«Donna de Paradiso» lauda drammatica di Jacopone da Todi

«Donna de Paradiso» lauda drammatica di Jacopone da Todi

Vivere La Quaresima aspettando la Pasqua attraversando il Triduo Pasquale

Rossini: Stabat Mater - 1. Stabat Mater dolorosa

La Donna de Paradiso di Jacopone da Todi Donna de paradiso è una poesia religiosa atribuita a Iacopone da Todi. Si tratta di un componimento in volgare, una lauda drammatica, chiamato anche Il pianto della Madonna, ed è pensato come un dialogo ai piedi della croce, nel quale Maria mostra tutto il suo dolore per la perdita di suo figlio.

«Donna de Paradiso
lo tuo figliolo è priso
Iesù Cristo beato.

Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;
credo che lo s’occide,
tanto l’ho flagellato.»

(Donna de Paradiso, 1-7)
Rappresenta un concitato dialogo tra il nunzio (san Giovanni Evangelista), Gesù, la Madonna e la folla durante gli ultimi momenti della vita di Cristo. Il metro utilizzato è quello della ballata sacra con quartine di settenari rimati AAAY e una ripresa rimata XXY. Il componimento è diviso in una terzina iniziale oltre a 33 quartine che rappresentano il numero degli anni che aveva Cristo alla sua morte e le strofe dedicate alla passione sono tre, simbolo della Trinità.

Ha una grande rilevanza storico-linguistica per il particolare uso del volgare: si alterna un registro basso (il cosiddetto sermo cotidianus) per i personaggi Maria e Gesù, a un registro colto e latineggiante per la folla e il nunzio.

Cristo si rivolge alla Madonna chiamandola mamma le tre volte che si rivolge a lei direttamente, e mate quando parla di lei a Giovanni.

La lauda drammatica
Donna de Paradiso è l’esempio più famoso di lauda drammatica, nonché in assoluto la prima lauda drammatica costruita interamente sotto forma di dialogo (Gesù-Maria-il nunzio).

Il carattere polifonico, di poesia a più voci, è strettamente associato a una concitazione narrativa che esprime i sentimenti drammatici e contrastanti da cui la scena è dominata: stupore, dolore, odio, amore. Fino a distendersi nell’ultima e più lunga battuta pronunciata da Maria, in una sofferta e quasi ininterrotta invocazione, dove si sommano il più tenero affetto e il dolore più straziante.

All’interno della lauda il personaggio di Maria assume particolare rilievo e viene rappresentata essenzialmente nella sua umanità di madre. La Madonna appare come una donna disperata per la vicenda del figlio, la cui condanna e morte le sono del tutto incomprensibili, dal momento che Cristo «non fece follia», «a torto è accusato», «non ha en sé peccato». La madre vede il proprio figlio martirizzato, «ensanguinato» e vuole allora morire con lui, salendo sulla stessa croce sul quale Cristo è riposto. La sua disperazione compare nel famoso corrotto, lamento funebre, nel quale con i più dolci appellativi si rivolge alla sua creatura che non è riuscita a sottrarre al martirio.

La Madonna non coglie nella sua morte l’esperienza necessaria per la redenzione dell’umanità dal peccato originale, ma solo l’aspetto terreno di terribile sofferenza.

Anche Cristo rivela attenzioni da figlio nei confronti della madre, che affida alle cure amorevoli di Giovanni, esortandola a restare in vita per servire i «compagni ch’al mondo» ha «acquistato», ma c’è in Cristo quella consapevolezza della sua missione salvifica che manca alla semplice donna del popolo.

Compito del nunzio è quello di riferire alla donna tutto quanto accade intorno alla croce; svolge con scrupolo il suo compito di cronista, non risparmiando alla madre nessuna delle torture inflitte al figlio e senza una sua partecipazione emotiva al dramma.

Due soli sono gli interventi del popolo presente alla scena ed entrambi con la funzione di affermare che in nome della legge Gesù deve essere punito, condannato.

Lo stile ha una notevole forza espressiva: scansione rapida delle frasi e prevalenza della coordinazione nella sintassi; l’uso dell’anafora (la parola figlio). Le frasi esclamative hanno il verbo all’infinito e la forma interrogativa è piena d’incertezza e di tensione. L’uso del tempo verbale al presente conferisce sia immediatezza sia eternità all’evento della passione.

È evidente da queste osservazioni che l’alta materia della Passione dal piano teologico è scesa a quello umano e spettacolarizzato; questo consente al pubblico, a cui è destinata la lauda, di identificarsi nel dramma della madre e del figlio e di parteciparvi. Iacopone nel descrivere la Passione di Cristo segue fedelmente i testi sacri della tradizione cristiana (le Sacre Scritture ed i Vangeli); inoltre la drammaticità che permea la sua opera è analoga a quella presente in alcune opere dell’arte figurativa contemporanea, come dimostra l’osservazione, ad esempio, della Crocifissione di Cimabue, conservata nella basilica superiore di San Francesco d’Assisi. La poesia viene citata da Fabrizio De André (Le nuvole) nel brano Ottocento.

(Laude, 70)

È il più celebre testo di Jacopone, uno dei primi esempi (se non il primo in assoluto) di “lauda drammatica” in quanto propone un dialogo tra più personaggi sulla crocifissione di Cristo, al centro della quale vi è il dolore di Maria per il martirio del proprio figlio (gli altri interlocutori sono Gesù stesso, la folla degli ebrei e un fedele che descrive le fasi del supplizio, probabilmente l’apostolo Giovanni). Il mistero dell’incarnazione di Cristo è espresso attraverso la pena tutta umana della madre per le sofferenze a Lui inflitte, per cui il racconto della Passione diventa un dramma concreto e naturalissimo accentuato dal movimento drammatico delle voci che si susseguono. Jacopone ha affrontato il tema del dolore della Vergine per la morte di Cristo anche nell’inno latino “Stabat Mater”, a lui generalmente attribuito.








































































































«Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso
Iesù Cristo beato.Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;
credo che lo s’occide,
tanto l’ò flagellato».«Come essere porria,
che non fece follia,
Cristo, la spene mia,
om l’avesse pigliato?».«Madonna, ello è traduto,
Iuda sì ll’à venduto;
trenta denar’ n’à auto,
fatto n’à gran mercato».«Soccurri, Madalena,
ionta m’è adosso piena!
Cristo figlio se mena,
como è annunzïato».«Soccurre, donna, adiuta,
cà ’l tuo figlio se sputa
e la gente lo muta;
òlo dato a Pilato».«O Pilato, non fare
el figlio meo tormentare,
ch’eo te pòzzo mustrare
como a ttorto è accusato».«Crucifige, crucifige!
Omo che se fa rege,
secondo la nostra lege
contradice al senato».«Prego che mm’entennate,
nel meo dolor pensate!
Forsa mo vo mutate
de que avete pensato».

«Traiàn for li latruni,
che sian soi compagnuni;
de spine s’encoroni,
ché rege ss’è clamato!».

«O figlio, figlio, figlio,
figlio, amoroso giglio!
Figlio, chi dà consiglio
al cor me’ angustïato?

Figlio occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’ si lattato?».

«Madonna, ecco la croce,
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
déi essere levato».

«O croce, e que farai?
El figlio meo torrai?
E que ci aponerai,
che no n’à en sé peccato?».

«Soccurri, plena de doglia,
cà ’l tuo figliol se spoglia;
la gente par che voglia
che sia martirizzato».

«Se i tollit’el vestire,
lassatelme vedere,
com’en crudel firire
tutto l’ò ensanguenato».

«Donna, la man li è presa,
ennella croc’è stesa;
con un bollon l’ò fesa,
tanto lo ’n cci ò ficcato.

L’altra mano se prende,
ennella croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è plu multiplicato.

Donna, li pè se prènno
e clavellanse al lenno;
onne iontur’aprenno,
tutto l’ò sdenodato».

«Et eo comenzo el corrotto;
figlio, lo meo deporto,
figlio, chi me tt’à morto,
figlio meo dilicato?

Meglio aviriano fatto
ch’el cor m’avesser tratto,
ch’ennella croce è tratto,
stace descilïato!».

«O mamma, o’ n’èi venuta?
Mortal me dà’ feruta,
cà ’l tuo plagner me stuta,
ch’el veio sì afferato».

«Figlio, ch’eo m’aio anvito,
figlio, pat’e mmarito!
Figlio, chi tt’à firito?
Figlio, chi tt’à spogliato?».

«Mamma, perché te lagni?
Voglio che tu remagni,
che serve mei compagni,
ch’êl mondo aio aquistato».

«Figlio, questo non dire!
Voglio teco morire,
non me voglio partire
fin che mo ’n m’esc’ el fiato.

C’una aiàn sepultura,
figlio de mamma scura,
trovarse en afrantura
mat’e figlio affocato!».

«Mamma col core afflitto,
entro ’n le man’ te metto
de Ioanni, meo eletto;
sia to figlio appellato.

Ioanni, èsto mea mate:
tollila en caritate,
àginne pietate,
cà ’l core si à furato».

«Figlio, l’alma t’è ’scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato!

Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,
figlio, e a ccui m’apiglio?
Figlio, pur m’ài lassato!

Figlio bianco e biondo,
figlio volto iocondo,
figlio, perché t’à el mondo,
figlio, cusì sprezzato?

Figlio dolc’e placente,
figlio de la dolente,
figlio àte la gente
mala mente trattato.

Ioanni, figlio novello,
morto s’è ’l tuo fratello.
Ora sento ’l coltello
che fo profitizzato.

Che moga figlio e mate
d’una morte afferrate,
trovarse abraccecate
mat’e figlio impiccato!».

Fedele: «Donna del cielo, tuo figlio, Gesù Cristo beato, è catturato.



Accorri, donna e vedi che la gente lo colpisce; credo che lo stiano uccidendo, tanto lo hanno flagellato.»



Maria: «E come potrebbe essere che abbiano catturato Cristo, la mia speranza, visto che non ha commesso peccato?»


Fedele: «Madonna, egli è stato tradito; Giuda l’ha venduto, avendone in cambio trenta denari; ne ha tratto un gran guadagno».



Maria: «Aiutami, Maddalena, mi è arrivata addosso la pena! Mio figlio Cristo è portato via, come è stato annunciato».



Fedele: «Soccorrilo, donna, aiutalo, poiché sputano addosso a tuo figlio e la gente lo sta portando via; lo hanno consegnato a Pilato».



Maria: «O Pilato, non fare torturare mio figlio, poiché io ti posso dimostrare che è accusato a torto».


Folla: «Crocifiggilo, crocifiggilo! Un uomo che si proclama re, secondo la nostra legge, contravviene ai decreti del senato».



Maria: «Vi prego di ascoltarmi, pensate al mio dolore! Forse ora cambiate idea rispetto a ciò che avete pensato».



Folla: «Tiriamo fuori [liberiamo] i ladroni, che siano suoi compagni di pena; lo si incoroni di spine, visto che si è proclamato re!».


Maria: «O figlio, figlio, figlio, figlio, giglio amoroso! Figlio, chi dà conforto al mio cuore angosciato?



Figlio dagli occhi che danno gioia, figlio, perché non mi rispondi? Figlio, perché ti nascondi dal petto dove sei stato allattato?».



Fedele: «Madonna, ecco la croce che è portata dalla folla, ove Cristo (la vera luce) dovrà essere sollevato».



Maria: «Croce, cosa farai? Prenderai mio figlio? E di cosa lo accuserai, visto che non ha commesso alcun peccato?».



Fedele: «Soccorrilo, o tu che sei piena di dolore, poiché il tuo figliolo è spogliato; sembra che la folla voglia che sia martirizzato».


Maria: «Se gli togliete i vestiti, lasciatemi vedere come lo hanno tutto insanguinato, infliggendogli crudeli ferite».



Fedele: «Donna, gli hanno preso una mano e l’hanno stesa su un braccio della croce; l’hanno spaccata con un chiodo, tanto gliel’hanno conficcato.


Gli prendono l’altra mano e la stendono sull’altro braccio della croce, e il dolore brucia, ancora più accresciuto.


Donna, gli prendono i piedi e li inchiodano al legno; aprendogli ogni giuntura, lo hanno tutto slogato».



Maria: «E io inizio il lamento funebre; figlio, mia gioia, figlio, chi ti ha ucciso [togliendoti a me], figlio mio delicato?



Avrebbero fatto meglio a strapparmi il cuore, visto che è posto anch’esso in croce e sta lì straziato!».



Cristo: «Mamma, dove sei venuta? Mi infliggi una ferita mortale, poiché il tuo pianto, che vedo così angosciato, mi uccide».


Maria: «Figlio, io ne ho ben ragione, figlio, padre e marito! Figlio, chi ti ha ferito? Figlio, chi ti ha spogliato?».



Cristo: «Mamma, perché ti lamenti? Voglio che tu rimanga qui, che assisti i miei compagni che ho acquistato nel mondo».



Maria: «Figlio, non dire questo! Voglio morire con te, non voglio andarmene finché mi esce ancora voce.


Possiamo noi avere un’unica sepoltura, figlio di mamma infelice, trovandoci nella stessa sofferenza, madre e figlio ucciso!».



Cristo: «Mamma col cuore afflitto, ti affido nelle mani di Giovanni, il mio discepolo prediletto; sia tuo figlio acquisito.



Giovanni, ecco mia madre: prendila con affetto, abbine pietà, poiché ha il cuore così trafitto».



Maria: «Figlio, l’anima ti è uscita dal corpo, figlio della smarrita, figlio della disperata, figlio avvelenato [ucciso]!



Figlio bianco e rosso, figlio senza pari, figlio, a chi mi rivolgo? Mi hai davvero abbandonata!


Figlio bianco e biondo, figlio dal volto gioioso, figlio, perché il mondo ti ha così disprezzato?



Figlio dolce e bello, figlio di una donna addolorata, figlio, la gente ti ha trattato in malo modo.



Giovanni, figlio acquisito, tuo fratello è morto. Ora sento il coltello [la pena del martirio] che fu profetizzato.



Che la madre muoia insieme al figlio, afferrati dalla stessa morte, trovandosi abbracciati, madre e figlio entrambi crocifissi!»

Interpretazione

  • Il testo ha la forma metrica di una ballata di versi settenari, con una ripresa di tre versi (rima YYX) e 33 strofe di quattro versi ciascuna (rima AAAX). Sono presenti rime siciliane ai vv. 1-2 (Paradiso / preso), vv. 28-29 (crucifige / rege), vv. 37-38 (compagnuni / encoroni), vv. 48-49 (croce / aduce), vv. 60-61 (vestire /  vedere), vv. 104-105 (afflitto / metto). Una rima imperfetta è ai vv. 76-77, corrotto / deporto.
  • La passione di Cristo è rappresentata nella sua crudezza e nella sua umanità, poiché Gesù è mostrato come un uomo che soffre e il cui corpo è flagellato e sottoposto a crudeli ferite. Altrettanto umana la figura della Madonna, il cui dolore è quello di una madre che soffre a vedere il figlio torturato senza colpa (all’inizio Maria tenta inutilmente di convincere la folla e Pilato dell’innocenza del figlio). Nelle prime strofe la sua voce si alterna a quella di un fedele (forse S. Giovanni, cui Cristo affida la madre alla fine del testo) che descrive i momenti più strazianti del martirio e invita Maria a soccorrere il figlio; interviene poi la voce della folla che incita alla crocifissione, secondo lo stereotipo medievale del popolo ebreo deicida, quindi animato dal desiderio di martirio verso Cristo.
  • Il testo si compone di 33 quartine (esclusa la ripresa) che corrispondono agli anni di Cristo quando venne crocifisso, mentre la descrizione del suo corpo inchiodato alla croce si concentra nei vv. 64-75, dunque nelle tre strofe centrali del componimento, con una perfetta simmetria e la simbologia religiosa del numero tre.
  • La prima parte della lauda contiene soprattutto la descrizione della Via crucis con le urla della folla all’indirizzo di Gesù e gli oltraggi al suo corpo, mentre nella seconda parte (dopo che Cristo è stato inchiodato alla croce) ha grande spazio il dolore di Maria, che si abbandona a un “corrotto” (lamento funebre) commovente e straziante: la Vergine si rivolge direttamente al figlio, sottolinea la sua innocenza e il fatto che sia martirizzato senza colpa, ne fa l’elogio con una serie di epiteti esornativi (l’anafora “figlio” è ripetuta per quattro quartine consecutive, vv. 112-127, poi Maria lo chiama “bianco e vermiglio”, “bianco e biondo”, “volto iocondo”). Il suo dolore è quello tutto umano di una donna che vede il figlio morire e vorrebbe essere uccisa insieme a lui, mente alla fine resta piangente ai piedi della croce.

Triduo Pasquale-Venerdì Santo

Triduo Pasquale-Venerdì Santo

Il Venerdì Santo è il giorno in cui si celebra la crocifissione e morte di Gesù, è il giorno dei grandi interrogativi: perché il male, perché il dolore innocente, perché la sofferenza? Domande che trovano risposta nella Croce solo se la si guarda nella prospettiva della Risurrezione e già illuminato dalla Pasqua

La Passione di Maria - "...e una spada trafiggerà la tua anima"

Alla ‘Passione’ di Gesù è associata l’immagine della Vergine Addolorata, che i più grandi artisti hanno rappresentato insieme alla Crocifissione, ai piedi della Croce, o con Cristo adagiato fra le sue braccia dopo la deposizione, come la celebre ‘Pietà’ di Michelangelo, il ‘Compianto sul Cristo morto’ di Giotto, la ‘Crocifissione’ di Masaccio, per citarne alcuni

In questo giorno non si celebra l’Eucaristia. La Chiesa celebra solamente l’Azione liturgica della Passione del Signore, composta dalla Liturgia della Parola, dall’Adorazione della croce e dai Riti di Comunione.

È giorno di digiuno e astinenza dalle carni. E’ la seconda celebrazione del Triduo Pasquale.

Il Venerdì Santo è il giorno della morte di Gesù Cristo. È il giorno più doloroso della Settimana Santa.

Tutti i riti religiosi del Venerdì Santo sono dedicati a questo. La Chiesa celebra la Passione in tre diversi momenti con altrettanti riti religiosi: si inizia con la liturgia della Parola, con la lettura del quarto canto del servo del Signore di Isaia (52,13-53,12), dell’Inno cristologico della lettera ai Filippesi (2,6-11) e della Passione secondo Giovanni. Si prosegue con l’adorazione della croce, a cui viene così tolto il velo, e si conclude con la santa comunione con i presantificati, cioè con le specie consacrate la sera del Giovedì Santo. Nella sera del Venerdì Santo, il rito religioso cattolico prevede anche la via Crucis, il ricordo cioè del percorso di Cristo verso la crocifissione sul monte Golgota. Durante il Venerdì Santo non si fanno altre consacrazioni e non si celebra altra messa.

Sotto l’aspetto delle celebrazioni religiose è una giornata particolare: infatti gli altari sono spogli, la custodia del sacramento è vuota, le  campane tacciono, non si canta.

La funzione religiosa si svolge nel ricordo della passione e morte di Gesu’, seguita dalla preghiera universale, dall’adorazione della croce e dal sacramento della comunione.

Terminata la celebrazione si tiene, come di tradizione, la via crucis per le strade del paese.

Il sacro corteo è arricchito da preghiere e considerazioni spirituali, nonchè’ da vecchi canti tradizionali riscoperti meritoriamente per l’occasione.

Il Triduo pasquale è un tempo liturgico e non un giorno liturgico, non essendo un singolo giorno; non è pertanto una solennità, dato che la qualifica di solennità è un grado del giorno liturgico e non del tempo liturgico. Però, come nelle solennità, si inizia con una celebrazione serale: “Il giorno liturgico decorre da una mezzanotte all’altra. La celebrazione, però, della domenica e delle solennità inizia dai vespri del giorno precedente”.

Il Triduo pasquale ha una durata temporale equivalente a tre giorni liturgici, ma non corrisponde esattamente a tre giorni civili poiché si dispiega in quattro giorni civili, ossia:

nel giovedì Santo, ma solo la sera;

nel venerdì della Passione del Signore detto anche e più comunemente venerdì Santo, in cui ricorre la Giornata per i luoghi santi conosciuta anche con la denominazione di Giornata mondiale per la Terra santa;

nel sabato Santo;

nella domenica di Pasqua.

Di questi quattro giorni, dal punto di vista del calendario civile, solo il venerdì, il sabato santo e la domenica fanno parte interamente del triduo: “Il Triduo pasquale della passione e risurrezione del Signore inizia dalla messa vespertina in Cena Domini, ha il suo fulcro nella Veglia pasquale, e termina con i vespri della domenica di risurrezione”.

La ragione per cui questo tempo liturgico venne chiamato Triduo risiede, però, nel diverso computo del giorno come effettuato dai cristiani dei primi secoli in continuazione della tradizione biblica per la quale il giorno veniva computato non dalla mezzanotte alla mezzanotte successiva ma dal calar del sole al successivo calar del sole, ossia dal momento vespertino al successivo momento vespertino: in quest’ottica il triduo corrispondeva esattamente a tre giorni anche se la durata dello stesso era identica sia complessivamente sia nei termini di inizio e fine con quella del triduo attuale per cui, essendo stata la durata del triduo sempre la stessa, è cambiato solo il modo di computare l’inizio e la fine del giorno, e tale cambio di computo ha fatto sì che il triduo un tempo corrispondesse a tre giorni mentre ora si dispiega in quattro giorni.

Nell’antichità cristiana, infatti, il fatto che il triduo corrispondesse esattamente a tre giorni significa che esso era l’insieme del Venerdì Santo, del Sabato santo e della Domenica di Pasqua. L’identità dell’inizio e della fine della durata del triduo primitivo con quello attuale è dovuta al fatto che il primitivo iniziava con l’inizio del venerdì santo, cioè il calar della sera dell’attuale giovedì santo, e terminava con la fine della domenica di pasqua, ossia il calar della sera dell’attuale domenica di pasqua.

Le celebrazioni principali del Triduo sono:

la Celebrazione vespertina del Giovedì santo che normalmente consiste nella messa vespertina nella Cena del Signore o, eccezionalmente e solo per coloro che non vi partecipano, nella recita dei Vespri del Giovedì santo;

la Celebrazione della Passione del Signore del Venerdì Santo che solo da coloro che non vi partecipano è sostituita con la celebrazione dei Vespri del Venerdì Santo;

la Veglia Pasquale, centro del Triduo, officiata dopo il tramonto del sabato, e che sostituisce la Compieta del Sabato Santo e l’Ufficio delle Letture della domenica di Pasqua, recitati separatamente solo da coloro che non partecipano alla Veglia;

la Messa del giorno della Domenica di Pasqua, e la celebrazione della Liturgia della Ore (da Lodi a Vespri alle ore convenienti).

La triste e dolorosa vicenda della ‘Passione’, ha ispirato da sempre la pietà popolare a partecipare ai riti del Venerdì Santo, con manifestazioni di grande suggestione e penitenza, con le processioni dei ‘Misteri’, grandi e piccole raffigurazioni, con statue per lo più di cartapesta, dei vari episodi della ‘Via Crucis’, in particolare l’incontro di Gesù che trasporta la croce con sua madre e le pie donne; oppure con Gesù morto, condotto al sepolcro, seguito dall’effige della Vergine Addolorata.
In tutte le chiese, a partire dal Colosseo con il papa, si svolgono le ‘Vie Crucis’, anche per le strade dei Paesi e nei rioni delle città; in alcuni casi per secolare tradizione esse sono svolte da fedeli con i costumi dell’epoca e giungono fino ad una finta crocifissione; in altri casi da secoli si svolgono cortei penitenziali di Confraternite con persone incappucciate o no, che si flagellano o si pungono con oggetti acuminati e così insanguinati proseguono nella processione penitenziale, come nella celebre penitenza di Guardia Sanframondi.
Ci vorrebbe un libro per descriverle tutte, ma non si può dimenticare di citare i riti barocchi del Venerdì Santo di Siviglia.
Il soggetto della ‘Passione’, ha continuato ad essere rappresentato anche con le moderne tecnologie, le quali utilizzando attori capaci, scenografie naturali e drammaticità delle espressioni dolorose; ha portato ad un più vasto pubblico nazionale ed internazionale l’intera vicenda terrena di Gesù.
È il caso soprattutto del cinema, con tanti filmati di indubbio valore emotivo, come “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini; il “Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli, la serie di quelli storici e colossali, come “Il Re dei re”, “La tunica”, ecc. fino all’ultimo grandioso per la sua drammaticità “La Passione di Cristo” di Mel Gibson.

La passione di Cristo di Mel Gibson

E’ come fosse l’ora zero della fede. Non la disperazione ma la preghiera rivolta al vuoto, a quella che sembra un’assenza insuperabile. David Maria Turoldo ci offre più che una poesia una meditazione sul modo di pensare Cristo, la speranza, la trascendenza. Non c’è un aggettivo sprecato, né una sillaba che sfiori la retorica. Solo la parola ruvida, nuda ma robusta a reclamare il diritto a una risposta anche davanti all’abisso di quello che pare il Nulla

No, credere a Pasqua non e’
giusta fede:
troppo bello sei a Pasqua!
Fede vera
e’ al Venerdi’ Santo
quando Tu non c’eri
lassu’.
Quando non una eco
risponde
al suo grido
e a stento il Nulla
da’ forma
alla Tua assenza

David Maria Turoldo

Mettere in fuga la morte

Matthias Grunewald, “Crocifissione”

Proprio la croce è il luogo in cui si manifesta in modo più tragicamente chiaro l’amore di Dio per l’uomo. Cristo infatti è venuto nel mondo per vincere la morte. 

«Tu sei venuto tra noi
per mettere in fuga la morte
per snidare e uccidere la morte.
Anche a Te la morte fa male
per questo sei amico
di ognuno segnato dal male
e ogni male
Tu vuoi condividere».

Idea progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it