Febbraio delle Parrocchie

Febbraio delle Parrocchie

Il Papa: preghiamo perché ogni parrocchia abbia le porte sempre aperte per tutti

Guarda alle comunità parrocchiali l’intenzione di preghiera di Francesco affidata a tutta la Chiesa per il mese di febbraio. Era il 2023, appena un anno fa ma, nel video diffuso dalla Rete mondiale di preghiera del Papa c’era l’invito sempre attuale a ripensare con coraggio lo stile delle parrocchie per farle diventare veri luoghi di comunione tra le persone e di accoglienza, senza esclusioni

Adriana Masotti – Città del Vaticano

La parrocchia non è un “club” riservato a pochi, ma un luogo dove per entrare non sono richiesti particolari requisiti e alla cui porta d’entrata si dovrebbe leggere: “ingresso libero”. E’ per questa intenzione che Francesco invita a pregare la Chiesa nel Video diffuso dalla Rete mondiale di preghiera del Papa per il mese di febbraio. Un modo per chiedere che le parrocchie siano davvero comunità, centri di ascolto e di accoglienza “con le porte sempre aperte”.

Il messaggio del Papa 

“A volte penso che dovremmo affiggere nelle parrocchie, alla porta, un cartello che dica: ‘Ingresso libero’ – afferma Papa Francesco nel Video del Papa  -. Le parrocchie devono essere comunità vicine, senza burocrazia, centrate sulle persone e in cui trovare il dono dei sacramenti. Devono tornare ad essere scuole di servizio e generosità, con le porte sempre aperte agli esclusi. E agli inclusi. A tutti”. Il messaggio di Francesco è che “le parrocchie non sono un club per pochi, che garantisce una certa appartenenza sociale”. E prosegue con l’esortazione: “Per favore, siamo audaci! Ripensiamo tutti allo stile delle nostre comunità parrocchiali”. L’intenzione di preghiera del Papa per febbraio è dunque “perché le parrocchie, mettendo la comunione – la comunione delle persone, la comunione ecclesiale – al centro, siano sempre più comunità di fede, di fraternità e di accoglienza verso i più bisognosi”.

La ricchezza della Chiesa sono le persone 

L’esterno di una parrocchia bellissima, ma vuota. Poi la stessa parrocchia, piena di persone, che diventa dunque ancora più bella. Il Video del Papa di questo mese si apre così – si legge nel comunicato stampa che lo accompagna – ricordando che la ricchezza della Chiesa non sono gli edifici, ma le persone che li abitano. Le immagini, provenienti da parrocchie di tutto il mondo, descrivono incontri conviviali, conferenze, distribuzione di aiuti ai più bisognosi, visite agli anziani e ai malati, spettacoli. È un video, dunque, pieno di vita, quella vita che scorre nelle parrocchie e le rende ancora punti di riferimento per molti, dove si impara l’arte dell’incontro.

Locandina intenzione di preghiera del Papa per il mese di febbraio

Locandina intenzione di preghiera del Papa per il mese di febbraio

La parrocchia è presenza della Chiesa tra le case

Il comunicato ricorda che già nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Papa Francesco aveva evidenziato la centralità della parrocchia: “sebbene non sia l’unica istituzione evangelizzatrice”, aveva scritto citando un’espressione di Giovanni Paolo II nella Christifideles laici, la parrocchia ha la particolare caratteristica di essere “la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie”. Per questo deve stare “in contatto con le famiglie e con la vita del popolo” e non diventare “una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi”. Ma questo “appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie”, aggiungeva, “non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente”. Il Pontefice, dunque, insiste sull’idea che le parrocchie debbano portare avanti questo cammino di trasformazione per essere sempre aperte e a disposizione di tutti senza esclusioni, per questo parla di audacia e di ripensamento dello stile attuale delle comunità.

Le persone al centro della vita parrocchiale

Commentando l’intenzione di preghiera di febbraio, padre Frédéric Fornos S.J., direttore Internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, ha ricordato che “qualche anno fa, Francesco ha detto alla diocesi di Isernia-Venafro: ‘Ogni comunità parrocchiale è chiamata ad essere luogo privilegiato dell’ascolto e dell’annuncio del Vangelo; casa di preghiera raccolta intorno all’Eucaristia; vera scuola della comunione’. Ascolto, preghiera e comunione – prosegue padre Fornos – sono indicazioni sinodali essenziali per la vita delle parrocchie. Per far questo, però, devono essere davvero comunità, con le persone al centro, perché siamo realmente comunità quando conosciamo l’altro, conosciamo il suo nome, le sue necessità, la sua voce”.

L'intenzione di preghiera del Papa

L’intenzione di preghiera del Papa

Ripensare allo stile delle nostre comunità

Si tratta di una sfida molto grande, dice ancora il direttore della Rete, infatti “quante volte accade che la parrocchia si trasformi in un raggruppamento di persone più o meno sconosciute che si ritrova per la Messa della domenica ma senza vita comunitaria?” “Essere una comunità cristiana – sottolinea – è una grazia, nasce dalla fede condivisa, dalla fraternità vissuta e dall’accoglienza ai più bisognosi; nasce da un’esperienza spirituale comune, dall’incontro con Cristo Risorto. Come dice Francesco nel Video del Papa – conclude padre Fornos -, dobbiamo essere ‘audaci’ nell’ascolto dello Spirito Santo e ripensare tutti ‘allo stile delle nostre comunità parrocchiali’”.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-01/papa-francesco-video-intenzione-preghiera-febbraio-rete-mondiale.html

La disperazione delle madri dei migranti

La disperazione delle madri dei migranti

Se Michelangelo fosse vissuto ai nostri giorni, forse La pietà l’avrebbe raffigurata così: con i volti straziati dalla disperazione delle madri che piangono i loro figli. Figli migranti, saliti a bordo di barche di fortuna in cerca di un futuro migliore lontano da casa e finiti, invece, inghiottiti dalle acque del mare, a causa di tragici naufragi.

Le madri ritratte in questa fotografia vivono nella città settentrionale siriana di Manbij, al confine con la Turchia. Le lacrime che rigano i loro volti sono quelle per nove migranti curdi, i loro figli che non torneranno mai più indietro, perché annegati, ad ottobre, al largo delle coste dell’Algeria.

Ma il pianto di queste donne siriane non è diverso da quello della madre del piccolo Hudaifa, di soli due anni, partito a settembre su un “barcone della speranza” da Antalya, in Turchia, e morto di sete in mare aperto, a circa 71 miglia dalla Libia. È stata la mamma ad accorgersi che il piccolo non respirava più. Ed è stata lei a lavarlo e a rivestirlo con abiti puliti, custoditi accuratamente in una busta e pensati per l’arrivo sulla terra ferma. Ed è stata sempre lei ad affidarlo alle acque del mare, che lo hanno travolto per sempre.

Lo stesso dolore e le stesse lacrime le immaginiamo sul volto e nel cuore della giovane mamma di 19 anni che, pochi giorni fa, è stata soccorsa al largo di Lampedusa insieme ad altri migranti e che ha visto morire suo figlio, un neonato di soli venti giorni. E a nulla serve dire che il piccolo soffriva di problemi respiratori, perché ciò non allevia lo strazio della madre.

Quel medesimo strazio accompagna da tempo le donne che partecipano al “Movimiento Migrante Mesoamericano”, organizzazione che, dal 2004, attraversa il Messico con una carovana. A comporla sono le madri di migranti scomparsi durante il loro viaggio dall’America Latina verso la frontiera settentrionale con gli Stati Uniti. Le statistiche diffuse dal Registro nacional de personas desaparecidas y no localizadas (Rnpdno) rivelano che le persone migranti delle quali non si ha più traccia sono quasi 3.000, a cui si aggiungono oltre 20.000 di nazionalità non identificata, per un totale di quasi 100.000 desaparecidos in tutto il Messico. Erano partiti in cerca di fortuna, ma hanno incontrato la morte. Pietà per loro, pietà per le loro madri.

di ISABELLA PIRO

Crescita Spirituale

Crescita Spirituale

INTERROGATIVI DELLA VITA

Perché accadono cose brutte? Cosa succede quando preghi? Dio è buono? Che senso ha la vita? Perché non sono felice? Che cosa ci vuole per iniziare una relazione con Dio? Come posso andare avanti nel cammino oggi? E se queste domande potessero essere risolte?

C’é una storia di una Chiesa tutta al Femminile

C’é una storia di una Chiesa tutta al Femminile

 Nella Chiesa c’è  una storia tutta femminile  DCM-002

Con Teresa Forcades – monaca benedettina, femminista, teologa queer, mistica, indipendentista catalana, laureata in medicina, attivista per i diritti degli omosessuali, scrittrice di libri sulla fede, sul corpo, sostenitrice di tesi audaci e controverse dentro e fuori la Chiesa, ci sono davvero molti argomenti di conversazione e di intervista. E quando l’incontro avviene in un monastero benedettino, conficcato su quelle montagne del Montserrat che sono il simbolo della Catalogna indomita, luogo potente e magico in cui il profumo della fede si mischia a quello della libertà, la tentazione di lasciarsi andare al fascino dell’ascolto e del confronto è tanta. E poi Teresa Forcades con la sua allegria, il pensiero audace, le parole amabili sa affascinare. Il suo buonumore è contagioso. La sua capacità di andare senza remore al fondo delle questioni, di ”sparigliare”, di distruggere luoghi comuni e stereotipi è indiscutibile. Ma non lo facciamo. Non cediamo alla tentazione di parlare di tutto. Preferisco – glielo dico subito – affrontare con lei una sola questione, quella del rapporto fra le donne e la Chiesa, del patriarcato nell’istituzione ecclesiastica, delle donne che sono ancora ai margini quando non apertamente discriminate, delle lotte che si tentano per cambiare. «Certo, parliamone – mi dice – ma a partire da un punto cui tengo molto, che voglio sottolineare, che è importante e non detto. Perché che il patriarcato sia forte è evidente, così evidente che non vale neppure la pena di sottolinearlo. Chi non l’ha capito?»

Invece da che cosa, che finora non è stato detto, vale la pena di cominciare?

La chiesa cattolica, in cui appunto il patriarcato è forte, è, tuttavia, l’istituzione che più di ogni altra ha preservato la presenza, la storia e la memoria delle donne. Se questa è viva, se oggi sappiamo che cosa tante donne in luoghi e tempi diversi hanno fatto, sentito, pensato lo dobbiamo al cattolicesimo che ogni giorno e in ogni parte del mondo celebra il nome e ricorda le opere di una di loro. Dico Chiara, Ildegarda, Teresa, potrei fare centinaia di altri nomi. Le donne ci sono state e ci sono. Non senza conflitto, ovviamente. Ma è avvenuto e va detto subito. Con enfasi, con convinzione, con forza. Aggiungo che non solo ci sono state e hanno agito ma hanno creato comunità e queste sono vive ancora oggi. Insomma hanno costruito nella Chiesa una storia propria, una storia femminile. E questo è difficile, sappiamo che è difficile, difficilissimo non solo in una istituzione cattolica. È così nel mondo. Quando nel 1990 mi sono laureata in medicina ho studiato che due uomini, James Watson e Francis Crick avevano scoperto la struttura del Dna, una rivelazione scientifica enorme che ha posto le basi della moderna biologia molecolare. Solo pochi anni fa ho imparato che la prima a scoprire la struttura del Dna era stata una donna, Rosalind Franklin. La sua figura si era dissolta, si era cancellata. La storia non la comprendeva.

Mi sta dicendo che la Chiesa cattolica ha costruito, ha preservato una presenza e una cultura femminile più di altre religioni?

Non faccio polemiche. Può darsi che la mia sia ignoranza ma le chiedo: in quale cultura, in quale paese, in quale religione, dove troviamo scritti e opere femminili come nella Chiesa cattolica?

Oggi però per molti il cambiamento nella Chiesa è più lento, le resistenze più forti rispetto a altre istituzioni. Perché?

Si dice che la Chiesa non sia preparata… che debba ancora lavorare. Forse è vero. Credo, però, che se una cosa è giusta si debba fare. Bene, con ponderatezza e con diplomazia, se è necessario, ma si debba fare.

Lei è nota anche per essere una sostenitrice dell’ordinazione sacerdotale femminile. La Santa Sede dice che il sacerdozio è riservato agli uomini.

Viene considerata oggi la questione delle questioni. Se ne è discusso anche in passato, e si è opposto un rifiuto. Il mio parere è che non vi siano ostacoli teologici nella Scrittura.

Con Francesco qualcosa si muove per le donne nella Chiesa? E cosa?

Francesco per prima volta ha dato alle donne posti di responsabilità nella curia romana. Per la prima volta, in alcuni casi, sono nell’organigramma della curia vaticana in posizioni superiori ad alcuni vescovi. Mi pare un dato nuovo e importante.

Eppure pare che la parola “femminismo” provochi ancora l’orticaria non solo a uomini ma anche a donne della Chiesa. Mi sa spiegare perché?

La Chiesa cattolica è formata da donne, la maggioranza è femminile. Quindi viviamo una situazione davvero strana. Un’istituzione, una realtà in grandissima parte, al settanta, l’ottanta per cento, nella quale le donne contano poco o niente. Non mi stupisce che una situazione così strana, così singolare provochi ansia, inquietudine, incertezza, paura. Gli uomini della Chiesa sanno bene che se le donne la abbandonassero semplicemente cesserebbe di esistere.

Voglio raccontarle un episodio. Elisabeth Schüssler Fiorenza, la teologa, biblista e femminista statunitense, un giorno durante una funzione religiosa ha chiesto alle donne di andare via e di riunirsi fuori dalla Chiesa. Con un gesto simbolico voleva dimostrare che senza di loro il sacerdote rimaneva solo. Esattamente quello che avvenne e che avverrebbe in qualunque chiesa, in qualunque funzione religiosa.

Quindi il femminismo è riuscito a introdursi e a scalfire il patriarcato della Chiesa?

Non solo questo. Oggi possiamo parlare di una teologia femminista nella storia. Di un femminismo che non si definisce tale ma che c’è stato, c’è e fa delle scelte anche in una società, una istituzione, un pensiero dominante che esclude le donne. Glielo dimostro con semplicità. Noi denunciamo come sistema patriarcale quello in cui le donne – anche una sola di loro – vengano escluse o discriminate. E possiamo definire femminista qualunque azione – di una donna o di un uomo – denunci questa esclusione.

Gregorio di Nazianzo, teologo del IV secolo osservò, a proposito dell’adulterio, che se questo era commesso da una donna su di lei si scaricava tutto il peso della legge che la puniva fino alla morte, se commesso dall’uomo non c’era punizione. Non è giusto, fece notare, perché le scritture, il comandamento dicono “onora il padre e la madre”. Chiedono lo stesso comportamento per l’uomo e per la donna. Quindi le leggi applicate per punire l’adulterio – ne dedusse- non sono le leggi di Dio. È una critica al patriarcato, non le pare? Ma Gregorio di Nazianzo andò oltre. Si chiese perché questo avvenisse, perché fosse possibile. Il motivo stava nel fatto – spiegò – che la legge era stata scritta dagli uomini, non dalle donne. Come vede la posizione di un teologo del IV secolo è già critica nei confronti del patriarcato. Possiamo già parlare di teologia femminista nella storia.

Ma il femminismo per lei, Teresa Forcades, che cosa è?

Anche questo è semplice. Non ci vuole molto per definirlo. Sono tre o quattro punti. Primo: il femminismo è individuare la discriminazione. Non tutti la vedono. Gregorio nel IV secolo l’ha vista, altri neppure oggi, lo fanno. Secondo: prendere coscienza della ingiustizia di questa discriminazione. Insomma assumere con chiarezza una posizione contraria. Neanche questo però basta: contro la discriminazione bisogna agire, lottare per eliminarla. Per fare teologia femminista c’è un quarto punto. Deve esserci chiaro che la discriminazione non viene dalla natura, non viene da Dio, non viene dai sacri testi. Quindi va criticata e respinta la teologia che teorizza la discriminazione perché la ritiene voluta da Dio.

Esiste nella Chiesa e nel cristianesimo la forza per abbattere discriminazioni così profonde come quelle che lo stesso Francesco quotidianamente denuncia?

Credo di sì. Altre volte è avvenuto. Pensi a che cosa era il matrimonio prima del cristianesimo. Una questione economica che riguardava la proprietà: di chi era, a chi doveva essere lasciata. E quindi di chi era il figlio. Questo presupponeva il controllo e la subordinazione della donna. Nel mondo antico il matrimonio era un contratto fra due uomini, il padre e il marito. Per la chiesa cattolica il matrimonio è l’incontro d’amore fra un uomo e una donna che si scelgono e si uniscono. Un cambiamento radicale rispetto alla cultura allora dominante. Anche nella tradizione giudaica, del resto, la donna non è la madre del figlio dell’uomo ma “carne della sua carne”.

Se dovesse dare un suggerimento alle donne che sono a disagio nella Chiesa e vogliono superare una situazione di stallo, che cosa direbbe?

Non farei discorsi generali. Non ho un programma da suggerire. So però, per esperienza diretta, che le donne devono porsi sempre una domanda che non sono – non siamo – abituate a farci: io, proprio io, che cosa penso? Qual è il mio desiderio più profondo, che cosa voglio davvero? Che cosa è giusto? La Chiesa ha una storia straordinaria di forza e di resistenza femminile. Dobbiamo studiarla, valorizzarla, raccontarla. Ci sono donne che queste domande se le pongono ogni giorno, tante che se le sono poste nel passato. Nel mio monastero le monache sono entrate in conflitto, ci sono state le barricate quando dopo il concilio di Trento la chiesa chiedeva una clausura più rigida per le donne.

Posso concludere questa conversazione dicendo che lei è ottimista e fiduciosa nella possibilità che le donne cambino la Chiesa e che la Chiesa cambi grazie alle donne.

Si dice che il femminismo cominci agli inizi del secolo, con la rivendicazione dei diritti politici. C’è poi una seconda ondata negli anni Settanta. L’inizio vero a mio parere è con la convenzione di Seneca Falls nel 1848 sui diritti delle donne negli Usa. Donne come Elizabeth Cady Stanton non solo hanno ripetuto che la Bibbia era stata fino ad allora interpretata in modo patriarcale e che questa non era la vera lettura dei testi sacri, ma ne hanno tratto le conseguenze politiche. È già successo per gli schiavi afroamericani. Gli schiavi hanno appreso il cristianesimo dai loro padroni ma poi, quando hanno imparato a leggere, hanno capito che il messaggio vero delle Scritture non era quello che veniva inviato dai loro oppressori, che la Bibbia non giustificava schiavitù e diseguaglianza. È avvenuto allora qualcosa di straordinario. In genere – sappiamo – l’oppresso rifiuta la religione dell’oppressore, invece tanti schiavi afroamericani sono rimasti fedeli al cristianesimo ma con una lettura diversa delle Scritture e hanno accusato i loro padroni di non aver letto correttamente la Bibbia. Per le donne sta avvenendo la stessa cosa. Nella fede e nelle Scritture c’è tutta la forza per combattere il patriarcato della Chiesa.

di Ritanna Armeni


TERESA FORCADES I VILA
, monaca benedettina nel Monastero di Montserrat, nata a Barcellona 56 anni fa, è medico con specializzazione in Medicina interna conseguita a Buffalo (Usa), teologa con un master  a Harvard, femminista e attivista politica. Cresciuta in una famiglia non credente, scopre la fede alla scuola  della suore dove i suoi genitori l’avevano iscritta. Legge il Vangelo per la prima volta a 15 anni. Nel 1995, prima di tornare negli Stati Uniti, decide di trascorrere alcune settimane presso il monastero di  Montserrat per preparare un importante esame di medicina. È lì che capisce di volersi fare suora: in  quel  monastero costruito sulla montagna  di Monistrol de Montserrat, piccolo centro della comunità autonoma della Catalogna, di cui rappresenta un simbolo, e che è  anche un importante sito di pellegrinaggio. È  monaca di clausura dal 1997. Nel 2012  fonda il movimento politico Procés Constituent  insieme a Arcadi Oliveres, economista, accademico e attivista sociale spagnolo, presidente di “Justícia i Pau”, un gruppo pacifista cristiano. Propongono di ottenere l’indipendenza della Catalogna attraverso un nuovo modello politico e sociale basato sull’auto-organizzazione e la mobilitazione sociale. Nel 2015, mentre si avvicinano le elezioni regionali della Catalogna, riceve  il permesso dal suo superiore e dalla Santa Sede di lasciare la clausura per tre anni,  e poter entrare così in campagna elettorale candidandosi alla presidenza della regione. Nel 2018 torna in monastero per riprendere la sua vita come contemplativa (foto Alchetron). 

L’Osservatore Romano

Papa Francesco: Ascoltare la Parola

Papa Francesco: Ascoltare la Parola

Nella catechesi dellasettimana il pontefice ricorda che «non bisogna piegare il brano biblico per sostenere i nostri pensieri e la nostra filosofia, ripetere a pappagallo i versetti, ma entrare in dialogo con il Signore e conformarci al suo volere»

Annachiara Valleannach_valle

«La Parola di Dio va al cuore», ma bisogna ascoltare con «obbedienza e creatività». Papa Francesco dedica la catechesi alla preghiera che si può fare partendo da un brano della Bibbia. E avverte: non bisogna piegare il testo a quello che noi pensiamo. «Le parole della Sacra Scrittura non sono state scritte per restare imprigionate sul papiro, sulla pergamena o sulla carta, ma per essere accolte da una persona che prega, facendole germogliare nel proprio cuore», spiega il Papa. La Bibbia non si può leggere come un romanzo ma in dialogo costante con il Signore. Perché «quel versetto della Bibbia è stato scritto anche per me, secoli e secoli fa, per portarmi una parola di Dio. A tutti i credenti capita questa esperienza: un passo della Scrittura, ascoltato già tante volte, un giorno improvvisamente mi parla e illumina una situazione che sto vivendo». Ma quel giorno bisogna essere all’appuntamento. Perché Dio passa, passa sempre. Francesco ricorda Sant’Agostino che parlava del «timore del Signore quando passa». Il timore di non riuscire ad ascoltarlo, di non essere lì. «all’appuntamento con quella Parola». Dio, sottolinea il Pontefice, passa tutti i giorni «e getta un seme nel terreno della nostra vita. Non sappiamo se oggi troverà un suolo arido, dei rovi, oppure una terra buona, che farà crescere quel germoglio». Questo «dipende da noi, dalla nostra preghiera, dal cuore aperto con cui ci accostiamo alle Scritture perché diventino per noi Parola vivente di Dio».

Francesco ricorda che i custodi, i «tabernacoli» della Scrittura siamo noi, ma bisogna «accostarsi alla Bibbia senza secondi fini, senza strumentalizzarla. Il credente non cerca nelle Sacre Scritture l’appoggio per la propria visione filosofica e morale», al contrario, «spera in un incontro; sa che esse sono state scritte nello Spirito Santo, e che pertanto in quello stesso Spirito vanno accolte e comprese, perché l’incontro si realizzi». Il Papa confessa che prova «fastidio quando sento cristiani che recitano versetti della Bibbia come pappagalli. Ma tu ti sei incontrato con il Signore? Con quel versetto? Non è questione di memoria, ma di memoria del cuore e quella Parola, quel versetto ti porta all’incontro con il Signore».

E allora, con il metodo della lectio divina, dobbiamo leggere «le Scritture perché esse “leggano noi”. Ed è una grazia potersi riconoscere in questo o quel personaggio, in questa o quella situazione. La Bibbia non è scritta per un’umanità generica, ma per noi, per me, per te, per uomini e donne in carne e ossa, ma uomini e donne che hanno nome e cognome, come io, come te». La lectio, nata in ambienti monastici «ma ormai praticato anche dai cristiani che frequentano le parrocchie», ci chiede innanzitutto di leggere il brano con attenzione, «direi di più: leggere con “obbedienza” al testo, per comprendere ciò che significa in sé stesso». Solo dopo si « si entra in dialogo con la Scrittura, così che quelle parole diventino motivo di meditazione e di orazione: sempre rimanendo aderente al testo». In questa fase «comincio a interrogarmi su che cosa “dice a me”. È un passaggio delicato: non bisogna scivolare in interpretazioni soggettivistiche ma inserirsi nel solco vivente della Tradizione, che unisce ciascuno di noi alla Sacra Scrittura». E, infine, la contemplazione: «Qui le parole e i pensieri lasciano il posto all’amore, come tra innamorati ai quali a volte basta guardarsi in silenzio. Il testo biblico rimane, ma come uno specchio, come un’icona da contemplare. Così si ha il dialogo», spiega Francesco. Aggiungendo: «Attraverso la preghiera, la Parola di Dio viene ad abitare in noi e noi abitiamo in essa. La Parola ispira buoni propositi e sostiene l’azione; ci dà forza, ci dà serenità, e anche quando ci mette in crisi ci dà pace. Nelle giornate “storte” e confuse, assicura al cuore un nucleo di fiducia e di amore che lo protegge dagli attacchi del maligno».

Ed è così che la Parola di fa carne al punto che, dice il Papa, ricordando qualche antico testo, «i cristiani si identificano talmente con la Parola che, se anche bruciassero tutte le Bibbie del mondo, se ne potrebbe ancora salvare il “calco” attraverso l’impronta che ha lasciato nella vita dei santi. Una bella espressione questa».

La Parola di Dio non ci lascia immobili, non ci lascia fermi. «La vita cristiana è opera, nello stesso tempo, di obbedienza e di creatività», insiste il Papa. «Il buon cristiano deve essere obbediente perché ascolta la Parola di Dio, ma creativo perché ha lo Spirito Santo che lo spinge avanti». Ricorda le parole di Gesù «Ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche», perché le Scritture sono un tesoro inesauribile. Il Signore ci conceda a tutti noi di attingervi sempre più, mediante la preghiera».