OTTOBRE MISSIONARIO
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
LO STILE DI EMMAUS COME STILE DI DISCERNIMENTO E ACCOMPAGNAMENTO
di Rosalba Manes
Consacrata dell’ordo virginum e biblista (Pontificia Università Gregoriana)
La Bibbia ebraica si conclude con questo invito al viaggio: «Chiunque di voi appartiene al suo
popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!» (2Cr 36,23). Qual è la meta del salire di ogni
membro del popolo di Dio? È detto poco prima nello stesso versetto: «Così dice Ciro, re di Persia:
“Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli
un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda”».
Il Signore vuole che Gerusalemme sia la meta di attrazione di tutto il suo popolo. A partire da
questa conclusione, si può affermare davvero che «la Bibbia ebraica si pone interamente sotto il
segno del pellegrinaggio»1. E siccome la Bibbia ebraica confluisce negli scritti cristiani, anche il
Nuovo Testamento è posto sotto questo segno. I cristiani sono pellegrini, senza fissa dimora. Essi,
come ricorda la Lettera a Diogneto, «vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a
tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e
ogni patria è straniera»2. I cristiani di ogni tempo e di ogni età sono pellegrini muniti di una ricca
collezione di parole, la Bibbia, che si offre sempre come casa “portatile”.
I giovani e la vita come viaggio
Anche la pericope evangelica di Luca relativa al viaggio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)
offre lo spunto per pensare la vita umana come un pellegrinaggio3. Le vite dei due discepoli, come
di tutti i personaggi che la Bibbia ci consegna, più che essere modelli, sono «vite in evoluzione»4,
investite in un pellegrinaggio che può essere percorso in modo spento oppure dinamico, a seconda
della compagnia e della meta. E questo ci fa pensare soprattutto alle vite dei giovani che sono così
tanto in evoluzione a motivo della crescita, della loro curiosità e del desiderio di mettersi alla
prova coinvolgendosi nelle esperienze più disparate.
Luca invita i suoi lettori a immedesimarsi con i suoi due pellegrini5, quasi ad offrire una
sintesi del suo vangelo6. Si tratta, però, di due pellegrini coinvolti in un viaggio drammatico, che si
1 J.-P. SONNET, Il canto del viaggio, Qiqajon, Magnano (Bi) 2009, 12.
2 A Diogneto, Città nuova, Roma 2008, V,5, 83.
3
«Con ogni probabilità, questo insistente richiamo al tema del cammino ha la sua spiegazione nel fatto che il
cammino di cui parla l’evangelista altro non è se non la vita del cristiano recepita a mo’ di pellegrinaggio e che esso ha
bisogno della presenza del Risorto per non diventare alienante e triste» (V. PASQUETTO, «L’apparizione del Risorto ai
discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)», in M. LACONI E COLLABORATORI, Vangeli sinottici e Atti degli apostoli, Elle di ci,
Leumann (To) 1994, 438).
4 G. BONIFACIO, «Emmaus e il secondo annuncio», Esperienza e teologia 30 (2014), 26.
5 «Leggere la Bibbia sino in fondo è diventare pellegrini; diventare pellegrini biblici è accogliere il libro della
Scritture come guida delle nostre strade, divine e umane, da percorrere sino alla Gerusalemme di Dio» (J.-P. SONNET, Il
canto del viaggio, 12).
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
muove, cioè, in direzione opposta a Gerusalemme. Essi, infatti, dopo aver smarrito l’entusiasmo
durante i tristi eventi della Passione, decidono di lasciarsi la città santa alle spalle, di dimenticare il
cammino fatto fino a quel momento, di tornare indietro, al punto di partenza, quando una parola
“altra” li aveva affascinati, interpellati e mossi a salire a Gerusalemme. Vogliono riabbracciare la
vita di un tempo, prima che la precarietà della sequela venisse a ritmare il cammino, prima di
investirsi in un percorso che ha condotto ad un vicolo cieco. I due partono risoluti verso Emmaus,
ma non è mai piacevole ritornare a casa senza premi o trofei e un senso di sconfitta fa capolino
interiormente: il cuore è gonfio di tristezza e il passo si fa pesante, lento.
Solo alla fine dell’intreccio narrativo, che ha un Sitz im Leben7 squisitamente liturgico, dopo
un incontro illuminante attraverso il quale il cuore si riaccende e gli occhi sono in grado di
riconoscere il Risorto e di vedere la novità, essi potranno riprendere lieti la marcia, consapevoli di
accogliere una chiamata e una missione rinnovate che hanno ancora una volta a che fare con
Gerusalemme, luogo dove germoglia la chiesa madre8.
Luca ci ricorda così che tutta la vita è un cammino di uscita incontro agli altri, un esodo dalla
tirannia dei bisogni, che porta a concentrarsi su di sé, alla ricerca appassionata della libertà da sé
per scoprire la forza del desiderio che allarga gli orizzonti, rende cercatori di senso e permette di
gustare la piena fioritura dei propri doni personali. La vita è un viaggio verso di sé, a contatto con
la propria vocazione più profonda, alla scoperta di un volto che interpella con la sua parola e con la
sua presenza, in un graduale apprendistato delle relazioni che porta chi non teme le salite e i
sentieri impervi alla scoperta della storia di alleanza e di salvezza di cui fa parte. La vita è un
viaggio meraviglioso che contempla, tuttavia, deragliamenti e battute d’arresto, prima di diventare
un «cammino di giustizia» (Sal 23,3) o «sentiero della vita» che è «gioia piena» e «dolcezza senza
fine» (Sal 16,11)
Chiamati a mettere «ali come aquile»
L’evangelista Luca offre ai destinatari della sua diḗghēsis («resoconto ordinato»)9 l’occasione
di riflettere sulla vita come occasione di incontro con un Dio pellegrino che non aspetta che la
creatura umana gli vada incontro, ma che si mette sulle sue tracce, la intercetta, l’accompagna
dispiegando la forza del suo eterno Io-con-te (cfr. Es 3,12; Sal 23,4) e si fa suo commensale (cf Gen
18,1-15).
6
«Lc 24 contiene… la storia biblica: leggendo questo capitolo, si attraversano tutte le promesse, tutte le
Scritture. Capitolo enciclopedico, gravido di tutto il passato: di Gesù e della storia che lo precedeva. […] Inizio e fine
del vangelo si corrispondono… In Lc 1, il narratore e l’angelo avevano invitato a rileggere la storia dei patriarchi e dei
profeti. In Lc 24, l’invito è lo stesso, esplicito stavolta; d’altronde non si tratta più di allusioni sparse qua e là, ma di una
rassegna completa: “E incominciando da Mosè e tutti i profeti, interpretò loro in tutte le Scritture ciò che lo riguardava”
(v. 27; cfr. anche v. 44)» (J.-N. ALETTI, L’arte di raccontare Gesù Cristo. La scrittura narrativa del vangelo di Luca,
Queriniana, Brescia 1991, 153).
7 Espressione tedesca che indica il «contesto vitale», cioè la situazione storica, sociale e culturale della comunità
primitiva.
8 I due discepoli di Emmaus «“descrivono” un cammino plausibile con cui confrontarsi, aprendo una possibilità
di incontro con il Risorto, che resta a disposizione di chi si lascia intrigare dal racconto» (G. BONIFACIO, «Emmaus e il
secondo annuncio», 27).
9 Si tratta del termine con cui l’evangelista in Lc 1,1, all’inizio del prologo, designa il suo vangelo.
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
Dalla carenza di energia sperimentata da chi cammina con le sue sole forze il Dio pellegrino
dà a chi cammina in sua compagnia la possibilità di acquisire misteriosamente «ali come aquile»,
com’è descritto all’inizio del Libro della Consolazione di Isaia10. Questa forza supplementare,
queste «ali di aquile» (Es 19,4), la Sacra Scrittura desidera offrirle ai suoi lettori e in modo speciale
ai giovani perché diventino atleti dello Spirito del Risorto, pieni dell’energia che viene dalla Parola,
dall’Eucaristia e dalla comunione con gli altri.
Per questo il Sinodo dei giovani ha privilegiato l’icona biblica dei discepoli di Emmaus e l’ha
letta alla luce del cammino di accompagnamento dei giovani11. Il racconto evangelico che ne parla
non è tanto un racconto di apparizione ma piuttosto il «racconto della trasformazione di due
discepoli a partire dal riconoscimento del Risorto»12. Non il vedere qualcosa è al cuore del
racconto di Luca, ma il riconoscere qualcuno. Non sono, infatti, le cose che trasformano il cuore di
un giovane che si apre alla vita, ma un incontro con una Persona che si incide per sempre nella
memoria del cuore, creando un prima e un dopo. Si tratta di un’esperienza simile
all’innamoramento che aiuta a distinguere la vita da tutto ciò che è una sua copia sbiadita13 e
mette le ali ai piedi…
La delusione del vivere: i giovani in cerca di senso
Lc 24,13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome
Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme.
Il racconto di Luca parte da due discepoli increduli e delusi che si stanno separando da
Gerusalemme e dalla comunità. Si potrebbe parlare di un cammino di «de-vocazione»14. Gli eventi
della Pasqua hanno scandalizzato i seguaci di Gesù, al punto che alcuni di loro decidono di mettere
una pietra sopra alla loro esperienza di discepolato per ritornare alla vita di un tempo. È il
sopravvento dello scoramento che prende quanti si sentono feriti da un’esperienza sulla quale
avevano proiettato tante attese, ma che poi ha lasciato l’amaro in bocca.
L’evangelista Luca ci parla, in particolare, di due discepoli che lasciano Gerusalemme per
riprendere la strada di casa, compiendo il viaggio inverso a quello che domina l’intero Vangelo di
Luca. Sono diretti ad Emmaus, città non molto lontana (forse 7 km), ancora oggi di difficile
identificazione15. Attratti dalla parola di Gesù ed estratti dal loro ambiente, avevano intrapreso il
cammino della sequela, riponendo nel maestro di Nazareth le loro attese e soprattutto le loro
10 «Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti
inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza
affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,29-31).
11 FRANCESCO, Christus vivit, Esortazione Apostolica Postsinodale ai giovani e a tutto il Popolo di Dio, LEV,
Città del Vaticano 2019, nn. 156; 236; 292; 296.
12 L. MANICARDI, Raccontami una storia. Narrazione come luogo narrativo, Messaggero, Padova 2012, 189.
13 «Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai
ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza» (C. YANNARÁS, Variazioni sul Cantico dei cantici, Servitium, Milano
1997, 25).
14 Così viene chiamato il cammino dei due discepoli di Emmaus in L. MANICARDI, Raccontami una storia, 192.
15 Questo cammino da Gerusalemme a Emmaus appare anche simbolico: Emmaus è la cittadina dove Giuda
Maccabeo nel 167 a.C. aveva sconfitto Gorgia, generale di Antioco IV Epifane (cfr. 1Mac 3,40.57; 4,3), quindi luogo
della vittoria contro un nemico di Israele. Dalla città della Pasqua i due discepoli scelgono di dirigersi alla città della
vittoria e della prospettiva messianica.
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
speranze messianiche. Dopo gli eventi della Pasqua, però, non restano in loro che delusione e
tristezza per un’operazione non andata a buon fine, per un piano naufragato nel peggiore dei
modi.
Non resta che dimenticare, rimuovere il dolore per il fallimento e tornare alle sicurezze di un
tempo, quando il senso del vivere era dettato dal bisogno di procurarsi i mezzi di sussistenza e
prepararsi un futuro di benessere. Vi è un regresso che porta il cuore all’oblio dell’esperienza
fallimentare per cercare sostegno nel “mondo conosciuto”. La delusione, infatti, è nemica della
memoria e quando la memoria sbiadisce si perde il senso della propria chiamata, si azzera anche
tutto il bene che si è potuto sperimentare e ci si sente attratti a vivere «soltanto di pane» (Dt 8,3;
cfr. Lc 4,4).
Questo è lo sconforto che porta molti giovani a passare frettolosamente da un’esperienza
all’altra, senza il coraggio e la pazienza di rileggere ogni evento per «distinguere ciò che è prezioso
da ciò che è vile» (Ger 15,19).
La grazia del condividere: superare il mutismo dei giovani
Lc 24,14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
Inizia il viaggio di ritorno. I due se ne vanno da Gerusalemme, quella città che avrebbe dovuto
profumare di pace – come dice il suo nome, che contiene la parola shalom – e che invece è satura
di odio. Imboccano la strada del ritorno, ma il silenzio fa paura e iniziano a conversare, accendono
il dialogo che libera la forza della compagnia che sola tiene a bada le angosce del cuore umano. È
la vittoria della relazione sul silenzio della solitudine, il trionfo della parola che sfida la morte, che
vuole aggrapparsi alla vita, nonostante la tristezza abbia preso il sopravvento nel cuore. Parlano i
due discepoli e parlano di tutto ciò che è accaduto nella città santa. Hanno voglia di parlare, forse
perché il silenzio li mette in un contatto troppo ravvicinato con la propria interiorità o forse
perché, pur volendosi sganciare al più presto dall’esperienza che li ha delusi, si sentono ancora
intimamente connessi ad essa.
La situazione iniziale del brano si caratterizza per un viaggio di ritorno scandito dalle parole di
una conversazione tra amici. Il parlare dei due discepoli presenta dei tratti particolari: Luca usa il
verbo omiléo, «discorrere», che proviene dal contesto liturgico (cfr. At 20,11), e il verbo syzetéo,
«cercare insieme», che evidenzia un conversare orientato a trovare una soluzione comune (cfr. At
15,7). Questo conversare manifesta la grazia di condividere, tenendo i cuori connessi l’uno
all’altro. Parlano i due amici, praticano l’arte salutare e salvifica del racconto16 e testimoniano che
c’è ancora un soffio di vita nel loro cuore indolenzito per via della grande delusione.
16 «la magia fondamentale della narrazione sta nella sua capacità di dare senso. Non è la cronaca dei fatti o la
mera registrazione di ciò che accade, ma solo la loro narrazione che produce senso e quindi rende vivibile e
sopportabile il mondo. Nel racconto i fatti divengono umani, cioè una trama di eventi significativi. Il racconto umanizza
il tempo. […] Così la vita si fa somigliante a un testo, a un tessuto, a un tappeto, per esempio, che è costituito da una
trama infinita di segni ciascuno dei quali, preso in se stesso, è privo di senso, ma che insieme agli altri forma un disegno
misterioso e affascinante. Il racconto crea ordine nel caos, crea unità fra le dimensioni del passato, del presente e del
futuro […] strappa l’uomo alla tirannia del presente…» (L. MANICARDI, Raccontami una storia, 25-26.27).
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
Anche qui si coglie il bisogno impellente che i giovani hanno di raccontarsi esperienze,
problemi, paure, ignari a volte di non disporre tra coetanei di tutti i mezzi utili ad avanzare.
Parlano i due pellegrini che lasciano la città santa e gli altri amici, ma non come chi parla al vento.
Questa parola è suono che qualcuno riesce ad ascoltare…
La grazia del camminare insieme: vincere la solitudine e lo smarrimento dei giovani
Lc 24,15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con
loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi
discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?».
Il racconto lucano presenta una complicazione per via dell’apparizione di un terzo personaggio,
Gesù, che innesca la tensione drammatica del processo di riconoscimento. Mentre il lettore ne
conosce l’identità, i due discepoli la ignorano. Il Risorto, che è lo straniero per eccellenza, il
pellegrino che si lascia trovare mentre è vicino (cfr. Is 55,6) ed itinera lungo i nostri sentieri, in
cerca della pecora (cfr. Lc 15,4-7), della dracma (cfr. Lc 15,8-10) e dei figli (cfr. Lc 15,11-32)
smarriti, si fa loro compagno di viaggio, anche se “in borghese”. I loro occhi, però, non vedono o
meglio non sanno riconoscere e senza riconoscenza, si smarrisce anche la conoscenza del Maestro
e non è possibile il suo riconoscimento. Gli occhi dei discepoli sono chiusi alla fede, «incapaci di
leggere la storia alla luce della fede»17.
La pedagogia del Risorto sarà allora proprio quella di aiutarli a riconoscerlo, riaccendendo
gradualmente la memoria del cuore. Egli si accosta invitandoli a raccontarsi perché possano tirare
fuori il loro dolore e consegnarlo. Li stimola ulteriormente all’arte del racconto che permette di
dire, di dirsi e di dare senso. La narrazione, infatti, implica, per ogni persona e soprattutto per i
giovani, il coinvolgimento di tutte le facoltà personali alla ricerca dell’unità, della forma e del
senso, che spesso si nascondono nei dettagli della storia o nello sguardo di chi accoglie il racconto,
offrendo il suo tempo, donando se stesso. Essere attesi dallo sguardo di un altro è proprio per ogni
giovane la base per approdare a una comprensione nuova del proprio esistere e della propria
chiamata nella storia.
La grazia di raccontare e raccontarsi: intercettare gioie e dolori dei giovani
Lc24,17Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Cleopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero
a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli
risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti
a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per
farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe
liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma
alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo
trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano
17 L. MANICARDI, Raccontami una storia, 192.
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le
donne, ma lui non l’hanno visto».
Il pellegrino viene scambiato per uno straniero18 ignaro dei fatti. Egli allora sta al gioco e chiede
delucidazioni. Finge non per mentire, ma per guarire. Non vuole giocare con loro, ma aiutarli ad
esternare l’amarezza e riaccendere la memoria. Allora per liberarli dal senso di delusione, libera la
domanda: «Che cosa è successo?» e i due si fermano e mostrano la loro tristezza19 che incontra
finalmente un “luogo” dove poter essere depositata, consegnata: l’orecchio, il cuore, il tempo di
quel pellegrino.
La Christus vivit sottolinea la qualità dell’ascolto del Risorto e offre questo esempio come
prototipo a chiunque si accosti ai giovani per accompagnarli:
La prima sensibilità o attenzione è alla persona. Si tratta di ascoltare l’altro che ci sta
dando sé stesso nelle sue parole. Il segno di questo ascolto è il tempo che dedico
all’altro. Non è una questione di quantità, ma che l’altro senta che il mio tempo è suo:
il tempo di cui ha bisogno per esprimermi ciò che vuole. Deve sentire che lo ascolto
incondizionatamente, senza offendermi, senza scandalizzarmi, senza irritarmi, senza
stancarmi. Questo ascolto è quello che il Signore esercita quando si mette a
camminare accanto ai discepoli di Emmaus e li accompagna per un bel pezzo lungo una
strada che andava in direzione opposta a quella giusta (cfr Lc 24,13-35)20.
Alla domanda del pellegrino uno dei due, l’unico di cui si conosca il nome, Cleopa, imbastisce un
racconto sintetico del ministero di Gesù e della loro sequela, segnata dal ritmo della speranza, una
speranza che però la crocifissione ha spento del tutto e che i racconti della tomba vuota non sono
riusciti ad alimentare. Parla di Gesù di Nazaret, senza sapere che egli è suo compagno di viaggio.
Riprende le grandi tappe della sua vita: nome, luogo di origine, ministero, passione, identità dei
suoi avversari, tipo di morte. Identifica Gesù a «un profeta potente», solidarizza con i sommi
sacerdoti che chiama «nostri», parla di una pasqua priva di risurrezione cui fa cenno solo
rimandando a delle ipotesi (che i due non hanno voluto verificare) e termina con una speranza
naufragata nell’assenza di colui che era stato riconosciuto come un potenziale liberatore.
Cleopa allude a una storia ben precisa, senza però collegarla alla storia sacra. Richiama alla
mente, ma non risveglia la memoria. Sa parlare di Gesù, ma senza evangelizzare. Narra un vangelo
senza gioia e coinvolgimento emotivo, un resoconto cronachistico che lascia indifferenti21.
Cleopa somiglia a molti giovani di oggi che conoscono Cristo solo “per sentito dire”, che lo
nominano solo perché parte di una narrazione familiare trasmessa per via di «carne e sangue» e
non «per la potenza dello Spirito», che lo sentono morto o troppo lontano dalla loro esistenza così
18 Il verbo che Luca mette sulle labbra di Cleopa è paroikéō che indica la situazione di provvisorietà e di
estraneità del suo interlocutore, il fatto di dimorare in una terra straniera, come Abramo che «soggiornò (cioè si stabilì
come straniero) nella terra promessa come in una regione straniera» (Eb 11,9).
19 «Lo stato della loro “salute spirituale” traspare dai riflessi somatici: “scuri in volto”, “occhi impediti”. Sono
simbolicamente in una situazione di morte. Il loro stesso racconto riguardante Gesù appare come un necrologio, una
triste cronaca» (L. MANICARDI, Raccontami una storia, 192-193).
20 FRANCESCO, Christus vivit n. 292.
21 Dopo il primo momento in cui si mostra alquanto evasivo, Cleopa si lancia nel racconto e «dà il via alla sua
esposizione, che non è un semplice resoconto dei fatti, ma un’evidente presa di posizione circa Gesù, il suo operato e la
sua sorte: riferisce di un passato ormai finito (vv. 19-20), denuncia un futuro disatteso (v. 21), approda su un presente
segnato dallo sconcerto e dal dubbio (vv. 22-24). Quello che manca non è la ricchezza del vissuto, ma un criterio che gli
dia senso, come dimostra il brusco intervento del Risorto» (G. BONIFACIO, «Emmaus e il secondo annuncio, 34).
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
lontana dal gergo con cui comunemente si narra la fede, un gergo che rigettano perché
moralistico, volto più a castigare che ad animare e a vivificare.
La grazia della comprensione della Pasqua: appassionare i giovani alle Scritture
Lc 24,25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non
bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando
da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Solo dopo che i due di Emmaus hanno fatto l’autodiagnosi della loro perdita di speranza il
forestiero interviene e prende la parola. Dopo aver ascoltato e aver permesso loro di estrarre tutta
l’amarezza e il non senso, rimprovera i due di mancare di intelligenza e di sentimenti per aver
creduto alla parola dei profeti. I profeti avevano parlato della prova come costante della vita
umana e del Dio che salva non dalle prove, ma all’interno delle prove e inizia a leggere le Scritture
profetiche, mostrando l’intima connessione tra queste e la sua vita. Lo sconosciuto denuncia la
loro fatica di cogliere il filo rosso della storia della salvezza e inaugura un’esposizione cristologica
delle Scritture: il Messia annunciato dai profeti ama gli asini e non i cavalli, elimina i carri e l’arco di
guerra (cfr. Zc 9,9), è compassionevole verso il dolore e la sofferenza umana (cfr. Is 53,4).
Formando i discepoli alla sequela, il Maestro aveva parlato della sua passione come via per
accedere alla gloria. Perciò il forestiero li scuote perché dall’essere ripiegati sulla fine di una storia
si aprano al germogliare di una creazione nuova. È una narrazione ossigenata la sua che va oltre la
lettera per coglierne lo Spirito e che illumina gli occhi del cuore. La Pasqua si può comprendere
solo alla luce delle Scritture d’Israele che contengono una pedagogia dell’umano che si realizza
pienamente in Cristo: «la parola del comando orienta, la parola profetica interviene per cambiare,
la parola sapienziale legge la storia. Gesù non è nella tomba, dietro una pietra che chiude il
passato, ma nelle Scritture gravide di speranza e portatrici di futuro che egli solo è venuto a
compiere (cfr. Lc 4,21)»22.
Gesù conferma le parole della Scrittura, mettendone in luce il loro sensus plenior23: l’eventoCristo, cioè tutti gli eventi connessi alla sua persona, conferma l’agire salvifico del Dio di Israele nel
passato, segno che la sua morte di Croce è la consegna piena di Dio all’uomo e combacia con
l’intenzionalità originaria di Dio di donare all’uomo tutto se stesso in un amore che va fino alla
fine.
Il Risorto insegna ad ogni educatore ed educatrice, ad ogni padre e madre spirituale, l’arte di
comunicare con larghezza la Parola che nutre il cuore e di aiutare la persona a loro affidata «a
decifrare il linguaggio che Dio usa verso di lei e a scoprire negli eventi della vita la parola di Dio per
lei»24. I giovani in tal modo si sentono adottati da qualcuno che li ama e sa donare loro il suo
tempo, che sa consegnare loro parole di senso, che li fa volgere verso un Altro, il Padre, e li aiuta a
vedersi nell’unità e non più nella dispersione, a vedersi con gli occhi di Dio e a tessere la propria
storia con il tessuto della Chiesa, per non rimanere individui ma un organismo vivo, comunitario.
22 R. MANES, «Il cielo si aprì». Il Dio misericordioso e tenero di Luca, Cittadella, Assisi 2015, 149.
23 «è importante rilevare la costante connessione fra la comprensione delle Scritture e la croce… La Croce non è
predetta dalla Scritture ma è “conforme” ad esse. V’è una circolarità ermeneutica: le Scritture rinviano a Cristo e Cristo
rinvia alle Scritture. Nel prisma della Pasqua i discepoli comprendono Gesù alla luce delle Scritture, ma anche le
Scritture alla luce di Gesù» (M. CRIMELLA, Luca. Introduzione, traduzione e commento, San Paolo, Cinisello Balsamo
(Mi) 2015, 371).
24 M.I. RUPNIK, Nel fuoco del roveto ardente. Iniziazione alla vita spirituale, Lipa, Roma 1996, 62012, 97.
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
La grazia di riconoscere il Vivente: insegnare ai giovani l’arte del discernimento
Lc 24,28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più
lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto».
Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione,
lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.
L’ermeneutica di Gesù esercita un tale fascino sui due discepoli di Emmaus che, pur essendo
giunti a destinazione, non possono più staccarsi dallo straniero. Egli fa come per andarsene e i due
reagiscono e lo invitano a restare: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al
tramonto» (Lc 24,29). Lo invitano così a restare e a condividere il pasto con loro, momento sacro
per la cultura orientale per rifare le forze e consolidare il vincolo di amicizia.
La Christus vivit ricorda la potenza della convivialità o ospitalità che il Nuovo Testamento
chiama filoxenía (cfr. Rm 12,13; Eb 13,2): «Quando Gesù fa come se dovesse proseguire perché
quei due sono arrivati a casa, allora capiscono che aveva donato loro il suo tempo, e a quel punto
gli regalano il proprio, offrendogli ospitalità. Questo ascolto attento e disinteressato indica il
valore che l’altra persona ha per noi, al di là delle sue idee e delle sue scelte di vita»25.
Dopo aver ricevuto in dono il tempo di quello straniero, i due discepoli desiderano donare il
proprio: resta con noi è, al tempo stesso, una richiesta e un’offerta. È chiedere aiuto e,
contemporaneamente, dimenticarsi di sé per mettere al centro l’altro. È incominciare a sentire il
sapore del dono e il senso del proprio stare al mondo.
Il pellegrino accetta e la sua presenza, le sue parole e i suoi gesti provocano un forte
impatto. Gli occhi si aprono e lo riconoscono: «dinanzi a loro non vi è più un ospite sconosciuto,
ma quel crocifisso che la tomba non è riuscita a trattenere e che per restare con i suoi si è fatto
parola e pane»26. La fractio panis libera tutta la fragranza del dono di Cristo che scompare ma
accende nei due il fuoco della fede, con il quale possono scaldare il gelo della vita ed infiammare il
mondo.
Alla luce della Parola di Dio letta in chiave cristologica27 inizia l’arte del discernimento, la
capacità di fiutare la presenza del Risorto nella storia e nella propria vicenda esistenziale e di
sperimentarla, in comunione con i fratelli, all’interno della celebrazione liturgica che permette di
accedere sin d’ora alla vita del Regno, alla gloria destinata ai figli.
La grazia del cuore ardente: formare i giovani all’annuncio gioioso
Lc 24,31Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro
cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono
senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano
con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi
i
25 FRANCESCO, Christus vivit, n. 292.
26 R. MANES, «Il cielo si aprì», 150.
27 Nelle Scritture spiegate da Cristo che ne è la chiave si trova «il modo di trarre le fila delle diversissime
esperienze umane, nel campo del bene e della verità, per riunificarle in un quadro coerente in cui l’annuncio della
Risurrezione appaia come il sigillo di Dio su un disegno di salvezza e non come un evento strano e inaspettato» (C.M.
MARTINI, L’evangelizzatore in san Luca, Ancora, Milano 2000, 153).
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Prima ancora che si aprissero gli occhi, il cuore aveva già iniziato a scaldarsi e a risvegliarsi,
alimentando quel fuoco che il Cristo è venuto a gettare sulla terra (cfr. Lc 12,49) e la cui fiamma si
propagherà a partire dall’evento dell’effusione dello Spirito a Pentecoste (cfr. At 2,3) come
potenza di Dio che divampa nella predicazione della Parola. Il fuoco ha sempre nelle Scritture una
coloritura teofanica, è cioè un elemento che nel racconto biblico dice l’irruzione di Dio (cfr. Es 3,2)
e la natura del suo amore (cfr. Ct 8,6).
Il Risorto appicca un fuoco nel cuore dei suoi, ma lui non è più visibile, perché egli non è quel
viandante: è il Risorto che vive e si fa sperimentare vivo nella vita stessa di chi crede in lui. Egli è
assente perché «non è più legato all’orizzonte terreno, non è più palpabile, visibile in maniera
fisica; eppure è ancora realmente presente e sperimentabile»28. Inoltre c’è un’importante
pedagogia che il Risorto dispiega come afferma la Christus vivit che ci ricorda che chi accompagna i
giovani deve «scomparire come scompare il Signore dalla vista dei suoi discepoli, lasciandoli soli
con l’ardore del cuore, che si trasforma in impulso irresistibile a mettersi in cammino»29.
È il segno sacramentale che permette di riconoscere il Signore non come uno di fuori che si
può vedere, ma come uno che abita dentro e scalda il cuore. Il riconoscimento del Risorto
trascende l’empiria superficiale: è un’esperienza di fede! Luca gioca sul contrasto tra gli occhi
“impediti” (v. 16) e gli occhi “spalancati” (v. 31). Tra le due situazioni irrompe la fede: «la presenza
del Signore è accessibile tramite la Parola ascoltata, tramite il pane spezzato e, più in generale, per
mezzo della fede»30.
Ed è proprio a partire dalla fede che si compie la trasformazione interiore dei discepoli che
non sono più prigionieri di segni miracolosi. Il gesto del pane spezzato, infatti, «allontana
definitivamente l’attesa idolatrica dei segni e permette ai discepoli di dire l’essenziale – la loro
trasformazione interiore all’ascolto della sua parola sulle Scritture – senza rattristarsi per la sua
scomparsa»31. Il binomio Parola-Pane eucaristico trasfigura il senso della sequela vissuta e
permette di riprendere la strada per tornare dai compagni e annunciare loro che il Maestro è vivo
e a farsi pane per loro32.
I discepoli passano così dall’abbattimento allo slancio, dal bisogno di vedere i segni al
desiderio di ascoltare e annunciare la parola, dall’attesa di un messia foriero di rivoluzione politica
o sociale e capace di spazzare via da Israele ogni presenza ostile all’accoglienza del dono d’amore
di Cristo che spinge a tornare a Gerusalemme, in mezzo agli altri, alla nuova famiglia dei credenti
in Cristo, nel clima fecondo e gioioso della lode e della comunione.
La Scrittura rimane sigillata senza la luce che promana dall’evento della morte e risurrezione
di Cristo e senza narratori, testimoni capaci cioè di attraversare la storia “sacramentalmente”,
28 G. RAVASI, I Vangeli, EDB, Bologna 2016, 431.
29 FRANCESCO, Christus vivit, n. 296.
30 M. CRIMELLA, Luca, 367.
31 J.-N. ALETTI, L’arte di raccontare Gesù Cristo, 162.
32
«Perché il Risorto sia veramente presente, non basta la partecipazione al rito. Questo diventa portatore di vita
se riesce a trasformare anche i commensali in pane che si spezza per i fratelli» (V. PASQUETTO, «L’apparizione del
Risorto ai discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)», 439).
“CUORI ARDENTI, PIEDI IN CAMMINO”
SPUNTI DI RIFLESSIONE PER L’ANNO PASTORALE 2023/2024
aprendola a Dio e vivificandola attraverso il loro pellegrinaggio pieno di zelo e dedizione e la loro
parola incisiva e gravida di Spirito Santo.
Il Maestro è vivo e chiede ai giovani, che sono “la promessa del Padre”, di seguirlo lungo le
vie del mondo, non come individui che rifuggono nelle proprie sicurezze o nel benessere
personale, ma come comunione di fratelli e sorelle che sanno nutrire la memoria dell’incontro con
Cristo e ravvivarla mediante la preghiera, la testimonianza, la forza dei sacramenti e degli affetti e
che sanno accogliere «ali come aquile» per collaborare alla corsa di una Parola (cfr. 2Ts 3,1) che
non subisce mai battute d’arresto perché eterna.
Lc 24,13-35, capolavoro catechetico e didattico, invita noi formatori e accompagnatori a
lasciarci lavorare dallo Spirito per generare i giovani alla vita filiale di Cristo che si compie nel dono
di sé. Invita inoltre i giovani a scoprire la bella esperienza di affrontare il pellegrinaggio della vita
sapendosi sempre accompagnati33 in una pastorale feconda perché intesa come un processo
rispettoso, paziente, fiducioso e compassionevole34 e a sentirsi destinatari di una grande
attenzione e di un ascolto profondo35 che li renda capaci di udire il battito del Padre che, nel cuore
del Figlio, palpita per loro di amore eterno.
SOMMARIO
L’articolo propone una lettura narrativa del racconto di Emmaus (Lc 24,13-35) che privilegia il
tema del «viaggio» come metafora della vita e offre una serie di indicazioni preziose per ripensare
la necessità e l’urgenza di avviare i giovani all’arte del discernimento. Attraverso la prossimità
tipica di un accompagnamento che si realizza come un processo graduale e che contempla la
possibilità di una reale esperienza di generazione spirituale, il contatto con la Parola contenuta
nelle Scritture e rivelatrice di senso e l’esperienza sacramentale all’interno di un contesto
ecclesiale che testimoni un’alta qualità dei rapporti e di comunione, è offerta ai giovani
l’opportunità di coltivare sogni e desideri grandi e di aprirsi serenamente al futuro, sentendosi
depositari di una chiamata al dono di sé, a cui dare carne giorno per giorno.