"Gridatelo dai tetti...."

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

Peho “Pei” è la diciassettesima lettera dell’alfabeto ebraico e quello fenicio e corrisponde alla “p” latina, e altre corrispondenze con l’alfabeto greco e cirillico.

La sua forma è una bocca aperta con un dente in alto.

Il simbolo rappresenta una bocca e significa trasmissione orale, rivelazione.

La Cabala, che va intesa come la Dottrina ebraica diretta all’interpretazione simbolica del senso intimo e segreto della Bibbia, come è stato trasmesso per tradizione, attribuisce a questa lettera il valore numerico di 80, e cioè gli anni che aveva Mosè quando guidò Israele fuori dall’Egitto e quando ricevette la Torah.

Altri significati che gli vengono dati sono il valore di 17 che è il valore numerico della parola ebraica “tov” che significa “buono”.

E anche il valore derivato dall’unione delle due lettere “ayin” e “peh” che hanno per significato l’unione del contatto degli occhi e, cioè, della Torah scritta, e della bocca della Torah orale, rappresentando così una forma esplicita del “contatto” e della “comunicazione”.

Per quanto riguarda la forma, l’ideogramma primitivo disegna una bocca a labbra chiuse. L’ebraico arcaico pone il segno in corsivo, nel greco arcaico viene stilizzato. Nel greco moderno è il “Phi” che corrisponde alla “P” latina.

Questo Segno grafico rappresenta la bellezza fisica della bocca, della voce, del volto, delle espressioni, della parola e anche della persuasione.

La forma della “Peh” convoglia l’idea di una bocca aperta con in mezzo un dente appeso alla mandibola superiore; al negativo è la bocca del malvagio simboleggiato per il popolo ebraico dal faraone che li aveva ridotti in schiavitù.

Il termine faraone si scrive in ebraico “Peh-Resh-Ayn-He”.

Le lettere “Peh” e “Resh” insieme, indicano simbolicamente una bocca cattiva e ciò si riferiva al suo utilizzo da parte degli egizi; in senso generico può essere riferito all’utilizzo della parola come mezzo di manipolazione fino al pettegolezzo, alla maldicenza, al ferire e offendere verbalmente.

Ricordiamo che con le parole si forma il mondo e che la parola è un mezzo potente di persuasione; ricordiamo nel libro di Ester come la regina riesce a “persuadere” con bellezza, gentilezza e umiltà, il Re Assuero riconvertendo l’editto di morte per gli Ebrei in un editto di Vittoria.

La lettera “bet”, che inizia la Torah, ha tre lati. Il quarto lato è mancante e significa che il mondo non è completo.

L’ebreo, però, ha la capacità di completare la creazione di Dio, per andare oltre quello che crede possibile e così rendere il mondo concluso. E questo l’ebreo lo realizza “ampliando le bocche”. Usando le bocche per lodare Dio, imparare la Torah, pregare e comunicare messaggi positivi ad altri, al fine di completare il mondo.

L’ebreo si impegna a portare a compimento il senso di essere in questo mondo, trasformando la natura e rendendo il mondo un posto migliore in cui vivere.

Per ogni ebreo la parola ha un enorme potere.

Con parole di lode si può innalzare una persona a grandi altezze e con un pò di chiacchiere maligne si può distruggere la reputazione di una persona.

Ognuno ha la capacità di comunicare e ispirare gli altri. Non può esonerarsi dalla responsabilità di prestare attenzione alle parole con cui si esprime.

Nella parola “Peh” troviamo anche il significato della Pasqua.

Un insegnamento del rabbino Levi Yitzchak di Berditchev spiega il significato della festa della Pasqua (Pesach). “Pesach” significa letteralmente peh – sach, che significa: “la bocca aperta (peh) che parla (sach)”.

Così è chiaro come nella Pasqua la bocca parla delle meraviglie e dei miracoli che Dio compie nella storia del popolo ebreo come una liberazione.

Pesach rappresenta l’antitesi del faraone, che, è “pehra”, una “cattiva bocca”. Perché il faraone era qualcuno che negava la provvidenza di Dio.

Le nostre bocche non ci furono date per diffamare o denigrare altri, ma per parlare della grandezza e delle meraviglie di Dio.

Dio ha detto, “Sia luce!” e così fu. “Sia cielo!” e così fu. “Faremo l’uomo!” e così fu. Poi ha soffiato nelle narici di Adam il respiro della vita, trasformandolo in un’anima parlante”. Anima composta di parole, per dare un nome ad ogni creatura.

Così le parole creano il mondo.

Il contatto a livello degli occhi, è il segreto della Torah Scritta.

Nella lettura della Torah nel servizio della sinagoga, il Lettore deve “vedere ogni lettera” del rotolo della Torah.

Il contatto a livello della bocca è il segreto della Torah Orale.

Si dice: “il cuore del sapiente informa la sua bocca”.

Il potere del “peh”, la bocca, è dunque esprimere la grazia della Torah Orale.

Peh” ci chiama a parlare dal cuore.

Così la “Peh” può diventare la “bocca buona” pronta a comunicare gli insegnamenti ricevuti, piuttosto che criticare:

Le parole della bocca del saggio procurano benevolenza” (Qoèlet 10,12).

Al positivo la “Peh” è la capacità di esprimersi verbalmente, fatto che distingue la specie umana dalle altre specie.

I denti della bocca sono simbolo di sapienza, in quanto hanno la facoltà di digerire il cibo, dunque, di assimilare le proprie esperienze di vita: la bocca spirituale dell’individuo viene aperta per dare o ricevere il cibo emotivo.

La bocca per mezzo dei denti è il luogo dove sentiamo sicurezza e autorità oppure paura e insicurezza.

I denti non sono presenti alla nascita, così la sapienza è un dono che si acquisisce con l’esperienza, e ancora, i primi denti cadono, segno che esiste una conoscenza imperfetta dalla quale occorre liberarsi per acquisire una conoscenza superiore.

Il dente della “Peh” si trova in alto, e rappresenta la rivelazione del pensiero di Dio direttamente nella bocca, attraverso la facoltà di parlare dell’uomo, la bocca è l’organo del corpo umano preposto alla rivelazione del pensiero e dello spirito (ruach).

La “Peh” rappresenta la bocca di Dio che parlava direttamente a Mosè bocca a bocca, secondo il segreto del versetto del Cantico:

mi baci coi baci della sua bocca” (Cantico dei Cantici cap. 1,2).

Peh” rappresenta il rivelarsi della divinità presente in ciascuno, il grido di vittoria di chi, come Cristo, apre la porta del sepolcro. Tutte le parole che hanno il “peh” finale partecipano di questa vittoria e strutturano il cammino per la nostra liberazione.

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Altri significati contenuti nella parola “Peh”, sono “Poh” (Peh-He), che significa “bocca”, o anche “qui”; riguardano la rivelazione Divina, nel senso che Dio può essere percepito nella sua dimensione trascendente: il Dio che sta lassù.

Se rivolgiamo la nostra attenzione cercando profondamente all’interno di noi stessi, troviamo ugualmente Dio ma nel suo aspetto concreto, cioè del Dio che è qui.

La Trasmissione orale della Torah

La bocca è legata con la Torah orale; infatti viene chiamata: “Torah she ba’al peh”, che tradotta significa: “la Torah che è la maestra della bocca”.

Vuol dire che la Torah si comunica con la bocca, quindi ha bisogno di essere parlata per diffondersi, viene fatta presente proclamandola, quindi è una tradizione orale.

Per comprendere il significato della tradizione orale della Torah è bene sapere che il testo ebraico originale è privo di vocali, quindi queste vengono aggiunte al momento della lettura, e spesso, chi legge, mette vocali diverse ad ogni parola così che ogni parola della Torah acquista molteplici significati in base alla vocalizzazione delle consonanti.

Perciò la Torah non è da considerarsi come un testo fisso ma si presta a numerose interpretazioni. La Torah ha 70 volti, per questo motivo il re Tolomeo d’Egitto ordinò a 70 anziani del Sinedrio la traduzione in greco della Torah, ma si tramanda che ci furono tre giorni di oscurità nel mondo perché queste 70 versioni avrebbero limitato il ricchissimo insegnamento contenuto nei rotoli della Torah.

L’interpretazione della Torah è personale, individuale. Dio parla ad ognuno di noi singolarmente attraverso la Torah; ogni persona può confrontarsi, interrogando la Torah in un modo personale e questo approccio può essere diverso ogni volta che viene consultata.

La lettura diventa un approfondimento pieno di sapienza personale, scrutando fra le misteriose parole che vanno ricreate individualmente alla ricerca del mistero che vogliono suggerire; in questo modo, la lettura diventa una forma di meditazione personale e che trasformandosi ogni volta mette in comunicazione con lo spirito Divino.

Questo metodo simboleggia l’attrazione di questi due poli che non sono in contrasto ma hanno stipulato una “alleanza” dove per prima Dio cerca l’uomo, ma nello stesso tempo l’uomo è spinto interiormente a ricercare il suo Dio.

Secondo la tradizione orale, ogni credente deve dare il suo contributo alla rivelazione di ogni significato biblico con la propria personale esperienza materiale e spirituale.

Scegliendo a seconda del proprio stato e del proprio bagaglio spirituale le vocali, la punteggiatura, la lettura della Bibbia ebraica diviene dipendente dal singolo individuo e dalle sue scelte di lettura, di interpretazione.

In questo caso l’individuo dipende dalla parola Divina, esattamente come la parola Divina dipende dall’individuo.

Dio dipende dall’uomo e dal suo stato psicologico.

La lettura e l’interpretazione della Bibbia ebraica dipende dallo stato di ogni parola, per cui anche il rapporto con il Divino è fortemente soggettivo, il Divino si modifica in base all’individuo, anche se le scritture rimangono le stesse.

L’alleanza tra la parola Divina nella tradizione orale permette di evitare la percezione di Dio come una vera realtà statica sostanzialmente estranea all’uomo.

La lettera “ape” è in analogia sia con la parola che con il verbo, dunque con le parole che si pronunciano ed esprimono in tal modo i pensieri ed i sentimenti, dal momento che l’essere umano è dotato di parola.

Il termine “parola” deriva dal latino “parabola” che designa la facoltà di esprimersi con un linguaggio parlato e ha sostituito il termine verbum, la cui origine sembra essere indoeuropea e il cui significato è “voto, augurio”.

Quindi la parola intesa sia in senso proprio che figurato, risulta essere un vuoto, un desiderio, una speranza dotata di una volontà ed è questo che la bocca simboleggiata da “Peh” esprime.

Questa espressione è quella dell’anima il cui scopo, o funzione, la sua ragion d’essere, è quello di congiungere il corpo alla psiche, la materia allo Spirito.

Secondo la tradizione ebraica a 80 anni si riceve una forza, particolare che è quella del pieno controllo sulla propria “natura animale”. Mosè quando guidò Israele fuori dall’Egitto e quando ricevette la Torah, aveva circa 80 anni ed era balbuziente, ma egli ricevette il pieno controllo della sua espressione verbale.

Nella parola “Peh” in ebraico troviamo la delicatissima “p” di fiore, di farfalla, di viso.

Secondo la tradizione, esistono 72 volti di Dio, ma 72 sono anche i nostri volti.

Compito dell’uomo è conoscere e riconoscere queste diverse “espressioni” sia di Dio che dello stesso uomo e comprendere come utilizzare le espressioni caratteristiche di ciascuno di loro.

Questa ricerca porta a conoscere in profondità se stessi e integrare ogni aspetto di queste componenti in una unica personalità che con sapienza riesce ad esprimerli armoniosamente.

Nella parola “bocca” esiste anche la definizione di “fendente della spada”, “lama a doppio taglio” che non è altro che la Parola Divina; questa spada è una sola, ma le sue lame sono doppie e possono uccidere o vivificare.

Esiste anche in questa parola la definizione di apertura, rivelazione, mutazione, capacità di apertura, di aprirsi agli influssi trascendenti per saper poi spiegare agli altri gli insegnamenti ricevuti.

Ora il “Peccato” diventa come qualcosa che scavalca un recinto preciso, una trasgressione consapevole che va in opposizione al procedere normale del suo divenire dentro le strutture della creazione che seguono leggi precise, pensate per amore, creative e liberanti.

Quando l’uomo le trasgredisce obbedendo ad una “bocca astuta”, queste stesse leggi si rivoltano contro di lui portandolo alla distruzione.

Chi si aggancia al progetto di Dio passando dalla Fede non è più un trasgressore della legge. Infatti la scrittura dice che:

Le parole della bocca del saggio sono sempre in armonia”.

La “Peh” suggerisce l’idea di una bocca aperta, con la lingua in mezzo che fa da barriera: questo serve per mettere in guardia dal pericolo del pettegolezzo che va superato, se si ha a cuore la propria crescita spirituale.

La “Peh” deve diventare “la bocca buona”, che sa dire solo parole di sapienza, di apprezzamento e di lode, invece di denigrare; la “bocca buona” piuttosto di criticare resta chiusa.

I denti della bocca sono simbolo di sapienza: 32 sono i Sentieri della Sapienza, che è la capacità di interpretare la realtà di comprenderla nel progetto di Dio, così come i denti rendono assimilabile il cibo.

Peh”, ancora, come nome, significa “bocca”, in accordo con la sua forma, è l’organo che fa fuoriuscire il pensiero e la sapienza dello Spirito.

È la “bocca interiore” dell’individuo che è aperta per dare o ricevere il cibo emozionale e spirituale; è il luogo dove sentiamo o diamo sicurezza, autorità, oppure diamo e sentiamo paura, e significa anche “qui”, “poh” che contiene la forza di vivere focalizzati sul presente, senza proiettarsi in fantasie passate o future.

  "Questo libro è dedicato a tutte le persone che desiderano imparare ad avere profonda consapevolezza delle PAROLE della Bibbia e riuscire a proclamarle con autorevolezza e sicurezza"
Racchiude 35 anni di esperienza nella Chiesa condensati in 430 pagine di puro valore. 
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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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