Vivere La Quaresima aspettando la Pasqua attraversando il Triduo Pasquale
La Donna de Paradiso di Jacopone da Todi Donna de paradiso è una poesia religiosa atribuita a Iacopone da Todi. Si tratta di un componimento in volgare, una lauda drammatica, chiamato anche Il pianto della Madonna, ed è pensato come un dialogo ai piedi della croce, nel quale Maria mostra tutto il suo dolore per la perdita di suo figlio.
«Donna de Paradiso lo tuo figliolo è priso Iesù Cristo beato.
Accurre, donna e vide che la gente l’allide; credo che lo s’occide, tanto l’ho flagellato.»
(Donna de Paradiso, 1-7) Rappresenta un concitato dialogo tra il nunzio (san Giovanni Evangelista), Gesù, la Madonna e la folla durante gli ultimi momenti della vita di Cristo. Il metro utilizzato è quello della ballata sacra con quartine di settenari rimati AAAY e una ripresa rimata XXY. Il componimento è diviso in una terzina iniziale oltre a 33 quartine che rappresentano il numero degli anni che aveva Cristo alla sua morte e le strofe dedicate alla passione sono tre, simbolo della Trinità.
Ha una grande rilevanza storico-linguistica per il particolare uso del volgare: si alterna un registro basso (il cosiddetto sermo cotidianus) per i personaggi Maria e Gesù, a un registro colto e latineggiante per la folla e il nunzio.
Cristo si rivolge alla Madonna chiamandola mamma le tre volte che si rivolge a lei direttamente, e mate quando parla di lei a Giovanni.
La lauda drammatica Donna de Paradiso è l’esempio più famoso di lauda drammatica, nonché in assoluto la prima lauda drammatica costruita interamente sotto forma di dialogo (Gesù-Maria-il nunzio).
Il carattere polifonico, di poesia a più voci, è strettamente associato a una concitazione narrativa che esprime i sentimenti drammatici e contrastanti da cui la scena è dominata: stupore, dolore, odio, amore. Fino a distendersi nell’ultima e più lunga battuta pronunciata da Maria, in una sofferta e quasi ininterrotta invocazione, dove si sommano il più tenero affetto e il dolore più straziante.
All’interno della lauda il personaggio di Maria assume particolare rilievo e viene rappresentata essenzialmente nella sua umanità di madre. La Madonna appare come una donna disperata per la vicenda del figlio, la cui condanna e morte le sono del tutto incomprensibili, dal momento che Cristo «non fece follia», «a torto è accusato», «non ha en sé peccato». La madre vede il proprio figlio martirizzato, «ensanguinato» e vuole allora morire con lui, salendo sulla stessa croce sul quale Cristo è riposto. La sua disperazione compare nel famoso corrotto, lamento funebre, nel quale con i più dolci appellativi si rivolge alla sua creatura che non è riuscita a sottrarre al martirio.
La Madonna non coglie nella sua morte l’esperienza necessaria per la redenzione dell’umanità dal peccato originale, ma solo l’aspetto terreno di terribile sofferenza.
Anche Cristo rivela attenzioni da figlio nei confronti della madre, che affida alle cure amorevoli di Giovanni, esortandola a restare in vita per servire i «compagni ch’al mondo» ha «acquistato», ma c’è in Cristo quella consapevolezza della sua missione salvifica che manca alla semplice donna del popolo.
Compito del nunzio è quello di riferire alla donna tutto quanto accade intorno alla croce; svolge con scrupolo il suo compito di cronista, non risparmiando alla madre nessuna delle torture inflitte al figlio e senza una sua partecipazione emotiva al dramma.
Due soli sono gli interventi del popolo presente alla scena ed entrambi con la funzione di affermare che in nome della legge Gesù deve essere punito, condannato.
Lo stile ha una notevole forza espressiva: scansione rapida delle frasi e prevalenza della coordinazione nella sintassi; l’uso dell’anafora (la parola figlio). Le frasi esclamative hanno il verbo all’infinito e la forma interrogativa è piena d’incertezza e di tensione. L’uso del tempo verbale al presente conferisce sia immediatezza sia eternità all’evento della passione.
È evidente da queste osservazioni che l’alta materia della Passione dal piano teologico è scesa a quello umano e spettacolarizzato; questo consente al pubblico, a cui è destinata la lauda, di identificarsi nel dramma della madre e del figlio e di parteciparvi. Iacopone nel descrivere la Passione di Cristo segue fedelmente i testi sacri della tradizione cristiana (le Sacre Scritture ed i Vangeli); inoltre la drammaticità che permea la sua opera è analoga a quella presente in alcune opere dell’arte figurativa contemporanea, come dimostra l’osservazione, ad esempio, della Crocifissione di Cimabue, conservata nella basilica superiore di San Francesco d’Assisi. La poesia viene citata da Fabrizio De André (Le nuvole) nel brano Ottocento.
(Laude, 70)
È il più celebre testo di Jacopone, uno dei primi esempi (se non il primo in assoluto) di “lauda drammatica” in quanto propone un dialogo tra più personaggi sulla crocifissione di Cristo, al centro della quale vi è il dolore di Maria per il martirio del proprio figlio (gli altri interlocutori sono Gesù stesso, la folla degli ebrei e un fedele che descrive le fasi del supplizio, probabilmente l’apostolo Giovanni). Il mistero dell’incarnazione di Cristo è espresso attraverso la pena tutta umana della madre per le sofferenze a Lui inflitte, per cui il racconto della Passione diventa un dramma concreto e naturalissimo accentuato dal movimento drammatico delle voci che si susseguono. Jacopone ha affrontato il tema del dolore della Vergine per la morte di Cristo anche nell’inno latino “Stabat Mater”, a lui generalmente attribuito.
«Donna de Paradiso, lo tuo figliolo è preso Iesù Cristo beato.Accurre, donna e vide che la gente l’allide; credo che lo s’occide, tanto l’ò flagellato».«Come essere porria, che non fece follia, Cristo, la spene mia, om l’avesse pigliato?».«Madonna, ello è traduto, Iuda sì ll’à venduto; trenta denar’ n’à auto, fatto n’à gran mercato».«Soccurri, Madalena, ionta m’è adosso piena! Cristo figlio se mena, como è annunzïato».«Soccurre, donna, adiuta, cà ’l tuo figlio se sputa e la gente lo muta; òlo dato a Pilato».«O Pilato, non fare el figlio meo tormentare, ch’eo te pòzzo mustrare como a ttorto è accusato».«Crucifige, crucifige! Omo che se fa rege, secondo la nostra lege contradice al senato».«Prego che mm’entennate, nel meo dolor pensate! Forsa mo vo mutate de que avete pensato».
«Traiàn for li latruni, che sian soi compagnuni; de spine s’encoroni, ché rege ss’è clamato!».
«O figlio, figlio, figlio, figlio, amoroso giglio! Figlio, chi dà consiglio al cor me’ angustïato?
Figlio occhi iocundi, figlio, co’ non respundi? Figlio, perché t’ascundi al petto o’ si lattato?».
«Madonna, ecco la croce, che la gente l’aduce, ove la vera luce déi essere levato».
«O croce, e que farai? El figlio meo torrai? E que ci aponerai, che no n’à en sé peccato?».
«Soccurri, plena de doglia, cà ’l tuo figliol se spoglia; la gente par che voglia che sia martirizzato».
«Se i tollit’el vestire, lassatelme vedere, com’en crudel firire tutto l’ò ensanguenato».
«Donna, la man li è presa, ennella croc’è stesa; con un bollon l’ò fesa, tanto lo ’n cci ò ficcato.
L’altra mano se prende, ennella croce se stende e lo dolor s’accende, ch’è plu multiplicato.
Donna, li pè se prènno e clavellanse al lenno; onne iontur’aprenno, tutto l’ò sdenodato».
«Et eo comenzo el corrotto; figlio, lo meo deporto, figlio, chi me tt’à morto, figlio meo dilicato?
Meglio aviriano fatto ch’el cor m’avesser tratto, ch’ennella croce è tratto, stace descilïato!».
«O mamma, o’ n’èi venuta? Mortal me dà’ feruta, cà ’l tuo plagner me stuta, ch’el veio sì afferato».
«Figlio, ch’eo m’aio anvito, figlio, pat’e mmarito! Figlio, chi tt’à firito? Figlio, chi tt’à spogliato?».
«Mamma, perché te lagni? Voglio che tu remagni, che serve mei compagni, ch’êl mondo aio aquistato».
«Figlio, questo non dire! Voglio teco morire, non me voglio partire fin che mo ’n m’esc’ el fiato.
C’una aiàn sepultura, figlio de mamma scura, trovarse en afrantura mat’e figlio affocato!».
«Mamma col core afflitto, entro ’n le man’ te metto de Ioanni, meo eletto; sia to figlio appellato.
Ioanni, èsto mea mate: tollila en caritate, àginne pietate, cà ’l core si à furato».
«Figlio, l’alma t’è ’scita, figlio de la smarrita, figlio de la sparita, figlio attossecato!
Figlio bianco e vermiglio, figlio senza simiglio, figlio, e a ccui m’apiglio? Figlio, pur m’ài lassato!
Figlio bianco e biondo, figlio volto iocondo, figlio, perché t’à el mondo, figlio, cusì sprezzato?
Figlio dolc’e placente, figlio de la dolente, figlio àte la gente mala mente trattato.
Ioanni, figlio novello, morto s’è ’l tuo fratello. Ora sento ’l coltello che fo profitizzato.
Che moga figlio e mate d’una morte afferrate, trovarse abraccecate mat’e figlio impiccato!».
Fedele: «Donna del cielo, tuo figlio, Gesù Cristo beato, è catturato.
Accorri, donna e vedi che la gente lo colpisce; credo che lo stiano uccidendo, tanto lo hanno flagellato.»
Maria: «E come potrebbe essere che abbiano catturato Cristo, la mia speranza, visto che non ha commesso peccato?»
Fedele: «Madonna, egli è stato tradito; Giuda l’ha venduto, avendone in cambio trenta denari; ne ha tratto un gran guadagno».
Maria: «Aiutami, Maddalena, mi è arrivata addosso la pena! Mio figlio Cristo è portato via, come è stato annunciato».
Fedele: «Soccorrilo, donna, aiutalo, poiché sputano addosso a tuo figlio e la gente lo sta portando via; lo hanno consegnato a Pilato».
Maria: «O Pilato, non fare torturare mio figlio, poiché io ti posso dimostrare che è accusato a torto».
Folla: «Crocifiggilo, crocifiggilo! Un uomo che si proclama re, secondo la nostra legge, contravviene ai decreti del senato».
Maria: «Vi prego di ascoltarmi, pensate al mio dolore! Forse ora cambiate idea rispetto a ciò che avete pensato».
Folla: «Tiriamo fuori [liberiamo] i ladroni, che siano suoi compagni di pena; lo si incoroni di spine, visto che si è proclamato re!».
Maria: «O figlio, figlio, figlio, figlio, giglio amoroso! Figlio, chi dà conforto al mio cuore angosciato?
Figlio dagli occhi che danno gioia, figlio, perché non mi rispondi? Figlio, perché ti nascondi dal petto dove sei stato allattato?».
Fedele: «Madonna, ecco la croce che è portata dalla folla, ove Cristo (la vera luce) dovrà essere sollevato».
Maria: «Croce, cosa farai? Prenderai mio figlio? E di cosa lo accuserai, visto che non ha commesso alcun peccato?».
Fedele: «Soccorrilo, o tu che sei piena di dolore, poiché il tuo figliolo è spogliato; sembra che la folla voglia che sia martirizzato».
Maria: «Se gli togliete i vestiti, lasciatemi vedere come lo hanno tutto insanguinato, infliggendogli crudeli ferite».
Fedele: «Donna, gli hanno preso una mano e l’hanno stesa su un braccio della croce; l’hanno spaccata con un chiodo, tanto gliel’hanno conficcato.
Gli prendono l’altra mano e la stendono sull’altro braccio della croce, e il dolore brucia, ancora più accresciuto.
Donna, gli prendono i piedi e li inchiodano al legno; aprendogli ogni giuntura, lo hanno tutto slogato».
Maria: «E io inizio il lamento funebre; figlio, mia gioia, figlio, chi ti ha ucciso [togliendoti a me], figlio mio delicato?
Avrebbero fatto meglio a strapparmi il cuore, visto che è posto anch’esso in croce e sta lì straziato!».
Cristo: «Mamma, dove sei venuta? Mi infliggi una ferita mortale, poiché il tuo pianto, che vedo così angosciato, mi uccide».
Maria: «Figlio, io ne ho ben ragione, figlio, padre e marito! Figlio, chi ti ha ferito? Figlio, chi ti ha spogliato?».
Cristo: «Mamma, perché ti lamenti? Voglio che tu rimanga qui, che assisti i miei compagni che ho acquistato nel mondo».
Maria: «Figlio, non dire questo! Voglio morire con te, non voglio andarmene finché mi esce ancora voce.
Possiamo noi avere un’unica sepoltura, figlio di mamma infelice, trovandoci nella stessa sofferenza, madre e figlio ucciso!».
Cristo: «Mamma col cuore afflitto, ti affido nelle mani di Giovanni, il mio discepolo prediletto; sia tuo figlio acquisito.
Giovanni, ecco mia madre: prendila con affetto, abbine pietà, poiché ha il cuore così trafitto».
Maria: «Figlio, l’anima ti è uscita dal corpo, figlio della smarrita, figlio della disperata, figlio avvelenato [ucciso]!
Figlio bianco e rosso, figlio senza pari, figlio, a chi mi rivolgo? Mi hai davvero abbandonata!
Figlio bianco e biondo, figlio dal volto gioioso, figlio, perché il mondo ti ha così disprezzato?
Figlio dolce e bello, figlio di una donna addolorata, figlio, la gente ti ha trattato in malo modo.
Giovanni, figlio acquisito, tuo fratello è morto. Ora sento il coltello [la pena del martirio] che fu profetizzato.
Che la madre muoia insieme al figlio, afferrati dalla stessa morte, trovandosi abbracciati, madre e figlio entrambi crocifissi!»
Interpretazione
Il testo ha la forma metrica di una ballata di versi settenari, con una ripresa di tre versi (rima YYX) e 33 strofe di quattro versi ciascuna (rima AAAX). Sono presenti rime siciliane ai vv. 1-2 (Paradiso / preso), vv. 28-29 (crucifige / rege), vv. 37-38 (compagnuni / encoroni), vv. 48-49 (croce / aduce), vv. 60-61 (vestire / vedere), vv. 104-105 (afflitto / metto). Una rima imperfetta è ai vv. 76-77, corrotto / deporto.
La passione di Cristo è rappresentata nella sua crudezza e nella sua umanità, poiché Gesù è mostrato come un uomo che soffre e il cui corpo è flagellato e sottoposto a crudeli ferite. Altrettanto umana la figura della Madonna, il cui dolore è quello di una madre che soffre a vedere il figlio torturato senza colpa (all’inizio Maria tenta inutilmente di convincere la folla e Pilato dell’innocenza del figlio). Nelle prime strofe la sua voce si alterna a quella di un fedele (forse S. Giovanni, cui Cristo affida la madre alla fine del testo) che descrive i momenti più strazianti del martirio e invita Maria a soccorrere il figlio; interviene poi la voce della folla che incita alla crocifissione, secondo lo stereotipo medievale del popolo ebreo deicida, quindi animato dal desiderio di martirio verso Cristo.
Il testo si compone di 33 quartine (esclusa la ripresa) che corrispondono agli anni di Cristo quando venne crocifisso, mentre la descrizione del suo corpo inchiodato alla croce si concentra nei vv. 64-75, dunque nelle tre strofe centrali del componimento, con una perfetta simmetria e la simbologia religiosa del numero tre.
La prima parte della lauda contiene soprattutto la descrizione della Via crucis con le urla della folla all’indirizzo di Gesù e gli oltraggi al suo corpo, mentre nella seconda parte (dopo che Cristo è stato inchiodato alla croce) ha grande spazio il dolore di Maria, che si abbandona a un “corrotto” (lamento funebre) commovente e straziante: la Vergine si rivolge direttamente al figlio, sottolinea la sua innocenza e il fatto che sia martirizzato senza colpa, ne fa l’elogio con una serie di epiteti esornativi (l’anafora “figlio” è ripetuta per quattro quartine consecutive, vv. 112-127, poi Maria lo chiama “bianco e vermiglio”, “bianco e biondo”, “volto iocondo”). Il suo dolore è quello tutto umano di una donna che vede il figlio morire e vorrebbe essere uccisa insieme a lui, mente alla fine resta piangente ai piedi della croce.
Il Venerdì Santoè il giorno in cui si celebra la crocifissione e morte di Gesù,è il giorno dei grandi interrogativi: perché il male, perché il dolore innocente, perché la sofferenza? Domande che trovano risposta nella Croce solo se la si guarda nella prospettiva della Risurrezione e già illuminato dalla Pasqua
Alla ‘Passione’ di Gesù è associata l’immagine della Vergine Addolorata, che i più grandi artisti hanno rappresentato insieme alla Crocifissione, ai piedi della Croce, o con Cristo adagiato fra le sue braccia dopo la deposizione, come la celebre ‘Pietà’ di Michelangelo, il ‘Compianto sul Cristo morto’ di Giotto, la ‘Crocifissione’ di Masaccio, per citarne alcuni
In questo giorno non si celebra l’Eucaristia. La Chiesa celebra solamente l’Azione liturgica della Passione del Signore, composta dalla Liturgia della Parola, dall’Adorazione della croce e dai Riti di Comunione.
È giorno di digiuno e astinenza dalle carni. E’ la seconda celebrazione del Triduo Pasquale.
Il Venerdì Santo è il giorno della morte di Gesù Cristo. È il giorno più doloroso della Settimana Santa.
Tutti i riti religiosi del Venerdì Santo sono dedicati a questo. La Chiesa celebra la Passione in tre diversi momenti con altrettanti riti religiosi: si inizia con la liturgia della Parola, con la lettura del quarto canto del servo del Signore di Isaia (52,13-53,12), dell’Inno cristologico della lettera ai Filippesi (2,6-11) e della Passione secondo Giovanni. Si prosegue con l’adorazione della croce, a cui viene così tolto il velo, e si conclude con la santa comunione con i presantificati, cioè con le specie consacrate la sera del Giovedì Santo. Nella sera del Venerdì Santo, il rito religioso cattolico prevede anche la via Crucis, il ricordo cioè del percorso di Cristo verso la crocifissione sul monte Golgota. Durante il Venerdì Santo non si fanno altre consacrazioni e non si celebra altra messa.
Sotto l’aspetto delle celebrazioni religiose è una giornata particolare: infatti gli altari sono spogli, la custodia del sacramento è vuota, le campane tacciono, non si canta.
La funzione religiosa si svolge nel ricordo della passione e morte di Gesu’, seguita dalla preghiera universale, dall’adorazione della croce e dal sacramento della comunione.
Terminata la celebrazione si tiene, come di tradizione, la via crucis per le strade del paese.
Il sacro corteo è arricchito da preghiere e considerazioni spirituali, nonchè’ da vecchi canti tradizionali riscoperti meritoriamente per l’occasione.
Il Triduo pasquale è un tempo liturgico e non un giorno liturgico, non essendo un singolo giorno; non è pertanto una solennità, dato che la qualifica di solennità è un grado del giorno liturgico e non del tempo liturgico. Però, come nelle solennità, si inizia con una celebrazione serale: “Il giorno liturgico decorre da una mezzanotte all’altra. La celebrazione, però, della domenica e delle solennità inizia dai vespri del giorno precedente”.
Il Triduo pasquale ha una durata temporale equivalente a tre giorni liturgici, ma non corrisponde esattamente a tre giorni civili poiché si dispiega in quattro giorni civili, ossia:
nel giovedì Santo, ma solo la sera;
nel venerdì della Passione del Signore detto anche e più comunemente venerdì Santo, in cui ricorre la Giornata per i luoghi santi conosciuta anche con la denominazione di Giornata mondiale per la Terra santa;
nel sabato Santo;
nella domenica di Pasqua.
Di questi quattro giorni, dal punto di vista del calendario civile, solo il venerdì, il sabato santo e la domenica fanno parte interamente del triduo: “Il Triduo pasquale della passione e risurrezione del Signore inizia dalla messa vespertina in Cena Domini, ha il suo fulcro nella Veglia pasquale, e termina con i vespri della domenica di risurrezione”.
La ragione per cui questo tempo liturgico venne chiamato Triduo risiede, però, nel diverso computo del giorno come effettuato dai cristiani dei primi secoli in continuazione della tradizione biblica per la quale il giorno veniva computato non dalla mezzanotte alla mezzanotte successiva ma dal calar del sole al successivo calar del sole, ossia dal momento vespertino al successivo momento vespertino: in quest’ottica il triduo corrispondeva esattamente a tre giorni anche se la durata dello stesso era identica sia complessivamente sia nei termini di inizio e fine con quella del triduo attuale per cui, essendo stata la durata del triduo sempre la stessa, è cambiato solo il modo di computare l’inizio e la fine del giorno, e tale cambio di computo ha fatto sì che il triduo un tempo corrispondesse a tre giorni mentre ora si dispiega in quattro giorni.
Nell’antichità cristiana, infatti, il fatto che il triduo corrispondesse esattamente a tre giorni significa che esso era l’insieme del Venerdì Santo, del Sabato santo e della Domenica di Pasqua. L’identità dell’inizio e della fine della durata del triduo primitivo con quello attuale è dovuta al fatto che il primitivo iniziava con l’inizio del venerdì santo, cioè il calar della sera dell’attuale giovedì santo, e terminava con la fine della domenica di pasqua, ossia il calar della sera dell’attuale domenica di pasqua.
Le celebrazioni principali del Triduo sono:
la Celebrazione vespertina del Giovedì santo che normalmente consiste nella messa vespertina nella Cena del Signore o, eccezionalmente e solo per coloro che non vi partecipano, nella recita dei Vespri del Giovedì santo;
la Celebrazione della Passione del Signore del Venerdì Santo che solo da coloro che non vi partecipano è sostituita con la celebrazione dei Vespri del Venerdì Santo;
la Veglia Pasquale, centro del Triduo, officiata dopo il tramonto del sabato, e che sostituisce la Compieta del Sabato Santo e l’Ufficio delle Letture della domenica di Pasqua, recitati separatamente solo da coloro che non partecipano alla Veglia;
la Messa del giorno della Domenica di Pasqua, e la celebrazione della Liturgia della Ore (da Lodi a Vespri alle ore convenienti).
La triste e dolorosa vicenda della ‘Passione’, ha ispirato da sempre la pietà popolare a partecipare ai riti del Venerdì Santo, con manifestazioni di grande suggestione e penitenza, con le processioni dei ‘Misteri’, grandi e piccole raffigurazioni, con statue per lo più di cartapesta, dei vari episodi della ‘Via Crucis’, in particolare l’incontro di Gesù che trasporta la croce con sua madre e le pie donne; oppure con Gesù morto, condotto al sepolcro, seguito dall’effige della Vergine Addolorata. In tutte le chiese, a partire dal Colosseo con il papa, si svolgono le ‘Vie Crucis’, anche per le strade dei Paesi e nei rioni delle città; in alcuni casi per secolare tradizione esse sono svolte da fedeli con i costumi dell’epoca e giungono fino ad una finta crocifissione; in altri casi da secoli si svolgono cortei penitenziali di Confraternite con persone incappucciate o no, che si flagellano o si pungono con oggetti acuminati e così insanguinati proseguono nella processione penitenziale, come nella celebre penitenza di Guardia Sanframondi. Ci vorrebbe un libro per descriverle tutte, ma non si può dimenticare di citare i riti barocchi del Venerdì Santo di Siviglia. Il soggetto della ‘Passione’, ha continuato ad essere rappresentato anche con le moderne tecnologie, le quali utilizzando attori capaci, scenografie naturali e drammaticità delle espressioni dolorose; ha portato ad un più vasto pubblico nazionale ed internazionale l’intera vicenda terrena di Gesù. È il caso soprattutto del cinema, con tanti filmati di indubbio valore emotivo, come “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini; il “Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli, la serie di quelli storici e colossali, come “Il Re dei re”, “La tunica”, ecc. fino all’ultimo grandioso per la sua drammaticità “La Passione di Cristo” di Mel Gibson.
La passione di Cristo di Mel Gibson
E’ come fosse l’ora zero della fede. Non la disperazione ma la preghiera rivolta al vuoto, a quella che sembra un’assenza insuperabile. David Maria Turoldo ci offre più che una poesia una meditazione sul modo di pensare Cristo, la speranza, la trascendenza. Non c’è un aggettivo sprecato, né una sillaba che sfiori la retorica. Solo la parola ruvida, nuda ma robusta a reclamare il diritto a una risposta anche davanti all’abisso di quello che pare il Nulla
No, credere a Pasqua non e’ giusta fede: troppo bello sei a Pasqua! Fede vera e’ al Venerdi’ Santo quando Tu non c’eri lassu’. Quando non una eco risponde al suo grido e a stento il Nulla da’ forma alla Tua assenza
David Maria Turoldo
Mettere in fuga la morte
Matthias Grunewald, “Crocifissione”
Proprio la croce è il luogo in cui si manifesta in modo più tragicamente chiaro l’amore di Dio per l’uomo. Cristo infatti è venuto nel mondo per vincere la morte.
«Tu sei venuto tra noi per mettere in fuga la morte per snidare e uccidere la morte. Anche a Te la morte fa male per questo sei amico di ognuno segnato dal male e ogni male Tu vuoi condividere».
Idea progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it
Il gesto che compie Gesù nei confronti dei discepoli durante
l’Ultima Cena, prima di essere condannato a morte, è
raccontato dal Vangelo di Giovanni ed era una caratteristica
dell’ospitalità nel mondo antico.
Ultima Cena - Capolavori
Con il Giovedì Santo si conclude la Quaresima, iniziata con il Mercoledì delle Ceneri, e con essa finisce anche il digiuno penitenziale. Con la messa vespertina “in Coena Domini” inizia il Triduo pasquale, ossia i tre giorni nei quali si commemora la Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, che ha il suo fulcro nella solenne Veglia pasquale e si conclude con i secondi vespri della Domenica di Pasqua.
Dal punto di vista liturgico quella del Triduo è un unica celebrazione.
Nella Messa “in Coena Domini” non c’è congedo, ma l’assemblea si scioglie in silenzio;
il Venerdì Santo la celebrazione inizia nel silenzio, senza riti di introduzione, e termina senza benedizione e senza congedo, nel silenzio;
La Veglia Pasquale inizia con il lucernario, senza segno di croce e senza saluto; solo alla fine della Veglia si trova la benedizione finale e il congedo.
LA MESSA MATTUTINA DEL CRISMA
Il giorno del Giovedì Santo è riservato a due distinte celebrazioni liturgiche, al mattino nelle Cattedrali, il vescovo con una solenne cerimonia consacra il sacro crisma, cioè l’olio benedetto da utilizzare per tutto l’anno successivo per i Sacramenti del Battesimo, Cresima e Ordine Sacro e gli altri tre oli usati per il Battesimo, Unzione degli Infermi e per ungere i Catecumeni. A tale cerimonia partecipano i sacerdoti e i diaconi, che si radunano attorno al loro vescovo, quale visibile conferma della Chiesa e del sacerdozio fondato da Cristo; accingendosi a partecipare poi nelle singole chiese e parrocchie, con la liturgia propria, alla celebrazione delle ultime fasi della vita di Gesù con la Passione, Morte e Resurrezione.
LA MESSA VESPERTINA “IN COENA DOMINI”
Nel tardo pomeriggio in tutte le chiese c’è la celebrazione della Messa in “Coena Domini”, cioè la “Cena del Signore”. Si tratta dell’Ultima Cena – raffigurata da intere generazioni di artisti – che Gesù tenne insieme ai suoi apostoli prima dell’arresto e della condanna a morte.
Tutti e quattro i Vangeli riferiscono che Gesù, avvicinandosi la festa “degli Azzimi”, ossia la Pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la rituale cena, in casa di un loro seguace. La Pasqua è la più solenne festa ebraica e viene celebrata con un preciso rituale, che rievoca le meraviglie compiute da Dio nella liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana (Esodo 12); e la sua celebrazione si protrae dal 14 al 21 del mese di Nisan (marzo-aprile).
In quella notte si consuma l’agnello, precedentemente sgozzato, durante un pasto (la cena pasquale) di cui è stabilito ogni gesto; in tale periodo è permesso mangiare solo pane senza lievito (in greco, “azymos”), da cui il termine “Azzimi”. Gesù con gli Apostoli non mangiarono solo secondo le tradizioni, ma il Maestro per l’ultima volta aveva con sé tutti i dodici discepoli da lui scelti e a loro fece un discorso dove s’intrecciano commiato, promessa e consacrazione.
LA LAVANDA DEI PIEDI SIMBOLO DI OSPITALITÀ
Il Vangelo di Giovanni, al capitolo 13, racconta l’episodio della lavanda dei piedi. Gesù «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine», e mentre il diavolo già aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota, il proposito di tradirlo, Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua nel catino e con un gesto inaudito, perché riservato agli schiavi ed ai servi, si mise a lavare i piedi degli Apostoli, asciugandoli poi con l’asciugatoio di cui era cinto.
Bisogna sottolineare che a quell’epoca si camminava a piedi su strade polverose e fangose, magari sporche di escrementi di animali, che rendevano i piedi, calzati da soli sandali, in condizioni immaginabili a fine giornata. La lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico, era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito, del figlio verso il padre e veniva effettuata con un catino apposito e con un “lention” (asciugatoio) che alla fine era divenuto una specie di divisa di chi serviva a tavola.
Quando fu il turno di Simon Pietro, questi si oppose al gesto di Gesù: “Signore tu lavi i piedi a me?” e Gesù rispose: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”; allora Pietro che non comprendeva il simbolismo e l’esempio di tale atto, insisté: “Non mi laverai mai i piedi”. Allora Gesù rispose di nuovo: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” e allora Pietro con la sua solita impulsività rispose: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”. Questa lavanda è una delle più grandi lezioni che Gesù dà ai suoi discepoli, perché dovranno seguirlo sulla via della generosità totale nel donarsi, non solo verso le abituali figure, fino allora preminenti del padrone, del marito, del padre, ma anche verso tutti i fratelli nell’umanità, anche se considerati inferiori nei propri confronti.
L’ANNUNCIO DEL TRADIMENTO DA PARTE DI GIUDA
Dopo la lavanda Gesù si rivestì e tornò a sedere fra i dodici apostoli e instaurò con loro un colloquio di alta suggestione, accennando varie volte al tradimento che avverrà da parte di uno di loro, facendo scendere un velo di tristezza e incredulità in quel rituale convivio. “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”, dice Gesù. Parole alle quali gli apostoli reagiscono sgomenti e in varie tonalità gli domandano chi fosse, lo stesso Giovanni il discepolo prediletto, poggiandosi con il capo sul suo petto, in un gesto di confidenza, domandò: “Signore, chi è?”. E Gesù commosso rispose: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” e intinto un boccone lo porse a Giuda Iscariota, dicendogli: “Quello che devi fare, fallo al più presto”; fra lo stupore dei presenti che continuarono a non capire, mentre Giuda, preso il boccone si alzò, ed uscì nell’oscurità della notte.
LA REPOSIZIONE DELL’EUCARISTIA E L’INIZIO DELLA PASSIONE
I riti liturgici del Giovedì Santo, giorno in cui la Chiesa celebra oltre l’istituzione dell’Eucaristia, anche quella dell’Ordine Sacro, ossia del sacerdozio cristiano, si concludono dopo la messa della Cena con la reposizione dell’Eucaristia in un cappella laterale delle chiese, addobbata a festa per ricordare l’istituzione del Sacramento; cappella che sarà meta di devozione e adorazione, per la rimanente sera e per tutto il giorno dopo, finché non iniziano i riti del pomeriggio del Venerdì Santo. Tutto il resto del tempio viene oscurato, in segno di dolore perché è iniziata la Passione di Gesù; le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti.