Spalancate le porte a Cristo!
“Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!”. Sono le parole con cui il 22 aprile 1978 Karol Wojtyla inaugurava il suo pontificato. Oggi ricorre il quarantesimo anniversario di quella giornata, e per questo si celebra la ricorrenza di Giovanni Paolo II, oggi santo, dopo la beatificazione di Benedetto XVI nel 2011 e la canonizzazione di Francesco nel 27 aprile 2014.
“Gli Eminentissimi Cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma. Lo hanno chiamato da un paese lontano… lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana”, diceva dal balcone di Piazza San Pietro dopo la sua elezione al Soglio petrino. Una lontananza che troverà poi la sua eco nel saluto pronunciato nel 2013 da Bergoglio, il Papa venuto “dalla fine del mondo”. “Ho avuto paura nel ricevere questa nomina, ma l’ho fatto nello spirito dell’ubbidienza verso Nostro Signore Gesù Cristo e nella fiducia totale verso la sua Madre, la Madonna Santissima. Non so se posso bene spiegarmi nella vostra… nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete”, fu la continuazione del suo saluto di inizio pontificato, allora giovanissimo, soltanto cinquantasettenne, e che diventerà poi uno dei più lunghi della storia della Chiesa, di ben ventisette anni.
Tra i primi momenti che hanno segnato il suo ministero petrino ci sono i pellegrinaggi alla tomba di San Francesco d’Assisi, nella Basilica superiore della cittadina umbra, e a quella di Santa Caterina da Siena nella basilica di Santa Maria sopra Minerva, a Roma. Ma sono molti i tratti caratteristici del pontificato del santo polacco: gli oltre cento viaggi missionari, l’avvio delle Giornate mondiali della gioventù nell’85, l’imput per la Preghiera per la pace di Assisi nell’86, la dura reprimenda ai mafiosi nella Valle dei Templi ad Agrigento, la lotta alla Teologia della liberazione in America Latina, il contributo decisivo alla caduta del regime marxista nella sua Polonia, e così, via di seguito, in Unione Sovietica. Senza dimenticare i numerosi incontri con le grandi personalità dell’universo della politica e della cultura, durante le udienze speciali in Vaticano.
Lui, giovane sfuggito alle deportazioni nel proprio paese, nell’agosto del ’44 durante la rivolta di Varsavia, e nel corso della perquisizione di Cracovia da parte della Gestapo nascosto nell’arcivescovado, fu infatti integerrimo nel combattere i soprusi, messi in atto dal regime, sia da arcivescovo prima, che poi da pontefice. Durante il Concilio Vaticano II diede un contributo sostanzioso nella redazione delle costituzioni apostoliche Gaudium et spes e Dignitatis humanae, preludio alle grandi encicliche del suo pontificato, che trattarono temi come il rapporto tra l’umanità intrisa della fede cristiana e la tecnica sempre più disumanizzante, nella Redemptor Hominis, l’evoluzione della Dottrina Sociale della Chiesa in testi come Laborem exercens e nella Centesimus annus, fino al dito puntato contro quelle così diffuse “strutture di peccato” all’interno della Sollicitiudo rei socialis. E quindi, di lì, la lotta al relativismo etico, al nichilismo moderno, e la fiducia nella naturalezza dei concetti di famiglia e di patria, segnanti l’identità umana, in quella che per alcuni incarnava una vera e propria teologia delle nazioni.
Articolo di Francesco Gnagni
Ma le sorprese più suggestive per i fedeli, che segnarono plasticamente e visivamente la sua immagine, quella cioè di un uomo colto, fortemente legato a Maria e con una fede profonda nel Padre, furono quelle che lo ritraevano passeggiare nelle montagne del Trentino e della Valle D’Aosta, o sfrecciare con gli sci per le cime innevate della Marmolada o del Terminillo.
Un momento tragico, invece, fu quello dell’attentato del turco Mehmet Ali Agca, nel maggio dell’81: inviato dai paesi del blocco sovietico, accecati dal suo anti-comunismo non soltanto dottrinario, ma pratico e concreto? Chi può dirlo. Tutti però hanno visto con i propri occhi l’umanità, e la santità, di cui fu impregnata la visita che il pontefice fece in carcere al suo stesso attentatore. In ogni caso, la Madonna di Fatima bene aveva previsto una simile vicenda, a cui lo stesso Wojtyla fece poi collegamento. Lui, esorcista, che riportò in auge una pratica, quella della liberazione dai demoni, che stava andando in quegli anni in disuso.
Poi, la malattia, la debolezza del corpo che segnò gli ultimi anni delle apparizioni pubbliche del Papa polacco. Fino alla sua morte del 2005, davanti a più di tre milioni di pellegrini che lo accompagnarono in cielo, nel grande consesso dei santi.