Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO di Marilena Marino
Quanto più tutti i sensi dell’uomo sono coinvolti, tanto più intensa è l’esperienza legata a ciò che vogliamo manifestare; bisogna approfondire con intensità il senso della vista, il senso dell’udito, dell’olfatto, del gusto e del tatto, per cercare di coinvolgere in modo potente sia il lettore che fa uso della parola di Dio, sia quando si ascolta il messaggio della Parola.
San Tommaso affermava, per esempio, che:
“nulla è nell’intelletto che non si trovi prima nei sensi”.
La nostra ricerca spirituale, deve passare attraverso l’esperienza concreta del vissuto umano, e dev’essere fondata nella comunicazione con le persone e le esperienze mediante i sensi, per rendere più efficace il calarsi del Divino, della spiritualità, nell’umana persona e nell’incarnazione.
Abbiamo bisogno che la nostra vita spirituale parta dalle esperienze sensoriali, cercando di utilizzare i sensi nel centro della nostra fede e che questa esperienza emozionale si rifletta presente nella liturgia.
Anche nelle stesse celebrazioni e nelle Sante Messe assistiamo all’utilizzo e ai gesti dei sensi da parte del sacerdote, per esempio, quando ascoltiamo dall’Assemblea la parola di Dio, e quando nelle celebrazioni più importanti siamo pervasi dall’odore dell’incenso, della cera, dei fiori che addobbano l’altare o le altre zone della Chiesa, quando gustiamo con la bocca e il palato il Pane dell’eucarestia, o quando il sacerdote beve alla coppa il vino, nello scambio della pace con i fedeli e infine quando ci sembra di toccare la mano che ci benedice o quando ci bagna, direttamente dall’aspersorio, l’acqua santa.
In questi modi concreti riusciamo con i sensi ad entrare nella forza spirituale della celebrazione, partecipando in modo visibile e sensoriale alla Salvezza universale che viene celebrata in Cristo.
Noi diamo poca importanza alle componenti sensoriali nella liturgia, ci sembra che queste sensazioni corporee abbiano solo una importanza secondaria e occasionale, ma i simboli sacramentali sono fondamentali e descrivono ancora meglio la componente umana della presenza di Cristo.
Quindi la componente dei sensi che percepiamo durante le azioni liturgiche non è un accessorio ma è strettamente legata alla componente spirituale della nostra Fede.
Infatti credere nel nostro Dio è credere anche in Gesù che parla con noi, che ha assunto la nostra carne, che si dona a noi nell’incarnazione e, dunque, possiamo, allo stesso tempo, credere che in una liturgia ci sia tutta la corporeità umana dal momento che essa non è lontana dal nostro vivere e dal nostro sentire corporeo.
Se mancano queste componenti anche le liturgie perdono la loro efficacia e perdono quel potere evangelico della reale presenza di Cristo.
Partendo dal senso della vista pensiamo, per esempio, quando nella veglia Pasquale celebriamo Cristo luce del mondo, ripensiamo a quella luce che illumina la sala che accende il cero, che fa vedere i luoghi della celebrazione, che risplende dando luce anche alla nostra vista.
Gli stessi quadri, gli stessi mosaici, le stesse icone che si ammirano in tante Chiese, sono segno e simboli importanti da vedere con il senso della vista e che arrivano a emozionare la nostra anima e sostenere la nostra fede.
Sono sempre gli occhi che vedono e apprezzano una Chiesa ben illuminata in tutte le sue parti, adeguatamente pulita, vedere tutte le parti della Chiesa ben ordinate, vedere durante le celebrazioni i colori che ci rimandano al preciso periodo liturgico da vivere, la disposizione dei fiori con armonia che ci da subito un senso di accoglienza e bellezza naturale.
Da questi esempi possiamo capire che adoperiamo la vista per riconoscere la bellezza, anche nell’atto di leggere una Parola, di spezzare una catechesi, di fare un’omelia o di leggere un salmo.
Il senso dell’udito ci consente di ascoltare, di preparare l’orecchio all’ascolto, ma anche essere in grado di recepire bene le parole, il messaggio proclamato, non solo acusticamente attraverso i suoni che passano dagli strumenti tecnologici predisposti per l’ascolto, ma anche dal punto di vista della percezione interiore, a proposito di quella voce che è all’interno di noi che analizza il nostro essere dal punto di vista psicologico.
Ascoltare, dicevamo, per potersi ascoltare e adoperare questo senso per intensificare la nostra percezione corporea, qualità non tanto praticata, in quanto non si è molto abituati ad avere il giusto contatto con il nostro corpo, con la nostra respirazione e la nostra gestualità.
Abbiamo ricordato, a proposito del senso dell’udito, come sia necessario registrare la voce e ascoltarla per prepararla con i toni giusti, alla comunicazione verbale che prevede codici vocali molto articolati e differenti.
Non è possibile proporre le letture durante una celebrazione, se prima i lettori non si siano ben preparati e non abbiano assimilato il contenuto, o non curino prima l’intonazione opportuna per leggere quella Parola.
Sono necessarie anche modalità espressive diverse, sulla base delle funzioni dei vari interventi previsti, perché una cosa è proclamare un’orazione, altro è acclamare Dio, altro ancora è invitare tutti alla preghiera.
L’olfatto, nella liturgia, ci apre alla riflessione di infinite informazioni, perché parlando di questo senso, possiamo pensare subito all’odore diverso dei fiori che ispirano subito gioia, festa, omaggio; e anche dell’incenso, del suo profumo, l’odore della cera che accende l’immaginazione, dal momento che tutti i sensi sono collegati tra loro e sviluppano, ascoltandoli, stimolazioni anche visive; persino ciò che si legge può rimandare alla percezione dell’odore.
Anzi, sarebbe opportuno soffermarsi sulle sensazioni che le parole emanano a partire proprio dal loro odore, quasi che quello che stiamo leggendo, riesce a far salire alle narici l’odore di certi aggettivi, di certi verbi, di certe definizioni, di certe ambientazioni.
Se si prova a sperimentare questo, è possibile far risvegliare anche in chi ascolta, lo stesso gusto, lo stesso olfatto.
Aristotele considerava l’olfatto come ultimo per importanza tra i sensi, e anche Kant asseriva che esso era il meno utile alla conoscenza e meno gratificante.
Forse nella liturgia non è proprio così; perché, se siamo molto attenti ad esaltare il gusto, dell’olfatto, possiamo scoprire un importante valore riguardo a questo senso dal momento che gli odori agiscono come segnale, stimolo e provocano nelle persone delle reazioni spontanee.
Citiamo, per esempio, l’odore del buon cibo, dei fiori nelle varie stagioni, l’odore dell’aria, l’odore del mare, della salsedine, del cielo con le nuvole cariche di pioggia, quando si respira umidità, caldo, l’odore degli aromi, delle sostanze profumate, l’odore dell’olio, delle spezie.
Annusando questi odori ad occhi chiusi, se proprio vogliamo fare un piccolo esercizio, possiamo sentire il risveglio nel nostro corpo di tutta la percezione sensibile ed emozionale che potrebbe agire a favore delle letture che leggiamo e acuiscono di molto il modo di far risaltare i colori di cui sono impregnate le parole.
A proposito dell’olio, ricordiamo l’odore dell’olio che si usa per l’unzione dei malati, e prima quell’olio usato per la preparazione del Crisma che unge e profuma i battezzati, ma è soprattutto un segno che rimanda… che rimanda al profumo stesso di Cristo, pensiamo all’odore del sacro, della sacralità che risveglia il senso di qualcosa di importante che sale alle narici e che può arrivare a profumare la stessa Parola che proclamiamo e diffondiamo all’Assemblea dall’ambone.
Per quanto riguarda il senso del tatto, possiamo ricordarci di Isacco e di quell’episodio in cui è cieco e la moglie Rebecca, che da sempre ha preferito Giacobbe, spinge questo a farsi benedire dal padre morente dopo averlo rivestito con una pelle di montone in modo da farlo sembrare peloso come il primogenito Esaù; Isacco, cieco, può fidarsi solo del senso del tatto ma è così che viene poi ingannato.
La storia biblica di Giacobbe, inizia proprio con il senso del tatto, ma anche nelle celebrazioni liturgiche ritroviamo lo scambio della pace, le strette di mano, gli abbracci, il battersi il petto del “mea culpa”, e il toccarsi nel “segno della croce” e in tanti altri piccoli gesti.
La sensibilità tattile del calore che attraversa il corpo, e tante altre manifestazioni risvegliano questo senso tattile e ci mettono concretamente in connessione con gli altri.
Quando ci accingiamo a preparare un orazione, a fare una preghiera, a declamare una lettura, un salmo, ricordiamoci sempre di usare questo senso e di gustare tutto quello che facciamo attraverso la sensibilità corporea per rendere più credibile la missione che c’è stata assegnata.
Gustare, infatti, la parola di Dio nella liturgia è importantissimo: ci torna alla mente, a proposito del sale, quando il sacerdote, nel battesimo, metteva un pizzico di sale nella bocca del neonato, prima del Concilio, dicendogli: “Ricevi il sale della Sapienza, che ti giovi per la vita eterna”.
Dunque il gusto, l’essenza del gusto, è stato il primo senso dei bambini coinvolti nella liturgia.
Certo si tratta di molti anni fa, ma la sensazione gustativa del sale ci può far comprendere come anche quest’altro senso fa parte della nostra partecipazione corporea alla liturgia ma a ben vedere il senso del gusto è considerato il fondamento storico e antropologico del gesto più alto della ritualità Cristiana e cioè l’Eucaristia stessa.
Il “banchetto eucaristico”, la “mensa” rimandano subito al gusto e al piacere del “vino eucaristico” da gustare; un invito a qualcosa che è “buono” da mangiare, cioè utile importante ed essenziale per la nostra vita.
“Provare gusto”, “prenderci gusto”, “Che gusto”, sono delle frasi molto conosciute e molto comuni che molte volte ripetiamo nel nostro gergo quotidiano familiare.
Ma se scaviamo a fondo dietro questo significato del Gusto, potremmo trovare un senso molto profondo che appartiene non solo all’umanità dell’uomo ma anche alla liturgia stessa.
Sarebbe veramente molto bello poter scalare questo senso del gusto nel servizio del lettore perché egli prenda possesso pienamente del “gusto” della Vita Divina dentro di lui finché tutta la sua missione di lettore possa essere assaporata e possa essere trasmessa a vantaggio di chi ascolta le sue parole con un sapore nuovo, con un sapore che ha tutto il fascino di una Parola spezzata viva e che sa di resurrezione.
Quante volte, parlando di pienezza, abbiamo espresso frasi del tipo “Sì questa cosa mi è gustata molto”, nel senso che mi è piaciuta molto, l’ho assaporata con gusto, con piacere, ho provato una sensazione profonda che mi ha fatto stare bene.
Nella scrittura troviamo al passo di Giovanni 8,51 “Chi custodisce la mia Parola non gusterà la morte mai”.
Pascal affermava che la Scrittura sa parlare all’uomo in qualunque situazione di vita si trovi, essendo la parola di Dio, spada e miele, martello e acqua fecondatrice. Sia che la vita abbia un sapore amaro, sia che la gustiamo come miele, la Parola ci accompagna sempre; nei salmi possiamo sperimentare che il modo di gustare la vita è direttamente proporzionale al modo che abbiamo di gustare la Parola.
Quando ci manca il Divin nutrimento, in realtà, prima dell’uomo, se ne rattrista Dio.
Gutenberg, inventore della stampa, disse che Dio soffre perché la moltitudine degli uomini non può essere toccata dalla Parola Sacra.
Più circola la parola Divina, più cresce il gusto di assaporarla e più possibilità si danno di condurre una vita santa.
Un padre del deserto suggerì di far sentire in bocca la freschezza che viene dal ruminare la Parola.
Il Gusto della Parola, insomma, garantisce il gustare pienamente la vita allontanando quanto c’è che la rende priva di profumi e di freschezza.
“Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame” (Giovanni 6,35).
Un cenno particolare al “luogo” della Parola: L’Ambone.
L’Ambone è il luogo della Parola, non “delle parole”.
Intendo dire che solo le letture bibliche si fanno all’ambone.
Certo dall’ambone si può fare l’omelia e la preghiera dei fedeli. Ma il commentatore, il cantore o l’animatore del canto e tanto meno l’annunciatore della prossima festa parrocchiale, della partita di calcio all’oratorio, della offerta per la nuova canonica, non devono essere fatte all’ambone, ma presso un leggio ordinario che non sia la copia dell’ambone.
Questo perché il luogo specifico della proclamazione della Parola si deve diversificare architettonicamente dal resto, deve essere posto in uno spazio sopraelevato, stabile, decoroso, e sobriamente ornato da fiori ed accessori.
Questo luogo non può essere realizzato con un leggio mobile, spoglio e traballante, perché svilirebbe l’austerità della Parola, la stima e la venerazione che merita.
Ogni ambone nella sua forma, nello splendore architettonico e nella sua imponenza, deve proclamare anche solo vedendolo che esso è il luogo da dove Dio continua a parlare al suo popolo.
"Questo libro è dedicato a tutte le persone che desiderano imparare ad avere profonda consapevolezza delle PAROLE della Bibbia e riuscire a proclamarle con autorevolezza e sicurezza"
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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino.
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