Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO di Marilena Marino
Partiamo subito da alcune definizioni formali della Chiesa che definiscono i compiti del ministero del Lettore.
“Il lettore è istituito per l’ufficio, a lui proprio, di leggere la parola di Dio nell’Assemblea liturgica. Pertanto, nella messa e nelle altre azioni sacre spetta a lui proclamare le letture della Sacra Scrittura (ma non il Vangelo); in mancanza del salmista, recitare il salmo interlezionale; quando non sono disponibili né il diacono né il cantore, enunciare le intenzioni della preghiera universale dei fedeli; dirigere il canto e guidare la partecipazione del popolo fedele; istruire i fedeli a ricevere degnamente i sacramenti.
Egli potrà anche – se sarà necessario – curare la preparazione degli altri fedeli, i quali, per incarico temporaneo, devono leggere la Sacra Scrittura nelle azioni liturgiche. Affinché poi adempia con maggiore dignità e perfezione questi uffici, procuri di meditare assiduamente la Sacra Scrittura.
Il lettore, sentendo la responsabilità dell’ufficio ricevuto, si adoperi in ogni modo e si avvalga dei mezzi opportuni per acquistare ogni giorno più pienamente il soave e vivo amore e la conoscenza della Sacra Scrittura, onde divenire un più perfetto discepolo del Signore” (da Ministeria quaedam, Paolo VI-1972).
“L’ufficio liturgico del lettore è la proclamazione delle letture nell’Assemblea liturgica. Di conseguenza il lettore deve curare la preparazione dei fedeli alla comprensione della parola di Dio ed educare nella fede i fanciulli e gli adulti.
Ministero perciò di annunciatore, di catechista, di educatore alla vita sacramentale, di evangelizzatore a chi non conosce o misconosce il Vangelo.
Suo impegno, perché al ministero corrisponda un’effettiva idoneità e consapevolezza, deve essere quello di accogliere, conoscere, meditare, testimoniare la parola di Dio che egli deve trasmettere” (da I ministeri nella Chiesa, CEI-1973).
“Sua funzione è quella di: proclamare la parola di Dio nell’Assemblea liturgica, studiarsi di educare nella fede i fanciulli e gli adulti, prepararli a ricevere degnamente i sacramenti, annunciare il messaggio della salvezza agli uomini che lo ignorano ancora” (da Evangelizzazione e Ministeri, CEI-1977).
“Il lettore ha nella celebrazione Eucaristica un suo ufficio proprio, che deve esercitare lui stesso, anche se sono presenti ministri di ordine superiore” (da Principi e norme per l’uso del Messale Romano).
Il ministero del lettore, conferito con rito liturgico, deve quindi essere tenuto in onore. I lettori istituiti, se presenti, compiano il loro ufficio almeno nelle domeniche e nelle feste, specialmente durante la celebrazione principale.
Si potrà affidar loro anche il compito di dare un aiuto nel predisporre la liturgia della Parola, e, se necessario, di preparare gli altri fedeli che per incarico temporaneo debbano proclamare le letture nella celebrazione della Messa” (da Introduzione al lezionario domenicale e festivo, 1981).
La proclamazione della parola di Dio non può essere improvvisata o affidata a chiunque. Indipendentemente dalla lettura più o meno comprensibile, è la mancanza di rispetto verso la Scrittura che costituisce una contro testimonianza e rappresenta un ostacolo all’incontro con Dio.
“Perché i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave e vivo amore della Sacra Scrittura, è necessario che i lettori incaricati di tale ufficio, anche se non ne hanno ricevuta l’istituzione, siano veramente idonei e preparati con impegno.
Questa preparazione deve essere soprattutto spirituale; ma è anche necessaria quella propriamente tecnica. La preparazione spirituale suppone almeno una duplice formazione: quella biblica e quella liturgica.
La formazione biblica deve portare i lettori a saper inquadrare le letture nel loro contesto e a cogliere il centro dell’annunzio rivelato alla luce della fede. La formazione liturgica deve comunicare ai lettori una certa facilità nel percepire il senso e la struttura della liturgia della Parola e le motivazioni del rapporto fra la liturgia della Parola e la liturgia Eucaristica. La preparazione tecnica deve rendere i lettori sempre più idonei all’arte di leggere in pubblico, sia a voce libera, sia con l’aiuto dei moderni strumenti di amplificazione” (da CEI, Premesse dell’Ordinario delle Letture della Messa, 1982).
Da tutte queste citazioni emerge chiaramente la volontà della Chiesa di realizzare un passaggio da una chiesa clericale, dove il prete è tutto, ad una chiesa ministeriale dove tutti formano il tutto; cosa che invita a una nuova psicologia di impegno e di comunione con la propria comunità prima che all’obbedienza ad uno schema precostituito.
In molti documenti ufficiali della Chiesa e delle Conferenze episcopali emerge l’uso sempre più frequente del termine “ministeri”, ma non più applicato solamente ai Vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi , ma anche ad altri ruoli o servizi ecclesiali, quali i catechisti, i lettori, i cantori, i musicisti, i coniugi ecc.
Comincia ad emergere il concetto di un nuovo ministero laicale con un proprio spazio di libertà e di iniziativa.
Viene così istituito il Ministero del Lettore che ha il compito di proclamare la parola di Dio nell’Assemblea liturgica, un ministero di annuncio, di educazione alla fede e di evangelizzazione. Questo ministero richiede un impegno che deve passare naturalmente dal rito alla vita.
L’accedere a questo ministero suppone un’intensa vita di fede, un comprovato amore e capacità di servizio alla comunità ecclesiale, la decisione di dedicarsi con assiduità a questi compiti, la competenza sufficiente, la decisa volontà di vivere la spiritualità propria di questo ministero che è la spiritualità dell’ascolto.
La figura del Lettore opera nella Liturgia che è il luogo in cui la Parola si fa evento e l’azione liturgica diventa una attualizzazione degli eventi della storia della salvezza.
Diciamo che tutti, ognuno nel proprio campo, possono avere capacità innata di eccellere in diverse attività: per esempio, c’è chi può essere un bravissimo cantante ma, per migliorare il talento, si mette ad affinare le tecniche prima di tentare di esibirsi; anche per un bambino è naturale e semplice camminare ma andrebbe incontro a meno cadute se qualcuno lo accompagnasse dapprincipio con la mano.
Anche chi esercita la professione in pubblico di lettore e oratore, o chi parla anche normalmente e svolge servizi al pubblico, può trovare sempre strade opportune per migliorare la propria pronuncia.
Anche se non ci si è mai resi conto di questo, perpetuando nel tempo l’avere, ad esempio, un’abitudine linguistica errata, comprendere che si necessita, invece, dell’insegnamento di alcuni principi di grammatica e di pronuncia in modo professionale, è di fondamentale importanza per arrivare ad essere seri “professionisti” nel campo.
Lo stesso avviene con la lettura e l’esercitazione nella Sacra Scrittura e nella parola di Dio: tutti in qualche modo possono leggere correttamente ma un conto è leggere a caso, d’istinto e un altro, proclamarla con coscienza e autorevolezza.
Si potrebbe trarre molto beneficio dalla formazione di queste materie di studio e dalla pratica di leggere efficacemente le parole, perché, anche se abbiamo delle doti naturali dentro di noi, è però importante esercitarsi, studiare e approfondire maggiormente alcune nozioni riguardo alla corretta comunicazione verbale e paraverbale, come nel caso della parola di Dio.
Essere lettore, essere annunciatore, proclamare la lettura, presume davvero uno studio continuo, una elaborazione di quello che si enuncia, di quello che si proclama, affinché gli altri possano capire in modo chiaro il messaggio che viene loro dato e perché, a sua volta, il lettore stesso possa calarsi molto profondamente nel suo intimo per cercare innanzitutto cosa la Parola dice a lui, per poi poterla proclamare in un secondo momento agli altri.
Proclamare la Scrittura nella liturgia è far in modo che la Parola si incida in noi tramite la voce di uno e l’ascolto di tutti. Attraverso il soffio dello Spirito Santo, l’ascolto genera in ognuno di noi il Verbo, Parola rivolta a tutti.
Anche oggi la Parola, celebrata nell’Assemblea liturgica, ci arriva attraverso la mediazione di chi se ne fa servitore; è una Parola incarnata nella persona del lettore che la proclama e nell’Assemblea che l’accoglie.
Il lettore deve pro-clamare, cioè dire ad alta voce, a nome di un Altro e a favore di altri. Questo comporta un grande senso di responsabilità perché la parola di Dio non può essere sprecata per improvvisazione, o superficialità, con una modalità frettolosa, o una dizione approssimativa o dialettale.
Il lettore è chiamato a una mediazione obiettiva e umile; una lettura puntuale e chiara esalta la Parola; una lettura sciatta o infantile la vanifica; una concreta testimonianza di vita la rafforza; una contraddizione con la propria condotta morale la indebolisce.
“l’Assemblea liturgica non può fare a meno dei lettori, anche se non istituiti per questo compito specifico” (OLM n.52).
Ogni comunità cristiana deve dare una risposta precisa a questa richiesta chiara, altrimenti il senso ecclesiale si svilisce e la celebrazione della parola di Dio rischia di essere ridotta all’improvvisazione di persone non consapevoli di quello che fanno.
Coloro che sono incaricati di leggere la parola di Dio svolgono un ruolo molto importante: nel trasmettere contenuti spirituali all’Assemblea.
Questo servizio può essere paragonato alla funzione di una cassa acustica, un diffusore sonoro: anche una cassa acustica delle più moderne non può da sola produrre una nota musicale o comporre dei testi di una canzone.
Gli impianti di diffusione sonora sono qualificati come ad “alta fedeltà”; la parola “fedeltà” richiama la caratteristica di essere fedeli; quindi, la funzione di un diffusore sonoro, è quella di trasmettere note e parole che siano il più possibile fedeli, cioè “identiche” all’originale.
E così il compito del lettore non è inventare musica, o scrivere testi o trasmettere qualcosa di se stesso, ma è trasmettere la parola di Dio nel modo più fedele possibile all’originale.
Questo però comporta di usare comunque la capacità di dare sfumature sottili, valorizzare la bellezza, l’arte, migliorare la comprensione e facendo da tramite alla vasta gamma di sentimenti che caratterizzano l’ispirazione divina.
Cercare di immettere le emozioni che chi ha scritto quei messaggi di Dio deve aver sentito sulla propria pelle quando ha ricevuto la parola di Dio.
Se il lettore deforma, limita o modifica in qualche modo l’originale, non è un lettore fedele, perché sta inserendo delle intenzioni personali nella parola di Dio che forse non sono congruenti, oppure sta banalizzando o riducendo la forza emotiva del testo e questo è un cattivo servizio che il lettore deve assolutamente evitare.
Il lettore deve “proclamare” la parola di Dio, cioè farla udire con forza e chiarezza al suo Popolo. Questo, perché lo scopo cui egli mira non consiste nell’informare, piuttosto nel rendere possibile la “conversione del cuore” attraverso un annuncio che deve essere una vera rivelazione personale e sconvolgente […].
Quale ministro della parola di Dio, il lettore, perciò, dovrà lasciarsi dominare dalla Parola che proclama, sentendosene in pari tempo il banditore, il tramite, il canale, il servo docile, il discepolo attento.
Riferendosi alla lettura biblica pubblica, il teologo luterano tedesco D. Bonhëffer scrive qualcosa che si può applicare anche al servizio dei lettori:
“Ci si accorgerà presto che non è facile leggere la Bibbia agli altri. Più l’atteggiamento interno verso il testo sarà spoglio, umile, obiettivo, più la lettura sarà adeguata […]. Una regola da osservare per leggere bene un testo biblico è di non identificarsi mai con l’io che vi è espresso. Non sono io ad irritarmi, a consolare, ad esortare, ma Dio. Certo, non si deve leggere il testo con tono monotono e indifferente; al contrario, lo leggerò sentendomi io stesso interiormente impegnato e interpellato. Ma tutta la differenza fra una buona e una cattiva lettura apparirà quando, invece di prendere il posto di Dio, io accetterò semplicemente di servirlo. Altrimenti rischio […] di attirare l’attenzione dell’uditore sulla mia persona e non sulla parola: è il vizio che minaccia ogni lettura della bibbia.”
Per arrivare a questo, il lettore dovrà curare costantemente la propria formazione sulla Sacra Scrittura e nella comprensione di essa, sull’anno liturgico e i singoli tempi che lo costituiscono, la storia della formazione della Messa, i contenuti e le finalità delle singole parti che compongono i formulari della Messa. Tale formazione gli consente di situare la lettura nel contesto generale della Bibbia e nello spirito del tempo liturgico.
Soprattutto una buona, sana e costante vita di preghiera consentirà al lettore un migliore svolgimento dei suoi compiti, rimanendo sempre in dialogo con Colui del quale deve essere il fedele portavoce.
In Geremia capitolo 23, versetto 28-29, consiglia che il Profeta che ha avuto un sogno deve raccontare precisamente il suo sogno:
“Il profeta che ha avuto un sogno racconti il suo sogno; chi ha udito la mia parola annunci fedelmente la mia parola.
Che cosa ha in comune la paglia con il grano? Oracolo del Signore.
La mia parola non è forse come il fuoco – oracolo del Signore – e come un martello che spacca la roccia?”.
Ancora Mosè ammonisce nel Deuteronomio capitolo 4,2:
“Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla”. La parola di Dio, come le Sacre Scritture, va letta usando delle voci appropriate quando si parla ad alta voce; anzi, i lettori devono usare tutte le loro migliori capacità per consegnare e trasmettere i messaggi di Dio ai loro fratelli; c’è bisogno di una voce e di uno stile appropriato per ogni lettura, per esempio, per consigliare e accompagnare i fratelli nei passaggi anche critici del racconto espositivo. “Il Signore vi parlò dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura: vi era soltanto una voce” (Dt 4,12). Chi proclama la Parola deve far procedere l’uditore come in una sorta di viaggio spirituale e aiutarlo a percorrere questo viaggio non solo con l’orecchio, ma anche attraverso la sua immaginazione, attraverso la sua memoria visiva, per recepire meglio il contesto in cui si svolge la lettura, l’ambientazione, suscitando le stesse sensazioni contenute nel racconto, e tutto quello che il lettore riesce a trasmettere attraverso questo suo mezzo di comunicazione che è la voce.
Nel caso di un predicatore o di un catechista, chi legge o sviluppa una catechesi, potrebbe usare la voce in tono confidenziale, quando si leggono o si parla di passaggi delicati, di qualcuno che per esempio sta male, o attraversa un periodo critico spirituale; si potrebbe usare una voce compassionevole, gentile, a seconda della natura del discorso che affronta.
Qui entriamo nel campo di alcune modalità della voce riguardo alla timbrica e all’espressione di cui parleremo più avanti, resta, però, il concetto fondamentale di soffermarsi, per passi, al discorso della comunicazione attraverso la voce riguardo alla parola di Dio, andando un pò più a fondo riguardo il concetto della voce che abbiamo a disposizione per leggere.
Ma prima di analizzare le diverse tipologie di voci e le sue declinazioni riguardante il timbro, il tono, l’altezza, il ritmo con cui si formulano le nostre frasi, le nostre parole, è opportuno tener conto e soffermarci su alcune osservazioni riguardanti lo stile, il comportamento del lettore, e addirittura, la sua interiorità.
Dentro ciascuno di noi esistono “delle barriere”, dei limiti che ci vietano molto spesso di esprimerci liberamente, impedendoci di veicolare la Parola e, quindi, la comunicazione in modo giusto, efficiente.
Non ci si rende minimamente conto di quanto queste cosiddette barriere possano influire sulla resa delle conversazioni, dei messaggi che inviamo agli altri all’esterno; proprio perché nessuno ce le fa notare, spesso, siamo tentati di correggere il tiro della pronuncia e risolvere il problema, ad esempio, soltanto studiando nutrite nozioni di grammatica, pensando che basti dare una spolveratina veloce al problema con qualche breve lezione di dizione. Sarebbe molto saggio fermarsi a familiarizzare, invece, con alcune di questi ostacoli interni che tentano di frenare la nostra personalità e impedirci di essere fedeli oratori della parola di Dio: barriere, appunto, un pò scomode a dirsi, ma che ci impediscono seriamente di essere trasparenti, chiari e veraci trasmettitori dei messaggi illuminanti che Dio ci vuol passare. Se è vero che “La bocca parla dalla pienezza del cuore” (Mt 12,33-35), da cosa il cuore deve svuotarsi, allora, per essere pieno, invece, di Dio? E di cosa deve, al contrario, riempirsi?
Cosa la bocca trova di ostacolo, al suo interno, più che al suo esterno, che la fa inciampare, le vieta di esprimersi con scioltezza, riguardo al messaggio che rischia di scivolare inevitabilmente sul più bello, invece di fluire e sgorgare morbido dalle labbra?
Quali limiti ci bloccano a tal punto da essere comunicatori e lettori efficaci ai fini di una esposizione catechetica? Non si corre il rischio che queste problematiche restringano il campo d’azione, distorcano, interpongano ostacoli tra il lettore e chi ascolta?
Per non parlare poi dello stesso concetto o Parola che viene male interpretata, reinterpretata, aggiungendo o diminuendo sempre qualcosa!
Cerchiamo a grandi linee, adesso, di classificare alcune barriere molto comuni che dovremmo cercare di rimuovere per migliorare la comunicazione per esprimere al meglio il messaggio e la parola di Dio che vorremmo proclamare.
Mettendoci a servizio in modo costruttivo del ruolo che dobbiamo svolgere, dovremmo interpretare questo passaggio della correzione, come qualcosa di estremamente benefico anche per noi stessi, dal momento che la parola di Dio non è soltanto qualcosa di morto che si legge, ma qualcosa di vivo che ci raggiunge e ci trasforma nella vita.
Oppure riteniamo inverosimile o esagerato il fatto che questa Parola possa modificare la nostra esistenza?
Scopriamo ed evidenziamo alcune dei limiti più comuni che ci si presentano davanti quando abbiamo un testo sotto gli occhi; qui entrano in gioco numerosissime e recondite inibizioni umane e sensazioni psico-fisiche frequenti risapute: nervosismo, timidezza, mancanza di fiducia nelle nostre capacità, paura di parlare in pubblico, terrore di fare brutta figura perché non si conoscono neanche gli elementari principi del parlare in pubblico, il panico di non capire cosa stiamo leggendo, non sentire nei nostri cuori ciò che leggiamo, pensando che sia un raccontino di qualche tempo fa, non andando a evidenziare alcune parole significative, scivolando sulla punteggiatura, gli accenti, leggendo troppo lentamente o troppo rapidamente, usando varietà di linguaggio non opportune, usando un’enfasi innaturale, un tono, un ritmo e una cadenza fuori contesto, non modulando mai il tono e il timbro della voce, producendo un suono meccanico, robotico, monotono, cioè, con un mono-ritmo, con mono-pause, di mono-volume, la convinzione di essere già lettori navigati, assumere un atteggiamento clericale da “santo più di te”, essere troppo seriosi o troppo spettacolari e drammatici, o con una modalità “senza vita”, senza sentimenti, senza niente, o annoiati come se certe letture le abbiamo sentite già tante volte…,ecc.
Per non parlare del linguaggio del corpo, altro grande tabù! Senza sapere, invece, che è un altro fondamentale argomento da esplorare e da prendere in considerazione per la proclamazione della Parola che meriterebbe davvero uno studio molto approfondito sotto vari aspetti.
Per ritornare alle barriere che ci impediscono interiormente di parlare bene, prima di arrivare alla conclusione di come si interpreta bene una lettura, vorrei soffermarmi su di un concetto riguardo alla motivazione interiore che spinge molte volte il lettore a leggere. C’è alla base, spesso, di chi declama, un atteggiamento rivolto all’indietro, cioè rivolto a sé stessi, al proprio egoistico approcciarsi in un intimistico colloquio col divino, che può esprimere: o la paura di essere a contatto con una divinità così superiore che nemmeno si osa alzare il tono di voce quando si legge, o, quel che è peggio, una manifestazione di un continuo e perpetuo moto di intrattenimento recitativo infinito a tu per tu con Dio, come se quella lettura che il lettore sta presentando, fosse un’interminabile preghiera silenziosa col Signore che non fa assolutamente partecipare l’Assemblea e che genera distrazione. Quel che si ascolta dall’altra parte dell’ambone è esasperante e sembra non finire mai e chi ascolta questa modalità d’espressione, rischia o di addormentarsi o di cadere in una soporifera noia, dal momento che si ha l’impressione che il lettore in questione, stia parlando con Dio solo nell’intimità della sua camera, non rivolto a chi sta ascoltando all’esterno.
È molto sbagliato non accorgersi di questi errori che si ripetono di frequente nelle assemblee, dal momento che forse nessuno lo fa notare per apportare miglioramenti. “Si è sempre letto così e continuiamo a leggere così, tanto questo è il mio stile, io sono fatto così, Dio mi ha fatto così, e quindi mi mostro agli altri così come sono!”
Si sente molto spesso ripetere questo tipo di riflessioni e questo atteggiamento sembra risuonare come una dimostrazione di umiltà e avere il colore della remissione, mentre, invece, può nascondere, al contrario, un’aura di finta umiltà che non svolge nessun servizio a chi vuole ascoltare.
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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino.
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