«HALLOWEEN: COSA RISPONDERE AI BAMBINI CHE CHIEDONO “DOLCETTO O SCHERZETTO”?»
«Come ogni anno in occasione di Halloween sentirò suonare alla mia porta ragazzini festanti con costumi da film dell’orrore Come devo reagire, da cristiano?»
Quest’anno, come ogni anno, la sera del 31 ottobre, in occasione di Halloween, sentirò suonare alla mia porta dei ragazzini festanti – e magari travestiti con costumi da film dell’orrore – che mi diranno “dolcetto o scherzetto?”. Come devo considerare questa ricorrenza alla luce della mia fede?
La tradizione di Halloween ha origine dall’antica festa dei Celti chiamata “Samhain”, che segnava la fine dell’estate con l’ultimo raccolto e l’inizio dell’inverno. Nella notte che precedeva il nuovo anno pensavano che il confine tra il mondo dei vivi e dei morti si confondesse, tanto che i fantasmi potessero aggirarsi nel mondo dei vivi e disturbare le loro attività. Così la notte del 31 ottobre accendevano falò sacri e indossavano costumi grotteschi, tipicamente costituiti da teste e pelli di animali, per spaventarli e allontanarli dai loro campi. Al termine, riaccendevano il focolare domestico, che avevano spento la sera stessa, dal falò sacro per proteggersi durante l’inverno. Per un popolo legato all’instabilità naturale e al ciclo delle stagioni queste pratiche erano un’importante fonte di conforto prima delle oscurità invernali.
Nell’VIII secolo, papa Gregorio III designò il 1° novembre come momento per onorare tutti i santi. La celebrazione era chiamata “All-Hallows” e la notte che la precede, il 31 ottobre, iniziò a essere appellata “All-Hallows’ Eve”, contratto poi in “Halloween”. Nel corso del tempo si è evoluta in una festa mondana, come il “dolcetto o scherzetto”, l’intaglio delle lanterne, i raduni festosi o l’indossare costumi. Occorre avere presenti le diverse posizioni su questa festa tra chi ne intravvede un culto idolatrico o addirittura satanico, come gli esorcisti sulla base della loro esperienza, e chi la vive con la dimensione della festa, da cui adulti e bambini sono attratti, con cibi e maschere, perché i loro amici, non necessariamente credenti, partecipano a questo evento sociale. Ed esercitare quindi, a seconda delle circostanze che ci si trova a vivere, il dovuto discernimento.
Sullo sfondo rimane, comunque, la narrazione di popoli e culture che attraverso i loro miti esprimevano l’universale bisogno di confrontarsi con la tragicità della morte tramite forme sociali esorcizzanti e, per certi versi, “normalizzanti” dell’esistenza. Su tale scia, per lo più oggi soffocata da una versione consumistica, ci possiamo domandare se la morte più che essere celebrata in maniera pagana, nel nostro tempo salutista e di intrattenimento mediatico sia stata semplicemente bandita dall’ordinario e relegata come tabù negli ospedali, nei luoghi di culto o nei circoli per filosofi pessimisti. In ogni caso la “vera salute”, che il Vangelo ci insegna essere nel “di più della fede”, supera (con tutto il rispetto) i miti e le credenze popolari attingendo alla morte e risurrezione di Cristo (mai disgiunte tra loro). È questo quello che viene celebrato nel ricordo dei santi (1° novembre) e dei defunti (2 novembre), sempre in riferimento alla figura del Salvatore, l’unico al quale chiedere la buona morte e la vita eterna, non solo per sé ma per tutti.
In tale senso, anche la prassi della visita ai propri cari al cimitero non è solo ricordare le esperienze passate con il defunto che ora non c’è più, ma diventa espressione di fede e atto di misericordia spirituale. Anzi, intercedere per il “futuro celeste” dei nostri cari – nelle preghiere di suffragio e nel ricordo nella santa Messa – è tanto utile a loro quanto a noi, che nel medesimo tempo ricordiamo le nostre radici terrene per aspirare alla stessa mèta del cielo.
Quattro anni fa il Vaticano smontava la teoria del gender
Nel febbraio 2019, la Congregazione per l’educazione cattolica firmava un importante documento, intitolato «Maschio e femmina li creò», che in 57 punti mostrava il carattere innaturale, antiscientifico e perfino antiecologico dell’ideologia del gender.
Pochissimi ricordano che quattro anni fa, nel febbraio 2019, il Vaticano firmò un fondamentale documento (poi pubblicato nel giugno di quell’anno), di natura sia etica che pedagogica, intitolato con parole che per alcuni andrebbero espunte dal dizionario: «Maschio e femmina li creò». Il sottotitolo era: «Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione».
Il tono di fondo del testo è misurato e riflessivo, secondo la dinamica dialogica fatta propria dalla Chiesa di papa Francesco. E tuttavia il documento, firmato dal cardinal Giuseppe Versaldi a nome della Congregazione per l’educazione cattolica, faceva chiarezza su tante questioni importanti e decisive che oggi sono diventate ancor più impellenti e ineludibili.
Si pensi al mondo della scuolae alla pretesa del cambio di nome da parte dello studente che si auto-percepisce del sesso opposto, la cosiddetta carriera alias; si pensi alla stessa prassi medica che ormai ha sdoganato una serie di farmaci per correggere la natura umana. Gli ormoni che bloccano la differenziazione sessuale dei minorenni e le chirurgie alla Frankenstein, le quali, come se nulla fosse, asportano organi sani (ovaie, seni, testicoli, utero, etc.), se in contrasto con la “transizione di genere” desiderata. Ma anche lo Stato e la legge civile sono vittime del totalitarismo arcobaleno che si diffonde ovunque, non solo a Sanremo. «Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla differenza biologica fra maschio e femmina» (n. 22).
Il documento, in 29 pagine e 57 punti, mostra quanto c’è di innaturale, antiscientifico e se vogliamo antiecologico nelle ideologie del gender, in quanto esse vorrebbero dimostrare che l’identità sessuale, «ha più a che fare con una costruzione sociale che con un dato naturale o biologico» (n. 8). La storia insegna che i periodi di maggiore crisi etica coincidono con quelli di maggiori dubbi sulla validità delle acquisizioni scientifiche ed empiriche. Si vedano i deliri razziali nazisti, “scientificamente” fondati sulla misurazione dei crani di varie tribù. Oppure i deliri classisti sovietici, per cui perfino le teorie cosmologiche di Georges Lemaître e Albert Einstein andavano rigettate perché frutto di “scienza borghese”. Il gender, nel quadro dell’edonismo assoluto e del relativismo etico imperante, fa esattamente lo stesso. Azzera la biologia, la psicologia, l’anatomia, la genetica e le altre scienze. E se mi sento queer, o gender fluid, bisessuale o poliamoroso, affari miei. Anzi, si pretende che lo Stato assecondi le mie pulsioni.
Secondo il Vaticano, in una «crescente contrapposizione tra natura e cultura», in cui per paradosso è la natura il nemico dei finti green, si legittima come normale una «dimensione fluida, flessibile, nomade» di sessualità. Senza nulla di stabile, neppure, ad esempio, i ruoli di padre e madre nella famiglia. Anzi essi sarebbero da rimuovere, perché frutto di pregiudizio sociale, moralismo cattolico, “Ur-fascismo” (Eco). In questa logica, si apre al “poliamore”, ovvero un’unione affettiva con «più di due individui» (n. 13). Progresso o ritorno alla tribù? Il matrimonio, su cui si fonda la famiglia che la nostra Costituzione definisce «società naturale», sarebbe un mero «retaggio della società patriarcale» (n. 14).
Andrebbe riletto e ristudiato con attenzione l’intero documento, qui ci limitiamo ad alcuni tratti salienti. Dopo la legittimazione dell’ideologia del gender da parte degli Stati e delle nazioni civili, che cosa resterebbe della missione educativa dei genitori e della scuola? Nulla di concreto. Solo la (sempre più insignificante) non discriminazione. Tranne, in verità, verso chi vuole la Tradizione, verso cui ogni tolleranza è bandita. Anche il particolare anti-materialismo (gnostico) dell’ideologia del gender è imbarazzante. Dire che il genere sessuale è svincolato dalla corporeità vuol dire che il corpo è “materia inerte”, manipolabile all’infinito. Anche per questo la filosofia del gender, se piace alla sinistra radicale e agli anarchici alla Cospito, garba anche alle lobby farmaceutiche, use alla manipolazione. Più si manipola e si trasforma, vendendo prodotti sempre più costosi, meglio è.
Papa Francesco, più citato che letto, insegna che «apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere se stessi» (citazione al n. 35). Frase che indica un concetto capitale. Altro che mutilare il corpo delle parti sgradite per sentirsi liberi. Non si può infine risanare e restaurare l’ambiente naturale, senza risanare in parallelo la società degli umani. E non si può risanare la società, senza promuovere la famiglia secondo natura. L’unica istituzione perenne, universale, educativa, che richiede in modo equo e paritario, l’impegno duraturo di un uomo (XY) e di una donna (XX).
O con la scienza, la natura e il Vangelo o con i capricci di un mondo senza Dio. Tertium, purtroppo o per fortuna, non datur. di Fabrizio Cannone https://lanuovabq.it/it/quattro-anni-fa-il-vaticano-smontava-la-teoria-del-gender
Documento vaticano sul gender: sì al dialogo sugli studi, no all’ideologia
Uno strumento per affrontare il dibattito sulla sessualità umana e le sfide che emergono dall’ideologia gender, in un tempo di emergenza educativa. Questo vuol essere il documento “Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione” a firma del cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, e dell’arcivescovo Vincenzo Zani, segretario del Dicastero
Debora Donnini – Città del Vaticano
L’obiettivo del documento “Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione” è di sostenere quanti sono impegnati nell’educazione delle nuove generazioni ad affrontare “con metodo” le questioni oggi più dibattute sulla sessualità umana, alla luce del più ampio orizzonte dell’educazione all’amore. In particolare è diretto alle comunità educative delle scuole cattoliche e a quanti, animati da una visione cristiana, operano nelle altre scuole, a genitori, alunni, personale ma anche a vescovi, a sacerdoti e religiosi, a movimenti ecclesiali e associazioni di fedeli. La Congregazione per l’Educazione Cattolica, che ha preparato il testo, parla di “un’emergenza educativa”, in particolare sui temi dell’affettività e della sessualità davanti alla sfida che emerge da “varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che nega la reciprocità e le differenze tra uomo e donna, “considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale”. L’identità verrebbe, quindi, consegnata ad “un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo”. Si parla di “disorientamento antropologico” che caratterizza il clima culturale del nostro tempo, contribuendo anche a destrutturare la famiglia. Un’ideologia che, tra l’altro, “induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina”, si evidenzia citando Amoris laetitia. Questo il contesto in cui si colloca il Documento che vuole promuovere, appunto, una “metodologia articolata nei tre atteggiamenti dell’ascoltare, del ragionare e del proporre”. Un testo che si ispira al documento “Orientamenti educativi sull’amore umano. Lineamenti di educazione sessuale” del 1983 ed è anche arricchito da citazioni di Papa Francesco, Benedetto XVI, San Giovanni Paolo II, ma anche del Concilio Vaticano II, della Congregazione per la Dottrina della Fede e di altri documenti.
Dialogo con ascolto, ragionamento e proposta
Nell’intraprendere la via del dialogo sulla questione del gender nell’educazione, il Documento opera una distinzione fra “l’ideologia del gender e le diverse ricerche sul gender portate avanti dalle scienze umane”, notando che l’ideologia “pretende, come riscontra Papa Francesco, di ‘rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili’ ma cerca ‘di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini’ e quindi preclude l’incontro”, mentre non mancano delle ricerche sul gender che cercano di approfondire adeguatamente il modo in cui si vive nelle diverse culture la differenza sessuale tra uomo e donna. Il Documento specifica quindi che “è in relazione con queste ricerche che è possibile aprirsi all’ascolto, al ragionamento e alla proposta”.
Nel breve excursus storico sull’avvento delle concezioni gender nel XX secolo, si rileva come all’inizio degli anni ’90 si sia arrivati perfino a “teorizzare una radicale separazione fra genere (gender) e sex (sesso), con la priorità del primo sul secondo. Tale traguardo viene visto come una tappa importante dell’evoluzione dell’umanità, nella quale ‘si prospetta una società senza differenze di sesso’”. E in “una crescente contrapposizione fra natura e cultura”, le proposte gender confluiscono nel “queer”, cioè in una “dimensione fluida”, “al punto da sostenere la completa emancipazione dell’individuo da ogni definizione sessuale data a priori, con la conseguente scomparsa di classificazioni considerate rigide”.
Punti di incontro e criticità
Quindi, il Documento individua “alcuni possibili punti di incontro per crescere nella comprensione reciproca” nel quadro delle ricerche sul gender. Si apprezza l’esigenza di educare i bambini a rispettare ogni persona nella sua peculiare e differente condizione in modo che “nessuno, a causa delle proprie condizioni personali (disabilità, razza, religione, tendenze affettive, ecc.), possa diventare oggetto di bullismo, violenze, insulti e discriminazioni ingiuste”. Si sottolinea che un altro punto di crescita nella comprensione antropologica sono “i valori della femminilità, che sono stati evidenziati nella riflessione sul gender”. Si rileva l’immensa disponibilità delle donne a spendersi nei rapporti umani, specie a vantaggio dei più deboli: le donne realizzano “una forma di maternità affettiva, culturale e spirituale, dal valore veramente inestimabile, per l’incidenza che ha sullo sviluppo della persona e il futuro della società”.
In merito alle criticità che si presentano nella vita reale, si evidenzia che le teorie gender – specialmente le più radicali – portano ad un allontanamento dalla natura: “identità sessuale e famiglia” divengono fondate su “una malintesa libertà del sentire e del volere”. Il Documento si sofferma, poi, sugli argomenti razionali che chiariscono la centralità del corpo come “elemento integrante dell’identità personale e dei rapporti familiari”: “il corpo è soggettività che comunica l’identità dell’essere”. Il dimorfismo sessuale, cioè la differenza sessuale fra uomo e donna, è infatti comprovato dalle scienze, ad esempio dai cromosomi. Si rileva anche “il processo di identificazione è ostacolato dalla costruzione fittizia di un ‘genere neutro’ o ‘terzo genere’”. Ci si richiama poi ad alcuni esempi di analisi filosofica. La formazione dell’identità si basa proprio sull’alterità: nel confronto con il “tu”, si riconosce il proprio “io”. Ad assicurare la procreazione è proprio la complementarietà fisiologica, basata sulla differenza sessuale, mentre il ricorso a tecnologie riproduttive può consentire la generazione ma comporta “manipolazioni di embrioni umani”, mercificazione del corpo umano, riduzione del bambino a “oggetto di una tecnologia scientifica”. Ricordata anche l’importante prospettiva di un dialogo fra fede e ragione.
Proporre l’antropologia cristiana
Il terzo punto è l’offerta della proposta che nasce dall’antropologia cristiana. Il primo passo consiste nel riconoscere che l’uomo possiede una natura che non può manipolare a piacere. Questo è il fulcro dell’ecologia integrale dell’uomo. Si ricorda, quindi il “maschio e femmina li creò” della Genesi e che la natura umana è da comprendere alla luce dell’unità di anima e corpo, in cui si integra la dimensione orizzontale della comunione interpersonale e quella verticale della comunione con Dio. In merito all’educazione si sottolinea, quindi, che il diritto-dovere educativo della famiglia non può essere totalmente delegato né usurpato da altri, che il bambino ha diritto a crescere con una mamma e un papà e che proprio all’interno della famiglia possa essere educato a riconoscere la bellezza della differenza sessuale. Da parte sua la scuola è chiamata a interagire con la famiglia in modo sussidiario e a dialogare rispettandone la cultura. In questo processo educativo, centrale è a anche ricostruire un’alleanza fra scuola, famiglia e società, che possono articolare “percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità finalizzati al rispetto del corpo altrui”, per accompagnare i ragazzi in maniera sana e responsabile. In questo senso si mette in luce l’importanza che i docenti cattolici ricevano una preparazione adeguata sui diversi aspetti della questione del gender e siano informati sulle leggi in vigore e in discussione nei propri Paesi.
Via del dialogo percorso per trasformare incomprensioni in risorse
Nelle conclusioni si ribadisce che “la via del dialogo – che ascolta, ragiona e propone – appare come il percorso più efficace per una trasformazione positiva delle inquietudini e delle incomprensioni in una risorsa per lo sviluppo di un ambiente relazionale più aperto e umano” mentre “l’approccio ideologizzato alle delicate questioni del genere, pur dichiarando il rispetto delle diversità, rischia di considerare le differenze stesse in modo statico, lasciandole isolate e impermeabili l’una dall’altra”. Si ricorda anche che lo Stato democratico non può ridurre la proposta educativa a pensiero unico, sottolineando la legittima aspirazione delle scuole cattoliche a mantenere la propria visione della sessualità umana. Infine, si ricorda anche, per i centri educativi cattolici, l’importanza di “un percorso di accompagnamento discreto e riservato”, con cui si vada incontro anche “a chi si trova a vivere una situazione complessa e dolorosa”. La scuola deve, quindi, proporsi come un ambiente di fiducia, “specialmente in quei casi che necessitano tempo e discernimento” e creare “le condizioni per un ascolto paziente e comprensivo, lungi da ingiuste discriminazioni”.
La pace richiede quattro condizioni essenziali: verità, giustizia, amore e libertà (Papa Giovanni Paolo II)
Il partigiano è sempre “rosso”, “comunista”, “di sinistra”. Eppure in prima fila a combattere per la libertà e poi dopo, a lavorare per la ricostruzione dell’Italia e la nascita della Repubblica, c’era anche una Resistenza “bianca”. Cattolici e cattoliche che hanno dato un contributo non secondario alla lotta contro il nazi-fascismo e per lo sviluppo della vita democratica nel nostro Paese. Enrico Mattei, capo partigiano e poi presidente dell’Eni, al primo congresso della Democrazia cristiana nell’aprile del 1946 indicò in 65mila – poi giunti a 80mila nella fase finale della Resistenza –, impiegati in 180 brigate, i cattolici che parteciparono attivamente alla lotta partigiana. «Brigate del Popolo», «Fiamme Verdi», «Volontari della Libertà», «Squadre Bianche»: sono alcuni dei nomi sotto i quali, in tutto il Centro-nord, cercarono di distinguersi le formazioni “autonome” o “indipendenti” che spesso facevano riferimento in gran parte o del tutto al Vangelo. Senza contare che in molte zone, per esempio in Liguria e Romagna, anche nelle comuniste Brigate Garibaldi spiccava cospicua una presenza cattolica. Ma non fu solo questione di cifre. Nel panorama settentrionale, dove spiccano i nomi di Gino Pistoni, Tina Anselmi (staffetta partigiana e prima donna ministro della storia del nostro Paese), dello stesso Mattei, di Benigno Zaccagnini, Paolo Emilio Taviani, Giuseppe Dossetti, Sergio Cotta, Mariano Rumor, Ermanno Gorrieri, Giovanni Marcora, Teresio Olivelli, c’è tutta una serie di cattolici “feriali” che diventano punto di riferimento per la liberazione. Di preti che educano negli oratori e stanno accanto ai giovani. Che combattono. Alla soglia dei novant’anni padre Giulio Cittadini, sacerdote dell’istituto San Filippo Neri, mostra ancora il suo berretto da partigiano. Arruolato nella Brigata Garibaldi, fu tra i primi a entrare ad Ivrea liberata. Grande educatore e grande protagonista della Resistenza, come l’insegnante Emiliano Rinaldini, vicecomandante della Brigata Perlasca in Valsabbia, trucidato dai fascisti nei pressi della chiesetta di San Bernardo, il 10 febbraio 1945. Anche lui cresciuto nell’oratorio della Pace dove si è formata molta della resistenza bresciana e lombarda sulle orme di padre Manziana, detenuto a Dachau e poi vescovo di Cremona, del cardinale Giulio Bevilacqua, grande anticipatore del Concilio, di don Giacomo Vender, di padre Luigi Rinaldini che riceve dal suo vescovo il mandato ad accompagnare i giovani e gli studenti come cappellano delle Fiamme verdi. Sono educatori, maestri, sacerdoti che percepiscono come coerente e consequenziale al loro impegno di fede quello di affiancare i partigiani sulle montagne. «Ribelli per amore», secondo la felice immagine di Teresio Olivelli, capaci di opporsi al nazifascismo e alla sua ideologia con una ribellione che è innanzitutto morale e spirituale, ma che, nondimeno, costa a molti di loro il sacrificio della vita.
di Annachiara Valle https://www.famigliacristiana.it/articolo/il-ruolo-dei-cattolici-idee-lotta-e-tributo-di-sangue.aspx
LA RESISTENZA È PATRIMONIO COMUNE DELLA REPUBBLICA. «Io credo che in tempo di crisi sociale ed economica, in cui c’è bisogno di soluzioni credibili, sia legittimo arrivare al 25 aprile chiedendosi se il Paese abbia ancora un “idem sentire”, un punto di riferimento comune cui ispirarsi. La domanda è certo drammatica ma la risposta c’è: è la Costituzione, un patrimonio comune scritto in un periodo difficile a partire da visioni del mondo vivacemente contrapposte eppure capaci di arrivare a una sintesi» https://www.famigliacristiana.it/articolo/giovanni-bianchi-la-resistenza-e-patrimonio-comune-della-repubblica.
San Valentino vs San Cirillo e Metodio: 14 febbraio chi vincerà?
In tutto il mondo, o quasi, fuso orario permettendo, il 14 Febbraio si festeggia San Valentino però… Pochi sanno che il santo cosiddetto degli innamorati non è il solo a festeggiare oggi, ma che si trova in compagnia dei due patroni d’Europa: San Cirillo e San Metodio. Avere un santo in famiglia è una cosa che accade di rado, soprattutto con i tempi che corrono. Averne addirittura due è un caso unico al mondo. I due santi, fratelli di sangue e nella fede, sono anche conosciuti come “gli apostoli degli slavi” e il 14 febbraio vengono festeggiati dalle religioni ortodosse, la cui chiesa romena a Sanremo, che ne porta i nomi, è un esempio.
I festeggiamenti di quest’anno saranno ancora più importanti dal momento che ricorre proprio oggi il loro bicentenario.
Ma cosa hanno fatto San Cirillo e San Metodio, e sopratutto, San Valentino rischia di essere spodestato dal trono di fiori e cioccolatini che il marketing ha voluto costruirgli?
Cirillo e Metodio, nacquero in Tessalonica e la loro opera di evangelizzazione avvenne in Moravia dove intrapresero il lavoro di traduzione dei libri sacri a scopo liturgico gettando le basi di tutta la letteratura nelle lingue dei popoli slavi. Per questo motivo i santi fratelli vengono considerati i padri della cultura, dalle suddette popolazioni.
Nel 1980 Giovanni Paolo II li nominò, assieme a San Benedetto, patroni d’Europa San Valentino invece ha avuto un notevole successo da tempo immemorabile in quanto la sua festa risulterebbe tra le prime registrate nel calendario liturgico fin dal V Secolo. La tradizione è nata nei paesi anglosassoni dove ancora oggi viene festeggiato il “Saint Valentine’s Day”.
Di San Valentino la tradizione ne cita due, tutti due martiri e ricordati il 14 febbraio: il primo, sacerdote romano, amico dell’imperatore romano Gotico ma, avendo convertito il prefetto Asterio e tutta la sua famiglia, fu mandato al supplizio nel 268 e sepolto lungo la via Flaminia, dove sorse una chiesa a lui dedicata: il secondo Valentino, nato intorno al 175 ad Interamna (Terni), divenuto vescovo, fu chiamato a Roma dal filosofo Cratone per far guarire il figlio epilettico; ottenuto il miracolo tutta la sua famiglia si convertì al cristianesimo. SAN VALENTINO, CHI ERA MAI COSTUI? di Angelo Siro (da FilateliaReligiosa.it)
Come per molte altre feste di Santi anche quella dedicata a San Valentino è stata declassata! Anche se “la società dei consumi” non se ne è accorta.
Nel nuovo calendario liturgico il 14 febbraio vengono infatti festeggiati i Santi Cirillo e Metodio, i fratelli monaci, considerati “gli apostoli degli Slavi”, vissuti nel IX Secolo, inventori dell’alfabeto cirillico e proclamati da Papa Giovanni Paolo II compatroni d’Europa il 31 dicembre 1980 (con San Benedetto).
San Valentino invece ha avuto un notevole successo da tempo immemorabile in quanto la sua festa risulterebbe tra le prime registrate nel calendario liturgico fin dal V Secolo. La tradizione è nata nei paesi anglosassoni dove ancora oggi viene festeggiato il “Saint Valentine’s Day”.
Di San Valentino la tradizione ne cita due, tutti due martiri e ricordati il 14 febbraio: il primo, sacerdote romano, amico dell’imperatore romano Gotico ma, avendo convertito il prefetto Asterio e tutta la sua famiglia, fu mandato al supplizio nel 268 e sepolto lungo la via Flaminia, dove sorse una chiesa a lui dedicata: il secondo Valentino, nato intorno al 175 ad Interamna (Terni), divenuto vescovo, fu chiamato a Roma dal filosofo Cratone per far guarire il figlio epilettico; ottenuto il miracolo tutta la sua famiglia si convertì al cristianesimo. L’imperatore Marco Aurelio Claudio Quintillo ordinò la lapidazione e la decapitazione che avvenne il 14 febbraio del 273! Il suo corpo fu riportato a Terni dai giovani seguaci Procolo, Efebo e Apollonio che per questo atto subirono pochi giorni dopo la stessa sorte.
Finisce qui la storia (o meglio le storie) di San Valentino. Recenti studi hanno stabilito che il ruolo di questa “vita” fosse quello della propaganda monastica, ad uso del monastero benedettino esistente a Terni dal IX Secolo; il testo ha le caratteristiche canoniche replicate infinite volte nelle vite dei martiri dell’epoca! San Valentino è ritratto semplicemente come un uomo che visse pienamente la propria fede, annunciando con parole e opere il nome di Cristo.
In epoca moderna il testo della “Vita” fu manipolato; Valentino venne spogliato dei connotati monastici per essere rivestito di quelli del martire in difesa dell’ortodossia, in piena sintonia con la Controriforma. (I Santi nella storia – ed. San Paolo 2006).
E allora i bacetti, i fidanzatini… da dove arrivano? Sono numerose le leggende che sono entrate a far parte della cultura popolare sulla vita di San Valentino.
Bisogna risalire al IV secolo a.C. quando i Romani iniziarono a celebrare i Lupercali, festeggiamenti in onore del dio Lupercus, protettore delle greggi, nel mese di febbraio, mese in cui ci si preparava all’arrivo della primavera. Era tradizione pagana che i giovani partecipassero ad una “lotteria dell’amore” dove le coppie venivano estratte a sorte e potevano vivere per tutto l’anno in intimità. Questa tradizione rimase in vita fino al V Secolo dopo Cristo ed entrò in conflitto con i principi del Cristianesimo. Il Papa Gelasio I (492-496), per sopprimere la connotazione pagana della festa individuò in Valentino, martirizzato due secoli prima, proprio il 14 febbraio (secondo altre fonti il 24 febbraio), il santo su cui far convergere le caratteristiche “sentimentali” proprie dei Lupercali.
Quindi incominciarono a fiorire le più curiose leggende:
fu consacrato vescovo, su proposta di Papa Vittore (189-199) a soli 27 anni come Vescovo donò una rosa a due giovani che stavano litigando e questi si riconciliarono… unì in matrimonio una cristiana con un giovane centurione romano numerose guarigioni e conversioni promosse la festa della promessa e unì in matrimonio cristiano moltissime coppie Valentino, in attesa dell’esecuzione, si innamorò della figlia del guardiano e prima di morire le lasciò un biglietto “dal vostro Valentino”… (ipotesi curiosa visto che, secondo le leggende, visse circa 100 anni). Da questa leggenda, nei Paesi Anglosassoni, si diffusero i “biglietti d’amore o di amicizia” che per gli americani si chiamano ancora oggi i “Valentine”.
La città di Terni l’assunse, nel 1644 come Patrono cittadino, anche se, pare che le reliquie fossero un dono di Papa Paolo II (1464-1471) alle nubili della città. Da allora Terni si è considerata la “città degli innamorati” e annualmente, nella Basilica a lui dedicata fin dal 1605, si celebrano importanti manifestazioni tra cui “Terni – San Valentino: un anno d’amore” che assegna ogni anno un riconoscimento a chi si è distinto per un atto d’amore.
Da molti anni il Comune di Terni promuove un annullo filatelico nel giorno del loro santo Patrono.
Il 2 febbraio la Chiesa Cattolica celebra la Presentazione di Gesù al Tempio (dal vangelo di Luca 2,22-39) che avvenne secondo le usanze dell’epoca previste dalla legge giudaica per i primogeniti maschi. Viene popolarmente chiamata festa della Candelora, perché in questo giorno si benedicono le candele ricordando il Cristo (ovvero il messia “unto” dal signore per essere luce che illumina le genti), così come il bambino Gesù venne definito dal vecchio Simeone, saggio e profeta. La festa è anche detta della Purificazione di Maria, perché, secondo l’usanza ebraica, una donna era considerata impura del sangue mestruale per un periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per purificarsi: il 2 febbraio cade appunto 40 giorni dopo il 25 dicembre, giorno della nascita di Gesù. Celebrazioni legate alla luce in questo periodo dell’anno esistevano feste e celebrazioni in alcune tradizioni religiose precristiane. Alcuni studiosi rilevano come la Candelora cristiana possa essere stata introdotta in sostituzione di una festività preesistente; vista la coincidenza del periodo dell’anno con il periodo di 40 giorni dopo la nascita di Gesù. Nell’antica Roma era usanza nel periodo della februatio, la purificazione della città, che le donne girassero per le strade con ceri e fiaccole accese, simbolo di luce. Ben presto, però, prevalsero i significati legati all’aspetto luminoso dell’imminente primavera, in corrispondenza con i riti propiziatori agresti per l’inaugurazione del nuovo anno agricolo. I Lupercali o Lupercalia si festeggiavano alle Idi di febbraio, il 15; per i Romani ultimo mese dell’anno. Servivano a purificarsi prima dell’avvento dell’anno nuovo, propiziandone la fertilità. La cerimonia era legata alla famosa Lupa che allattò Romolo e Remo. Ancora oggi si usa il detto :“Nella Festa della Candelora dall’inverno semo fora”.
Come spiegare la Candelora ai bambini del catechismo?
E’ il giorno in cui si benedicono le candele e i ceri nelle chiese, simbolo di Cristo e “luce per illuminare le genti“, come il bambino Gesù venne chiamato dal vecchio Simeone al momento della presentazione al Tempio di Gerusalemme, che era prescritta dalla Legge giudaica per i primogeniti maschi.
Dal punto di vista simbolico, questa celebrazione indica il passaggio dall’oscurità e dal buio alla lucealla rinascita e, dunque, a una nuova stagione che coincide con la primavera.
Presentazione del Signore Nel vangelo di Luca leggiamo: «Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore..» (Lc 2,22). La festa che celebriamo quest’oggi è dunque la “presentazione del Signore”, anche se la fede popolare la chiama da tempo “candelora”.
L’episodio è inoltre talmente importante da far parte dei misteri gioiosi del Rosario, preghiera che, come sappiamo, ha riassunto in passato i momenti cruciali della vita di Gesù, offrendoli alla meditazione della gente semplice, illetterata.
Perché dovremmo festeggiare il fatto che Gesù bambino viene presentato al tempio? L’evangelista, anzitutto, mette insieme due cerimonie: la purificazione della madre, quaranta giorni dopo il parto, e la consacrazione del figlio primogenito, da offrire al Signore (o, più precisamente, da “riscattare” ad un prezzo, nel caso di Gesù, una coppia di tortore). Questa duplice motivazione è ben sottolineata dal cambio di nome che ha subito tale festività: se per lungo tempo la si è definita “Purificazione della SS. Vergine Maria”, la riforma liturgica del 1960 le ha restituito l’antico nome di “Presentazione del Signore”.
Ma quando nasce come vera e propria festa nella Chiesa? La prima testimonianza ci parla del IV secolo, a Gerusalemme. In seguito l’imperatore Giustiniano decretò il 2 febbraio come giorno festivo in tutto l’impero d’Oriente, mentre Roma adottò la festività verso la metà del VII secolo: papa Sergio I istituì la più antica processione penitenziale romana, che partiva dalla chiesa di S.Adriano al Foro, e si concludeva a S.Maria Maggiore.
Perché la gente continua tuttavia a chiamarla “candelora”? Per via del rito della benedizione delle candele, durante la processione in chiesa, rito che risale intorno all’anno Mille e che si ispira alle parole di Simeone: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,29-32).
Già, Simeone ed Anna, qual è il ruolo dei due anziani in questa scena? Simeone, tenuto in vita dalla speranza di incontrare il Messia, corona il suo “sogno”: prende in braccio il piccolo e, sconvolto, proclama che a quel punto può morire in pace, alla sua vita non può chiedere di più! Anna, da parte sua – una profetessa rimasta vedova giovanissima e non più risposatasi – è il prototipo delle vecchiette che si incontrano nelle Messe feriali, la cui fede viene talvolta giudicata con troppa superficialità: un esempio di fede semplice e robusta, sicuramente non dominata dalle mode del tempo, di cui spesso siamo schiavi un po’ tutti..
C’è qualcosa che accomuna i due anziani, oltre all’età? Cos’hanno visto di speciale in quel bambino? Cosa cercavano? Entrambi hanno saputo cogliere l’essenziale. La legge ebraica esigeva la presenza di almeno due testimoni per instaurare una causa.. ecco che due testimoni, Simeone ed Anna, riconoscono l’inizio di un tempo nuovo. Grazie a loro due tutto ci è chiaro fin dall’inizio: Gesù è il Messia promesso da Dio e venuto ad illuminare tutti i popoli.
Peccato non avere più tra noi due personaggi così bravi ad indicarci la luce.. Nient’affatto! La Chiesa, oggi, celebra anche – e non a caso – la Giornata della vita consacrata: questo Vangelo «costituisce un’icona – dice papa Francesco – della donazione della propria vita da parte di coloro che, per un dono di Dio, assumono i tratti di Gesù vergine, povero e obbediente..». E aggiunge: «Le persone consacrate sono segno di Dio nei diversi ambiti di vita.. Ogni persona consacrata è un dono per il popolo di Dio in cammino».
Illuminati da tali guide, ringraziamo allora il Signore con le parole di San Sofronio: «Nessuno si rifiuti di portare la sua fiaccola.. le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo.. nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio».
2 Febbraio Festa della Giornata Mondiale della vita consacrata. In questo giorno, ricco di storia e di molteplici significati, che ricorre la Giornata mondiale della Vita Consacrata voluta da Papa Giovanni Paolo II nel 1997.
In questa occasione la Chiesa celebra il “sì” dei consacrati e delle consacrate alla chiamata di Dio. Nella “icona evangelica” della presentazione di Gesù, Simeone rende grazie a Dio perché finalmente può stringere tra le braccia il Messia atteso. Così in questa Giornata si vuole rendere grazie a Dio per la presenza della Vita Consacrata dentro la Chiesa che ricorda a tutti i battezzati la bellezza della vocazione cristiana che a ciascuno chiede di testimoniare nella vita la luce di Gesù e del Vangelo.