Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO di Marilena Marino
Come leggiamo nei Vangeli, Gesù ha operato diverse guarigioni nella sua vita, ha guarito paralitici sordomuti, giovani posseduti da uno spirito muto, restituendoli così alla relazione vera con suo Padre.
In Marco 9,25 leggiamo:
“Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli: Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più”.
In Marco 7, 31-37:
“Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!»”.
È interessante notare come in tutte queste narrazioni sono coinvolti tutti i sensi e diverse parti del corpo: orecchie, lingua, bocca, il senso del tatto, del gusto, dell’udito, una voce che emette un sospiro, quasi un flebile grido verso il cielo, ma così potente ed efficace da operare guarigioni e ristabilire dalla malattia tutto l’essere umano.
Ciò ci deve far riflettere seriamente di quanto la voce, nella proclamazione di Dio, della sua Parola, per opera dello Spirito Santo che conferisce forza, possa essere anche strumento di riabilitazione umana e sociale.
Pensiamo anche al linguaggio dei segni, operato nei confronti di quelle persone che hanno forti disabilità fisiche: consideriamo quanto potente sia il linguaggio espressivo, il beneficio del suono e l’utilizzo della vocalità per parlar loro, oltre il linguaggio delle mani, del corpo, delle espressioni facciali, e dell’intenzionalità di trasmettere un messaggio che porti vita, che sia dialogo, anche con persone che hanno seri handicap nel proprio corpo!
A proposito di una persona che nasce sorda, per esempio, sarebbe interessante considerare che tipo di linguaggio arriva o adotta nei propri pensieri: pur nascendo con questo handicap, la persona sorda ha comunque una voce nella propria testa, che non è basata solo sul suono.
Si parla di essere visivo, perché essa vede dentro immagini, segni, talvolta parole stampate.
La sua voce interiore ha parole, concetti e pensieri, la sua testa non è vuota, né silenziosa, dal momento che può elaborare informazioni attraverso il suo cervello, i suoi occhi, il suo naso, la sua lingua e il suo tocco.
Il suono non fa parte del suo processo di pensiero ma ciò non significa che non abbia una voce interiore.
Tutta questa importante riflessione per dire che la voce come canale di comunicazione, non può essere definita soltanto un accessorio, nella persona, tanto più in persone che comunicano normalmente e non hanno problematiche particolari.
Ragione ulteriore per rivalutare alla grande il personale percorso vocale e riconsiderare gli effetti che la propria voce può produrre nei vari contesti in cui si trova.
Non è un suono indistinto: che c’è o non c’è, che suona o non suona, che vibra o non vibra!
Abbiamo già detto che la voce rappresenta la tua essenza, quindi, dobbiamo fare questo sforzo a priori di rimpossessarsi di questa vocalità che rappresenta la nostra persona; oltre che pensare ai vari contenuti delle varie catechesi, dell’omelia che deve essere certo preparata bene e con devozione profonda, o al salmo che va salmodiato con amore, o alla catechesi che viene proposta al livello anche intellettivo.
La voce non è un suono che esce più o meno forte, ma la voce ti identifica, esprime la tua essenza, è la nostra coscienza; quindi “dare voce” ad un brano della Sacra Scrittura, è qualcosa di unico ed importante!
In quel preciso momento le parole che escono dalla tua bocca rivestono una carne, un’identità, qualcosa che si concretizza mentre si parla, la Parola ha il potere veramente di trasformare chi ascolta, ha un potere kerigmatico intrinseco che ha un qualcosa di straordinariamente forte, divino, perché ha la facoltà di trasformare le persone, è un’azione dello Spirito Santo che ha la facoltà di agire nelle persone disponibili all’ascolto e in tutti i battezzati.
È possibile e doveroso passare dal suono alla parola: questa parola che noi vogliamo annunciare, proclamare, leggere e con la quale vogliamo istruire gli altri per vocazione, è una missione bellissima , eccezionale che Dio ha dato a ciascun battezzato; deve essere valorizzata bene, usata bene e fatta risplendere, perché è un canale di comunicazione unico, come uniche sono le voci.
Gli animali, le piante, il mondo acquatico con tutti i pesci, la natura stessa producono suoni ma non hanno la possibilità di veicolare parole formulate come accade con la voce umana; per questo abbiamo il dovere di valorizzare la nostra vocalità ed esprimere tutte le potenzialità umane per lanciare al mondo il messaggio di Dio Padre Creatore dell’universo, del Cielo e della Terra.
Ognuno di noi ha una voce bellissima; anche se a molti non piace la propria voce e la ritengono difettosa, il più delle volte. Ogni voce è diversa dall’altra, irripetibile, e dalla tua voce ci si può fare un’idea di chi sei, di quello che vuoi dire.
Certo poi entrano in campo tanti processi quando parliamo: l’aspetto cognitivo, intellettivo, emozionale, l’aspetto anche scientifico che serve per migliorare la pronuncia, ma come può risuonare fuori perfetta, se dentro non siamo riconciliati un pò con il passato, con la vita, con le nostre ombre, con le nostre barriere?
Affinché possiamo parlare di una voce libera e liberante è indispensabile rimuovere questi personali ostacoli e barriere createsi nel tempo.
Torniamo ancora alla parola di Dio, alla Lettera agli Ebrei 4,12 dove si dice che la parola di Dio è viva ed efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio.
Come la voce diventa Parola incarnata?
Come la voce assume questa sacralità, questa valenza, questo potere? Affinché diventi questa spada tagliente a doppio taglio, è davvero importante che essa coinvolga con quello che dice chi ascolta? Si pensa mai di attribuire una consistenza ed una importanza così determinante alla voce in questo senso?
Eppure Dio ha dato all’uomo, annunciatore della Buona Notizia del Vangelo, questa grande possibilità, quella di rendere possibile che si dia un Avvenimento, un Avvenimento con la A maiuscola.
L’Avvenimento che la Parola, uscita dal seno del Padre, plana sull’umanità dispersa, la raccoglie dai quattro venti e la riunisce nell’unità, facendola risuonare viva, ancora oggi, nella vita di tutte le persone!
Per questo “la voce che grida nel deserto dell’esistenza umana” deve risuonare nei nostri tempi non come qualcosa che è passato, o che si è udita tantissimi anni fa, e che non ha valore, ma come un’entità davvero significativa, attuale e contemporanea, che continua a far udire questo grido intenso d’amore per l’uomo e per ogni tipo di deserto che attraversa oggi.
Se riusciamo a conferirle questo senso di sacro, facciamo senz’altro un enorme passo avanti; infatti, non basta essere pieni di contenuti da dire, bisogna avere una forma di esposizione idonea quando ci si presenta davanti all’Assemblea: è poco ammissibile presentarsi ad annunciare questo avvenimento, questa Parola, con difetti gravi di pronuncia, con un’estetica inappropriata, come abbiamo già detto, con mancanza di autorevolezza, per non sottolineare le dinamiche che occorre studiare per fare della vocalità un canale di trasmissione che vuole incarnarsi seriamente attraverso i predicatori e gli araldi del Vangelo.
Non ultimo, ritorno a dire, l’estetica, la cura dell’aspetto esteriore che, in questi tempi dove è diffuso l’uso dei media e dei social, è rilevante per testimoniare la bellezza di un popolo risorto che deve far presente Gesù Cristo.
Certamente il compito dell’evangelizzatore è immenso, è difficile, ma San Paolo lo ha definito come il dovere più grande di ogni Cristiano, dal momento che la predicazione è il cuore dell’evangelizzazione, è un dovere che la Chiesa e i Cristiani possono e devono compiere in modi differenti.
Evangelizzare, nella sua accezione, ha un ricco significato, molto ampio, ma sicuramente riassume l’intera missione della Chiesa nel realizzare la “Traditio Evangelii”, l’annuncio e la trasmissione del Vangelo.
Annunciare, predicare, significa anche lodare, celebrare, rendere il messaggio vivo ed efficace con tutte le proprie forze, realizzare lo “Shemà” in pienezza.
Sei convincente nel trasmettere la giusta autorevolezza a questa Parola?
O ti tornano in mente i suggerimenti disfattisti che avevamo elencato nei capitoli precedenti e pensi che, essendo una persona con tanti difetti, ti concedi uno sconto sul pronunciare male certi termini, certe frasi della lettura, tanto fa lo stesso, dal momento che i primi discepoli erano semplici uomini e non andavano a scuola di dizione? Fa lo stesso, se non cerco di stare attento ai miei atteggiamenti esteriori, alla mia postura, al mio modo di vestire con dignità, perché tanto, l’importante è che la Parola sia al primo posto e il resto conta poco!
È poco importante se non cerco di curarmi anche in certi dettagli? Tanto l’importante è quello che si comunica, è Dio che opera e non sei tu il protagonista!
Sicuramente Dio viene al primo posto, ma si serve di te per raggiungere gli altri, quindi, non trascurarsi vale quanto l’impegno che metti nello svolgere il compito che ti è stato assegnato!
Devi sempre cercare di specchiarti, di riflettere il meglio di te, di progredire e di migliorarti: non si può essere uno strumento stonato che intona una melodia che non rispecchia la sinfonia meravigliosa che Dio ha creato e vuole continuare a far ascoltare agli uomini.
Bisogna essere all’altezza del compito e migliorare… Sì, migliorare si può, si deve, proprio per avvalorare il grande compito che qualsiasi annunciatore della Parola si trova a svolgere!
Essere perfetti come perfetto è il Padre che è nei cieli!
Dice il Salmo 105,1-2:
“Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, proclamate fra i popoli le sue opere. A lui cantate, a lui inneggiate, meditate tutte le sue meraviglie”.
La sua Parola, dunque, è davvero efficace quando opera e non ritorna indietro vuota, ma produce i suoi frutti dovunque viene annunciata: che cosa infatti è impossibile a chi crede, che cosa è impossibile a chi ama?
Quando parla, questa Parola, le sue parole trapassano il cuore come gli acuti dardi scagliati da un eroe che penetrano tanto dentro da raggiungere le intimità segrete dell’anima.
Più sei spoglio e vuoto interiormente, più ti fai contenitore ricco di Dio, più Lui riempie tutto il tuo essere, le tue viscere e ti fa essere bocca del suo messaggio.
Nel libro dei Salmi c’è scritto (Salmo 29,3-9):
“La voce del Signore è sopra le acque,
tuona il Dio della gloria,
il Signore sulle grandi acque.
La voce del Signore è forza,
la voce del Signore è potenza.
La voce del Signore schianta i cedri,
schianta il Signore i cedri del Libano.
Fa balzare come un vitello il Libano,
e il monte Sirion come un giovane bufalo.
La voce del Signore saetta fiamme di fuoco,
la voce del Signore scuote il deserto,
scuote il Signore il deserto di Kades.
La voce del Signore provoca le doglie alle cerve
e affretta il parto delle capre.
Nel suo tempio tutti dicono: «Gloria!»”.
Queste parole del salmista, confermano le parole di Geremia ed Ezechiele e fanno intendere cosa accade quando Dio si presenta e parla con la sua voce grandiosa, autorevole!
Anche il profeta Isaia al capitolo 33,3 dice: “Alla voce del tuo fragore fuggono i popoli, quando t’innalzi si disperdono le nazioni”.
Quindi viene descritta la voce di Dio come una voce che tuona, la voce di Dio si distingue per un timbro tuonante.
Dunque, c’è coerenza tra l’Antico e il Nuovo Testamento che Dio ha un timbro di voce maestoso e questo viene descritto diverse volte in termini molto chiari.
San Gregorio di Nissa commenta la vocazione di Mosè in Esodo 3,2-22:
Fu nel tempo in cui si trovava nel deserto che, secondo la testimonianza della storia, Dio gli si manifestò in modo miracoloso. Un giorno, in pieno pomeriggio, fu colpito da una luce così intensa che superava quella del sole è quasi lo accecò. L’insolito fenomeno, pur avendolo sbalordito, non gli impedì di levare gli occhi verso la cima del monte, dove vide un chiarore di fuoco attorno a un cespuglio, i cui rami però continuavano a restare verdi anche in mezzo alle fiamme, come se fossero coperti di rugiada. A quella vista Mosè esclamò: “Andrò a vedere questa grande visione” (Esodo 3,3) e mentre pronunciava queste parole avvertì che il chiarore del fuoco raggiungeva contemporaneamente e incredibilmente tanto i suoi occhi come il suo udito. Da quelle fiamme avvampanti vennero infatti a lui come due grazie diverse: l’una, attraverso la luce, dava vigore agli occhi, l’altra, faceva risuonare alle orecchie ordini santi. La voce proveniente dal chiarore ingiunse a Mosè di levare i calzari e salire a piedi nudi verso il luogo in cui splendeva la luce divina.
“La voce proveniente dal chiarore, comandò a Mosè, dunque, di non accedere al monte appesantito dai calzari fatti di pelle morta, come a dire che al mistero ci si deve accostare non con pelle morta i calzari, ma con pelle viva. Siamo chiamati ad entrare nella terra santa delle relazioni a piedi nudi: occorre nudità di piedi e di anima, delicatezza e massimo rispetto per ascoltare l’altro nella sua diversità e unicità, occorre entrare a piedi nudi e come su carboni ardenti nel mondo interiore del ministero di cura personale” (Tratto dai Percorsi biblici del “prendersi cura” edizioni La Cittadella).
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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino.
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