"Gridatelo dai tetti...."

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

Come possiamo osservare, se abbiamo letto attentamente, facendo passi avanti e indietro e cercando di capire cosa succede alla parola scritta, prima che diventi parola orante, è molto interessante notare questo scendere, inabissarsi nelle fibre più nascoste del lettore, questo moto dinamico, affinché questa Parola diventi Parola incarnata e affinché dal Sacro testo essa possa liberarsi come energia vitale per andare a depositarsi all’orecchio di chi abbiamo davanti quando ci apprestiamo a leggerla, che sia un Salmo, che sia un passo tratto dal Vangelo o una lettera degli Atti degli Apostoli o l’intera Bibbia.

Che sia un libro profetico, storico, sapienziale, il lettore deve aver ben presente che è tutto il suo corpo ad essere coinvolto, tutta la sua anima, la sua professionalità e la sua consapevolezza di incarnare veramente il messaggio di Dio che sta trasmettendo agli altri; quanto più intenso sarà il suo coinvolgimento, tanto più efficace sarà l’opera che lui mette in atto.

È di vitale importanza essere coinvolti con tutti i nostri sensi nella proclamazione della Parola, dal momento che potremmo rischiare di coinvolgere soltanto una minima parte di noi nell’interpretare la Scrittura.

Forse dovremmo ascoltarci e potremmo sentire che la nostra voce, il nostro canto che risuona, forse, è buono ma forse può essere anche non proprio soddisfacente.

Potrebbe risuonare monotono, distaccato, proiettato fuori dal contesto in cui la Parola si situa e, questo, forse perché non entriamo con tutto il nostro corpo e i nostri sensi in quello che leggiamo, ma ne facciamo soltanto un’esposizione esteriore.

Sembra che spesso, andando a leggere all’ambone, quando c’è da preparare un discorso, un’omelia, una catechesi, dobbiamo soltanto svolgere un dovere, un compito che ci è stato assegnato, dobbiamo ottemperare ad un semplice incarico, ma non è esattamente questo; come se la persona è da una parte e il contesto in cui si svolge la lettura è dall’altra.

Questa scissione avviene molto spesso. Succede che il ministero del lettore, molte volte, venga svolto a caso, la scelta dei lettori sembra fatta a sorteggio, si bada piuttosto alla quantità che non alla qualità, mentre bisognerebbe approfondire molto lo studio sull’esposizione del testo e non dare marginali insegnamenti su quel che si legge.

Si rischia di non far entrare chi ascolta

nella realtà del racconto che si sta proclamando.

Si legge con lo stesso tono con cui si inizia la lettura e si termina con lo stesso andamento: in pratica, non succede niente durante quei pochi minuti che si ascolta; lo svolgimento degli avvenimenti, la sensazione provata dai protagonisti nella stessa narrazione, l’espressione di chi sta dietro il leggio che dovrebbe essere declinata con una variegata sfumatura coerente al contesto narrato, invece sembra essere monotono e identico anche se il decorso letterario del testo cambia, come se non ci si rendesse minimamente conto di cosa si dice! Senza conferire colore, vitalità agli aggettivi, ai verbi, ai pronomi, senza contestualizzare e vivere con il nostro corpo e con i nostri sensi quello che stiamo leggendo.

Occorre una meditazione prima di svolgere questo compito, ma non tanto per non sbagliare i verbi o gli aggettivi o la grammatica, che pure sono importantissimi, ma per interpretare e soprattutto vivere con gli occhi, l’udito, la vista, il tatto, il gusto, l’olfatto, quello che stiamo proclamando affinché il contenuto non giunga all’orecchio dell’uditore in maniera astratta, sciatta, o senza senso.

A un orecchio attento, questo si verifica molte volte: c’è sempre il rischio di proiettarci al di fuori di quello che stiamo leggendo, di non vivere, di non assimilare con la nostra sensorialità ciò che si vuol dire.

Come si può ovviare a tutto ciò? Come possiamo modificare in meglio questi atteggiamenti ed entrare nel totale coinvolgimento di tutta la persona mentre si legge?

Non siamo individui scissi, spaccati, l’uomo è un insieme armonico di tutte le percezioni, di tutta una corporeità e una spiritualità che deve diventare un composto omogeneo per far sì che il Divino coincida con l’umano; dobbiamo, in armonia, far venir fuori, mentre leggiamo, tutta la grazia che il Signore ha diffuso nella nostra persona.

La parola di Dio può diventare carne se, dal momento in cui esce dalla nostra bocca, si posa, attraverso l’orecchio, nel cuore dell’altro, realizzando quel grande mistero che è la presenza del Signore in mezzo a noi.

Che cosa dice dunque? «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore», cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso». Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato». Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: «Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!» Ma non tutti hanno obbedito al Vangelo. Lo dice Isaia: «Signore, chi ha creduto dopo averci ascoltato?» Dunque, la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo” (Romani 10,8-17).

Spiegando l’intervento dei sensi nel nostro modo di esercitare il lettorato, possiamo ricongiungerci alla Bibbia, che ha sempre privilegiato, per esempio, il senso dell’udito rispetto alla vista; Dio incontra l’uomo manifestandosi attraverso la Parola perché, se anche Dio è invisibile, l’uomo può udirne la voce.

Riporta la Dei Verbum:

La rivelazione di Dio avviene attraverso eventi e parole intimamente connessi”.

Dio interviene o agisce nella storia dell’uomo e spiega il senso del suo intervento, Dio parla all’uomo, lo chiama a un rapporto di comunione, per questo è importante da parte nostra “ascoltare”.

Per la Bibbia il vero credente è la persona che si apre all’ascolto, accoglie questa Parola e poi risponde; lo stesso Salmo 94 ogni mattina, nella liturgia delle ore, ci dice: “Ascoltate oggi la sua voce, non indurite il vostro cuore”.

La Parola infatti è creatrice, come dice il Salmo 39, è Parola salvifica capace di risanare l’umanità.

Salmo 15, è “Parola fedele, è stabile come il cielo”; Salmo 188, è “lampada per i miei passi e luce sul mio cammino”.

Dio ci dà la sua Parola, ma bisogna aprire anche il cuore e la mente per riceverla e farci grembo come Maria per farla crescere e poi manifestarla al mondo.

Deuteronomio 6,4-9:

Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”.

Capiamo che stiamo trattando un argomento veramente vasto e profondo che non ci esime dal riconsiderare ogni singolo aspetto che riguarda il modo di esprimere questa Parola. Se continuiamo ad agire in modo anonimo e impersonale, andiamo incontro all’inconveniente di scivolare addosso all’uditore, di inciampare nel percorso perché essa non penetra nel suo orecchio, e non tanto perché l’ascoltatore è distratto, (che può anche succedere per vari motivi), ma perché chi legge o proclama la lettura non sta mettendo in campo le sue facoltà anche sensoriali, non si sta coinvolgendo in prima persona, quindi potrebbe essere sua, la responsabilità del perché la Parola non ha risuonato e non è giunta in maniera forte all’orecchio del popolo!

Se l’uditore si distrae, se l’uditore non assimila ciò che ha sentito nell’Assemblea, molte volte, non è per sua leggerezza: è responsabilità del lettore che non ha usato abbastanza efficacemente il suo coinvolgimento, non ha sviluppato le qualità che ha a disposizione per rendere vivo ed efficace quello che gli è stato consegnato.

Forse alla base di questa problematica c’è anche l’errore di dare tutto per scontato e pensare che, siccome siamo investiti di questo ministero, rendiamo secondaria la discussione sulla percezione sensoriale e dell’esigenza di un approccio di studio, riguardo gli argomenti che stiamo trattando.

Sovente si pensa al risultato, ci facciamo prendere dalla fretta, dal tempo, e non si pensa invece che, se noi mettessimo in atto veramente tutti gli accorgimenti adeguati, potremmo giungere a degli ottimi risultati.

Dovremmo come svegliarci da un sonno, da un’apatia, da una monotonia nello svolgere questo servizio.

Forse non c’è stato mai detto, insegnato, e per questo dobbiamo come tornare alle basi, alla sorgente, alla scoperta di noi stessi e della parola di Dio, per destare quel senso assopito e impersonale di leggere e parlare.

Può essere capitato a tutti, qualche volta, nelle assemblee, di esserci sorpresi nell’ascoltare un pò annoiati un certo modo di proclamare letture, omelie, salmi, catechesi, decantati con lo stesso monotono tono, spenti, interminabili per lunghezza, senza ritmo, contenuto, lette quasi in modo lamentoso, con la medesima intonazione vocale!

Come mai succede? Forse perché non ci si rende proprio conto, di avere una grande e impegnativa responsabilità, di possedere nella voce una grande potenzialità non valorizzata, lasciata cadere nel vuoto o buttata a caso per aria.

man kneeling in front of wooden cross

Dovremmo necessariamente registrarci, per il bene nostro e degli altri e riascoltarci, per esempio, e dirci in tutta franchezza: ma che canto ha la mia voce? Sto esprimendo cosa? Come…? È una voce gradevole, che può interessare o ha un timbro lagnoso, senza ritmo? Sto svolgendo bene il mio servizio di lettore, di catechista, di ministro? Come posso apportare modifiche e permettere all’altro di capire bene ciò che dico? Sono dentro a quel che leggo o dico o ripeto per routine o forza di inerzia?

Essere critici innanzitutto verso noi stessi, per accorgerci di alcuni difetti è un grande atto di sincera umiltà: intervenire dove ci sono queste lacune che provengono in moltissimi casi da una mancata percezione della nostra voce e dalla funzione che essa svolge o non svolge.

Nella maggior parte dei casi questo lavoro di autocritica fa sorgere l’esigenza di ritornare sui nostri passi e alle radici della vocalità, alle radici della nostra corporeità e anche della nostra fede, per poterci trasformare in questo canale energetico, vivo ed efficace, della Parola di Dio e svolgere anche il servizio di risvegliare anche l’amore per la parola di Dio.

Quando ci capita di tenere una catechesi o leggere un salmo, una lettura, prestiamo orecchio al nostro tono vocale, all’espressione, alla punteggiatura, a quelle che sono le tecniche finora elencate e che abbiamo provato a consigliare a chi svolge questo ministero; portiamo agli altri il sentimento, l’autorevolezza, diamo efficacia al testo o al discorso che vogliamo fare inserendo le dovute espressioni, non solo guardando la punteggiatura, a quelle che sono le accezioni tecniche della grammatica, non rendiamo vano quello che stiamo facendo!

Poco importa il ruolo che ricopriamo, perché, se non sappiamo leggere con autorità, con emozione, forse,non abbiamo portato a termine il nostro compito, perché tutto quello che diciamo può restare campato in aria, impersonale, freddo, senza emozioni.

Chiediamoci se anche il nostro corpo, i nostri sensi e la nostra voce sono freddi, avulsi da qualsiasi vibrato, come continuassimo ad essere due persone, una che proclama la Parola e l’altra che vive in un’altra condizione sensoriale lontana, come un esecutore formale la cui vita, forse, non ha niente a che fare con quello che dice.

Non abbiamo mai considerato che, il più delle volte, quello che diciamo può restare come “parole al vento” che non si realizzano nella vita di nessuno!

Dio voleva affidarci qualcosa di importante da dare agli altri e noi, che probabilmente non abbiamo creduto per primi a quello che voleva consegnarci, siamo stati così lontani o distratti, che non siamo riusciti ad operare efficacemente negli altri questo importante compito.

Sappi che il ritmo che scandisci mentre leggi, è lo stesso ritmo che coinvolge chi ascolta: se sei lento, l’ascoltatore si addormenta; se sei vivo, l’ascoltatore si sveglia; se sei freddo e anestetizzato, l’ascoltatore sente freddo e si anestetizza; se sei caldo, l’ascoltatore si riscalda e si mette in un’attitudine di ricezione positiva e accogliente.

Quando si proclama una lettura con poca convinzione, chi sta dall’altra parte, percepisce che qualcosa non va, gli sembra quasi di sentire una favola, un raccontino, qualcosa successo tanti secoli fa, una storiella più o meno interessante; e questo toglie credibilità alla stessa parola di Dio.

Chi ha il compito di declamarla, deve farlo con autenticità, e anche con energia!

Può capitare di perdere questo sapore, questo contatto con Dio e la preghiera e non credere fino in fondo a quello che si sta leggendo; a volte, anche senza pensarci, ci viene in mente, quasi, di non aver bisogno nemmeno noi stessi di quella Parola. Che bisogno c’è che essa ci parli, si realizzi nella nostra vita? Tanto la conosciamo già…!

Abbiamo la sensazione che sia sempre qualcosa che riguardi altre persone e non noi, la storia di qualcun altro e non la nostra: ci trasciniamo per routine, per stanchezza, dai mille pensieri di ogni giorno, siamo con la nostra stessa vita lontani da quella Parola che sembra che non ci parli più, non rappresenta più la nostra bussola, ha perso la sua funzione vitale, quella di “darci vita”.

È necessario, dunque, ridestarsi dall’intorpedimento stagnante del quieto vivere, c’è bisogno di riascoltare di nuovo quella Voce che ci chiama, ci attira, che ci fa provare l’arsura di sentire sete e ci sprona a riaccostarci alla vera sorgente per abbeverarci a quella eterna e zampillante fontana che è la parola di Dio.

C‘è urgenza di sentire la necessità, ogni giorno, di scoprire cosa Dio vuole dire alla nostra vita, cosa dobbiamo fare per rendere di nuovo importante il ministero che svolgiamo.

Mettersi a servizio della scuola della Parola, non solo in modo intellettuale, ma in modo esperienziale sensoriale, di percezione corporea e affettiva, di correzione grammaticale e sintattica.

Dobbiamo diventare catechisti, oratori, lettori che risvegliano la fede in chi ascolta, dei trascinatori della Parola, dei carri che conducono alla meta le persone con energia, non conduttori apatici che sembrano trascinare a forza un peso dietro enorme ogni volta che parliamo, che leggiamo!

Che significa essere servitori della Parola?

Essere servi della Parola significa usare tutte le proprie forze, tutta la bellezza, tutte le proprie energie, tutto quello che in fin dei conti la persona è, per poter veicolare un messaggio con efficacia, senza, d’altra parte, aggiungere e togliere nulla al contenuto, né essere spettacolari giocolieri: è un lavoro complicato, delicato, come si può ben notare, e non è così semplice avere una sintesi perfetta di tutte queste componenti, essere umili e professionali allo stesso tempo, energici ma equilibrati, leggere con tante sfumature ma senza eccedere. Però… possiamo riuscirci se ci si impegna!

Da dove partire per assimilare tutti questi concetti?

Dalla nostra persona, da quel che si è: osservandosi, ascoltandosi e ripartendo da zero per ricostruire una figura autorevole e competente.

Dobbiamo cercare di far capire agli altri, e anche al nostro orecchio poco educato all’ascolto, per esempio, la differenza che passa tra la proclamazione della Parola e una catechesi, l’applicazione delle regole espressive per diversificare il tipo di lettura che ci si appresta a fare, il rischio che si corre per non far sì che tutto diventi un minestrone, un suono indistinto e confuso.

Nell’istruire i lettori o i catechisti, chi è predisposto, dovrebbe argomentare con chiarezza sulla differenza che intercorre tra una parabola e un passo tratto da un Proverbio, tra una lettera degli Atti degli Apostoli e un passo del Vangelo, tra un Salmo o un testo tratto dal Vecchio Testamento; e ancora, un conto è ammonire una catechesi e gestire capacità oratorie, un altro proclamare una lettura.

Abbiamo così due possibilità: o risvegliare la fede negli altri e condurli al desiderio di Cristo o non accendere a sufficienza come si voleva quella fiammella della mensa della Parola!

Indubbiamente è una grande responsabilità se pensiamo a questo e neanche dobbiamo spaventarci nel comprendere tutto ciò, né sentirci intimoriti, ma non parlarne neanche sarebbe stato venir meno allo scopo di aver scritto questo manuale per cercare di migliorare la situazione!

Vero, che in un discorso possono starci tante incongruenze dettate dagli errori di pronuncia, dalle barriere limitanti che pur vanno corrette nel miglior modo possibile, ma, ritengo, che è quel “canto” che ci trasciniamo dietro e che di cui non ci rendiamo neanche conto, che va analizzato in profondità. E quello sicuramente può essere corretto facilmente se lo analizziamo noi o se qualcuno ce lo fa notare.

Sapete cos’è questo “canto”?

Se ascoltassimo la nostra voce registrata, ed oggi, ci sono infinite possibilità di verificare questo, attraverso messaggini telefonici, con strumenti semplici mediatici, potremmo farne davvero il punto di partenza per analizzare la nostra vocalità, e capire tantissime cose.

Non stiamo parlando adesso di errori di pronuncia, ma di canto, di melodia che ognuno esprime nel semplice parlare.

Sarebbe utile filmare anche un piccolo video per poter notare, senza paura, i nostri difetti, la nostra postura, vedere come noi ci poniamo.

Dovete sapere che tutte le voci hanno un “canto”, una melodia, un certo modo di appoggiare le parole a questo “canto”, la tua persona ha un “canto”, se non lo sai. Se nessuno finora non te lo ha mai detto, sappi che non si tratta qui di essere artisti o esercitare il mestiere di cantanti!

Tu possiedi comunque un canto nella voce, volente o nolente, hai un canto mentre discuti, mentre ti arrabbi, mentre sorridi, mentre ridi a squarciagola, mentre parli al telefono, mentre piangi; la nostra voce non è la stessa durante una giornata.

Cambia quando cambiamo anche noi. Noi abbiamo nel nostro vivere quotidiano una melodia, un canto, un’espressività… ci hai mai riflettuto?

Non l’hai ascoltata abbastanza! Semplice, ma dobbiamo partire da qui!

Non siamo uguali durante il giorno, perché la nostra persona, i nostri sentimenti cambiano e anche la voce muta di espressione, per cui se, facendo la prova della registrazione e del video, tu noti che parli alla stessa maniera in cui leggi, oppure mentre sei al telefono hai sempre quella stessa melodia, quella cantilena o quell’acuto nella voce che si protrae sempre lungo le battute del discorso, vuol dire che la tua voce non è sviluppata nei vari stadi, non la moduli, è monotona, non sviluppa, cioè, tutti quei toni espressivi e quei volumi, quelle altezze e intensità, nell’arco della giornata, e così rimane un “canto” a metà.

Lo stesso accade quando ti ritrovi a leggere: usi, cioè, lo stesso format linguistico, la medesima intonazione.

Il canto è una forma espressiva, non è tanto saper cantare, è un suono che giunge alle nostre orecchie, giunge alle altre persone; quindi, prima di poter andare a leggere e svolgere il ministero del lettore o dell’oratore, del catechista, dovremmo perfezionare questa melodia, questo canto incorporato che ci trasciniamo dietro, dovremmo registrarci, vederci, ascoltarci.

Questa tua postura, questa tua melodia, può essere un canto, un’espressione di bellezza, di dolcezza, ma, molte volte, purtroppo, è espressione anche di noia, di lamento, si modula con un suono irritante, rigido, ma a volte può trasformarsi in un qualcosa di anche armonioso, brillante.

E pensare che questo suono riprodotto inconsapevolmente, ce lo portiamo dietro da sempre, avremmo voluto modificarlo tante volte, magari, dopo esserci ascoltati, consapevoli del fatto che ci era poco simpatico, ma non sapevamo come fare per trasformarlo… quel mangiarci le parole, quell’inceppare nelle sillabe, quella musica che fuoriesce dalla nostra bocca così stancante, a volte, forse banale…

Quel canto, insomma, che è anche espressione di vita, di comportamento esteriore, non lascia scampo: ci segue sia quando siamo al telefono, che quando parliamo con gli amici, in casa, con i familiari, con i colleghi di lavoro… oppure in pubblico…

Imbarazzante quando poi, prendendone consapevolezza e, non sopportando quella particolare cadenza o pronuncia, questo canto ti provoca anche un certo imbarazzo quando, ad esempio, sei costretto ad esporti in una relazione durante qualche conferenza o meeting o se devi tenere una catechesi a un gruppo di persone.

Vogliamo, dunque, correggere o no questo canto che abbiamo nella voce?

Questo canto che portiamo dietro in eredità senza rendercene neanche conto?

Possiamo correggere il suo tono, la sua melodia, il suo dipanarsi mentre parliamo, leggiamo: è doveroso, direi, perché nel momento in cui ci presentiamo soprattutto in pubblico o in video alle persone, queste, anche solo “a pelle”, recepiscono istintivamente fastidio, repulsione, disagio, o, per contro, provano accoglienza, dolcezza, tenerezza.

Dalla nostra voce, dai contenuti espressi bene, ma anche dall’impatto visivo, per tornare ancora sull’argomento estetica, abbiamo la garanzia della riuscita della nostra missione.

  "Questo libro è dedicato a tutte le persone che desiderano imparare ad avere profonda consapevolezza delle PAROLE della Bibbia e riuscire a proclamarle con autorevolezza e sicurezza"
Racchiude 35 anni di esperienza nella Chiesa condensati in 430 pagine di puro valore. 
Non perdertelo per niente al mondo!"

Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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"Gridatelo dai tetti...."