Il Figlio che deve nascere e il suo regno Is 9:1-7
Nel Messia, nell’Emmanuele – il “Dio con noi” – lo shalom, la pace come pienezza di vita in assoluto, come felicità e salvezza, si realizza personalmente tra di noi ed è effusa attraverso lo Spirito santo su tutti gli esseri.
Questo Bambino, l’Emmanuele, è nato a beneficio di noi uomini, di noi peccatori, di tutti i credenti, dall’inizio alla fine del mondo. Giustamente è chiamato Meraviglioso, perché è insieme Dio e uomo. Il suo amore è la meraviglia degli angeli e dei santi glorificati. È il Consigliere, perché conosceva i consigli di Dio fin dall’eternità; e dà consigli agli uomini, nei quali consulta il nostro benessere. È il Consigliere meraviglioso; nessuno insegna come lui. È Dio, il potente. L’opera del Mediatore è tale che nessun potere inferiore a quello del Dio potente potrebbe realizzarla. È Dio, uno con il Padre. Come Principe della Pace, ci riconcilia con Dio; è il Datore della pace nel cuore e nella coscienza; e quando il suo regno sarà pienamente stabilito, gli uomini non impareranno più la guerra. Il governo sarà su di lui; egli ne porterà il peso. Del governo di Cristo si parla in modo glorioso. Non c’è fine all’aumento della sua pace, perché la felicità dei suoi sudditi durerà in eterno. L’esatto accordo di questa profezia con la dottrina del Nuovo Testamento dimostra che i profeti ebrei e i maestri cristiani avevano la stessa visione della persona e della salvezza del Messia. A quale re o regno terreno si possono applicare queste parole? Dona dunque, o Signore, al tuo popolo di conoscerti con ogni nome accattivante e in ogni carattere glorioso. Accresci la grazia in ogni cuore dei tuoi redenti sulla terra.
Il popolo che camminava nelle tenebre
vide una grande luce
La pace, dice Isaia, è una presenza divina, un bambino che è nato per noi, un figlio che ci è stato donato, il cui nome sarà “Consigliere ammirabile, Dio forte, Padre eterno, Principe della pace” (cf. Is 9,5-6). Qui siamo certamente lontani dal nostro modo abituale di pensare la pace, ma la contemplazione, l’assiduità con la Parola ci svela che la pace è un dono che entra nella nostra storia, è una realtà che tocca tutti i rapporti, ma è innanzitutto una persona: il Messia, Gesù Cristo. C’è pace per l’umanità quando questa accede al piano storico della salvezza, cioè a Cristo, quando accoglie lo Spirito di Cristo e adotta i mezzi e i metodi di Cristo, che sono contrassegnati dalla mitezza, dalla debolezza, dall’umiltà; nel ripudio della violenza, della prevaricazione, dell’autoaffermazione, dell’orgoglio. La pace viene con chi ha i tratti descritti nella profezia di Zaccaria: chi “è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”, in colui che viene a far sparire i carri da guerra, i cavalli degli eserciti, l’arco e tutte le armi (cf. Zc 9,9-10).
Il dono più grande che abbiamo ricevuto da Dio, la consegna del Figlio agli esseri umani, è nient’altro che Il Vangelo della pace per mezzo di Gesù Cristo (cf. At 10,36; Ef 6,15).
Il vangelo di Matteo è organizzato attorno al principio per cui Dio è con noi.
Questo è l’inizio, e in Gesù si compie ciò che è stato promesso, perché il figlio che nasce da una vergine «sarà chiamato Emmanuele, cioè Dio con noi» (Mt 1,23).
Questo è il cuore che pulsa nei suoi discepoli e fa scorrere la vita nella loro comunità per quanto piccola possa essere: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Questa è l’assicurazione che sorregge in modo stabile il percorso sul quale Gesù lancia quelli che credono in lui e lo annunciano: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Sono le ultime parole del primo vangelo, parole che chiudono e insieme aprono, un arrivo che è dunque una partenza, una fine che è un inizio, che funziona come un propellente che lancia negli spazi dell’umanità di tutti i tempi, per portare a tutti, e ovunque, la grande notizia di un Dio che si fa uomo per stare con noi.
Ha senso pregare per la pace?
Forse nutriamo una certa diffidenza verso la preghiera come mezzo per ristabilire la pace. Temiamo l’evasione dalla realtà, lo spiritualismo, e qualche volta siamo portati a pensare che il problema della pace lo si debba risolvere con la lotta, non con la contemplazione. Qui non si tratta di eliminare o attenuare l’impegno storico, la prassi della pace: al contrario, si tratterà di potenziarla e renderla efficace ricorrendo alla sorgente della preghiera, della contemplazione. Se la pace è conosciuta nella sua verità attraverso la Parola, se ci è donata nell’assiduità con la Parola, può allora anche scaturire dalla preghiera come azione e prassi. Nessuna evasione, nessun privaticismo, nessun intimismo della pace.
La preghiera inoltre è sorgente di pace non solo a livello individuale – perché ci restituisce la pace con Dio e la pace del cuore – ma anche a livello collettivo, perché immette nella storia una forza efficace: è infatti una componente della storia in quanto attività che fa storia, che crea eventi.
È significativo che nel linguaggio biblico il termine “preghiera” derivi da “decidere”, “decidere con Dio”. Quando Abramo prega e intercede presso Dio per la salvezza del giusto a Sodoma e Gomorra, egli decide con Dio la pace del giusto che sarà salvato. Quando Mosè prega tenendo le braccia in alto – in quella battaglia più escatologica che storica contro l’avversario Amalek – egli prega e decide con Dio la pace del popolo eletto che minaccia di trovare la morte quando Mosè cessa di pregare.
Pregare nella nostra fede non è operazione arrogante, non è rito magico per garantirsi ciò che si desidera, ma è fare discernimento e decidere con Dio, con il Signore che lascia aperto davanti a sé uno spazio da varcarsi con la preghiera. La preghiera ha una funzione dunque nella storia, s’innalza dalla storia come grido di oppressi, di curvati, di poveri, di sfruttati, di prigionieri, di torturati, e spinge Dio alla liberazione, a intervenire; ma può anche essere l’intercessione del credente che chiede la pace dove questa è calpestata e inculcata. Tutte le vittime della storia sono preghiera efficace, ma anche gli eletti che gridano a Dio notte e giorno vedono Dio che interviene rapidamente (cf. Lc 18,7).
Occorre dunque pregare per la pace e questa è un’operazione di primaria importanza per il credente che è operatore di pace, uomo di pace, solo se questa pace la riceve nella preghiera, solo se nell’assiduità della Parola è trasformato da essere umano che coltiva in sé ribellione e violenza in essere umano obbediente a Dio e pacifico. Infatti, se la preghiera è entrare nei pensieri del Dio della pace, se è condividere la sua volontà di pace, allora pregando, contemplando, si viene plasmati esseri di pace. Non a caso nel Cantico dei cantici, celebrazione dello Shalom, il Messia è Shalom, il Pacifico, e la Sposa popolo di Dio è Shulamit, la pacifica. Diventare uomo di pace e donna di pace nella contemplazione è possibile perché la preghiera allarga il cuore, infonde il fuoco dell’amore nel cuore, apre il cuore all’amore per il cosmo intero.
Dio è con noi, sempre presente, pronto a decidere la pace con chi lo prega, pronto a donarla a tutti gli umani.