E altri fatti poco conosciuti sul grande santo di Assisi.
Quando la maggior parte delle persone pensa a San Francesco, immagina un mendicante estasiato che accarezza dolcemente un lupo mentre tiene nell’altra mano una colomba bianca. Ma il vero San Francesco era una figura molto più complessa.
I Fioretti di San Francesco (in italiano “Piccoli fiori di San Francesco”, una prima raccolta di leggende popolari riguardanti la vita del santo e dei suoi primi compagni, molto probabilmente scritta dal cronista francescano Ugolino Brunforte hanno fatto molto per propagare l’immagine odierna di San Francesco San Francesco.
Ciò che potrebbe sorprendere alcune persone è che, in breve, passò dall’essere un frequentatore di feste rumorose medievali un po’ ossessionato da Re Artù alla rinuncia alla sua ricchezza ereditata e ad abbracciare una vita di povertà radicale , tutto questo mentre, sì, sperimentava estasi mistiche.
Ecco quattro fatti poco conosciuti sul popolare santo italiano.
Il suo nome non era Francesco maGiovanni
Nato nel 1181 o nel 1182 (la data esatta della sua nascita è piuttosto incerta), fu battezzato su richiesta della madre come Giovanni di Pietro Di Bernardone, dal nome di San Giovanni Battista ( Giovanni Battista , in italiano). In seguito fu ribattezzato Francesco (Francesco) da suo padre, Pietro Di Bernardone, un ricco mercante di stoffe che fece fortuna commerciando con la Francia. Il nuovo nome del bambino era un omaggio entusiastico al paese che gli aveva portato ricchezza: Francesco, che traduce liberamente in francese .
Era un aspirante guerriero che andava alle feste.
L’agiografia, la tradizione popolare e alcuni biografi tendono a descrivere il Francesco pre-conversione come una sorta di animale da festa quasi libertino. Questo è solo parzialmente vero. Sicuramente era stato viziato dai suoi genitori, ed era rispettato e forse anche ammirato con invidia dai suoi concittadini per la sua ricchezza e amabilità. Sappiamo da alcune fonti che amava fare allegria e aveva un cuore da avventuriero, ma non ci sono prove che si abbandonasse effettivamente ai vizi. La tendenza a rappresentarlo quasi come un cattivo può essere intesa solo come l’intenzione di creare un netto contrasto con il Francesco post-conversione. In realtà, tutto ciò che sappiamo di Francesco prima della conversione, soprattutto dalle leggende transalpine medievali, è questoera un giovane piuttosto estroverso che amava stare con la gente e amava la poesia e la musica . Voleva infatti diventare cavaliere e combatté due guerre: una civile ad Assisi e l’altra contro la città-stato di Perugia. In questa seconda battaglia venne catturato e rimase imprigionato per oltre un anno.
Ha cercato di convertire il sultano .
Durante la quinta crociata, Francesco si recò in Egitto per convertire il sultano Malik al-Kamil, nipote di Saladino. San Bonaventura descrisse l’incontro:
“Il sultano chiese loro da chi e perché e in quale veste fossero stati inviati, e come fossero arrivati lì;ma Francesco rispose che erano stati inviati da Dio, non dagli uomini, per indicare a lui e ai suoi sudditi la via della salvezza e proclamare la verità del messaggio evangelico.Quando il sultano vide il suo entusiasmo e il suo coraggio, lo ascoltò volentieri e lo spinse a restare con lui.
Si dice che Francesco abbia salutato il Sultano con il saluto “il Signore ti dia la pace”, una formula che il Sultano avrebbe potuto trovare familiare (“as-salaam alaykhum”). Da un lato, questo è il saluto classico che si trova nella maggior parte delle epistole del Nuovo Testamento (di Paolo, Pietro e Giovanni) così come nell’Apocalisse di Giovanni . Del resto, Cristo stesso usa questa stessa formula di saluto quattro volte dopo la sua risurrezione, secondo i vangeli di Luca e Giovanni. Ma, d’altro canto, il fatto che nei Vangeli troviamo questo saluto scritto in greco non significa che si tratti soltanto di un saluto tradizionale greco. Infatti “la pace sia con voi” è un saluto tradizionale ebraico e arabo (usato comunemente anche dai cristiani arabi, sia come saluto che come formula liturgica).In entrambe le lingue, quando si viene accolti con “shalom aleichem” o “as-salaam alaykhum” (rispettivamente ebraico e arabo per “la pace sia con voi”), la risposta tipica corretta è “aleichem shalom” o “wa alaykumu as- salaam” (“e la pace sia anche su di te”), così come i cristiani rispondono “e con il tuo spirito” nei servizi liturgici. Infatti, la formula liturgica latina – che è tratta dalla Bibbia latina, la Vulgata – è ancora più simile sia a quella ebraica che a quella araba, e si ispira a un passo di Matteo 10,13 (“Se la casa è degna , riposi su di esso la tua pace; se non lo è, ritorni a te la tua pace”): si legge “pax vestra revertetur ad vos”, “torni a te la tua pace”. È naturale che Francesco abbia deciso di usare questo saluto.
Anche se il Sultano non si convertì, Francesco e il Sultano divennero veri amici. Dieci anni dopo, Al-Kamil donò gratuitamente Gerusalemme ai cristiani.
La tomba di Francesco è andata perduta per anni .
San Francesco morì il 3 ottobre 1226. Il 16 luglio 1228, a soli due anni dalla sua morte, fu dichiarato santo da papa Gregorio IX , l’ex cardinale Ugolino di Conti, amico di Francesco e cardinale protettore di l’ordine. Il giorno successivo, il Papa pose la prima pietra della Basilica di San Francesco ad Assisi. La costruzione iniziò rapidamente. Francesco fu sepolto il 25 maggio 1230 sotto l’attuale Basilica Inferiore, ma la sua tomba fu presto nascosta per ordine di frate Elia (terzo ministro generale dell’ordine, subito dopo Pietro Catani, succeduto allo stesso Francesco) per proteggerla. dagli invasori saraceni. Il suo luogo di sepoltura rimase sconosciuto, finché non fu riscoperto nel 1818.Inoltre, solo nel 1978 i resti furono esaminati e confermati da una commissione di studiosi nominata da Papa Paolo VI, e deposti in un’urna di bronzo nell’antica tomba di pietra.
Assicurati di visualizzare la presentazione qui sotto per scoprire il luogo in cui la tradizione afferma che San Francesco ricevette le stimmate.
Chiamava Maria il mio amore, la mia consolazione, la mamma mia.
Offri la vita tua come Maria Ai piedi della croce E sarai servo di ogni uomo Servo per amore Sacerdote dell’umanità
Figlio di un notaio fiorentino di buona famiglia. Ricevette una buona istruzione e poi fece pratica dell’attività di suo padre; ma aveva subito l’influenza dei domenicani di san Marco, dove Savonarola era stato frate non molto tempo prima, e dei benedettini di Montecassino, e all’età di diciott’anni abbandonò gli affari e andò a Roma. Là visse come laico per diciassette anni e inizialmente si guadagnò da vivere facendo il precettore, scrisse poesie e studiò filosofia e teologia. A quel tempo la città era in uno stato di grande corruzione, e nel 1538 Filippo Neri cominciò a lavorare fra i giovani della città e fondò una confraternita di laici che si incontravano per adorare Dio e per dare aiuto ai pellegrini e ai convalescenti, e che gradualmente diedero vita al grande ospizio della Trinità. Filippo passava molto tempo in preghiera, specialmente di notte e nella catacomba di san Sebastiano, dove nel 1544 sperimentò un’estasi di amore divino che si crede abbia lasciato un effetto fisico permanente sul suo cuore. Nel 1551 Filippo Neri fu ordinato prete e andò a vivere nel convitto ecclesiastico di san Girolamo, dove presto si fece un nome come confessore; gli fu attribuito il dono di saper leggere nei cuori. Ma la sua occupazione principale era ancora il lavoro tra i giovani. San Filippo era assistito da altri giovani chierici, e nel 1575 li aveva organizzati nella Congregazione dell’Oratorio; per la sua società (i cui membri non emettono i voti che vincolano gli ordini religiosi e le congregazioni), costruì una nuova chiesa, la Chiesa Nuova, a santa Maria “in Vallicella”. Diventò famoso in tutta la città e la sua influenza sui romani del tempo, a qualunque ceto appartenessero, fu incalcolabile.
Tra le periferie del centro Quando Filippo Neri arriva a Roma nel 1534, è come se una luce venisse accesa nel buio della miseria che annida tra le glorie dell’Ara Pacis e i lustri travertini dei palazzi nobiliari. Il centro dell’Urbe ha la faccia sporca delle periferie e lì Filippo andrà a prendere una stanzetta, a San Girolamo a via Giulia. Di giorno, viso simpatico e cuore lieto che porta a chi incontra il calore di Dio, senza nemmeno essere un prete, accompagnandolo se può con un pezzo di pane. O una carezza sulla fronte, un conforto sussurrato, a chi si lamenta sui pagliericci dell’Ospedale degli Incurabili. Di notte, un’anima di fuoco, Filippo, perso in un dialogo talmente intimo con Dio che il suo letto può essere senza problemi il sagrato di una chiesa o la pietra di una catacomba.
Il sorriso sempre Questo – ricorda il Papa nel suo messaggio per il 500.mo – lo rese “appassionato annunciatore della Parola di Dio”. Questo è stato il segreto che fece di lui un “cesellatore di anime”. La sua paternità spirituale, osserva Francesco, “traspare da tutto il suo agire, caratterizzato dalla fiducia nelle persone, dal rifuggire dai toni foschi ed accigliati, dallo spirito di festosità e di gioia, dalla convinzione che la grazia non sopprime la natura ma la sana, la irrobustisce e la perfeziona”. “Si accostava alla spicciolata ora a questo, ora a quello e tutti divenivano presto suoi amici”, racconta il suo biografo e il Papa commenta: “Amava la spontaneità, rifuggiva dall’artificio, sceglieva i mezzi più divertenti per educare alle virtù cristiane, al tempo stesso proponeva una sana disciplina che implica l’esercizio della volontà per accogliere Cristo nel concreto della propria vita”.
L’ora dell’Oratorio Tutto questo affascina chi, conoscendo Filippo, vuole fare come lui. L’“Oratorio” nasce così, tra i tuguri fetidi profumati giorno per giorno da una carità fatta di carne e non per un progetto disegnato sulla carta e calato dall’alto come un’elemosina data a freddo. “Grazie anche all’apostolato di San Filippo – riconosce Papa Francesco – l’impegno per la salvezza delle anime tornava ad essere una priorità nell’azione della Chiesa; si comprese nuovamente che i Pastori dovevano stare con il popolo per guidarlo e sostenerne la fede”. E pastore lo diventa lui stesso, Filippo, che nel 1551 approda al sacerdozio senza per questo cambiare vita e stile. Col tempo, attorno a lui prende corpo la prima comunità, la cellula della futura Congregazione che nel 1575 riceve il placet di Gregorio XIII.
“State bassi” “Figliuoli, siate umili, state bassi: siate umili, state bassi”, ripete ai suoi padre Filippo, che ricorda che per essere figli di Dio “non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare”. E colpisce, da un’anima tanto contemplativa come Maria ai piedi di Gesù, il piglio di Marta che convive nel suo cuore quando afferma: “È meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che starsene in camera a fare orazione”. Filippo Neri, il terzo Apostolo di Roma, chiude gli occhi alle prime ore del 26 maggio 1595. Mai spento è il dinamismo del suo amore e a Roma che si prepara al Giubileo della misericordia sembra che ripeta: “Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni”.
Filippo Neri nasce a Firenze il 21 luglio 1515, e riceve il battesimo nel “bel san Giovanni” dei Fiorentini il giorno seguente, festa di S. Maria Maddalena. La famiglia dei Neri, che aveva conosciuto in passato una certa importanza, risentiva allora delle mutate condizioni politiche e viveva in modesto stato economico. Il padre, ser Francesco, era notaio, ma l’esercizio della sua professione era ristretto ad una piccola cerchia di clienti; la madre, Lucrezia da Mosciano, proveniva da una modesta famiglia del contado, e moriva poco dopo aver dato alla luce il quarto figlio. La famiglia si trovò affidata alle cure della nuova sposa di ser Francesco, Alessandra di Michele Lenzi, che instaurò con tutti un affettuoso rapporto, soprattutto con Filippo, il secondogenito, dotato di un bellissimo carattere, pio e gentile, vivace e lieto, il “Pippo buono” che suscitava affetto ed ammirazione tra tutti i conoscenti. Dal padre, probabilmente, Filippo ricevette la prima istruzione, che lasciò in lui soprattutto il gusto dei libri e della lettura, una passione che lo accompagnò per tutta la vita, testimoniata dall’inventario della sua biblioteca privata, lasciata in morte alla Congregazione romana, e costituita di un notevole numero di volumi. La formazione religiosa del ragazzo ebbe nel convento dei Domenicani di San Marco un centro forte e fecondo. Si respirava, in quell’ambiente, il clima spirituale del movimento savonaroliano, e per fra Girolamo Savonarola Filippo nutrì devozione lungo tutto l’arco della vita, pur nella evidente distanza dai metodi e dalle scelte del focoso predicatore apocalittico. Intorno ai diciotto anni, su consiglio del padre, desideroso di offrire a quel figlio delle possibilità che egli non poteva garantire, Filippo si recò da un parente, avviato commerciante e senza prole, a San Germano, l’attuale Cassino. Ma l’esperienza della mercatura durò pochissimo tempo: erano altre le aspirazioni del cuore, e non riuscirono a trattenerlo l’affetto della nuova famiglia e le prospettive di un’agiata situazione economica. Lo troviamo infatti a Roma, a partire dal 1534. Vi si recò, probabilmente, senza un progetto preciso. Roma, la città santa delle memorie cristiane, la terra benedetta dal sangue dei martiri, ma anche allettatrice di tanti uomini desiderio di carriera e di successo, attrasse il suo desiderio di intensa vita spirituale: Filippo vi giunse come pellegrino, e con l’animo del pellegrino penitente, del “monaco della città” per usare un’espressione oggi di moda, visse gli anni della sua giovinezza, austero e lieto al tempo stesso, tutto dedito a coltivare lo spirito. La casa del fiorentino Galeotto Caccia, capo della Dogana, gli offrì una modesta ospitalità – una piccola camera ed un ridottissimo vitto – ricambiata da Filippo con l’incarico di precettore dei figli del Caccia. Lo studio lo attira – frequenta le lezioni di filosofia e di teologia dagli Agostiniani ed alla Sapienza – ma ben maggiore è l’attrazione della vita contemplativa che impedisce talora a Filippo persino di concentrarsi sugli argomenti delle lezioni. La vita contemplativa che egli attua è vissuta nella libertà del laico che poteva scegliere, fuori dai recinti di un chiostro, i modi ed i luoghi della sua preghiera: Filippo predilesse le chiese solitarie, i luoghi sacri delle catacombe, memoria dei primi tempi della Chiesa apostolica, il sagrato delle chiese durante le notti silenziose. Coltivò per tutta la vita questo spirito di contemplazione, alimentato anche da fenomeni straordinari, come quello della Pentecoste del 1544, quando Filippo, nelle catacombe si san Sebastiano, durante una notte di intensa preghiera, ricevette in forma sensibile il dono dello Spirito Santo che gli dilatò il cuore infiammandolo di un fuoco che arderà nel petto del santo fino al termine dei suoi giorni. Questa intensissima vita contemplativa si sposava nel giovane Filippo ad un altrettanto intensa, quanto discreta nelle forme e libera nei metodi, attività di apostolato nei confronti di coloro che egli incontrava nelle piazze e per le vie di Roma, nel servizio della carità presso gli Ospedali degli incurabili, nella partecipazione alla vita di alcune confraternite, tra le quali, in modo speciale, quella della Trinità dei Pellegrini, di cui Filippo, se non il fondatore, fu sicuramente il principale artefice insieme al suo confessore P. Persiano Rosa. A questo degnissimo sacerdote, che viveva a san Girolamo della Carità, e con il quale Filippo aveva profonde sintonie di temperamento lieto e di impostazione spirituale, il giovane, che ormai si avviava all’età adulta, aveva affidato la cura della sua anima. Ed è sotto la direzione spirituale di P. Persiano che maturò lentamente la chiamata alla vita sacerdotale. Filippo se ne sentiva indegno, ma sapeva il valore dell’obbedienza fiduciosa ad un padre spirituale che gli dava tanti esempi di santità. A trentasei anni, il 23 maggio del 1551, dopo aver ricevuto gli ordini minori, il suddiaconato ed il diaconato, nella chiesa parrocchiale di S. Tommaso in Parione, il vicegerente di Roma, Mons. Sebastiano Lunel, lo ordinava sacerdote. Messer Filippo Neri continuò da sacerdote l’intensa vita apostolica che già lo aveva caratterizzato da laico. Andò ad abitare nella Casa di san Girolamo, sede della Confraternita della Carità, che ospitava a pigione un certo numero di sacerdoti secolari, dotati di ottimo spirito evangelico, i quali attendevano alla annessa chiesa. Qui il suo principale ministero divenne l’esercizio del confessionale, ed è proprio con i suoi penitenti che Filippo iniziò, nella semplicità della sua piccola camera, quegli incontri di meditazione, di dialogo spirituale, di preghiera, che costituiscono l’anima ed il metodo dell’Oratorio. Ben presto quella cameretta non bastò al numero crescente di amici spirituali, e Filippo ottenne da “quelli della Carità” di poterli radunare in un locale, situato sopra una nave della chiesa, prima destinato a conservare il grano che i confratelli distribuivano ai poveri. Tra i discepoli del santo, alcuni – ricordiamo tra tutti Cesare Baronio e Francesco Maria Tarugi, i futuri cardinali – maturarono la vocazione sacerdotale, innamorati del metodo e dell’azione pastorale di P. Filippo. Nacque così, senza un progetto preordinato, la “Congregazione dell’Oratorio”: la comunità dei preti che nell’Oratorio avevano non solo il centro della loro vita spirituale, ma anche il più fecondo campo di apostolato. Insieme ad altri discepoli di Filippo, nel frattempo divenuti sacerdoti, questi andarono ad abitare a San Giovanni dei Fiorentini, di cui P. Filippo aveva dovuto accettare la Rettoria per le pressioni dei suoi connazionali sostenuti dal Papa. E qui iniziò tra i discepoli di Filippo quella semplice vita famigliare, retta da poche regole essenziali, che fu la culla della futura Congregazione. Nel 1575 Papa Gregorio XIII affidò a Filippo ed ai suoi preti la piccola e fatiscente chiesa di S. Maria in Vallicella, a due passi da S. Girolamo e da S. Giovanni dei Fiorentini, erigendo al tempo stesso con la Bolla “Copiosus in misericordia Deus” la “Congregatio presbyterorm saecularium de Oratorio nuncupanda”. Filippo, che continuò a vivere nell’amata cameretta di San Girolamo fino al 1583, e che si trasferì, solo per obbedienza al Papa, nella nuova residenza dei suoi preti, si diede con tutto l’impegno a ricostruire in dimensioni grandiose ed in bellezza la piccola chiesa della Vallicella. Qui trascorse gli ultimi dodici anni della sua vita, nell’esercizio del suo prediletto apostolato di sempre: l’incontro paterno e dolcissimo, ma al tempo stesso forte ed impegnativo, con ogni categoria di persone, nell’intento di condurre a Dio ogni anima non attraverso difficili sentieri, ma nella semplicità evangelica, nella fiduciosa certezza dell’infallibile amore divino, nella letizia dello spirito che sgorga dall’unione con Dio. Si spense nelle prime ore del 26 maggio 1595, all’età di ottant’anni, amato dai suoi e da tutta Roma di un amore carico di stima e di affezione. La sua vita è chiaramente suddivisa in due periodi di pressoché identica durata: trentasei anni di vita laicale, quarantaquattro di vita sacerdotale. Ma Filippo Neri, fiorentino di nascita – e quanto amava ricordarlo! – e romano di adozione – tanto egli aveva adottato Roma, quanto Roma aveva adottato lui! – fu sempre quel prodigio di carità apostolica vissuta in una mirabile unione con Dio, che la Grazia divina operò in un uomo originalissimo ed affascinante. “Apostolo di Roma” lo definirono immediatamente i Pontefici ed il popolo Romano, attribuendogli il titolo riservato a Pietro e Paolo, titolo che Roma non diede a nessun altro dei pur grandissimi santi che, contemporaneamente a Filippo, avevano vissuto ed operato tra le mura della Città Eterna. Il cuore di Padre Filippo, ardente del fuoco dello Spirito, cessava di battere in terra in quella bella notte estiva, ma lasciava in eredità alla sua Congregazione ed alla Chiesa intera il dono di una vita a cui la Chiesa non cessa di guardare con gioioso stupore. Ne è forte testimonianza anche il Magistero del Santo Padre Giovanni Paolo II che in varie occasioni ha lumeggiato la figura di san Filippo Neri e lo ha citato, unico dei santi che compaiano esplicitamente con il loro nome, nella Bolla di indizione del Grande Giubileo del 2000.
MARIA LA FORMATRICE DEI SANTI
L’AMATA DAI SANTI
Maria Santissima è la Madre dei Santi. Dove c’è un Santo c’è Maria, ho già scritto. Sì, perché senza Maria il cammino verso la santità è impossibile. E’ Lei la Formatrice dei Santi come anche Lei formò il Santissimo nel concepirLo, darLo al mondo, curarLo, guidarLo nei Suoi primi passi e nella crescita. È stata la Maestra di Gesù Bambino, di quel Bambino il cui Spirito era lo Spirito del Creatore del mondo. Maria ha ricevuto dal Figlio, l’incarico di formare tutti i Santi, e Lei svolge questo compito con lo stesso amore e con la stessa obbedienza che mostrò nell’Incarnazione del Verbo in Lei. Però, non sempre Maria trova l’anima eletta docile alle Sue chiamate alla Santità, allora, come Madre premurosa e sapiente, si serve anche di circostanze che apparentemente sembrano cattive. Così San Camillo de Lellis dovette benedire per tutta la vita la guerra a cui prese parte contro i turchi, e la piaga inguaribile della sua gamba; San Girolamo baciò le catene della sua prigionia a Treviso; Sant’Ignazio diLojola scrisse che la grave ferita di Pamplona, gli aprì gli occhi dell’anima; San Pietro Gonzales benedisse la sua caduta, per l’impennarsi del cavallo, tra gli scherni del popolo che prima lo aveva applaudito; Sant’Alfonso Maria dè Liguori dovette alla dimenticanza di un documento, per pura distrazione, una sconfitta in tribunale, che gli fece abbandonare il foro e il mondo, per abbracciare una vita che lo condusse alla santità. Diventerà uno dei più appassionati innamorati della Madonna e, su Lei, scriverà uno dei libri più letti nel mondo: “Le Glorie di Maria”. La Madonna è la Regina dei Santi, perchè Li supera tutti nelle virtù e nella gloria. Ella apparve a San Tommaso di Canterbuy dicendo che in Cielo gode sette particolari gaudi:1- perchè è glorificata più di tutte le creature;2- perchè supera tutte le gerarchie celesti nella Verginità;3- perchè l’intera corte celeste rifulge della Sua gloria;4- perchè tutta la corte celeste La onora e La venera quale Madre di Dio;5- perchè da Sua Figlio ha ottenuto il potere di ottenere per noi qualsiasi favore;6- perchè ai Suoi devoti in Cielo è preparata una gloria speciale;7- perchè la Sua gloria aumenta e dura per tutta l’eternità.Tutti i Santi hanno faticato per imitare Maria, essendo a conoscenza che, più si ama Lei e più si diventa come Lei. Più si prega Maria e più l’anima viene inondata dello Spirito di Maria. Se si dovesse scrivere l’amore che ogni Santo ha avuto per Maria, si dovrebbero riempire di libri le più grandi Biblioteche del mondo, anzi, non basterebbero neppure. Ogni Santo ha amato appassionatamente Maria. Dice San Bernardino da Feltre, che “tutti i Santi del Paradiso guardano a Maria. Se tu hai Maria dalla tua, allora hai tutto, altrimenti non hai nulla, perchè tutto il Paradiso guarda a Lei; e se i Santi La vedono favorevole, tutti presentano suppliche, altrimenti nessuno osa incominciare: tutti tacciono”.Amiamo la Madonna, perchè è la Maestra di santità. Tutti i Santi si sono consumati nell’amare Maria e, se sono stati i più grandi ed anime eroiche, è per la devozione a Maria Santissima. Santi canonizzati dalla Santa Chiesa Cattolica e anime che in vita si sono distinte per la vita particolarmente evangelica, in Paradiso osannano Maria e saranno eternamente riconoscenti per l’ineguagliabile aiuto che Maria ha dato a tutti Loro. San Francesco d’Assisi fu un’anima eminentemente mariana: venerava la Madonna nelle veglie notturne, Le cantava speciali lodi, Le elevava continue preghiere, a Lei consacrò tutti i suoi affetti, La volle come Protettrice dell’Ordine, faceva ogni anno una austera Quaresima in onore di Maria che iniziava il 29 giugno e durava fino al 15 agosto; Santa Veronica Giuliani per tre anni si nutrì solamente di pane ed acqua, e non era mai appagata delle inaudite penitenze che faceva per la Madonna; Padre Pio da Pietrelcina recitava ogni giorno innumerevoli Ave Maria, digiunava ogni sabato a pane ed acqua in onore di Maria, e diceva ai numerosi miracolati: “Ringraziate la Madonna”; San Salvatore da Horta, straordinario operatore di miracoli, prima di invocare la Madonna per ottenere miracoli e guarigioni, faceva mettere gli innumerevoli pellegrini davanti l’altare della Madonna e li invitava ad avere grande fiducia nella potenza di Maria; San Massimiliano Maria Kolbe è chiamato il folle dell’Immacolata per il suo infuocato amore alla Madre di Dio; al mortificato e penitente Beato Bernardo da Corleone apparve la Madonna e gli disse che dopo poco tempo sarebbe morto, allorchè il fraticello pieno di gioia, corse in cucina saltellando e sospirando “Paradiso! Paradiso!”; San Leonardo da Porto Maurizio ogni volta che suonava l’orologio recitava un’Ave Maria; San Crispino da Viterbo rimaneva ogni sera per più ore dinanzi un quadro di Maria, assorto in contemplazione; San Giuseppe da Copertino quando pregava la Madonna andava in estasi, si alzava da terra e rimaneva sollevato in aria senza appoggio dinanzi una Statua della Madonna, anzi, gli bastava sentire solamente il Nome di Maria per volare in alto; San Luigi da Monfort salutava la Madonna trecento volte al giorno con atti d’amore; Sant’Alfonso Rodriguez digiunava rigorosamente tutti i sabati dell’anno, teneva sempre in mano la Corona del Rosario e recitava l’Ave Maria in onore della Madonna a tutte le ore del giorno e della notte. Pregava pensando a Maria presente, donava tutte le sue suppliche a Maria; San Bonaventura, Generale francescano, ordinò che dopo la preghiera di Compieta in ogni Convento si recitasse il saluto Angelico che si diffuse in tutta la Chiesa, e volle, che ogni sabato si cantasse la Messa solenne della gran Signora; Santa Teresa di Gesù Bambino a cinque anni faceva a casa il mese di maggio, nel giorno della sua Prima Comunione fece la consacrazione totale e perenne di se stessa alla Madonna. Partendo per il Carmelo, portò con sè la statuetta della Vergine Maria e morì esclamando: “Gesù! Maria! Vi amo”; San Casimiro scrisse una lode a Maria per recitarla ogni giorno e volle venisse messa nella sua tomba; Cristoforo Colombo cantò la Salve Regina quando scoprì l’America; San Pietro Tommaso era il confidente di Maria, e l’abitudine di portare Maria nel cuore lo trasformò in Lei; la Beata Giovanna, carmelitana, quando desiderava qualche Grazia straordinaria dalla Madonna, recitava quindicimila Ave Maria, e chiudeva ogni centinaio con la Salve Regina; il monaco Bartolomeo si metteva, spogliato, sotto i ghiacci e le nevi per offrire penitenze a Maria, e per questo fu molto perseguitato dai diavoli; la Regina Santa Elisabetta faceva un digiuno di quaranta giorni in preparazione della Festa dell’Assunzione della Madonna, e nelle altre Feste digiunava a pane ed acqua; il Beato Simone digiunava più volte la settimana in onore della Madonna, ed era moderato nel parlare perchè Maria nel Vangelo non parla più di cinque volte; San Ludovico Re di Francia, sommamente devoto della Madonna, recitava ogni giorno in privato l’Ufficio della Santissima Vergine, ogni sabato dava da mangiare a tre poveri dopo aver lavato loro i piedi; Ilarione da Conversano portava sempre con sè un’immaginetta della Madonna e molto spesso la baciava, commosso e devoto; l’umile Sant’Alessio amava intensamente un’Immagine di Maria esposta nella città d’Edessa, ma restò sulla porta della Chiesa per diciassette anni e da lì La guardava, non volendo entrare dentro per profondo rispetto alla Santissima Madre; San Giuseppe Moscati, il dolce dottore dei poveri, in onore della Madonna tutti i sabati e in tutte le novene delle Sue Feste si asteneva dalla frutta. Pregava alcune ore ogni mattina prima di andare all’ospedale e recitava il Santo Rosario per essere guidato da Maria; il Beato Egidio di San Giuseppe aveva una particolare devozione alla Madonna, tanto che teneva accesi quattro ceri giorno e notte davanti ad una copia dell’Immagine della Madonna del Pozzo di Bari, e prima di uscire per la questua e quando rientrava passava sempre a salutarLa; San Gaspare del Bufalo confidava pienamente nella Madonna: quando predicava e improvvisamente pioveva, benediceva il cielo con il quadro della Madonna e subito smetteva di piovere, oppure, l’acqua non bagnava i suoi ascoltatori; San Roberto Re di Francia, nelle vigilie delle Feste di Maria faceva un rigoroso digiuno e vegliava tutta la notte in preghiera; San Francesco Solano cantava spesso le Lodi di Maria, e cantando andava in estavi per l’impeto della dolcezza; la Beata Cunegonda faceva penitenze straordinarie per amore della Madonna, ma il sabato le aumentava, tormentando il suo corpo in memoria dei Dolori di Maria; Sant’Ignazio di Lojola, appena convertito, non aveva uno zelo ordinato e voleva uccidere un moro che aveva dubitato della perpetua Verginità di Maria, ma la Santa Madre lo calmò; San Domenico di Guzman recitava ventiquattro Corone del Santo Rosario al giorno, nonostante i molti impegni di predicatore umile e straordinario; Santa Teresa d’Avila ogni sera, alla presenza della comunità, metteva devotamente nelle mani di Maria le chiavi che le venivano consegnate come si usava nel Monastero, perchè aveva fatto Priora la Madonna; San Giovanni Berchmans consacrò fin dalla fanciullezza la sua castità a Maria e ottenne il dono di straordinaria purità che l’ispirava anche a coloro che lo guardavano. Inoltre, digiunava il sabato e nei giorni di passeggio visitava sette Chiese dedicate a Maria; la Beata Maria Schininà digiunava in onore della Madonna tutti i sabati dell’anno, ogni volta che sentiva battere le ore ripeteva: “Ai Tuoi piedi, piissima Signora, voglio vivere e morire”; il figlio di Carlo II, Re di Sicilia, ammalato gravemente, fece voto alla Madonna di entrare nell’Ordine francescano se fosse guarito, e infatti, dopo la guarigione, diventerà Vescovo di Tolosae poi San Ludovico; alla bambina Rosa non piaceva il suo nome e si rivolse ad una Immagine della Beata Vergine del Rosario, che la consolò e disse che quel nome piaceva anche a Gesù, ma doveva aggiungere un altro nome: Maria. Si chiamerà Rosa di Santa Maria e dalla Chiesa canonizzata come Santa Rosa da Lima; il primo a salutare Maria, Madre di Dio, fu San Giovanni Battista, addirittura non ancora nato, quando si agitò, sentendo la voce di Maria, nel grembo della madre Sant’Elisabetta; San Giuseppe Calasanzio fu un grandissimo devoto della Madonna: ancora bambino si deliziava nel recitare il Santo Rosario, digiunava a pane ed acqua in tutte le vigilie delle Feste mariane e fondò l’Istituto, I poveri della Madre di Dio; San Tommaso d’Aquino per il suo amore alla Vergine, era chiamato: il Servo della Vergine Maria e in punto di morte gli apparve la Madonna; San Leopoldo Mandic visse da innamorato della Madonna. Cercava tutti i modi per onororLa: tutti i giorni celebrava la Messa all’altare della Madonna, più volte al giorno recitava il Santo Rosario, ogni giorno recitava l’Ufficio di Maria, digiunava in tutte le vigilie delle Feste mariane; San Francesco di Paola alla scuola di Maria imparò l’umiltà più profonda, la purezza più eroica, l’uniformità alla Volontà di Dio, l’amore verso il prossimo, la carità ardente verso Dio; per tutta la vita San Giovanni di Dio visse sotto lo sguardo materno di Maria. La sua pietà mariana era ardentissima, i suoi sacrifici per la Madonna erano innumerevoli, le suppliche continue, le privazioni per Maria di ogni genere e sulle labbra aveva sempre il nome di Maria; il Beato Antonio Baldinucci con una Immagine di Maria operava miracoli, come fermare la pioggia, far venire il bel tempo, guarire gli ammalati, moltiplicare il raccolto, convertire le anime; Santa Matilde aveva paura della morte, ma apparve la Madonna e le disse: “Se vuoi morire serenamente e santamente, recita ogni giorno tre Ave Maria”. E la Santa fece una morte invidiabile; San Francesco Saverio portava sempre appesa al collo una Corona del Rosario, e con quella otteneva guarigioni miracolose agli ammalati; San Camillo de Lellis assisteva i moribondi e li metteva sotto la protezione della Madonna, assicurando la loro salvezza eterna; San Giovanni Leonardi dall’inizio alla fine della sua vita fu veramente tutto di Maria; Padre Baldassare Guinigi, nella gioventù era amante del giuoco e del divertimento, sperperò le ricchezze paterne, ma poi fu convertito dalla Madonna e morì santamente da Sacerdote, dopo 60 anni di vita religiosa; San Paolo della Croce portava sempre al collo l’abitino dell’Addolorata e diffondeva la devozione ai Dolori di Maria; Santo Stefano Re d’Ungheria, consacrò il suo regno alla Madonna, Le edificò un grandioso tempio e volle che i suoi sudditi La chiamassero “Grande Signora”; Padre Marco Calvo ornò del nome di Maria -quasi fosse un sigillo- i libri, le vesti e tutte le altre cose che aveva in uso. Avrebbe voluto che il nome di Maria fosse scolpito sulle porte e sulle pareti; Giovanni Giuseppe Sahun godeva della presenza abituale della Madonna e l’amore per Lei, lo elevò in pochi anni, alle vette della santità; Sant’Alfonso Maria dè Liguori digiunava ogni sabato a pane ed acqua, ogni giorno recitava il Rosario intero e l’Ave Maria al suono della campana; San Gabriele dell’Addolorata era chiamato il messaggero dell’Addolorata, e l’Addolorata fu quasi tutta la ragione della sua vita; Sant’Alberto Magno onorava la Madonna in tutti i modi, e pur essendo incapace nello studio diventò un dotto per Grazia di Maria; San Pierluigi una volta si ferì ad un dito, intinse con la penna un poco del suo sangue e scrisse: “Amare Maria e farLa amare”; Padre Duscarne era devoto dei Dolori di Maria e un giorno ottenne una Grazia dopo aver meditato su Maria Addolorata, facendo per quattordici volte la Via Crucis; Santa Giacinta Marescotti dal giorno della sua “seconda conversione” avvenuta fra le clarisse dopo dieci anni di vita dissipata e scandalosa nel monastero, non volle chiamarsi più Marescotti, ma Giacinta di Maria Vergine, e da quel giorno cominciò una vita di straordinaria penitente.E innumerevoli altri esempi di devozione alla Madonna si potrebbero narrare, perché ogni Santo è stato formato dall’Amore di Maria, modellato secondo l’esemplare, che è Maria, e trasformato per gli insegnamenti di Maria. La Madonna è sempre vicina ad ogni anima, e guarda con compassione chi soffre e La invoca. Per consolare Suor Josefa Menendez le disse: “Figlia mia, non temere mai nè le sofferenze nè i sacrifici. Le vie di Dio sono fatte così. Se vuoi uscire vittoriosa dagli assalti del nemico, ti raccomando due cose: umiliati poiché sei un nulla e meriti nulla, tutto è Grazia di Dio; in secondo luogo, quando ti trovi abbandonata, circondata da tentazioni, con l’anima fredda e senza forza per combattere, non tralasciare mai la preghiera… e va subito ad aprire il tuo cuore a Colei che mio Figlio ti ha dato per Madre quaggiù”.