espressivo dev’essere diverso. Il lettore non deve porre in evidenza se stesso, ma il testo biblico.

 

  1. Egli è uno strumento: non legge un testo “qualsiasi” ma proclama l’evento della salvezza. Il carattere pubblico della lettura esige, che siano rispettate alcune regole fondamentali: non si può leggere davanti agli altri come si fa per proprio conto, quando si legge un libro o un giornale; non si parla in pubblico come quando si conversa fra amici o ci si trova al bar.

    La lettura dei testi liturgici è una proclamazione che avviene nel contesto di una celebrazione che ha un carattere sacramentale e attualizzante, ed in presenza di un’assemblea di fedeli molto eterogenea.

Andiamo ora verso la conclusione riportando ancora alcune citazioni ufficiali che ci aiutano, se ancora ce ne fosse bisogno, a capire il perché di questo compito fondamentale nella liturgia.

  • Perché... “è Cristo che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura” (Sacrosanctum Concilium, Concilio Ecumenico Vaticano II)

  • La tradizione cristiana affidava volentieri questo ministero ai fedeli che avevano confessato la fede durante le persecuzioni. Cipriano di Cartagine (m. 258) spiega: “Alla voce che ha dato a Dio prova di epica testimonianza null’altro è più appropriato che risuonare nelle solenni proclamazioni della parola di Dio… che leggere il Vangelo: è giusto che dal patibolo passi all’ambone” (da Lucien Deiss, Celebrare la Parola, Ed. Paoline, 1992).

  • Con le letture si offre ai fedeli la mensa della parola di Dio e si aprono loro i tesori della Bibbia. Poiché secondo la tradizione l’ufficio di proclamare le letture non spetta al presidente ma ad uno dei ministri, conviene che, d’ordinario, il diacono, o, in sua assenza, un altro sacerdote legga il Vangelo; un lettore invece legga le altre letture” (Principi e norme per l’uso del messale romano).

Concludiamo adesso questa serie di riflessioni con una bellissima poesia dedicata allo Spirito, visto che nel Nuovo Testamento si troverà molte volte la parola Spirito Santo, una presenza davvero consolante e fondamentale che ci aiuta a trovare coraggio e forza per dare significazione a ciò che ci proponiamo di fare in questo particolare percorso dedicato alla parola di Dio.

O Spirito Santo, la cui voce ascolto nel vento e il cui respiro fa vivere il mondo, ascoltami, sono uno dei tuoi tanti figli e vengo a te: sono piccolo e debole, ho bisogno della tua forza e della tua sapienza… lasciami camminare tra le cose belle e fà che i miei occhi possano ammirare il tramonto rosso e d’oro, fa che le mie mani possano rispettare ciò che hai creato e le mie orecchie sentire chiaramente il suono della tua voce!”

 

 

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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4 – Principi base per il Lettore della Parola. Profilassi e Deontologia – Seconda Parte

4 – Principi base per il Lettore della Parola. Profilassi e Deontologia – Seconda Parte

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

 

Non farciamo la parola di Dio con inutili sentimenti pietistici ammantati di religiosità soporifera, dal momento che la vera umiltà consiste molte volte nell’essere veritieri e sagaci anche nei rapporti col Signore e se proprio dobbiamo onore a Dio, dobbiamo pensare a rispolverare la dignità dell’essere cristiani, manifestandola nella lieta consapevolezza che Lui ci ha anche eletti per svolgere questo servizio e non nasconderci dietro la maschera della finta paura.

La grande lode consiste, dunque, nel rendere visibili, senza paura, i doni e i talenti a vantaggio di tutti e non solo a vantaggio personale.

Altre volte si può essere sopraffatti anche dalla certezza di essere già lettori esperti e che niente di nuovo abbiamo da imparare: ci si prende anche troppo sul serio, ed è vero che il compito che ci aspetta è importante, ma tradiamo all’esterno molte volte un atteggiamento severo e aspro, come di rimprovero, diventiamo perentori, rigidi anche nell’espressione, dando la sensazione agli altri di essere senza gioia o, al contario, assumiamo posture spettacolari, troppo sceniche, esprimendo talvolta mimiche eccessivamente drammatiche, lasciando agli altri la sensazione di ascoltare letture asciutte, senza vita, senza nessun sentimento o espressione, causando così perdite di concentrazione, mancanza di freschezza e ispirazione.

Queste sono tutte problematiche, atteggiamenti, sentimenti e barriere nocive che ci impediscono di essere fedeli trasmettitori o lettori o annunciatori o catechisti della parola di Dio.

È importante far risaltare dal cuore la parte vitale, l’anima, la nostra essenza: senza questa, la lettera è morta, è un cadavere, uno scheletro, un qualcosa di freddo, inanimato che rimbalza senza effetto.

La voce è un amplificatore delle nostre emozioni e quindi dobbiamo cercare di non mettere maschere quando siamo incaricati di parlare, o di leggere, soprattutto quando ci troviamo davanti agli altri che, ascoltando quello che leggiamo, avranno subito una valutazione immediata di quello che anche noi siamo interiormente, mentre proclamiamo la parola di Dio.

Certamente non è un lavoro semplice da fare con noi stessi, al nostro interno, ma, se almeno siamo consapevoli di tutto questo processo, faremo più caso al modo di esporci al pubblico.

Un consiglio sano sarebbe di combattere con sincerità e genuinità alcuni atteggiamenti estremi: o tanta gioia, o tanta tristezza, o poca enfasi o troppa pomposità nel leggere, cercando di togliere qualsiasi senso personale e individualistico.

Dovremmo cercare di mantenere fuori dalla nostra lettura il senso personale che non vuol dire essere senza carattere o nemmeno tenere la nostra individualità completamente fuori dalla nostra lettura.

Non è così. Certamente l’individualità e il senso personale non devono essere troppo accentuati quando si legge la Parola, ma la propria essenza è molto importante, perché sono riflessi del dono di Dio che è unico nel nostro riguardo, dal momento che siamo tutti esseri speciali e caratteristici.

Ognuno è unico, porta dentro e fuori stampati dei segni originali, quella scintilla divina originaria che l’Eterno ha regalato a ciascuno e che bisogna lasciar emergere, proprio per quella bellissima incidenza di divino e umano di cui abbiamo parlato.

Riprendo un pò i principali aspetti della lettura per quanto riguarda la proclamazione e vorrei indicare anche alcune linee guida per chi svolge il compito di catechista; possiamo dire che è importante il fervore nel pronunciare la parola, dal momento che pronunciare la parola di Dio significa esprimere l’intensità, l’espressione dei nostri sentimenti, l’ardore, l’animazione, lo zelo, la sincerità, ma anche la tenerezza.

Leggendo con delicatezza, quando occorre, noi dimostriamo un desiderio compassionevole nel conoscere i bisogni anche dell’Assemblea che ascolta, soddisfacendo il suo bisogno di sentire la tenerezza, la compassione, sentire-con, di Dio attraverso la consegna della sua Parola; è necessario fortemente sentire anche noi stessi, entrare in empatia col nostro essere.

Quando trasmettiamo qualcosa, quando, in questo caso, parliamo, ci connettiamo con la nostra interiorità, non siamo estranei da essa, ma diamo valore a ciò che leggiamo, a ciò che trasmettiamo, lo facciamo nostro, incarniamo uno stato emotivo, lo assumiamo, affinché questa parola, attraverso la nostra lettura, aggiunga valore, ricchezza e, soprattutto, accoglienza, credibilità, lasciando agli altri la sensazione che stiamo parlando di un Dio accessibile, vicino allo stesso ascoltatore, non lontano dai sentimenti e dalle vicissitudini dell’uomo.

Questa forma di autocoscienza è importantissima perché diventa una modalità reale in cui si fa presente Dio, quindi bisogna molto lavorare sul tipo di espressione, sul tipo di tono che usiamo nel proclamare le letture.

Ci intratteniamo, adesso, su questi piccoli passi tratti dalla Sacra Scrittura, proprio per far comprendere quanto sia vitale scrutarli affinché gli altri possano comprendere bene il loro contenuto.

In Atti 8,26-31, abbiamo già visto un dialogo tra un angelo del Signore che parla a Filippo e la sua relazione con l’eunuco. In quel passo abbiamo compreso come sia necessario tramandare la parola di Dio e istruire gli altri attraverso un mandato che si estende a chi ha il compito di illuminare le persone a proposito dei misteri divini.

Ma se dobbiamo “illuminare” gli altri perché allora molte volte non ci ascoltiamo abbastanza per sentire che, mentre parliamo, ci sono dei grandi errori di pronuncia e di dizione che andrebbero affrontati in separata sede. E perché non ci ascoltiamo abbastanza?

Riflettiamoci un poco su questo atteggiamento istintivo.

Bisogna sfatare il pregiudizio di credere che, dal momento che si pronuncia la parola di Dio e siccome il Signore ha scelto soltanto dei pescatori, dei poveri uomini non molto istruiti per essere testimoni e annunciatori nel mondo, non abbiamo bisogno di progredire in quella che possiamo chiamare anche l’estetica della parola, la cura, la bellezza, se così possiamo definirla.

Essa ci rimanda inevitabilmente all’importanza di dover abbellire la Parola con suoni vocalici appropriati, e perché no, alla doverosa necessità di impreziosire con le giuste regole di dizione, di grammatica, qualunque passo che leggiamo, che sia Vangelo, salmo, versetti , antifone nelle liturgie delle ore, preghiere, o catechesi varie.

Se prendessimo la sana abitudine di registrarci, anche con i semplici strumenti tecnologici a disposizione, scopriremmo, con piccole dosi di autocritica sincera, che la nostra voce e il nostro modo di leggere va incontro a parecchi difetti: di pronuncia, di dizione, di intonazione vocale e così via… è anche normale questo e non dobbiamo colpevolizzarci o sorprenderci più di tanto, perché manca proprio questa educazione dell’orecchio che non si ascolta abbastanza mentre la bocca parla.

Più avanti tratteremo in questo libro, in alcuni punti precisi, di come sia necessario registrarsi e ascoltare la propria voce mentre si declama una lettura; approfondiremo meglio alcuni aspetti nevralgici in merito, suggerendo anche piccoli consigli per migliorare la pronuncia e la lettura espressiva della parola.

Occorre anche chiedersi: pensi di essere convincente nel trasmettere la giusta autorevolezza a questa Parola o sei convinto che essendo una persona con tanti difetti, non c’è bisogno di impegnarsi più di tanto?

Parlo anche a livello fisico, estetico; non sto parlando di essere vincitori di concorsi di bellezza o fitness, ma di sviluppare la consapevolezza che si può migliorare anche esternamente; è di fondamentale importanza, perché molti pensano che la Parola enunciata all’esterno sia un qualcosa che è dissociato dal modo di apparire della persona che legge.

Mi spiego meglio. Viviamo in tempi in cui la società è in continua evoluzione anche dal punto di vista mediatico e non possiamo negare che molti catechisti, liturgisti, o chi parla in pubblico e fa catechesi, eccetera, ricorrono ai media e ai tanti mezzi di comunicazione che assicurano una certa visibilità.

 

E non si può fare a meno di notare, proprio perché stiamo anche tanto tempo a guardare in rete i contenuti che vengono realizzati, che occorre mostrare, per quanto possibile, anche una certa estetica gradevole, non solo alle orecchie, ma anche alla vista.

Occorre una certa responsabilità e anche una una certa modalità di proporsi esteticamente all’altro, al pubblico, un’eleganza e un porsi davanti alle persone in modo dignitoso anche nel vestirsi, di presentarsi con un aspetto ben curato, per quanto possibile, come dire che “Anche l’occhio vuole la sua parte”, non solo l’orecchio!

Possiamo e dobbiamo migliorare, sempre, anche esteticamente la nostra persona, proprio perché siamo chiamati a trasformarci in creature armoniche che si mettono in sintonia con tutta la persona mentre proclamano la parola di Dio, e non parti slegate di corpo e mente divisi in se stessi, che mentre dicono una cosa ne dimostrano un’altra. Far presente in pubblico una certa bellezza, non solo nella pronuncia abbellita e migliorata grammaticalmente ma anche esteticamente.

C’è necessità di curare la nostra persona?

Bene, lo faccio per amore a Cristo e al compito che devo svolgere, c’è bisogno di mettere anche una montatura di occhiali diversa, migliorare il nostro aspetto in piccola parte, esempio, perché noto che rende meglio e sono anche più gradevole? Perfetto, ci provo!

I capelli, i denti, il sorriso, il modo di pettinarsi, di portare i capelli, vestirsi,ecc… come se per amore a Cristo, cambio addirittura fuori, oltre che dentro, facendo un regalo non solo alla mia persona che si sente anche megliore, oltretutto, più in sintonia anche con se stessa, ma anche al pubblico dei fedeli, che a maggior ragione hanno un certo diritto di vedere, oltre che sentire, la bellezza della Resurrezione, che per prima si manifesta in te che in quel preciso momento ti mostri agli altri.

Mi sforzo, insomma, in tutto ciò che mi è permesso alle mie possibilità di fare, anche se sono consapevole di non essere affatto superman o qualcuno legato a degli esagerati estetici ritocchi, ma, almeno, ci voglio provare, perché mi rendo conto che, in minima parte e per quanto possibile, questo migliora in tutto il compito che mi spetta di annunciatore della parola di Dio.

Romani 8,28-30:

Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati”.

Questi sono pensieri che potresti avere…

Ah, ma tanto fa lo stesso, se non mi vesto in maniera decente, perché tanto l’importante è Dio… è Lui che deve apparire, non io, quando parlo in pubblico, è sempre Lui il protagonista, non io, fa lo stesso se … non mi pettino, vado sgualcito, se non cerco di curarmi anche nei miei atteggiamenti, tanto l’importante è Dio che opera nelle persone e non sono io il protagonista… che importa, e poi sono debole, non ce la faccio a migliorarmi!”.

Attenzione, invece, a questo tipo di risposte. Vero che è Dio che opera nella gente e trasforma i cuori, vero che l’efficacia della sua Parola produce i suoi effetti e resta incisiva se non viene rivestita da orpelli umani e che Dio ci ama così come siamo, non guarda tanto al nostro aspetto esteriore, ma guarda al cuore.

Ma altrettanto vero è il concetto che Dio desidera raggiungere le persone anche attraverso la tua persona che, necessariamente, può essere soggetta a cambiamento e deve apparire bella in tutto, in tutta la sua professionalità ed eccellenza, è un servizio completo sotto tutti i punti di vista, proprio perché si parla di Dio e non di un essere qualunque!

Ricordandoti di questa elezione da parte di Dio nei tuoi confronti, cerca di rispolverare la dignità di cui ti ha rivestito e di non rendere vana la Sua chiamata nei tuoi confronti nell’esercitare un ministero così importante, ma sforzati di essere una persona completa e tendere alla perfezione!

Devi sempre cercare di metterti in discussione, lettore o catechista, chiunque tu sia che annunci la sua Parola, di guardarti dentro e fuori, di riflettere continuamente, di migliorarti per amore verso te stesso e verso le altre persone.

Se continui ad essere uno strumento stonato, che intona una melodia che non rispecchia la sinfonia meravigliosa che Dio ha creato, non stai dando valore alla tua missione; bisognerebbe sentirsi sempre all’altezza del compito che ti è stato assegnato, anche se la debolezza umana è quel contenitore fragile che la grazia di Dio riempie continuamente senza mai stancarsi per consentirti di procedere spedito nel tuo compito.

Per quanto riguarda la missione che si deve svolgere, ricordiamo il grande testimone di Dio, Mosè, che si sente chiamato per nome da Lui, come a dire che viene visto per quello che è, nella sua unicità e concretezza esistenziale; egli si mostra balbuziente e impacciato nella parola (Esodo 4,10-13):

Mosè disse al Signore: Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua”.

Viene in soccorso a questa incombenza Dio stesso che gli risponde:

Il Signore replicò: Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? Ora va’! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire. Mosè disse: Perdona, Signore, manda chi vuoi mandare!”.

Un altro fedele aiuto di Mosè, Aronne, sarà la sua bocca per pronunciare i messaggi dell’Altissimo e per andare dal faraone d’Egitto (Esodo 7,1-2).

Il Signore disse a Mosè: Vedi, io ti ho posto a far le veci di Dio di fronte al faraone: Aronne, tuo fratello, sarà il tuo profeta. Tu gli dirai quanto io ti ordinerò: Aronne, tuo fratello, parlerà al faraone perché lasci partire gli Israeliti dalla sua terra”.

Ancora in Esodo 3,6 il Signore risponde a Mosè quando lui si avvicina per guardare un roveto che brucia e non si consuma e Dio lo chiama dicendo: E disse: Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe.

La voce che lo chiama viene dal fuoco, ma notiamo come tutti i sensi vengono coinvolti nel racconto, non soltanto la voce, ma anche la vista, l’udito, i sensi. Ma anche di questo aspetto parleremo in seguito, in questo libro.

In definitiva la riforma liturgica del Concilio Vaticano II ha ridato valore e credibilità alla liturgia della Parola. Ma nel contempo si assiste spesso a un fenomeno di “spontaneismo” e di “auto promozione” ai ministeri che ha generato una repentina esplosione di lettori.

Cioè si è consentito a tutti i “fedeli volenterosi” di assumere il ministero della proclamazione della parola di Dio. Una elargizione di ministeri vissuta un pò nella più ingenua improvvisazione, come se la parola di Dio possa essere proclamata facilmente da tutti come fosse un incarico che magicamente trasformava le persone anche senza un’adeguata selezione e formazione.

Certo, questa non è una denuncia di chissà cosa è avvenuto, è stato per certi versi anche una buona cosa accogliere molte persone ispirate a partecipare attivamente alle liturgie, ma diciamo solo che questo fenomeno degli ultimi anni meriterebbe una qualche rettifica organizzativa.

La proclamazione della parola di Dio non può essere vissuta come un’occasione in più per fare spazio ad un certo spontaneo attivismo celebrativo, che spinge chiunque ad assumere ruoli e funzioni nell’ambito della liturgia.

I ministeri non possono essere delle gratificazioni ecclesiali da conferire a persone benemerite, ma a quanti già di fatto hanno dato e danno prova di disponibilità al servizio.

  "Questo libro è dedicato a tutte le persone che desiderano imparare ad avere profonda consapevolezza delle PAROLE della Bibbia e riuscire a proclamarle con autorevolezza e sicurezza"
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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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4 – Principi base per il Lettore della Parola. Profilassi e Deontologia – Prima Parte

4 – Principi base per il Lettore della Parola. Profilassi e Deontologia – Prima Parte

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

 

Partiamo subito da alcune definizioni formali della Chiesa che definiscono i compiti del ministero del Lettore.

  • Il lettore è istituito per l’ufficio, a lui proprio, di leggere la parola di Dio nell’Assemblea liturgica. Pertanto, nella messa e nelle altre azioni sacre spetta a lui proclamare le letture della Sacra Scrittura (ma non il Vangelo); in mancanza del salmista, recitare il salmo interlezionale; quando non sono disponibili né il diacono né il cantore, enunciare le intenzioni della preghiera universale dei fedeli; dirigere il canto e guidare la partecipazione del popolo fedele; istruire i fedeli a ricevere degnamente i sacramenti.

    Egli potrà anche – se sarà necessario – curare la preparazione degli altri fedeli, i quali, per incarico temporaneo, devono leggere la Sacra Scrittura nelle azioni liturgiche. Affinché poi adempia con maggiore dignità e perfezione questi uffici, procuri di meditare assiduamente la Sacra Scrittura.

    Il lettore, sentendo la responsabilità dell’ufficio ricevuto, si adoperi in ogni modo e si avvalga dei mezzi opportuni per acquistare ogni giorno più pienamente il soave e vivo amore e la conoscenza della Sacra Scrittura, onde divenire un più perfetto discepolo del Signore” (da Ministeria quaedam, Paolo VI-1972).

  • L’ufficio liturgico del lettore è la proclamazione delle letture nell’Assemblea liturgica. Di conseguenza il lettore deve curare la preparazione dei fedeli alla comprensione della parola di Dio ed educare nella fede i fanciulli e gli adulti.

    Ministero perciò di annunciatore, di catechista, di educatore alla vita sacramentale, di evangelizzatore a chi non conosce o misconosce il Vangelo.

    Suo impegno, perché al ministero corrisponda un’effettiva idoneità e consapevolezza, deve essere quello di accogliere, conoscere, meditare, testimoniare la parola di Dio che egli deve trasmettere” (da I ministeri nella Chiesa, CEI-1973).

  • Sua funzione è quella di: proclamare la parola di Dio nell’Assemblea liturgica, studiarsi di educare nella fede i fanciulli e gli adulti, prepararli a ricevere degnamente i sacramenti, annunciare il messaggio della salvezza agli uomini che lo ignorano ancora” (da Evangelizzazione e Ministeri, CEI-1977).

  • Il lettore ha nella celebrazione Eucaristica un suo ufficio proprio, che deve esercitare lui stesso, anche se sono presenti ministri di ordine superiore” (da Principi e norme per l’uso del Messale Romano).

    Il ministero del lettore, conferito con rito liturgico, deve quindi essere tenuto in onore. I lettori istituiti, se presenti, compiano il loro ufficio almeno nelle domeniche e nelle feste, specialmente durante la celebrazione principale.

    Si potrà affidar loro anche il compito di dare un aiuto nel predisporre la liturgia della Parola, e, se necessario, di preparare gli altri fedeli che per incarico temporaneo debbano proclamare le letture nella celebrazione della Messa” (da Introduzione al lezionario domenicale e festivo, 1981).

La proclamazione della parola di Dio non può essere improvvisata o affidata a chiunque. Indipendentemente dalla lettura più o meno comprensibile, è la mancanza di rispetto verso la Scrittura che costituisce una contro testimonianza e rappresenta un ostacolo all’incontro con Dio.

  • Perché i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave e vivo amore della Sacra Scrittura, è necessario che i lettori incaricati di tale ufficio, anche se non ne hanno ricevuta l’istituzione, siano veramente idonei e preparati con impegno.

    Questa preparazione deve essere soprattutto spirituale; ma è anche necessaria quella propriamente tecnica. La preparazione spirituale suppone almeno una duplice formazione: quella biblica e quella liturgica.

    La formazione biblica deve portare i lettori a saper inquadrare le letture nel loro contesto e a cogliere il centro dell’annunzio rivelato alla luce della fede. La formazione liturgica deve comunicare ai lettori una certa facilità nel percepire il senso e la struttura della liturgia della Parola e le motivazioni del rapporto fra la liturgia della Parola e la liturgia Eucaristica. La preparazione tecnica deve rendere i lettori sempre più idonei all’arte di leggere in pubblico, sia a voce libera, sia con l’aiuto dei moderni strumenti di amplificazione” (da CEI, Premesse dell’Ordinario delle Letture della Messa, 1982).

Da tutte queste citazioni emerge chiaramente la volontà della Chiesa di realizzare un passaggio da una chiesa clericale, dove il prete è tutto, ad una chiesa ministeriale dove tutti formano il tutto; cosa che invita a una nuova psicologia di impegno e di comunione con la propria comunità prima che all’obbedienza ad uno schema precostituito.

In molti documenti ufficiali della Chiesa e delle Conferenze episcopali emerge l’uso sempre più frequente del termine “ministeri”, ma non più applicato solamente ai Vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi , ma anche ad altri ruoli o servizi ecclesiali, quali i catechisti, i lettori, i cantori, i musicisti, i coniugi ecc.

Comincia ad emergere il concetto di un nuovo ministero laicale con un proprio spazio di libertà e di iniziativa.

Viene così istituito il Ministero del Lettore che ha il compito di proclamare la parola di Dio nell’Assemblea liturgica, un ministero di annuncio, di educazione alla fede e di evangelizzazione. Questo ministero richiede un impegno che deve passare naturalmente dal rito alla vita.

L’accedere a questo ministero suppone un’intensa vita di fede, un comprovato amore e capacità di servizio alla comunità ecclesiale, la decisione di dedicarsi con assiduità a questi compiti, la competenza sufficiente, la decisa volontà di vivere la spiritualità propria di questo ministero che è la spiritualità dell’ascolto.

La figura del Lettore opera nella Liturgia che è il luogo in cui la Parola si fa evento e l’azione liturgica diventa una attualizzazione degli eventi della storia della salvezza.

Diciamo che tutti, ognuno nel proprio campo, possono avere capacità innata di eccellere in diverse attività: per esempio, c’è chi può essere un bravissimo cantante ma, per migliorare il talento, si mette ad affinare le tecniche prima di tentare di esibirsi; anche per un bambino è naturale e semplice camminare ma andrebbe incontro a meno cadute se qualcuno lo accompagnasse dapprincipio con la mano.

Anche chi esercita la professione in pubblico di lettore e oratore, o chi parla anche normalmente e svolge servizi al pubblico, può trovare sempre strade opportune per migliorare la propria pronuncia.

Anche se non ci si è mai resi conto di questo, perpetuando nel tempo l’avere, ad esempio, un’abitudine linguistica errata, comprendere che si necessita, invece, dell’insegnamento di alcuni principi di grammatica e di pronuncia in modo professionale, è di fondamentale importanza per arrivare ad essere seri “professionisti” nel campo.

Lo stesso avviene con la lettura e l’esercitazione nella Sacra Scrittura e nella parola di Dio: tutti in qualche modo possono leggere correttamente ma un conto è leggere a caso, d’istinto e un altro, proclamarla con coscienza e autorevolezza.

Si potrebbe trarre molto beneficio dalla formazione di queste materie di studio e dalla pratica di leggere efficacemente le parole, perché, anche se abbiamo delle doti naturali dentro di noi, è però importante esercitarsi, studiare e approfondire maggiormente alcune nozioni riguardo alla corretta comunicazione verbale e paraverbale, come nel caso della parola di Dio.

Essere lettore, essere annunciatore, proclamare la lettura, presume davvero uno studio continuo, una elaborazione di quello che si enuncia, di quello che si proclama, affinché gli altri possano capire in modo chiaro il messaggio che viene loro dato e perché, a sua volta, il lettore stesso possa calarsi molto profondamente nel suo intimo per cercare innanzitutto cosa la Parola dice a lui, per poi poterla proclamare in un secondo momento agli altri.

Proclamare la Scrittura nella liturgia è far in modo che la Parola si incida in noi tramite la voce di uno e l’ascolto di tutti. Attraverso il soffio dello Spirito Santo, l’ascolto genera in ognuno di noi il Verbo, Parola rivolta a tutti.

Anche oggi la Parola, celebrata nell’Assemblea liturgica, ci arriva attraverso la mediazione di chi se ne fa servitore; è una Parola incarnata nella persona del lettore che la proclama e nell’Assemblea che l’accoglie.

Il lettore deve pro-clamare, cioè dire ad alta voce, a nome di un Altro e a favore di altri. Questo comporta un grande senso di responsabilità perché la parola di Dio non può essere sprecata per improvvisazione, o superficialità, con una modalità frettolosa, o una dizione approssimativa o dialettale.

Il lettore è chiamato a una mediazione obiettiva e umile; una lettura puntuale e chiara esalta la Parola; una lettura sciatta o infantile la vanifica; una concreta testimonianza di vita la rafforza; una contraddizione con la propria condotta morale la indebolisce.

l’Assemblea liturgica non può fare a meno dei lettori, anche se non istituiti per questo compito specifico” (OLM n.52).

Ogni comunità cristiana deve dare una risposta precisa a questa richiesta chiara, altrimenti il senso ecclesiale si svilisce e la celebrazione della parola di Dio rischia di essere ridotta all’improvvisazione di persone non consapevoli di quello che fanno.

Coloro che sono incaricati di leggere la parola di Dio svolgono un ruolo molto importante: nel trasmettere contenuti spirituali all’Assemblea.

Questo servizio può essere paragonato alla funzione di una cassa acustica, un diffusore sonoro: anche una cassa acustica delle più moderne non può da sola produrre una nota musicale o comporre dei testi di una canzone.

Gli impianti di diffusione sonora sono qualificati come ad “alta fedeltà”; la parola “fedeltà” richiama la caratteristica di essere fedeli; quindi, la funzione di un diffusore sonoro, è quella di trasmettere note e parole che siano il più possibile fedeli, cioè “identiche” all’originale.

E così il compito del lettore non è inventare musica, o scrivere testi o trasmettere qualcosa di se stesso, ma è trasmettere la parola di Dio nel modo più fedele possibile all’originale.

Questo però comporta di usare comunque la capacità di dare sfumature sottili, valorizzare la bellezza, l’arte, migliorare la comprensione e facendo da tramite alla vasta gamma di sentimenti che caratterizzano l’ispirazione divina.

Cercare di immettere le emozioni che chi ha scritto quei messaggi di Dio deve aver sentito sulla propria pelle quando ha ricevuto la parola di Dio.

Se il lettore deforma, limita o modifica in qualche modo l’originale, non è un lettore fedele, perché sta inserendo delle intenzioni personali nella parola di Dio che forse non sono congruenti, oppure sta banalizzando o riducendo la forza emotiva del testo e questo è un cattivo servizio che il lettore deve assolutamente evitare.

Il lettore deve “proclamare” la parola di Dio, cioè farla udire con forza e chiarezza al suo Popolo. Questo, perché lo scopo cui egli mira non consiste nell’informare, piuttosto nel rendere possibile la “conversione del cuore” attraverso un annuncio che deve essere una vera rivelazione personale e sconvolgente […].

Quale ministro della parola di Dio, il lettore, perciò, dovrà lasciarsi dominare dalla Parola che proclama, sentendosene in pari tempo il banditore, il tramite, il canale, il servo docile, il discepolo attento.

 

Riferendosi alla lettura biblica pubblica, il teologo luterano tedesco D. Bonhëffer scrive qualcosa che si può applicare anche al servizio dei lettori:

Ci si accorgerà presto che non è facile leggere la Bibbia agli altri. Più l’atteggiamento interno verso il testo sarà spoglio, umile, obiettivo, più la lettura sarà adeguata […]. Una regola da osservare per leggere bene un testo biblico è di non identificarsi mai con l’io che vi è espresso. Non sono io ad irritarmi, a consolare, ad esortare, ma Dio. Certo, non si deve leggere il testo con tono monotono e indifferente; al contrario, lo leggerò sentendomi io stesso interiormente impegnato e interpellato. Ma tutta la differenza fra una buona e una cattiva lettura apparirà quando, invece di prendere il posto di Dio, io accetterò semplicemente di servirlo. Altrimenti rischio […] di attirare l’attenzione dell’uditore sulla mia persona e non sulla parola: è il vizio che minaccia ogni lettura della bibbia.”

Per arrivare a questo, il lettore dovrà curare costantemente la propria formazione sulla Sacra Scrittura e nella comprensione di essa, sull’anno liturgico e i singoli tempi che lo costituiscono, la storia della formazione della Messa, i contenuti e le finalità delle singole parti che compongono i formulari della Messa. Tale formazione gli consente di situare la lettura nel contesto generale della Bibbia e nello spirito del tempo liturgico.

Soprattutto una buona, sana e costante vita di preghiera consentirà al lettore un migliore svolgimento dei suoi compiti, rimanendo sempre in dialogo con Colui del quale deve essere il fedele portavoce.

In Geremia capitolo 23, versetto 28-29, consiglia che il Profeta che ha avuto un sogno deve raccontare precisamente il suo sogno:

Il profeta che ha avuto un sogno racconti il suo sogno; chi ha udito la mia parola annunci fedelmente la mia parola.

Che cosa ha in comune la paglia con il grano? Oracolo del Signore.

La mia parola non è forse come il fuoco – oracolo del Signore – e come un martello che spacca la roccia?”.

Ancora Mosè ammonisce nel Deuteronomio capitolo 4,2:

Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla”.                     La parola di Dio, come le Sacre Scritture, va letta usando delle voci appropriate quando si parla ad alta voce; anzi, i lettori devono usare tutte le loro migliori capacità per consegnare e trasmettere i messaggi di Dio ai loro fratelli; c’è bisogno di una voce e di uno stile appropriato per ogni lettura, per esempio, per consigliare e accompagnare i fratelli nei passaggi anche critici del racconto espositivo.                             Il Signore vi parlò dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura: vi era soltanto una voce(Dt 4,12).         Chi proclama la Parola deve far procedere l’uditore come in una sorta di viaggio spirituale e aiutarlo a percorrere questo viaggio non solo con l’orecchio, ma anche attraverso la sua immaginazione, attraverso la sua memoria visiva, per recepire meglio il contesto in cui si svolge la lettura, l’ambientazione, suscitando le stesse sensazioni contenute nel racconto, e tutto quello che il lettore riesce a trasmettere attraverso questo suo mezzo di comunicazione che è la voce.

Nel caso di un predicatore o di un catechista, chi legge o sviluppa una catechesi, potrebbe usare la voce in tono confidenziale, quando si leggono o si parla di passaggi delicati, di qualcuno che per esempio sta male, o attraversa un periodo critico spirituale; si potrebbe usare una voce compassionevole, gentile, a seconda della natura del discorso che affronta.

Qui entriamo nel campo di alcune modalità della voce riguardo alla timbrica e all’espressione di cui parleremo più avanti, resta, però, il concetto fondamentale di soffermarsi, per passi, al discorso della comunicazione attraverso la voce riguardo alla parola di Dio, andando un pò più a fondo riguardo il concetto della voce che abbiamo a disposizione per leggere.

Ma prima di analizzare le diverse tipologie di voci e le sue declinazioni riguardante il timbro, il tono, l’altezza, il ritmo con cui si formulano le nostre frasi, le nostre parole, è opportuno tener conto e soffermarci su alcune osservazioni riguardanti lo stile, il comportamento del lettore, e addirittura, la sua interiorità.  

Dentro ciascuno di noi esistono “delle barriere”, dei limiti che ci vietano molto spesso di esprimerci liberamente, impedendoci di veicolare la Parola e, quindi, la comunicazione in modo giusto, efficiente.

Non ci si rende minimamente conto di quanto queste cosiddette barriere possano influire sulla resa delle conversazioni, dei messaggi che inviamo agli altri all’esterno; proprio perché nessuno ce le fa notare, spesso, siamo tentati di correggere il tiro della pronuncia e risolvere il problema, ad esempio, soltanto studiando nutrite nozioni di grammatica, pensando che basti dare una spolveratina veloce al problema con qualche breve lezione di dizione.               Sarebbe molto saggio fermarsi a familiarizzare, invece, con alcune di questi ostacoli interni che tentano di frenare la nostra personalità e impedirci di essere fedeli oratori della parola di Dio: barriere, appunto, un pò scomode a dirsi, ma che ci impediscono seriamente di essere trasparenti, chiari e veraci trasmettitori dei messaggi illuminanti che Dio ci vuol passare.      Se è vero che “La bocca parla dalla pienezza del cuore” (Mt 12,33-35), da cosa il cuore deve svuotarsi, allora, per essere pieno, invece, di Dio? E di cosa deve, al contrario, riempirsi?      

Cosa la bocca trova di ostacolo, al suo interno, più che al suo esterno, che la fa inciampare, le vieta di esprimersi con scioltezza, riguardo al messaggio che rischia di scivolare inevitabilmente sul più bello, invece di fluire e sgorgare morbido dalle labbra?

Quali limiti ci bloccano a tal punto da essere comunicatori e lettori efficaci ai fini di una esposizione catechetica? Non si corre il rischio che queste problematiche restringano il campo d’azione, distorcano, interpongano ostacoli tra il lettore e chi ascolta?

Per non parlare poi dello stesso concetto o Parola che viene male interpretata, reinterpretata, aggiungendo o diminuendo sempre qualcosa!

Cerchiamo a grandi linee, adesso, di classificare alcune barriere molto comuni che dovremmo cercare di rimuovere per migliorare la comunicazione per esprimere al meglio il messaggio e la parola di Dio che vorremmo proclamare.

Mettendoci a servizio in modo costruttivo del ruolo che dobbiamo svolgere, dovremmo interpretare questo passaggio della correzione, come qualcosa di estremamente benefico anche per noi stessi, dal momento che la parola di Dio non è soltanto qualcosa di morto che si legge, ma qualcosa di vivo che ci raggiunge e ci trasforma nella vita.

Oppure riteniamo inverosimile o esagerato il fatto che questa Parola possa modificare la nostra esistenza?

Scopriamo ed evidenziamo alcune dei limiti più comuni che ci si presentano davanti quando abbiamo un testo sotto gli occhi; qui entrano in gioco numerosissime e recondite inibizioni umane e sensazioni psico-fisiche frequenti risapute: nervosismo, timidezza, mancanza di fiducia nelle nostre capacità, paura di parlare in pubblico, terrore di fare brutta figura perché non si conoscono neanche gli elementari principi del parlare in pubblico, il panico di non capire cosa stiamo leggendo, non sentire nei nostri cuori ciò che leggiamo, pensando che sia un raccontino di qualche tempo fa, non andando a evidenziare alcune parole significative, scivolando sulla punteggiatura, gli accenti, leggendo troppo lentamente o troppo rapidamente, usando varietà di linguaggio non opportune, usando un’enfasi innaturale, un tono, un ritmo e una cadenza fuori contesto, non modulando mai il tono e il timbro della voce, producendo un suono meccanico, robotico, monotono, cioè, con un mono-ritmo, con mono-pause, di mono-volume, la convinzione di essere già lettori navigati, assumere un atteggiamento clericale da “santo più di te”, essere troppo seriosi o troppo spettacolari e drammatici, o con una modalità “senza vita”, senza sentimenti, senza niente, o annoiati come se certe letture le abbiamo sentite già tante volte…,ecc.

Per non parlare del linguaggio del corpo, altro grande tabù! Senza sapere, invece, che è un altro fondamentale argomento da esplorare e da prendere in considerazione per la proclamazione della Parola che meriterebbe davvero uno studio molto approfondito sotto vari aspetti.

Per ritornare alle barriere che ci impediscono interiormente di parlare bene, prima di arrivare alla conclusione di come si interpreta bene una lettura, vorrei soffermarmi su di un concetto riguardo alla motivazione interiore che spinge molte volte il lettore a leggere.                             C’è alla base, spesso, di chi declama, un atteggiamento rivolto all’indietro, cioè rivolto a sé stessi, al proprio egoistico approcciarsi in un intimistico colloquio col divino, che può esprimere: o la paura di essere a contatto con una divinità così superiore che nemmeno si osa alzare il tono di voce quando si legge, o, quel che è peggio, una manifestazione di un continuo e perpetuo moto di intrattenimento recitativo infinito a tu per tu con Dio, come se quella lettura che il lettore sta presentando, fosse un’interminabile preghiera silenziosa col Signore che non fa assolutamente partecipare l’Assemblea e che genera distrazione.                 Quel che si ascolta dall’altra parte dell’ambone è esasperante e sembra non finire mai e chi ascolta questa modalità d’espressione, rischia o di addormentarsi o di cadere in una soporifera noia, dal momento che si ha l’impressione che il lettore in questione, stia parlando con Dio solo nell’intimità della sua camera, non rivolto a chi sta ascoltando all’esterno.

È molto sbagliato non accorgersi di questi errori che si ripetono di frequente nelle assemblee, dal momento che forse nessuno lo fa notare per apportare miglioramenti. “Si è sempre letto così e continuiamo a leggere così, tanto questo è il mio stile, io sono fatto così, Dio mi ha fatto così, e quindi mi mostro agli altri così come sono!”

Si sente molto spesso ripetere questo tipo di riflessioni e questo atteggiamento sembra risuonare come una dimostrazione di umiltà e avere il colore della remissione, mentre, invece, può nascondere, al contrario, un’aura di finta umiltà che non svolge nessun servizio a chi vuole ascoltare.              

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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