San Valentino vs San Cirillo e Metodio: 14 febbraio chi vincerà?

San Valentino vs San Cirillo e Metodio: 14 febbraio chi vincerà?

San Valentino vs San Cirillo e Metodio: 14 febbraio chi vincerà?

In tutto il mondo, o quasi, fuso orario permettendo, il 14 Febbraio si festeggia San Valentino però…
Pochi sanno che il santo cosiddetto degli innamorati non è il solo a festeggiare oggi, ma che si trova in compagnia dei due patroni d’Europa: San Cirillo e San Metodio. Avere un santo in famiglia è una cosa che accade di rado, soprattutto con i tempi che corrono. Averne addirittura due è un caso unico al mondo. I due santi, fratelli di sangue e nella fede, sono anche conosciuti come “gli apostoli degli slavi” e il 14 febbraio vengono festeggiati dalle religioni ortodosse, la cui chiesa romena a Sanremo, che ne porta i nomi, è un esempio.

I festeggiamenti di quest’anno saranno ancora più importanti dal momento che ricorre proprio oggi il loro bicentenario.

Ma cosa hanno fatto San Cirillo e San Metodio, e sopratutto, San Valentino rischia di essere spodestato dal trono di fiori e cioccolatini che il marketing ha voluto costruirgli?

Cirillo e Metodio, nacquero in Tessalonica e la loro opera di evangelizzazione avvenne in Moravia dove intrapresero il lavoro di traduzione dei libri sacri a scopo liturgico gettando le basi di tutta la letteratura nelle lingue dei popoli slavi. Per questo motivo i santi fratelli vengono considerati i padri della cultura, dalle suddette popolazioni.

Nel 1980 Giovanni Paolo II li nominò, assieme a San Benedetto, patroni d’Europa
San Valentino invece ha avuto un notevole successo da tempo immemorabile in quanto la sua festa risulterebbe tra le prime registrate nel calendario liturgico fin dal V Secolo. La tradizione è nata nei paesi anglosassoni dove ancora oggi viene festeggiato il “Saint Valentine’s Day”.

Di San Valentino la tradizione ne cita due, tutti due martiri e ricordati il 14 febbraio: il primo, sacerdote romano, amico dell’imperatore romano Gotico ma, avendo convertito il prefetto Asterio e tutta la sua famiglia, fu mandato al supplizio nel 268 e sepolto lungo la via Flaminia, dove sorse una chiesa a lui dedicata: il secondo Valentino, nato intorno al 175 ad Interamna (Terni), divenuto vescovo, fu chiamato a Roma dal filosofo Cratone per far guarire il figlio epilettico; ottenuto il miracolo tutta la sua famiglia si convertì al cristianesimo.
SAN VALENTINO, CHI ERA MAI COSTUI?
di Angelo Siro (da FilateliaReligiosa.it)

Come per molte altre feste di Santi anche quella dedicata a San Valentino è stata declassata! Anche se “la società dei consumi” non se ne è accorta.

Nel nuovo calendario liturgico il 14 febbraio vengono infatti festeggiati i Santi Cirillo e Metodio, i fratelli monaci, considerati “gli apostoli degli Slavi”, vissuti nel IX Secolo, inventori dell’alfabeto cirillico e proclamati da Papa Giovanni Paolo II compatroni d’Europa il 31 dicembre 1980 (con San Benedetto).

San Valentino invece ha avuto un notevole successo da tempo immemorabile in quanto la sua festa risulterebbe tra le prime registrate nel calendario liturgico fin dal V Secolo. La tradizione è nata nei paesi anglosassoni dove ancora oggi viene festeggiato il “Saint Valentine’s Day”.

Di San Valentino la tradizione ne cita due, tutti due martiri e ricordati il 14 febbraio: il primo, sacerdote romano, amico dell’imperatore romano Gotico ma, avendo convertito il prefetto Asterio e tutta la sua famiglia, fu mandato al supplizio nel 268 e sepolto lungo la via Flaminia, dove sorse una chiesa a lui dedicata: il secondo Valentino, nato intorno al 175 ad Interamna (Terni), divenuto vescovo, fu chiamato a Roma dal filosofo Cratone per far guarire il figlio epilettico; ottenuto il miracolo tutta la sua famiglia si convertì al cristianesimo. L’imperatore Marco Aurelio Claudio Quintillo ordinò la lapidazione e la decapitazione che avvenne il 14 febbraio del 273! Il suo corpo fu riportato a Terni dai giovani seguaci Procolo, Efebo e Apollonio che per questo atto subirono pochi giorni dopo la stessa sorte.

Finisce qui la storia (o meglio le storie) di San Valentino. Recenti studi hanno stabilito che il ruolo di questa “vita” fosse quello della propaganda monastica, ad uso del monastero benedettino esistente a Terni dal IX Secolo; il testo ha le caratteristiche canoniche replicate infinite volte nelle vite dei martiri dell’epoca! San Valentino è ritratto semplicemente come un uomo che visse pienamente la propria fede, annunciando con parole e opere il nome di Cristo.

In epoca moderna il testo della “Vita” fu manipolato; Valentino venne spogliato dei connotati monastici per essere rivestito di quelli del martire in difesa dell’ortodossia, in piena sintonia con la Controriforma. (I Santi nella storia – ed. San Paolo 2006).

E allora i bacetti, i fidanzatini… da dove arrivano? Sono numerose le leggende che sono entrate a far parte della cultura popolare sulla vita di San Valentino.

Bisogna risalire al IV secolo a.C. quando i Romani iniziarono a celebrare i Lupercali, festeggiamenti in onore del dio Lupercus, protettore delle greggi, nel mese di febbraio, mese in cui ci si preparava all’arrivo della primavera. Era tradizione pagana che i giovani partecipassero ad una “lotteria dell’amore” dove le coppie venivano estratte a sorte e potevano vivere per tutto l’anno in intimità. Questa tradizione rimase in vita fino al V Secolo dopo Cristo ed entrò in conflitto con i principi del Cristianesimo. Il Papa Gelasio I (492-496), per sopprimere la connotazione pagana della festa individuò in Valentino, martirizzato due secoli prima, proprio il 14 febbraio (secondo altre fonti il 24 febbraio), il santo su cui far convergere le caratteristiche “sentimentali” proprie dei Lupercali.

Quindi incominciarono a fiorire le più curiose leggende:

fu consacrato vescovo, su proposta di Papa Vittore (189-199) a soli 27 anni
come Vescovo donò una rosa a due giovani che stavano litigando e questi si riconciliarono…
unì in matrimonio una cristiana con un giovane centurione romano
numerose guarigioni e conversioni
promosse la festa della promessa e unì in matrimonio cristiano moltissime coppie
Valentino, in attesa dell’esecuzione, si innamorò della figlia del guardiano e prima di morire le lasciò un biglietto “dal vostro Valentino”… (ipotesi curiosa visto che, secondo le leggende, visse circa 100 anni). Da questa leggenda, nei Paesi Anglosassoni, si diffusero i “biglietti d’amore o di amicizia” che per gli americani si chiamano ancora oggi i “Valentine”.

La città di Terni l’assunse, nel 1644 come Patrono cittadino, anche se, pare che le reliquie fossero un dono di Papa Paolo II (1464-1471) alle nubili della città. Da allora Terni si è considerata la “città degli innamorati” e annualmente, nella Basilica a lui dedicata fin dal 1605, si celebrano importanti manifestazioni tra cui “Terni – San Valentino: un anno d’amore” che assegna ogni anno un riconoscimento a chi si è distinto per un atto d’amore.

Da molti anni il Comune di Terni promuove un annullo filatelico nel giorno del loro santo Patrono.

L’11 FEBBRAIO SI FESTEGGIA LA MADONNA DI LOURDES

L’11 FEBBRAIO SI FESTEGGIA LA MADONNA DI LOURDES

L’11 febbraio 1858 la Madonna apparve per la prima volta a Bernardette Subirous nella grotta di Massabielle, tra i Pirenei francesi. Da allora, questo luogo è divenuto meta incessante di pellegrinaggi da ogni parte del mondo. Sono circa una settantina i miracoli di guarigione giudicati inspiegabili e riconosciuti dalla Chiesa che l’11 febbraio, per volontà di San Giovanni Paolo II, celebra la Giornata mondiale del malato

Ogni anno Lourdes è meta incessante di circa 5 milioni di ammalati che invocano protezione e conforto. La grotta in mezzo ai Pirenei francesi evoca le apparizioni mariane più famose della storia, riconosciute ufficialmente dalla Chiesa. Avvennero nel 1858 ed ebbero come protagonista una ragazza di quattordici anni, Bernadette Soubirous.
La Vergine le apparve per ben diciotto volte in una grotta, lungo il fiume Gave. Le parlò nel dialetto locale, le indicò il punto in cui scavare con le mani per trovare quella che si rivelerà una sorgente d’acqua, al contatto con la quale sarebbero scaturiti molti miracoli. Tutto ebbe inizio giovedì, 11 febbraio 1858, quando Bernadette si recò a raccogliere legna secca nel greto del fiume Gave, insieme ad una sorella e ad una loro amica. Un rumore che proveniva dal cespuglio che si trovava nella grotta attirò la ragazzina alla quale apparve la Vergine presentandosi come Immacolata concezione e confermando quindi  il dogma del concepimento immacolato di Maria promulgato da papa Pio IX l’8 dicembre 1854, quattro anni prima.

Per questo l’11 febbraio la Chiesa celebra la memoria della Madonna di Lourdes alla quale San Giovanni Paolo II volle associare la Giornata Mondiale del Malato. Le apparizioni di Lourdes vennero ufficialmente riconosciute dal vescovo di Tarbes il 18 febbraio del 1862. Ben presto fu eretta una grande chiesa così come la Vergine aveva richiesto. Lourdes divenne subito il più celebre dei luoghi mariani. Un ufficio speciale (le Bureau médical) fu incaricato di vagliare scientificamente le guarigioni che iniziarono a verificarsi immediatamente. Di miracoli finora ne sono stati riconosciuti una settantina, ma di fatto sono molti di più. Ancora più numerose sono le conversioni.

IL RACCONTO DELLE PRIME APPARIZIONI

Quella mattina dell’11 febbraio 1858 era un giovedì grasso e a Lourdes faceva tanto freddo. In casa Soubirous non c’era più legna da ardere. Bernadette, che allora aveva 14 anni, era andata con la sorella Toinette e una compagna a cercar dei rami secchi nei dintorni del paese. Verso mezzogiorno le tre bambine giunsero vicino alla rupe di Massabielle, che formava, lungo il fiume Gave, una piccola grotta. Qui c’era “la tute aux cochons”, il riparo per i maiali, un angolo sotto la roccia dove l’acqua depositava sempre legna e detriti. Per poterli andare a raccogliere, bisognava però attraversare un canale d’acqua, che veniva da un mulino e si gettava nel fiume. Toinette e l’amica calzavano gli zoccoli, senza calze. Se li tolsero, per entrare nell’acqua fredda. Bernadette invece, essendo molto delicata e soffrendo d’asma, portava le calze. Pregò l’amica di prenderla sulle spalle, ma quella si rifiutò, scendendo con Toinette verso il fiume. Rimasta sola, Bernadette pensò di togliersi anche lei gli zoccoli e le calze, ma mentre si accingeva a far questo udì un gran rumore: alzò gli occhi e vide che la quercia abbarbicata al masso di pietra si agitava violentemente, per quanto non ci fosse nell’aria neanche un alito di vento. Poi la grotta fu piena di una nube d’oro, e una splendida Signora apparve sulla roccia.
 

La Signora aveva l’aspetto di una giovane di sedici o diciassette anni. Vestita di bianco, con una fascia azzurra che scendeva lungo l’abito, portava sulla testa un velo bianco che lasciava intravedere appena i capelli ricadendo all’indietro fino all’altezza della fascia. Dal braccio le pendeva un grande rosario dai grani bianchi, legati da una catenella d’oro, mentre sui piedi nudi brillavano due rose, anch’esse di un oro lucente. Istintivamente, Bernadette s’inginocchiò, tirando fuori la coroncina del Rosario. La Signora la lasciò fare, unendosi alla sua preghiera con lo scorrere silenzioso fra le sue dita dei grani del Rosario. Alla fine di ogni posta, recitava ad alta voce insieme a Bernadette il Gloria Patri. Quando la piccola veggente ebbe terminato il Rosario, la bella Signora scomparve all’improvviso, ritirandosi nella nicchia, così come era venuta. Tre giorni dopo, il 14 Febbraio, Bernadette – che ha subito raccontato alla sorella e all’amica quanto le è accaduto, riferendo della cosa anche in casa – si sente chiamata interiormente verso la grotta di Massabielle, munita questa volta di una bottiglietta di acqua benedetta che getta prontamente sulla S. Vergine durante la nuova apparizione, perché, così le è stato detto, su queste cose non si sa mai e potrebbe anche essere il diavolo a farle un tiro mancino… La Vergine sorride al gesto di Bernadette e non dice nulla. Il 18 febbraio, finalmente, la Signora parla. “Non vi prometto di farvi felice in questo mondo – le dice – , ma nell’altro. Volete farmi la cortesia di venire qui per quindici giorni?”. La Signora, quindi, confida a Bernadette tre segreti la giovane deve tenere per sé e non rivelare mai a nessuno.

La Francia, patria del Positivismo

La Provvidenza non sceglie a caso il luogo in cui manifestarsi in maniera così dirompente. Siamo nella Francia del XIX secolo, in cui trionfa la filosofia positivista secondo cui l’uomo, nella sua bontà o, al contrario, nella sua cattiveria, è interamente determinato dall’essere inserito in una società che sia, appunto, buona o cattiva. Maria a Lourdes sovverte tutto questo, ricordando l’esistenza del peccato originale e del libero arbitrio. Dunque, prima di agire sulla società, dice Maria, bisogna agire sul cuore dell’uomo. Bisogna convertirsi.

11 febbraio 1858

Per lanciare al mondo il suo messaggio di preghiera e carità, la Madonna sceglie Bernadette, una pastorella di 14 anni. Fa molto freddo a Lourdes quel giorno, così la giovane, assieme alla sorella e a un’amica, va a raccogliere legna dalle parti della grotta di Massabielle. Rimasta indietro rispetto alle altre, all’improvviso avverte come un colpo di vento, ma non vede le cime degli alberi scuotersi, poi una grande luce e, attraverso questa, la figura bianchissima di una giovane. Non le parla, la Signora, ma le insegna a fare correttamente il segno della croce e insieme, in silenzio, recitano il Rosario. Al termine della preghiera la visione scompare.

“Io sono l’Immacolata Concezione”

Tre giorni dopo, il 14 febbraio, Bernadette sente il desiderio irrefrenabile di tornare alla grotta, ma lo fa portando con sé dell’acqua benedetta. Quando la Signora appare, cerca di aspergerla, ma lei resta lì, sorride e insieme ricominciano a recitare il Rosario. È il 18 febbraio la prima volta che la Signora parla a Bernadette e le raccomanda di tornare per 15 giorni, di dire ai sacerdoti di recarsi in quel luogo in processione e di edificarvi una chiesa. Il 25 febbraio la Signora chiede a Bernadette di mangiare l’erba e di scavare: così scaturirà l’acqua della fonte miracolosa in cui ancora oggi i malati si immergono pregando per la propria guarigione. Finalmente, il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, la Madonna si rivela: “Sono l’Immacolata Concezione”, dice, e Bernadette lo ripete al parroco. Non poteva sapere, una pastorella, che il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria era stato stabilito appena quattro anni prima da Papa Pio IX. Sono tante le cose che Maria rivela a Bernadette nei loro incontri, ma soprattutto indica a lei e al mondo il Cielo e la santità come unico obiettivo della vita terrena e la penitenza per l’eliminazione dal mondo del peccato come unico mezzo che l’uomo ha per raggiungerla.

Lourdes, santuario mariano internazionale

Le apparizioni di Lourdes hanno attirato a Massabielle fin dall’inizio molti curiosi, con l’inevitabile bagaglio di scetticismo. La stessa Bernadette fu sottoposta a esami medici e interrogata dalle autorità ecclesiastiche, finché Maria non concesse che si verificassero degli eventi prodigiosi in modo che alcuni credessero. Fu costruita una chiesa, e nel 1862 arrivò dal vescovo di Tarbes la lettera pastorale con cui Lourdes fu consacrata alla sua vocazione di santuario mariano internazionale.

«È la vita della mia vita, Cristo» Don Giussani

«È la vita della mia vita, Cristo» Don Giussani

«Innamorato di Cristo e del mondo». Don Luigi Giussani

L’Osservatore Romano mi ha chiesto un ricordo di don Giussani che è stato pubblicato venerdì 14 ottobre, il giorno prima del centesimo anniversario della nascita. Ne riporto il testo.

L’Osservatore Romano Innamorato di Cristo e del mondo – Don Luigi Giussani a cento anni dalla nascita (MASSIMO BORGHESI)

In un articolo pubblicato su «La Repubblica» Giuliano Pisapia, ricordando i suoi anni al Liceo Berchet di Milano, ha recentemente rievocato lo «strano professore di religione “brutto e affascinante” che rompeva ogni schema cui eravamo abituati. Non ci riempiva di nozioni e rispondeva a tutte le nostre domande, ai nostri dubbi, insegnandoci un metodo. […] Don Gius, così lo chiamavano, ci ascoltava e cercava di comprendere le ragioni dell’altro. Dialogo e confronto anche critico, un metodo che non mi ha mai lasciato, un insegnamento rimasto nella mia vita come in quella di molti miei compagni di scuola. Il suo cattolicesimo, la sua testimonianza di fede non era la ripetizione mnemonica di insegnamenti e dogmi ma la volontà di vivere una fede vissuta sul campo. Un metodo che — l’ho scoperto qualche anno dopo — aveva affinato sin dai suoi primi anni di vita con un papà socialista e una mamma cattolica» (Tutto quello che ho imparato da don Giussani). La testimonianza di Pisapia, che è stato sindaco di Milano come indipendente di sinistra dal 2011 al 2016, è preziosa. Indica la stima e l’apprezzamento verso il sacerdote di Desio anche da parte di chi ha percorso strade molto lontane dalle sue.

Luigi Giussani, di cui il 15 ottobre si è celebrato il centenario della nascita, è stato probabilmente il più grande educatore nell’Italia della seconda metà del ’900. Alberto Savorana nella sua documentata Vita di don Giussani (Rizzoli, 2014) ricorda i tanti studenti, taluni divenuti famosi, che il sacerdote ebbe come allievi. Tutti colpiti dalla personalità del docente “brutto e affascinante” dalla voce roca che, con passione e intelligenza, li provocava a essere inquieti, a non accontentarsi, a misurarsi con Cristo come risposta al desiderio di vivere. Per lui, come scriveva, «la grandezza della fede cristiana, senza nessun paragone con qualsiasi altra posizione, è questa: Cristo ha risposto alla domanda umana. Perciò hanno un destino comune chi accetta la fede e la vive e chi, non avendo la fede, si annega dentro la domanda, si dispera nella domanda, soffre nella domanda». Risuonava qui un cuore agostiniano-pascaliano, un cuore che nel giovane seminarista di Venegono si era incontrato con il domandare inquieto che traluceva dalle poesie di Leopardi. Al giovane Giussani, Cristo appariva come la risposta al vuoto drammaticamente espresso dal poeta di Recanati. «Ho intuito — scriveva — con struggimento che quello che si chiama “Dio” – vale a dire il Destino inevitabile per cui un uomo nasce – è il termine dell’esigenza di felicità, è quella felicità di cui il cuore è insopprimibile esigenza». Era, in nuce, la problematica de Il senso religioso, il testo del 1957 che, ampliato e corretto, vedrà altre due edizioni nel 1966 e nel 1986. Problematica nuova allora nel panorama teologico, guardata con sospetto per i ricordi suscitati delle deviazioni moderniste, che Giussani affronta e imposta seguendo, in taluni punti fedelmente, la Lettera pastorale quaresimale alla diocesi ambrosiana Sul senso religioso, del 1957, scritta dall’allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini. In profonda sintonia con il suo arcivescovo, Giussani non si accontentava di un cristianesimo tradizionale, convenzionale e formalistico. Voleva una fede viva, una fede che corrispondeva alle esigenze profonde dell’animo umano. Per questo la proposta cristiana doveva portare alla scoperta di Cristo, del contenuto storico del Vangelo, della divino-umanità di Gesù.

Non era solo la sua personale sensibilità che lo portava a questo “cristocentrismo esistenziale”. Era anche il risultato dell’insegnamento di colui che Giussani riconoscerà come suo vero maestro a Venegono: don Gaetano Corti. Per Corti affinché un uomo possa credere in Cristo bisogna che lo conosca, e «per conoscerlo nella sua concreta personalità storica deve in certo modo frequentarlo, come l’hanno frequentato gli Apostoli e i primi discepoli che hanno tratto da questa esperienza diretta la loro fede in Lui. Anche oggi un uomo, per credere in Cristo, deve ripetere in certa maniera e misura l’esperienza dei primi suoi discepoli; deve come loro sentirLo parlare, vedere agire, operare miracoli, piangere, soffrire; morire; risuscitare, salire al cielo. In tal modo egli penetrerà poco a poco nell’anima di quell’uomo che si chiama Gesù, entrerà nel mondo intimo dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti». Per tutta la vita Giussani applicherà il metodo di don Gaetano Corti, lo declinerà in un’esperienza educativa unica nel panorama giovanile italiano, e poi internazionale, del dopoguerra. Con quel metodo raggiungerà tre generazioni: quella degli anni ’50, caratterizzata dal clima esistenzialista; quella degli anni ’70, segnata dalla politicizzazione integrale del vento della contestazione; quella degli anni ’90 immersa nella globalizzazione. In tutte lascerà la traccia del suo timbro di voce, del suo accento, del modo appassionato con cui parlava della vita e di Cristo. Un caso più unico che raro di personalità cristiana capace di perforare il muro determinato dalla secolarizzazione.

Comprende, come pochi altri, in profonda sintonia con ciò che scriveva Pier Paolo Pasolini, che il ’68 segna la fine di un mondo, anche di quello cristiano. Non indulge, per questo, al pessimismo. In lui è chiaro il giudizio che occorreva, nel cammino della fede, ripartire dall’inizio: «Come 2000 anni fa». Nel “Volantone” di Pasqua del 1982 si chiederà: «Come possiamo rispondere a questa domanda noi che non siamo stati alle nozze di Cana, che non abbiamo visto il paralitico guarire, che non abbiamo assistito al funerale di Naim, che non lo abbiamo seguito per tre giorni nella steppa, dimenticando persino il cibo? La familiarità con Lui da cui nasce l’evidenza della sua parola come unica che dia senso alla vita, come possiamo viverla? Il modo c’è: la compagnia che da Cristo è nata ha investito la storia; è la Chiesa, suo corpo, cioè modalità della sua presenza oggi. È perciò una familiarità quotidiana di impegno nel mistero della sua presenza entro il segno della Chiesa. Di qui può nascere l’evidenza razionale, pienamente ragionevole, che ci fa ripetere con certezza ciò che Lui, unico nella storia dell’umanità disse di sé: Io sono la via, la verità, la vita».

A partire dagli anni ’80 questa compagnia, questa “amicizia cristiana”, trova il suo inizio nell’incontro, incontro con testimonianze che rendono presente nella loro vita Gesù, che rendono presente il mistero. Grazie a Giussani categorie come “incontro”, “avvenimento”, “fatto cristiano”, “presenza ”, entrano dentro il lessico teologico, divengono usuali. Non sono solo “categorie”, sono i terminali di un’esperienza in atto che il sacerdote di Desio verificava a ogni passo. «L’avvenimento cristiano —scrive — si palesa, si rivela, nell’incontro con la leggerezza, la sottigliezza e l’apparente inconsistenza di un volto che si intravede nella folla: un volto come gli altri, eppure così diverso dagli altri che, incontrandolo, è come se tutto si semplificasse. Lo vedi per un istante, e andando via porti dentro di te il colpo di quello sguardo, come dicendo: “Mi piacerebbe rivederla quella faccia!”».

Negli ultimi anni la sua vecchiaia è segnata dal parkinson, da una malattia che lo mette costantemente alla prova. Conia una nuova definizione della fede: «La fede è riconoscimento “amoroso”. È una conoscenza amorosa». Amore e misericordia sono le parole che l’accompagnano nell’ultimo periodo. Confessa alla sua fisioterapista: «Sai che cosa ho capito ai miei 80 anni? Che la misericordia non è il perdono, ma l’amore all’origine. […] In quella drammatica scena, quando Giuda si presenta davanti a Gesù nell’orto degli ulivi, la prima parola che Gesù gli dice è “amico”. Non gli dice: “Io ti perdono ciò che stai per fare”. Lui afferma prima l’amore, per muovere la libertà dell’altro». Per questo si fa cantare O Jesu mi dolcissime, terminando con una preghiera: «Oh Gesù mio dolcissimo, amico, fratello, compagno, è con te che io cercherò di trascinarmi tutti gli uomini che incontrerò, di trascinarmeli con te Signore, perché il nulla non abbia nessun possesso a nostro carico». Don Giussani muore a Milano il 22 febbraio 2005.

il Papa prepara la rivoluzione digitale

il Papa prepara la rivoluzione digitale

Vaticano 2.0: il Papa prepara la rivoluzione digitale

La svolta 5G di Bergoglio in vista del Giubileo 2025

di Luigi Bisignani

papa bergoglio digital

TikTok…sono Francesco!

Il Santo Padre non è ancora un TikToker, ma la sua rivoluzione digitale è già iniziata e sarà battezzata urbi et orbi al Giubileo del 2025. Aspettiamoci dunque cyberspazi con effetti speciali, a cominciare dalla Basilica di San Pietro e i Musei Vaticani, per un’esperienza immersiva nelle meraviglie vaticane. E se i fedeli non andranno alla montagna, sarà la montagna ad andare dai fedeli, con San Pietro – anziché Singapore o la Silicon Valley – che porterà direttamente nelle case dei cristiani il “metaverso”. Il Papa è convinto che l’opera di evangelizzazione della Chiesa, ormai ai minimi storici, debba avere un “upgrade”. Così, spinto anche da potenti lobby Usa che, uno ad uno, gli hanno fatto incontrare i grandi profeti del mondo digitale, da Gates, Musk a Cook, i quali, a loro volta, gli hanno vaticinato la “modernità religiosa” dei big data per stare al passo con i tempi.

Una rivoluzione copernicana per Bergoglio se si pensa che in Argentina, negli anni ‘90, non voleva saperne di avere in arcivescovado anche solo un semplice computer. Preferiva dilettarsi con “Más allá del horizonte”, più conosciuta come “Milagros”, la telenovela argentina a produzione targata Silvio Berlusconi, nei confronti del quale, forse per questo, ha nutrito sempre una particolare simpatia.

Francesco, una volta eletto e sorprendendo tutti, qualche tempo dopo affermò che “Internet era un dono di Dio e che occorreva aprire le porte delle Chiesa all’era digitale”. E da lì a poco ha scoperto i videomessaggi grazie ai quali non fa che intrattenersi a tutte le ore con gli amici, facendo impazzire i suoi collaboratori.

Il rivoluzionario passo successivo nel digitale è stato nel 2020, quando, con la sua benedizione, Microsoft, Ibm, la Fao e il Governo italiano hanno firmato la Call for an AI Ethics, un protocollo d’intesa nato per sostenere un approccio etico all’Intelligenza Artificiale, così da promuovere tra organizzazioni, governi e istituzioni un senso di responsabilità condivisa.

Tuttavia, nella Chiesa ci sono molte sacche di resistenza a questa nuova linea “Matrixiana”; tra i followers più convinti, invece, si annoverano il neocapo della Cei il Cardinale Matteo Zuppi, l’Arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e Don Paolo Benanti, teologo francescano e accademico noto al grande pubblico per la trasmissione “Codice – La vita è digitale” su Raiuno di Barbara Carfagna.

Ma anche in Segreteria di Stato risiede grande sensibilità per il digitale da parte di un folto gruppo capitanato da Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati.

Dopo l’incontro con Bill Gates, che lo ha colpito per la sua filantropia, il “Papa 5G” ha avviato la “digital revolution” conversando anche con Elon Musk (Starlink potrebbe essere il primo provider di internet gratis, come è già successo in Ucraina) e poi con Tim Cook, Ceo di Apple, il quale gli ha spiegato la direzione che prenderà l’azienda che dirige finanziando scuole dove si formeranno gli ingegneri che svilupperanno reti neurali artificiali. Quest’ultime imitano il comportamento del cervello umano, consentendo ai software di riconoscere modelli e risolvere problemi comuni nei campi dell’artificial intelligence, del machine learning e del deep learning. Ed è proprio questa, secondo il neo-pastore digitale Bergoglio, la rivoluzione che cambierà il modo di fare evangelizzazione della Chiesa e anche quello grazie al quale le finanze vaticane dovranno sostenersi.

Ai Musei Vaticani, grazie a monsignor Paolo Nicolini, vicedirettore gestionale che ne guida la trasformazione, vedremo in tutto il mondo ologrammi che riprodurranno le magnifiche opere contenute nei musei ed è già iniziata la produzione degli “nft” (digital art) di quasi tutte le principali opere. Bergoglio, citando più volte Marconi con i suoi esperimenti radio, avvenuti in Vaticano, che hanno cambiato le sorti del mondo, desidera che la Pontificia Accademia delle Scienze nata con lo scopo di promuovere il progresso della matematica, della fisica, delle scienze naturali e lo studio dei relativi problemi epistemologici, diventi, inter alia, un marchio di garanzia non solo per l’eticità delle scoperte del mondo scientifico, ma anche un laboratorio all’avanguardia del digitale, chiamando a sé grandi ingegneri digitali.

Un ambizioso progetto che necessita però di uno staff da affiancare al Cardinale ghanese Peter Kodwo Appiah Turkson, giudicato ancora non perfettamente in linea con questa nuova missione da “Futurama”. L’high-tech, dunque, come strumento di pace e crescita per l’uomo, con un occhio ai paletti da imporre al Transumanesimo, ovvero l’impiego della tecnologia per migliorare la condizione umana. Internet, bene comune dell’umanità e, dunque, possibilmente accessibile a tutti.

L’e-learning, infine, per scolarizzare a basso costo i bambini in tutto il mondo: in sintesi, il digitale utilizzato per abbattere ogni forma di discriminazione. È su questi temi che Bergoglio vorrebbe incentrare la sua ultima parte di pontificato, un “digilitalesimo” per superare il grande gap giovani-religione-Chiesa. È proprio vero che le vie del Signore sono infinite. A maggior ragione, se poi ci aggiungi quelle virtuali: sempre gloria nell’alto del Cloud.

Febbraio delle Parrocchie

Febbraio delle Parrocchie

Il Papa: preghiamo perché ogni parrocchia abbia le porte sempre aperte per tutti

Guarda alle comunità parrocchiali l’intenzione di preghiera di Francesco affidata a tutta la Chiesa per il mese di febbraio. Era il 2023, appena un anno fa ma, nel video diffuso dalla Rete mondiale di preghiera del Papa c’era l’invito sempre attuale a ripensare con coraggio lo stile delle parrocchie per farle diventare veri luoghi di comunione tra le persone e di accoglienza, senza esclusioni

Adriana Masotti – Città del Vaticano

La parrocchia non è un “club” riservato a pochi, ma un luogo dove per entrare non sono richiesti particolari requisiti e alla cui porta d’entrata si dovrebbe leggere: “ingresso libero”. E’ per questa intenzione che Francesco invita a pregare la Chiesa nel Video diffuso dalla Rete mondiale di preghiera del Papa per il mese di febbraio. Un modo per chiedere che le parrocchie siano davvero comunità, centri di ascolto e di accoglienza “con le porte sempre aperte”.

Il messaggio del Papa 

“A volte penso che dovremmo affiggere nelle parrocchie, alla porta, un cartello che dica: ‘Ingresso libero’ – afferma Papa Francesco nel Video del Papa  -. Le parrocchie devono essere comunità vicine, senza burocrazia, centrate sulle persone e in cui trovare il dono dei sacramenti. Devono tornare ad essere scuole di servizio e generosità, con le porte sempre aperte agli esclusi. E agli inclusi. A tutti”. Il messaggio di Francesco è che “le parrocchie non sono un club per pochi, che garantisce una certa appartenenza sociale”. E prosegue con l’esortazione: “Per favore, siamo audaci! Ripensiamo tutti allo stile delle nostre comunità parrocchiali”. L’intenzione di preghiera del Papa per febbraio è dunque “perché le parrocchie, mettendo la comunione – la comunione delle persone, la comunione ecclesiale – al centro, siano sempre più comunità di fede, di fraternità e di accoglienza verso i più bisognosi”.

La ricchezza della Chiesa sono le persone 

L’esterno di una parrocchia bellissima, ma vuota. Poi la stessa parrocchia, piena di persone, che diventa dunque ancora più bella. Il Video del Papa di questo mese si apre così – si legge nel comunicato stampa che lo accompagna – ricordando che la ricchezza della Chiesa non sono gli edifici, ma le persone che li abitano. Le immagini, provenienti da parrocchie di tutto il mondo, descrivono incontri conviviali, conferenze, distribuzione di aiuti ai più bisognosi, visite agli anziani e ai malati, spettacoli. È un video, dunque, pieno di vita, quella vita che scorre nelle parrocchie e le rende ancora punti di riferimento per molti, dove si impara l’arte dell’incontro.

Locandina intenzione di preghiera del Papa per il mese di febbraio

Locandina intenzione di preghiera del Papa per il mese di febbraio

La parrocchia è presenza della Chiesa tra le case

Il comunicato ricorda che già nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Papa Francesco aveva evidenziato la centralità della parrocchia: “sebbene non sia l’unica istituzione evangelizzatrice”, aveva scritto citando un’espressione di Giovanni Paolo II nella Christifideles laici, la parrocchia ha la particolare caratteristica di essere “la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie”. Per questo deve stare “in contatto con le famiglie e con la vita del popolo” e non diventare “una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi”. Ma questo “appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie”, aggiungeva, “non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente”. Il Pontefice, dunque, insiste sull’idea che le parrocchie debbano portare avanti questo cammino di trasformazione per essere sempre aperte e a disposizione di tutti senza esclusioni, per questo parla di audacia e di ripensamento dello stile attuale delle comunità.

Le persone al centro della vita parrocchiale

Commentando l’intenzione di preghiera di febbraio, padre Frédéric Fornos S.J., direttore Internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, ha ricordato che “qualche anno fa, Francesco ha detto alla diocesi di Isernia-Venafro: ‘Ogni comunità parrocchiale è chiamata ad essere luogo privilegiato dell’ascolto e dell’annuncio del Vangelo; casa di preghiera raccolta intorno all’Eucaristia; vera scuola della comunione’. Ascolto, preghiera e comunione – prosegue padre Fornos – sono indicazioni sinodali essenziali per la vita delle parrocchie. Per far questo, però, devono essere davvero comunità, con le persone al centro, perché siamo realmente comunità quando conosciamo l’altro, conosciamo il suo nome, le sue necessità, la sua voce”.

L'intenzione di preghiera del Papa

L’intenzione di preghiera del Papa

Ripensare allo stile delle nostre comunità

Si tratta di una sfida molto grande, dice ancora il direttore della Rete, infatti “quante volte accade che la parrocchia si trasformi in un raggruppamento di persone più o meno sconosciute che si ritrova per la Messa della domenica ma senza vita comunitaria?” “Essere una comunità cristiana – sottolinea – è una grazia, nasce dalla fede condivisa, dalla fraternità vissuta e dall’accoglienza ai più bisognosi; nasce da un’esperienza spirituale comune, dall’incontro con Cristo Risorto. Come dice Francesco nel Video del Papa – conclude padre Fornos -, dobbiamo essere ‘audaci’ nell’ascolto dello Spirito Santo e ripensare tutti ‘allo stile delle nostre comunità parrocchiali’”.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-01/papa-francesco-video-intenzione-preghiera-febbraio-rete-mondiale.html

Imitazione di Cristo

Imitazione di Cristo

Prendendo spunto dalla figura del Poverello di Assisi, che ordini, congregazioni e famiglie francescane celebreranno con una serie di iniziative dal 2023 al 2026, ad 800 anni dalla morte, Francesco lo indica come esempio di “uomo della pace e della povertà, che ama e celebra il creato”. Ed invita a mettersi alla sua scuola: “Nella sua vita evangelica la via per seguire le orme di Gesù: questo significa ascoltare, camminare e annunciare fino alle periferie”

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Ciò di cui tutti hanno bisogno è giustizia, ma anche fiducia. Solo la fede restituisce a un mondo chiuso e individualista il soffio dello Spirito. Con questo supplemento di respiro le grandi sfide presenti, come la pace, la cura della casa comune e un nuovo modello di sviluppo potranno essere affrontate, senza arrendersi ai dati di fatto che sembrano insuperabili.

Il Papa lo sottolinea parlando al Coordinamento ecclesiale per l’VIII Centenario Francescano, ricevuto in udienza nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico. Costituito circa un anno fa a Greccio, dalle diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, di Rieti e di Arezzo, con rappresentanti di tutte le famiglie francescane del primo e secondo ordine, dell’ordine francescano secolare e delle congregazioni francescane, l’organismo sta curando l’organizzazione di una serie di eventi, dal 2023 al 2026, per celebrare gli 800 anni dalla morte di San Francesco d’Assisi.

Dal Papa il coordinamento per l’VIII centenario francescano, che si apre nel 2023

Proprio guardando al patrono d’Italia, il Pontefice evidenzia che il centenario deve tendere a “declinare insieme l’imitazione di Cristo e l’amore per i poveri”. Perché “Francesco ha vissuto l’imitazione di Cristo povero e l’amore per i poveri in modo inscindibile, come le due facce di una stessa medaglia”. I frutti delle celebrazioni matureranno “anche grazie all’atmosfera che si sprigiona dai diversi ‘luoghi’ francescani”, fa notare il Pontefice, perché ciascuno di questi “possiede un carattere peculiare, un dono fecondo che contribuisce a rinnovare il volto della Chiesa”.

La fede sorgente dell’esperienza di San Francesco

Ai membri del Coordinamento ecclesiale del Centenario francescano, che darà vita a un pellegrinaggio dalla valle reatina, passando per La Verna, “fino ad Assisi, dove tutto ha avuto inizio”, il Papa ha confidato di essere stato consapevole, scegliendo di chiamarsi Francesco “di far riferimento a un santo tanto popolare, ma anche tanto incompreso”.

Francesco è l’uomo della pace, l’uomo della povertà e l’uomo che ama e celebra il creato; ma qual è la radice di tutto questo, qual è la fonte? Gesù Cristo; innamorato di Gesù Cristo che per seguirlo non ha paura di fare il ridicolo ma va avanti. La sorgente di tutta la sua esperienza è la fede. Francesco la riceve in dono davanti al Crocifisso, e il Signore Crocifisso e Risorto gli svela il senso della vita e della sofferenza umana.

Il Papa in preghiera alla tomba di San Francesco nel 2020

Il Papa in preghiera alla tomba di San Francesco nel 2020

Le tappe dell’VIII Centenario francescano

L’itinerario pensato per l’ottavo Centenario Francescano, che si protrarrà dal 2023 al 2026, avrà come prima tappa Fonte Colombo, nei pressi di Rieti, perché qui Francesco scrisse la regola, poi approvata da Papa Onorio III nel 1223, ma anche per ricordare il luogo del primo presepe della storia, aggiunge Papa Francesco.

Si tratta di un invito potente a riscoprire nell’incarnazione di Gesù Cristo la “via” di Dio. Tale scelta fondamentale dice che l’uomo è la “via” di Dio e, di conseguenza, l’unica “via” della Chiesa.

Il Papa saluta fra Massimo Fusarelli, ministro generale dei frati minori

Il Papa saluta fra Massimo Fusarelli, ministro generale dei frati minori

Altra tappa sarà La Verna, luogo in cui, nel 1224, Francesco ricevette le stigmate. Il luogo, spiega il Papa, “rappresenta ‘l’ultimo sigillo’ – come dice Dante (Paradiso, XI, 107) – che rende il santo assimilato al Cristo crocifisso e capace di penetrare dentro la vicenda umana, radicalmente segnata dal dolore e dalla sofferenza”. Infine, nel 2026 si giungerà ad Assisi per ricordare il Transito di Francesco, nel 1226, alla Porziuncola: evento che svela l’essenziale del cristianesimo, chiarisce il Pontefice, ossia “la speranza della vita eterna”. E non a caso, osserva Francesco, la tomba del Santo, collocata nella Basilica Inferiore, è divenuta nel tempo “la calamita, il cuore pulsante di Assisi”.

La Basilica di San Francesco ad Assisi

La Basilica di San Francesco ad Assisi

Ascoltare, camminare, annunciare

Ma San Francesco “resta comunque un mistero”, rimarca il Papa. Per comprenderlo occorre mettersi alla sua scuola, “ritrovando nella sua vita evangelica la via per seguire le orme di Gesù”. E per fare questo bisogna “ascoltare, camminare e annunciare fino alle periferie”, indica il Pontefice. L’ascolto è quello di Francesco che davanti al Crocifisso, sente la voce di Gesù dirgli: “Va’ e ripara la mia casa”. Il giovane “risponde con prontezza e generosità a questa chiamata del Signore”, racconta il Papa, ma piano piano, si rende conto che non si trattava “di riparare un edificio fatto di pietre, ma di dare il suo contributo per la vita della Chiesa”, “di mettersi a servizio della Chiesa, amandola e lavorando perché in essa si riflettesse sempre più il Volto di Cristo”. Quanto al camminare “Francesco è stato un viandante mai fermo” evidenzia il Pontefice “che ha attraversato a piedi innumerevoli borghi e villaggi d’Italia, non facendo mancare la sua vicinanza alla gente e azzerando la distanza tra la Chiesa e il popolo”.

Questa medesima capacità di “andare incontro”, piuttosto che di “attendere al varco”, è lo stile di una comunità cristiana che sente l’urgenza di farsi prossima piuttosto che ripiegarsi su sé stessa. Questo ci insegna che chi segue san Francesco deve imparare a essere fermo e camminante: fermo nella contemplazione, nella preghiera e poi andare avanti, camminare nella testimonianza, testimonianza di Cristo.

E poi c’è l’annuncio, quello che il Papa chiede continuamente di portare nei luoghi più lontani o trascurati: le periferie.

Le celebrazioni francescane e il Giubileo del 2025

Infine,concludendo il suo discorso, Papa Francesco incoraggia il Coordinamento “a vivere in pienezza” i tre anni di celebrazioni per l’VIII Centenario francescano, auspicando che “tale percorso spirituale e culturale possa coniugarsi con il Giubileo del 2025, nella convinzione che San Francesco d’Assisi spinge ancora oggi la Chiesa a vivere la sua fedeltà a Cristo e la sua missione nel nostro tempo”.