Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO di Marilena Marino
Non farciamo la parola di Dio con inutili sentimenti pietistici ammantati di religiosità soporifera, dal momento che la vera umiltà consiste molte volte nell’essere veritieri e sagaci anche nei rapporti col Signore e se proprio dobbiamo onore a Dio, dobbiamo pensare a rispolverare la dignità dell’essere cristiani, manifestandola nella lieta consapevolezza che Lui ci ha anche eletti per svolgere questo servizio e non nasconderci dietro la maschera della finta paura.
La grande lode consiste, dunque, nel rendere visibili, senza paura, i doni e i talenti a vantaggio di tutti e non solo a vantaggio personale.
Altre volte si può essere sopraffatti anche dalla certezza di essere già lettori esperti e che niente di nuovo abbiamo da imparare: ci si prende anche troppo sul serio, ed è vero che il compito che ci aspetta è importante, ma tradiamo all’esterno molte volte un atteggiamento severo e aspro, come di rimprovero, diventiamo perentori, rigidi anche nell’espressione, dando la sensazione agli altri di essere senza gioia o, al contario, assumiamo posture spettacolari, troppo sceniche, esprimendo talvolta mimiche eccessivamente drammatiche, lasciando agli altri la sensazione di ascoltare letture asciutte, senza vita, senza nessun sentimento o espressione, causando così perdite di concentrazione, mancanza di freschezza e ispirazione.
Queste sono tutte problematiche, atteggiamenti, sentimenti e barriere nocive che ci impediscono di essere fedeli trasmettitori o lettori o annunciatori o catechisti della parola di Dio.
È importante far risaltare dal cuore la parte vitale, l’anima, la nostra essenza: senza questa, la lettera è morta, è un cadavere, uno scheletro, un qualcosa di freddo, inanimato che rimbalza senza effetto.
La voce è un amplificatore delle nostre emozioni e quindi dobbiamo cercare di non mettere maschere quando siamo incaricati di parlare, o di leggere, soprattutto quando ci troviamo davanti agli altri che, ascoltando quello che leggiamo, avranno subito una valutazione immediata di quello che anche noi siamo interiormente, mentre proclamiamo la parola di Dio.
Certamente non è un lavoro semplice da fare con noi stessi, al nostro interno, ma, se almeno siamo consapevoli di tutto questo processo, faremo più caso al modo di esporci al pubblico.
Un consiglio sano sarebbe di combattere con sincerità e genuinità alcuni atteggiamenti estremi: o tanta gioia, o tanta tristezza, o poca enfasi o troppa pomposità nel leggere, cercando di togliere qualsiasi senso personale e individualistico.
Dovremmo cercare di mantenere fuori dalla nostra lettura il senso personale che non vuol dire essere senza carattere o nemmeno tenere la nostra individualità completamente fuori dalla nostra lettura.
Non è così. Certamente l’individualità e il senso personale non devono essere troppo accentuati quando si legge la Parola, ma la propria essenza è molto importante, perché sono riflessi del dono di Dio che è unico nel nostro riguardo, dal momento che siamo tutti esseri speciali e caratteristici.
Ognuno è unico, porta dentro e fuori stampati dei segni originali, quella scintilla divina originaria che l’Eterno ha regalato a ciascuno e che bisogna lasciar emergere, proprio per quella bellissima incidenza di divino e umano di cui abbiamo parlato.
Riprendo un pò i principali aspetti della lettura per quanto riguarda la proclamazione e vorrei indicare anche alcune linee guida per chi svolge il compito di catechista; possiamo dire che è importante il fervore nel pronunciare la parola, dal momento che pronunciare la parola di Dio significa esprimere l’intensità, l’espressione dei nostri sentimenti, l’ardore, l’animazione, lo zelo, la sincerità, ma anche la tenerezza.
Leggendo con delicatezza, quando occorre, noi dimostriamo un desiderio compassionevole nel conoscere i bisogni anche dell’Assemblea che ascolta, soddisfacendo il suo bisogno di sentire la tenerezza, la compassione, sentire-con, di Dio attraverso la consegna della sua Parola; è necessario fortemente sentire anche noi stessi, entrare in empatia col nostro essere.
Quando trasmettiamo qualcosa, quando, in questo caso, parliamo, ci connettiamo con la nostra interiorità, non siamo estranei da essa, ma diamo valore a ciò che leggiamo, a ciò che trasmettiamo, lo facciamo nostro, incarniamo uno stato emotivo, lo assumiamo, affinché questa parola, attraverso la nostra lettura, aggiunga valore, ricchezza e, soprattutto, accoglienza, credibilità, lasciando agli altri la sensazione che stiamo parlando di un Dio accessibile, vicino allo stesso ascoltatore, non lontano dai sentimenti e dalle vicissitudini dell’uomo.
Questa forma di autocoscienza è importantissima perché diventa una modalità reale in cui si fa presente Dio, quindi bisogna molto lavorare sul tipo di espressione, sul tipo di tono che usiamo nel proclamare le letture.
Ci intratteniamo, adesso, su questi piccoli passi tratti dalla Sacra Scrittura, proprio per far comprendere quanto sia vitale scrutarli affinché gli altri possano comprendere bene il loro contenuto.
In Atti 8,26-31, abbiamo già visto un dialogo tra un angelo del Signore che parla a Filippo e la sua relazione con l’eunuco. In quel passo abbiamo compreso come sia necessario tramandare la parola di Dio e istruire gli altri attraverso un mandato che si estende a chi ha il compito di illuminare le persone a proposito dei misteri divini.
Ma se dobbiamo “illuminare” gli altri perché allora molte volte non ci ascoltiamo abbastanza per sentire che, mentre parliamo, ci sono dei grandi errori di pronuncia e di dizione che andrebbero affrontati in separata sede. E perché non ci ascoltiamo abbastanza?
Riflettiamoci un poco su questo atteggiamento istintivo.
Bisogna sfatare il pregiudizio di credere che, dal momento che si pronuncia la parola di Dio e siccome il Signore ha scelto soltanto dei pescatori, dei poveri uomini non molto istruiti per essere testimoni e annunciatori nel mondo, non abbiamo bisogno di progredire in quella che possiamo chiamare anche l’estetica della parola, la cura, la bellezza, se così possiamo definirla.
Essa ci rimanda inevitabilmente all’importanza di dover abbellire la Parola con suoni vocalici appropriati, e perché no, alla doverosa necessità di impreziosire con le giuste regole di dizione, di grammatica, qualunque passo che leggiamo, che sia Vangelo, salmo, versetti , antifone nelle liturgie delle ore, preghiere, o catechesi varie.
Se prendessimo la sana abitudine di registrarci, anche con i semplici strumenti tecnologici a disposizione, scopriremmo, con piccole dosi di autocritica sincera, che la nostra voce e il nostro modo di leggere va incontro a parecchi difetti: di pronuncia, di dizione, di intonazione vocale e così via… è anche normale questo e non dobbiamo colpevolizzarci o sorprenderci più di tanto, perché manca proprio questa educazione dell’orecchio che non si ascolta abbastanza mentre la bocca parla.
Più avanti tratteremo in questo libro, in alcuni punti precisi, di come sia necessario registrarsi e ascoltare la propria voce mentre si declama una lettura; approfondiremo meglio alcuni aspetti nevralgici in merito, suggerendo anche piccoli consigli per migliorare la pronuncia e la lettura espressiva della parola.
Occorre anche chiedersi: pensi di essere convincente nel trasmettere la giusta autorevolezza a questa Parola o sei convinto che essendo una persona con tanti difetti, non c’è bisogno di impegnarsi più di tanto?
Parlo anche a livello fisico, estetico; non sto parlando di essere vincitori di concorsi di bellezza o fitness, ma di sviluppare la consapevolezza che si può migliorare anche esternamente; è di fondamentale importanza, perché molti pensano che la Parola enunciata all’esterno sia un qualcosa che è dissociato dal modo di apparire della persona che legge.
Mi spiego meglio. Viviamo in tempi in cui la società è in continua evoluzione anche dal punto di vista mediatico e non possiamo negare che molti catechisti, liturgisti, o chi parla in pubblico e fa catechesi, eccetera, ricorrono ai media e ai tanti mezzi di comunicazione che assicurano una certa visibilità.
E non si può fare a meno di notare, proprio perché stiamo anche tanto tempo a guardare in rete i contenuti che vengono realizzati, che occorre mostrare, per quanto possibile, anche una certa estetica gradevole, non solo alle orecchie, ma anche alla vista.
Occorre una certa responsabilità e anche una una certa modalità di proporsi esteticamente all’altro, al pubblico, un’eleganza e un porsi davanti alle persone in modo dignitoso anche nel vestirsi, di presentarsi con un aspetto ben curato, per quanto possibile, come dire che “Anche l’occhio vuole la sua parte”, non solo l’orecchio!
Possiamo e dobbiamo migliorare, sempre, anche esteticamente la nostra persona, proprio perché siamo chiamati a trasformarci in creature armoniche che si mettono in sintonia con tutta la persona mentre proclamano la parola di Dio, e non parti slegate di corpo e mente divisi in se stessi, che mentre dicono una cosa ne dimostrano un’altra. Far presente in pubblico una certa bellezza, non solo nella pronuncia abbellita e migliorata grammaticalmente ma anche esteticamente.
C’è necessità di curare la nostra persona?
Bene, lo faccio per amore a Cristo e al compito che devo svolgere, c’è bisogno di mettere anche una montatura di occhiali diversa, migliorare il nostro aspetto in piccola parte, esempio, perché noto che rende meglio e sono anche più gradevole? Perfetto, ci provo!
I capelli, i denti, il sorriso, il modo di pettinarsi, di portare i capelli, vestirsi,ecc… come se per amore a Cristo, cambio addirittura fuori, oltre che dentro, facendo un regalo non solo alla mia persona che si sente anche megliore, oltretutto, più in sintonia anche con se stessa, ma anche al pubblico dei fedeli, che a maggior ragione hanno un certo diritto di vedere, oltre che sentire, la bellezza della Resurrezione, che per prima si manifesta in te che in quel preciso momento ti mostri agli altri.
Mi sforzo, insomma, in tutto ciò che mi è permesso alle mie possibilità di fare, anche se sono consapevole di non essere affatto superman o qualcuno legato a degli esagerati estetici ritocchi, ma, almeno, ci voglio provare, perché mi rendo conto che, in minima parte e per quanto possibile, questo migliora in tutto il compito che mi spetta di annunciatore della parola di Dio.
Romani 8,28-30:
“Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati”.
Questi sono pensieri che potresti avere…
“Ah, ma tanto fa lo stesso, se non mi vesto in maniera decente, perché tanto l’importante è Dio… è Lui che deve apparire, non io, quando parlo in pubblico, è sempre Lui il protagonista, non io, fa lo stesso se … non mi pettino, vado sgualcito, se non cerco di curarmi anche nei miei atteggiamenti, tanto l’importante è Dio che opera nelle persone e non sono io il protagonista… che importa, e poi sono debole, non ce la faccio a migliorarmi!”.
Attenzione, invece, a questo tipo di risposte. Vero che è Dio che opera nella gente e trasforma i cuori, vero che l’efficacia della sua Parola produce i suoi effetti e resta incisiva se non viene rivestita da orpelli umani e che Dio ci ama così come siamo, non guarda tanto al nostro aspetto esteriore, ma guarda al cuore.
Ma altrettanto vero è il concetto che Dio desidera raggiungere le persone anche attraverso la tua persona che, necessariamente, può essere soggetta a cambiamento e deve apparire bella in tutto, in tutta la sua professionalità ed eccellenza, è un servizio completo sotto tutti i punti di vista, proprio perché si parla di Dio e non di un essere qualunque!
Ricordandoti di questa elezione da parte di Dio nei tuoi confronti, cerca di rispolverare la dignità di cui ti ha rivestito e di non rendere vana la Sua chiamata nei tuoi confronti nell’esercitare un ministero così importante, ma sforzati di essere una persona completa e tendere alla perfezione!
Devi sempre cercare di metterti in discussione, lettore o catechista, chiunque tu sia che annunci la sua Parola, di guardarti dentro e fuori, di riflettere continuamente, di migliorarti per amore verso te stesso e verso le altre persone.
Se continui ad essere uno strumento stonato, che intona una melodia che non rispecchia la sinfonia meravigliosa che Dio ha creato, non stai dando valore alla tua missione; bisognerebbe sentirsi sempre all’altezza del compito che ti è stato assegnato, anche se la debolezza umana è quel contenitore fragile che la grazia di Dio riempie continuamente senza mai stancarsi per consentirti di procedere spedito nel tuo compito.
Per quanto riguarda la missione che si deve svolgere, ricordiamo il grande testimone di Dio, Mosè, che si sente chiamato per nome da Lui, come a dire che viene visto per quello che è, nella sua unicità e concretezza esistenziale; egli si mostra balbuziente e impacciato nella parola (Esodo 4,10-13):
“Mosè disse al Signore: Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua”.
Viene in soccorso a questa incombenza Dio stesso che gli risponde:
“Il Signore replicò: Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? Ora va’! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire. Mosè disse: Perdona, Signore, manda chi vuoi mandare!”.
Un altro fedele aiuto di Mosè, Aronne, sarà la sua bocca per pronunciare i messaggi dell’Altissimo e per andare dal faraone d’Egitto (Esodo 7,1-2).
“Il Signore disse a Mosè: Vedi, io ti ho posto a far le veci di Dio di fronte al faraone: Aronne, tuo fratello, sarà il tuo profeta. Tu gli dirai quanto io ti ordinerò: Aronne, tuo fratello, parlerà al faraone perché lasci partire gli Israeliti dalla sua terra”.
Ancora in Esodo 3,6 il Signore risponde a Mosè quando lui si avvicina per guardare un roveto che brucia e non si consuma e Dio lo chiama dicendo: “E disse: Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”.
La voce che lo chiama viene dal fuoco, ma notiamo come tutti i sensi vengono coinvolti nel racconto, non soltanto la voce, ma anche la vista, l’udito, i sensi. Ma anche di questo aspetto parleremo in seguito, in questo libro.
In definitiva la riforma liturgica del Concilio Vaticano II ha ridato valore e credibilità alla liturgia della Parola. Ma nel contempo si assiste spesso a un fenomeno di “spontaneismo” e di “auto promozione” ai ministeri che ha generato una repentina esplosione di lettori.
Cioè si è consentito a tutti i “fedeli volenterosi” di assumere il ministero della proclamazione della parola di Dio. Una elargizione di ministeri vissuta un pò nella più ingenua improvvisazione, come se la parola di Dio possa essere proclamata facilmente da tutti come fosse un incarico che magicamente trasformava le persone anche senza un’adeguata selezione e formazione.
Certo, questa non è una denuncia di chissà cosa è avvenuto, è stato per certi versi anche una buona cosa accogliere molte persone ispirate a partecipare attivamente alle liturgie, ma diciamo solo che questo fenomeno degli ultimi anni meriterebbe una qualche rettifica organizzativa.
La proclamazione della parola di Dio non può essere vissuta come un’occasione in più per fare spazio ad un certo spontaneo attivismo celebrativo, che spinge chiunque ad assumere ruoli e funzioni nell’ambito della liturgia.
I ministeri non possono essere delle gratificazioni ecclesiali da conferire a persone benemerite, ma a quanti già di fatto hanno dato e danno prova di disponibilità al servizio.
"Questo libro è dedicato a tutte le persone che desiderano imparare ad avere profonda consapevolezza delle PAROLE della Bibbia e riuscire a proclamarle con autorevolezza e sicurezza"
Racchiude 35 anni di esperienza nella Chiesa condensati in 430 pagine di puro valore.
Non perdertelo per niente al mondo!"
Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino.
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