Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. C’è anche per te una pietà sovrumana. Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico, intriso di sangue e coronato di spine, che sfiora con un bacio la tua fronte febbricitante. Ecco un grembo dolcissimo di donna che ti avvolge di tenerezza. Tra quelle braccia materne si svelerà, finalmente, tutto il mistero di un dolore che ora ti sembra un assurdo. Coraggio. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga. don Tonino Bello
SU ALI D’AQUILA (Salmo 96 )
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Il giorno successivo alla Pasqua, detto comunemente Pasquetta, è chiamato anche lunedì di Pasqua, e nel calendario liturgico cattolico, lunedì dell’Ottava di Pasqua.
Questa festività che “allunga” quella di Pasqua, prende il nome dal fatto che in questo giorno si ricorda l’incontro dell’angelo con le donne giunte al sepolcro di Gesù. Il Vangelo racconta che Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Giuseppe, e Salomè andarono al sepolcro, dove Gesù era stato sepolto, con degli olii aromatici per imbalsamare il corpo di Gesù. Vi trovarono il grande masso che chiudeva l’accesso alla tomba spostato; le tre donne erano smarrite e preoccupate e cercavano di capire cosa fosse successo, quando apparve loro un angelo che disse: “Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui! È risorto come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto” (Mc 16,1-7). E aggiunse: “Ora andate ad annunciare questa notizia agli Apostoli”, ed esse si precipitarono a raccontare l’accaduto agli altri.
L’espressione “lunedì dell’Angelo”, diffusa in Italia, è tradizionale e non appartiene al calendario liturgico della Chiesa cattolica, il quale lo indica come lunedì dell’Ottava di Pasqua, alla stessa stregua degli altri giorni dell’ottava (martedì, mercoledì ecc.)
Perché il giorno dopo la Pasqua si chiama Lunedì dell’Angelo? E perché non è festa di precetto? La tradizione nella Chiesa è fonte certa per la fede del popolo di Dio, e va colto il significato profondo che essa ha attribuito nei secoli a giorni e gesti che hanno un valore determinante per il senso cristiano della storia.
Il Lunedì dell’Angelo è un prolungamento della Pasqua, come rispondendo alla necessità di gustare e contemplare una scena che ha cambiato la storia del mondo, e la nostra personale. Siamo di fronte al punto di svolta per il Creato e l’umanità: e dopo il giorno di festa grande nel quale si è come sopraffatti dalla grandezza della notizia del sepolcro vuoto e del Figlio di Dio risorto e vivo, la fede della gente ha sancito la necessità di soffermarsi sul messaggio dell’annuncio di Pasqua. Recato da un angelo.
Quella alla quale la Chiesa dedica la giornata che segue l’evento della Risurrezione è infatti la risposta dell’uomo alla sorpresa di Dio, alla sua promessa di una compagnia che non verrà mai più meno. La risposta, per la verità, è della donna: perché l’Angelo al quale la Chiesa ci invita a guardare in questa giornata appare alle donne che si erano recate al sepolcro “portando con sé gli aromi che avevano preparato” per il corpo di Gesù calato dalla croce il venerdì e dopo la sosta del sabato ebraico. Le parole dell’Angelo suonano sbalorditive, inaudite: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato”.
L’annuncio centrale della fede si realizza in un incontro, suscita stupore, e muove a comunicare subito ciò che si è scoperto. “Tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo”. Ancora pieni di gioia per la Pasqua, siamo incoraggiati a tornare al cuore della scena, come se un giorno solo non bastasse. In questo lunedì protagonista è tutto il movimento generato dal dialogo tra Dio e l’essere umano che è dentro il messaggio di Pasqua ma che ha bisogno di un suo spazio, sebbene la definizione liturgica di questa giornata sia “Lunedì nell’Ottava di Pasqua” e l’Angelo sia piuttosto il nome popolare che la tradizione gli ha conferito, a sottolinearne il messaggio proprio.
Devozione, dunque, più che mistero di fede: un’estensione della Pasqua che non a caso popolarmente ha fatto di questo giorno la “Pasquetta”, una piccola Pasqua tutta per festeggiare uscendo dal sepolcro di ciascuno e mettendosi in movimento (la gita fuori porta, sospesa dalla pandemia come uscita fisica, ma non nel nostro intimo). Conseguenza di queste caratteristiche devozionali è il fatto che la Chiesa non preveda il precetto, ovvero il dovere per il credente di partecipare all’Eucaristia nel giorno della festa che ricorda la Pasqua (è ciò che fa ogni domenica dell’anno).
Ma questa giornata devozione alimentata dalla fede delle generazioni credenti ha come costruito un singolarissimo giorno supplementare di festa, che ha trovato anche la forma di una preghiera: la sequenza “Victimae Paschali Laudes”, che risale all’XI secolo e che popolarmente è nota per la domanda in rima a Maria (Maddalena, protagonista della commovente scena in cui è chiamata per nome dal Risorto) cui la Chiesa domanda “cos’hai visto per la via”. E allora, è bello recitarla e meditarla (anche nella versione originale in latino) in questo lunedì che prolunga la Pasqua con una tale forza che anche l’autorità civile ne ha riconosciuto – pressoché ovunque nei Paesi di radice cristiana – il valore di festa per tutti.
Alla vittima pasquale, s’innalzi oggi il sacrificio di lode. L’agnello ha redento il suo gregge, l’Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre.
Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa.
«Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?». «La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto, e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto; e vi precede in Galilea». Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza.
Perché Maria, passato il sabato, appena possibile, va alla tomba? Il quarto vangelo non ci fornisce il motivo: non va per ungere il cadavere di Gesù (cf. Mc 16,1; Lc 24,1), né per osservare la tomba (cf. Mt 28,1), ma in modo totalmente gratuito. Possiamo solo dire che in lei c’è un desiderio di stare vicino al corpo morto di Gesù: colui che Maria ha amato è morto, ora il suo corpo è là nella tomba e Maria vuole stargli semplicemente vicino. È come torturata dall’“ardente intimità dell’assenza” cantata da Rainer Maria Rilke. Giunta alla tomba, vede la pietra rimossa e allora fa una corsa, va da Pietro e dal discepolo amato e dice loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro, e non sappiano dove l’abbiano posto”. All’udire ciò, i due discepoli corrono subito al sepolcro, e in quella corsa c’è una vera e propria con-correnza: il discepolo amato è più veloce e giunge per primo, poi arriva anche Pietro, che entra, vede le bende che giacciono a terra e il sudario avvolto in modo ordinato. Pietro è nell’aporia (cf. Gv 20,3-7), mentre il discepolo amato, entrato pure lui nel sepolcro, “vide e credette” (Gv 20,8).
Mentre attorno a Maria avviene tutto questo, ella, come se non se ne accorgesse, continua a piangere e, chinatasi verso il sepolcro, “scorge due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro presso i piedi, dove giaceva il corpo di Gesù”. Maria non fa molto caso neppure ai due angeli, che pure erano una manifestazione divina e avrebbero dovuto destare in lei timore (cf. Mt 16,5 e par.). No, Maria cerca Gesù, il suo Signore e – si potrebbe dire – degli angeli non sa che farsene. Proprio come Bernardo di Clairvaux che, commentando il Cantico dei cantici, esprime così la sua ricerca di Gesù: “Rifiuto le visioni e i sogni, … mi infastidiscono anche gli angeli. Perché il mio Gesù li supera di molto con la sua bellezza e il suo splendore. Non altri, dunque, sia angelo, sia uomo, ma lui prego di baciarmi con i baci della sua bocca (cf. Ct 1,2)!” (Sermoni sul Cantico dei cantici II,1). Gli angeli luminosi le chiedono: “Donna, perché piangi?”, ma Maria continua ad affermare in modo ossessivo la sua ricerca di Gesù, che definisce “il mio Signore”. Gesù è il Signore, il Kýrios della chiesa, ma è da lei chiamato “il mio Signore”. C’è qualcosa di straordinario in questo amore persistente al di là della morte, che induce Maria a cercarlo, a soffrire per il suo non sapere dove sia il suo corpo morto… Il pianto testimonia il suo dolore reso eloquente da tutto il corpo: è la Maddalena, con tutto il suo essere, corpo, mente e cuore, che cerca il corpo di Gesù, il corpo dell’amato. A Maria non bastano né il ricordo, né le sue parole, né il sepolcro che è un memoriale (mnemeîon, così il sepolcro è definito in tutti i vangeli): vuole stare accanto al corpo di Gesù. Ricerca amorosa, fedele, perseverante, che fatica ad accettare la realtà della fine di un rapporto, perché per lei Gesù significava tutto.
Tra le lacrime, Maria risponde ai due angeli che l’hanno interrogata sul suo pianto: “‘Hanno portato via il mio Signore, e non so dove l’abbiano posto’. Detto questo, si voltò indietro (estráphe eis tà opíso)”, dando inizio al dialogo con un altro personaggio, questa volta umano. Il suo voltarsi indietro ha un valore simbolico: Maria rilegge tutta la sua vita con Gesù, fa anamnesi del suo rapporto carico di amore con lui e quindi continua a piangere anche per la nostalgia per ciò che è stato e non potrà più ritornare. Nel suo dolore, si volta indietro, non guarda più la tomba né gli angeli, ma scorge un uomo, il quale le pone la medesima domanda: “Donna, perché piangi?”. Come Gesù pianse per Lazzaro morto (cf. Gv 11,35), così Maria piange per Gesù morto. Piange per amore e per dolore dell’amore, e non affatto i suoi peccati: Maria è la sola che piange per Gesù! È solo Pietro l’icona evangelica che piange i suoi peccati, la sua orrenda viltà, il suo amore breve come la rugiada del mattino (cf. Os 6,4). Pietro non piange su Gesù ma su di sé, per aver tradito l’amico (cf. Mc 14,72 e par.). Sì, Pietro dovrebbe essere icona del pentimento cristiano e Maria Maddalena icona dell’amore per Gesù!
Maria, pensando che colui che ora ha di fronte sia il giardiniere, il custode di quel giardino in cui Gesù era stato seppellito da Giuseppe di Arimatea e da Nicodemo, gli risponde: “Signore, se lo hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto, e io andrò a prenderlo”. Ma quell’uomo, che è Gesù, le chiede anche: “Chi cerchi?”, domanda analoga a quella da lui posta ai due discepoli del Battista: “Che cosa cercate?” (Gv 1,38: le sue prime parole nel quarto vangelo!). In questo interrogativo c’è qualcosa che per Maria non è nuovo, perché è la domanda essenziale che Gesù poneva a chiunque volesse diventare suo discepolo: cercare è la condizione specifica del discepolo. A quel punto Gesù, con il suo volto contro il volto di Maria, le dice: “Mariám!”, la chiama per nome, e subito lei, “voltandosi” (strapheîsa) nuovamente verso di lui, il Gesù glorificato, è pronta a riconoscerlo e a dirgli: “Rabbunì, mio maestro!” Quante volte era avvenuto quel dialogo tra lei e Gesù: lei, la pecora perduta ma ritrovata da Gesù (cf. Mt 18,12-14; Lc 15,4-7), chiamata per nome, riconosce la voce del pastore (cf. Gv 10,3-4). “Maria!”, una nuova chiamata, e, subito dopo, un invito: “Cessa di toccarmi”, cioè stacca le tue mani da me, perché non c’è più possibilità di incontro tra corpi come prima, essendo ormai il corpo di Gesù risorto nel seno del Padre. Maria, che poteva dire di essere tra quelli che “avevano udito, visto con i loro occhi, contemplato e toccato con le loro mani la Parola della vita” (cf. 1Gv 1,1), ora deve credere e amare Gesù in modo altro: il suo amore non muore, non verrà meno, ma altro è il modo in cui ora Maria deve amare Gesù! Si era voltata indietro verso il suo passato, ma ora, chiamata da Gesù, si volta verso di lui, il Risorto, senza più nostalgia del tempo precedente il suo esodo da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1).
Idea progettazione articolo a cura di Marilena Marino Vocedivina,it
E’ risorto: il capo santo più non posa nel sudario è risorto: dall’un canto dell’ avello solitario sta il coperchio rovesciato: come un forte inebbriato , il Signor si risvegliò Era l’alba; e molli il viso Maddalena e l’altre donne fean lamento in su l’Ucciso; ecco tutta di Sionne si commosse la pendice e la scolta insultatrice di spavento tramortì Un estranio giovinetto si posò sul monumento: era folgore l’aspetto era neve il vestimento: alla mesta che ‘l richiese dié risposta quel cortese: è risorto; non è qui.
Poesia di Pasqua – di Alessandro Manzoni – Resurrezione
Oggi è la Pasqua, la festa stabilita da Dio per celebrare la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Però la meraviglia della Pasqua non è solamente la resurrezione in sé, per quanto è qualcosa di strepitoso, ma il fatto che Gesù Cristo è risorto come Signore e Salvatore per noi! Celebriamo la Pasqua di Risurrezione del Signore, oggi la fede nella speranza introdotta da Gesù nella storia trova dimora nel vuoto di un sepolcro: la quiete dopo la tempesta.
Appena dopo la morte di Gesù, ci fu un terremoto, le tombe di alcuni santi si aprirono e quei santi furono resuscitati, apparvero a tanti in Gerusalemme. (Matt 27:52) Queste persone erano la primizia della resurrezione che avverrà alla fine del mondo, di cui anche noi faremo parte se siamo salvati in Cristo.
Nel vangelo di Marco 15 si legge come il centurione che stava vicino alla croce riconobbe che Gesù era il figlio di Dio, nonostante egli avesse ricevuto molto meno rivelazione di quanta ne abbiamo ricevuta noi. L’evidenza per la divinità di Gesù è chiara. Oggi non c’è alcuna scusa per non credere in Gesù Cristo, però non basta solo credere intellettualmente, vogliamo camminare per fede giorno per giorno. Infatti, SAPERE le verità di Cristo non ci trasforma, è quando viviamo pensando alle verità di Dio che la nostra vita viene trasformata.
Appena dopo la morte di Gesù, Giuseppe d’Arimatea andò da Pilato per chiedergli il corpo di Gesù. Egli faceva parte del sinedrio e molto probabilmente questo atto gli costò la sua carriera come membro del sinedrio. Anche oggi, seguire veramente Gesù vuol dire perdere o abbandonare cose che prima erano importanti per noi. Però, seguire veramente Gesù vuol dire anche trovare in Gesù il nostro vero tesoro.
Per il cristianesimo, la Pasqua è la solennità delle solennità. La festa delle feste per il mondo cristiano. La festa più grande per il cristiano. La Pasqua è il giorno della gioia, del sollievo, del gaudio che sopraggiunge, dopo una fase di dolore e di mestizia. È la dimostrazione reale della divinità di Cristo. È una forza, una energia d’amore immessa, come lievito nella vita dell’uomo o come energia incredibile, che si espande a livelli concentrici fino all’infinito cristico, alimentando e sorreggendo la speranza che anche l’uomo risorgerà, perché le membra seguono la sorte del capo, dal momento che hanno la stessa natura umana (Eb 2, 11). La Pasqua è la festa solenne per eccellenza; è l’alleluia speciale dell’uomo; è il grido di gioia dell’umanità intera. Il motivo: è il “giorno di Cristo Signore”, Creatore Redentore e Glorificatore di tutto ciò che esiste ed è salvabile; è il giorno della Gloria di Cristo, vero Dio e vero Uomo. È contemporaneamente la Pasqua del Signore e anche “nostra Pasqua” presente e futura. Mistero dei misteri!
Veglia Pasquale Per antichissima tradizione questa è “la notte di veglia in onore dei Signore” (Es 12, 42), giustamente definita “la veglia madre di tutte le veglie” (Agostino, Discorso 219). In questa notte il Signore “è passato” per salvare e liberare il suo popolo oppresso dalla schiavitù; in questa notte Cristo “è passato” alla vita vincendo la grande nemica dell’uomo, la morte; questa notte è la celebrazione-memoriale del “passaggio” dell’uomo in Dio attraverso il battesimo, la confermazione e l’eucaristia. Vegliare è un atteggiamento permanente della Chiesa, che, pur consapevole della presenza viva del suo Signore, ne attende la venuta definitiva, quando la Pasqua si compirà nelle nozze eterne con lo Sposo e nel convito della vita (Ap 19, 7-9). La liturgia non è coreografia, né vuoto ricordo, ma presenza viva, nei segni, dell’evento cardine della salvezza: la morte-risurrezione del Signore. Si può dire che per la Chiesa che celebra è sempre Pasqua, ma la ricorrenza annuale ha un’intensità ineguagliabile, perché, come solenne memoriale (ebraico zikkaron), attualizza talmente l’evento da renderlo quasi presente, nel senso che partecipa ai partecipanti al rito i frutti della grazia pasquale. La successione dei simboli, di cui è intessuta la Veglia, esprime bene il senso della risurrezione di Cristo per la vita dell’uomo e del mondo.Le parti principali dell’Azione liturgica, velocemente.
Liturgia della luce Attraverso il simbolo della Luce, che è il Cristo risorto, il mondo della tenebra viene attraversato e illuminato gradualmente fino al suo massimo splendore, con l’accensione di tutte le luci della chiesa. In Cristo, si illumina il destino dell’uomo e la sua identità di imago Christi. Il cammino della storia si apre alla speranza di nuovi cieli e nuove terre.I catecumeni e i battezzati, che la tradizione chiama “illuminati”, per la loro adesione vitale a Cristo-Luce, sanno che la loro esistenza è radicalmente cambiata, perché, con “Cristo primogenito di coloro che risuscitano dai morti” (Col 1, 18), passano “dalle tenebre alla luce ammirabile di Dio” (1Pt 2, 9), dischiudendosi davanti a loro un orizzonte di vita e libertà. Per tutti questi motivi, si innalza il “canto nuovo” (il preconio, il gloria, l’alleluia) come ricordo delle meraviglie operate dal Signore nella storia e come rendimento di grazie per una vita di Luce cristica. Liturgia della parola Le 7 letture dell’Antico Testamento sono un compendio della storia della salvezza. Già la quaresima aveva sottolineato che il battesimo è inserimento in questa grande “storia” attuata da Dio fin dalla creazione. Nella consapevolezza che la Pasqua di Cristo tutto adempie e ricapitola, la Chiesa medita ciò che Dio ha operato nella storia. Quella serie di eventi e di promesse vanno riletti come realtà che sempre si attuano nell’“oggi” della celebrazione; sono dono e mèta da perseguire continuamente.
Liturgia battesimale Il popolo chiamato da Dio a libertà deve passare attraverso un’acqua che distrugge e rigenera. Come Israele nel Mar Rosso, anche Gesù è passato attraverso il mare della morte e ne è uscito vittorioso. Nelle acque del battesimo è inghiottito il mondo del peccato e riemerge la creazione nuova. L’acqua, fecondata dallo Spirito, genera il nuovo popolo di Dio: un popolo di santi, un popolo profetico sacerdotale e regale. Con i nuovi battezzati, la Chiesa fa memoria del suo passaggio pasquale, e rinnova nelle “promesse battesimali” la propria fedeltà al dono ricevuto e agli impegni assunti in un continuo processo di rinnovamento, di conversione e di rinascita.
Liturgia eucaristica È il vertice di tutto il cammino quaresimale e della celebrazione vigiliare. Il popolo, rigenerato nel battesimo per la potenza dello Spirito, è ammesso al convito pasquale che corona la nuova condizione di libertà e riconciliazione. Partecipando al corpo e al sangue del Signore, la Chiesa offre sé stessa in sacrificio spirituale per essere sempre più inserita nella Pasqua di Cristo. Egli rimane per sempre con i battezzati nei segni, perché essi imparino a passare ogni giorno da morte a vita nella carità. Dentro la struttura e i simboli della celebrazione è possibile leggere il paradigma dell’esistenza cristiana nata dalla Pasqua: Luce, Parola, Acqua, Convito sono le realtà costitutive e i punti di riferimento essenziali della vita nuova. Uscito dal mondo tenebroso del peccato, il cristiano è chiamato a essere portatore di luce; a perseverare nell’ascolto di Cristo morto e risorto, Parola definitiva della storia; a vivere sotto la guida dello Spirito la vocazione battesimale; ad annunciare e a testimoniare nel dono di sé quel mistero di cui l’Eucaristia celebra il memoriale
Se il Natale è la festività che raccoglie la famiglia, riunisce i parenti lontani, che più fa sentire il calore di una casa, degli affetti familiari, condividendoli con chi è solo, nello struggente ricordo del Dio Bambino; la Pasqua invece è la festa della gioia, dell’esplosione della natura che rifiorisce in Primavera, ma soprattutto del sollievo, del gaudio che si prova, come dopo il passare di un dolore e di una mestizia che creava angoscia, perché per noi cristiani questa è la Pasqua, la dimostrazione reale che la Resurrezione di Gesù non era una vana promessa, di un uomo creduto un esaltato dai contemporanei o un Maestro (Rabbi) da un certo numero di persone, fra i quali i disorientati discepoli. La Risurrezione è la dimostrazione massima della divinità di Gesù, non uno dei numerosi miracoli fatti nel corso della sua vita pubblica, a beneficio di tante persone che credettero in Lui; questa volta è Gesù stesso, in prima persona che indica il valore della sofferenza, comune a tutti gli uomini, che trasfigurata dalla speranza, conduce alla Vita Eterna, per i meriti della Morte e Resurrezione di Cristo. La Pasqua è una forza, una energia d’amore immessa nel Creato, che viene posta come lievito nella vita degli uomini ed è una energia incredibile, perché alimenta e sorregge la nostra speranza di risorgere anche noi, perché le membra devono seguire la sorte del capo; ci dà la certezza della Redenzione, perché Cristo morendo ci ha liberati dai peccati, ma risorgendo ci ha restituito quei preziosi beni che avevamo perduto con la colpa.
Idea Progettazione articolo a cura di Marilena Marino Vocedivina,it
È patrona dei penitenti e venerata anche dalla Chiesa d’Oriente. La Chiesa latina era solita accomunare nella liturgia le tre donne di cui parla il Vangelo e che la liturgia greca commemora separatamente: Maria di Betania, sorella di Lazzaro e di Marta, la peccatrice «cui molto è stato perdonato perché molto ha amato», e Maria Maddalena o di Magdala, l’ossessa miracolata da Gesù, che ella seguì e assistette con le altre donne fino alla crocifissione ed ebbe il privilegio di vedere risorto. L’identificazione delle tre donne è stata facilitata dal nome Maria comune almeno a due e dalla sentenza di San Gregorio Magno che vide indicata in tutti i passi evangelici una sola e medesima donna. I redattori del nuovo calendario, riconfermando la memoria di una sola Maria Maddalena senz’altra indicazione, come l’aggettivo “penitente”, hanno inteso celebrare la discepola alla quale Gesù apparve dopo la Risurrezione. È questa la Maddalena che la Chiesa oggi commemora e che, secondo un’antica tradizione greca, sarebbe andataavivere a Efeso, dove sarebbe morta. In questa città avevano preso dimora anche Giovanni, e Maria Madre di Gesù.
Noli me tangere
I dipinti rappresentano un episodio del Vangelo secondo Giovanni conformemente alla iconografia tradizionale: l’ apparizione presso il sepolcro del Cristo risorto alla Maddalena piangente.
La Chiesa latina era solita accomunare nella liturgia le tre distinte donne di cui parla il Vangelo e che la liturgia greca commemora separatamente: Maria di Betania, sorella di Lazzaro e di Marta, la peccatrice «cui molto è stato perdonato perché molto ha amato», e Maria Maddalena o di Magdala, l’ossessa miracolata da Gesù, che ella seguì e assistette con le altre donne fino alla crocifissione ed ebbe il privilegio di vedere risorto. L’identificazione delle tre donne è stata facilitata dal nome Maria comune almeno a due e dalla sentenza di San Gregorio Magno che vide indicata in tutti i passi evangelici una sola e medesima donna. I redattori del nuovo calendario, riconfermando la memoria di una sola Maria Maddalena senz’altra indicazione, come l’aggettivo “penitente”, hanno inteso celebrare la santa donna cui Gesù apparve dopo la Risurrezione. È questa la Maddalena che la Chiesa oggi commemora e che, secondo un’antica tradizione greca, sarebbe andata a vivere a Efeso, dove sarebbe morta. In questa città avevano preso dimora anche Giovanni, l’apostolo prediletto, e Maria, Madre di Gesù. Papa Francesco ha elevato al grado di Festa la sua memoria.
“Apostola degli apostoli”, si deve a Tommaso d’Aquino il titolo riconosciuto a Maria Maddalena, il cui nome deriva da Magdala, il villaggio di pescatori, di cui era originaria, sulla sponda occidentale del lago Tiberiade. Di lei racconta l’evangelista Luca, nel capitolo 8: Gesù andava per città e villaggi annunciando la buona notizia del regno di Dio e c’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità e li servivano con i loro beni. Fra loro vi era “Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni”.
“- Maria: Tu ami mio figlio, vero? Devi essere preparata, come me. – Maria Maddalena: A cosa? – Maria: A perderlo. ”
Maria la madre di Gesù certamente viveva per Gesù, Maria di Magdala invece viveva grazie a Gesù. A lei è stato dato di fare quell’esperienza che alcuni nella propria vita fanno per straordinaria grazia: risalire, grazie a qualcuno, dall’ombra di morte, dal non senso, dall’essere preda del nulla, a una vita che conosce l’essere amati e l’amare. La Maddalena, infatti, è amata da Gesù e ama a sua volta Gesù, verso il quale si sente debitrice. Ecco perché il suo pianto è quello dell’amata-amante che ha perduto il suo amato-amante, come avviene nel Cantico dei cantici, dove la ragazza di notte cerca il suo amato, si alza, con audacia vaga nel buio per cercarlo, interroga le guardie notturne, e poi finalmente lo trova nel suo giardino (cf. Ct 3,1-4). E così avviene in quell’aurora primaverile, sul monte degli aromi (cf. Ct 2,17; 8,14), là dove c’era un giardino, luogo della sepoltura di Gesù.
Tra le lacrime, Maria risponde ai due angeli che l’hanno interrogata sul suo pianto: “‘Hanno portato via il mio Signore, e non so dove l’abbiano posto’. Detto questo, si voltò indietro (estráphe eis tà opíso)”, dando inizio al dialogo con un altro personaggio, questa volta umano. Il suo voltarsi indietro ha un valore simbolico: Maria rilegge tutta la sua vita con Gesù, fa anamnesi del suo rapporto carico di amore con lui e quindi continua a piangere anche per la nostalgia per ciò che è stato e non potrà più ritornare. Nel suo dolore, si volta indietro, non guarda più la tomba né gli angeli, ma scorge un uomo, il quale le pone la medesima domanda: “Donna, perché piangi?”. Come Gesù pianse per Lazzaro morto (cf. Gv 11,35), così Maria piange per Gesù morto. Piange per amore e per dolore dell’amore, e non affatto i suoi peccati: Maria è la sola che piange per Gesù! È solo Pietro l’icona evangelica che piange i suoi peccati, la sua orrenda viltà, il suo amore breve come la rugiada del mattino (cf. Os 6,4). Pietro non piange su Gesù ma su di sé, per aver tradito l’amico (cf. Mc 14,72 e par.). Sì, Pietro dovrebbe essere icona del pentimento cristiano e Maria Maddalena icona dell’amore per Gesù!
Maria, pensando che colui che ora ha di fronte sia il giardiniere, il custode di quel giardino in cui Gesù era stato seppellito da Giuseppe di Arimatea e da Nicodemo, gli risponde: “Signore, se lo hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto, e io andrò a prenderlo”. Ma quell’uomo, che è Gesù, le chiede anche: “Chi cerchi?”, domanda analoga a quella da lui posta ai due discepoli del Battista: “Che cosa cercate?” (Gv 1,38: le sue prime parole nel quarto vangelo!). In questo interrogativo c’è qualcosa che per Maria non è nuovo, perché è la domanda essenziale che Gesù poneva a chiunque volesse diventare suo discepolo: cercare è la condizione specifica del discepolo. A quel punto Gesù, con il suo volto contro il volto di Maria, le dice: “Mariám!”, la chiama per nome, e subito lei, “voltandosi” (strapheîsa) nuovamente verso di lui, il Gesù glorificato, è pronta a riconoscerlo e a dirgli: “Rabbunì, mio maestro!”. Quante volte era avvenuto quel dialogo tra lei e Gesù: lei, la pecora perduta ma ritrovata da Gesù (cf. Mt 18,12-14; Lc 15,4-7), chiamata per nome, riconosce la voce del pastore (cf. Gv 10,3-4). “Maria!”, una nuova chiamata, e, subito dopo, un invito: “Cessa di toccarmi”, cioè stacca le tue mani da me, perché non c’è più possibilità di incontro tra corpi come prima, essendo ormai il corpo di Gesù risorto nel seno del Padre. Maria, che poteva dire di essere tra quelli che “avevano udito, visto con i loro occhi, contemplato e toccato con le loro mani la Parola della vita” (cf. 1Gv 1,1), ora deve credere e amare Gesù in modo altro: il suo amore non muore, non verrà meno, ma altro è il modo in cui ora Maria deve amare Gesù! Si era voltata indietro verso il suo passato, ma ora, chiamata da Gesù, si volta verso di lui, il Risorto, senza più nostalgia del tempo precedente il suo esodo da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1).
Gli equivoci sulla sua identità: non era una meretrice Come insegna l’esegesi biblica, l’espressione ‘sette demoni’ poteva indicare un gravissimo male fisico o morale, che aveva colpito la donna e da cui Gesù l’aveva liberata. Nel capitolo 7 del Vangelo di Luca, si narra la storia della conversione di un’anonima “peccatrice nota in quella città”, che aveva cosparso di olio profumato i piedi di Gesù, ospite in casa di un notabile fariseo, li aveva bagnati con le sue lacrime e li aveva asciugati coi suoi capelli”. Così, senza nessun reale collegamento testuale, Maria di Magdala è stata identificata con quella peccatrice senza nome. Ma c’è un ulteriore equivoco, spiega il cardinale Ravasi, l’unzione con l’olio profumato è un gesto che è stato compiuto anche da Maria, la sorella di Marta e Lazzaro, in una diversa occasione, di cui riferisce l’evangelista Giovanni. E così, Maria di Magdala da alcune tradizioni popolari verrà identificata proprio con questa Maria di Betania, dopo essere stata confusa con la meretrice di Galilea.
Sotto la croce Maria Maddalena compare ancora nei Vangeli nel momento più terribile e drammatico della vita di Gesù, quando lo accompagna al Calvario e insieme ad altre donne rimane ad osservarlo da lontano. Ed è presente ancora quando Giuseppe d’Arimatea depone il corpo di Gesù nel sepolcro, che viene chiuso con una pietra. Ed è lei che dopo il sabato, al mattino del primo giorno della settimana torna al sepolcro e scopre che la pietra è stata tolta e corre ad avvisare Pietro e Giovanni, i quali, a loro volta, correranno al sepolcro scoprendo l’assenza del corpo del Signore.
L’incontro con il Risorto
Mentre i due discepoli fanno ritorno a casa, Maria Maddalena rimane, in lacrime. Qui ha inizio un percorso che dall’incredulità si apre progressivamente alla fede. Chinandosi verso il sepolcro scorge due angeli e dice loro di non sapere dove sia stato posto il corpo del Signore. Poi, volgendosi indietro, vede Gesù ma non lo riconosce, pensa sia il custode del giardino e quando Lui le chiede il motivo di quelle lacrime e chi stia cercando, lei risponde: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù allora la chiama per nome: “Maria!” E lei voltandosi risponde: “Rabbunì!”, che in ebraico significa: “Maestro!”. Gesù le consegna quindi una missione: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Maria di Magdala andò quindi ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore! e anche ciò che le aveva detto” (cf. Gv 20).
E’ lei che proclama Gesù come Colui che ha vinto la morte Maria Maddalena è la prima fra le donne al seguito di Gesù a proclamarlo come Colui che ha vinto la morte, la prima apostola ad annunciare il gioioso messaggio centrale della Pasqua. Quando il Figlio di Dio entra nella storia, questa donna è fra coloro che maggiormente lo amarono, dimostrandolo. Quando giunse il tempo del Calvario, Maria Maddalena era insieme a Maria Santissima e a San Giovanni, sotto la Croce. Non fuggì per paura come fecero i discepoli, non lo rinnegò per paura come fece il primo Papa, ma rimase presente ogni ora, dal momento della sua conversione, fino al Santo Sepolcro.
Il 3 giugno 2016 la Congregazione per il Culto Divino ha pubblicato un decreto con il quale, «per espresso desiderio di papa Francesco», la celebrazione di santa Maria Maddalena, che era memoria obbligatoria, viene elevata al grado di festa. Il Papa ha preso questa decisione «per significare la rilevanza di questa donna che mostrò un grande amore a Cristo e fu da Cristo tanto amata», ha spiegato il segretario del Dicastero, l’arcivescovo Arthur Roche. Ma chi era Maria Maddalena, che Tommaso d’Aquino definì «apostola degli apostoli»?
La Festa di Maria Maddalena Per volontà di Papa Francesco, la memoria obbligatoria di Maria Maddalena, è stata elevata al grado di Festa, il 22 luglio 2016, per significare la rilevanza di questa fedele discepola di Cristo.
Magdala
Nei Vangeli si legge che era originaria di Magdala, villaggio di pescatori sulla sponda occidentale del lago di Tiberiade, centro commerciale ittico denominato in greco Tarichea (Pesce salato). Qui, negli anni Settanta del Novecento è stata condotta un’estesa campagna di scavi dai francescani dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme: è venuta alla luce una vasta porzione del tessuto urbano comprendente, fra gli altri, una grande piazza a quadriportico, una villa mosaicata e un completo complesso termale. Con successivi scavi i francescani hanno riportato alla luce anche importanti resti di strutture portuali. In un’area adiacente, di proprietà dei Legionari di Cristo, una campagna di scavi avviata nel 2009 ha invece permesso di rinvenire la sinagoga cittadina, una delle più antiche scoperte in Israele: per la sua posizione, sulla strada che collega Nazaret e Cafarnao, si ritiene che probabilmente sia stata frequentata da Gesù.
Gli equivoci sull’identità Maria Maddalena fa la sua comparsa nel capitolo 8 del Vangelo di Luca: Gesù andava per città e villaggi annunciando la buona notizia del regno di Dio e c’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità e li servivano con i loro beni. Fra loro vi era «Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni». Come ha scritto il cardinale Gianfranco Ravasi, «di per sé, l’espressione [sette demoni] poteva indicare un gravissimo (sette è il numero della pienezza) male fisico o morale che aveva colpito la donna e da cui Gesù l’aveva liberata. Ma la tradizione, perdurante sino a oggi, ha fatto di Maria una prostituta e questo solo perché nella pagina evangelica precedente – il capitolo 7 di Luca – si narra la storia della conversione di un’anonima “peccatrice nota in quella città”, che aveva cosparso di olio profumato i piedi di Gesù, ospite in casa di un notabile fariseo, li aveva bagnati con le sue lacrime e li aveva asciugati coi suoi capelli». Così, senza nessun reale collegamento testuale, Maria di Magdala è stata identificata con quella prostituta senza nome. Ma c’è un ulteriore equivoco: infatti, prosegue Ravasi, l’unzione con l’olio profumato è un gesto che è stato compiuto anche da Maria, la sorella di Marta e Lazzaro, in una diversa occasione (Gv 12,1-8). E così, Maria di Magdala «da alcune tradizioni popolari verrà identificata proprio con questa Maria di Betania, dopo essere stata confusa con la prostituta di Galilea».
La liberazione dal male Afflitta da un gravissimo male, di cui si ignora la natura, Maria Maddalena appartiene dunque a quel popolo di uomini, donne e bambini in molti modi feriti che Gesù sottrae alla disperazione restituendoli alla vita e ai loro affetti più cari. Gesù, nel nome di Dio, compie solo gesti di liberazione dal male e di riscatto della speranza perduta. Il desiderio umano di una vita buona e felice è giusto e appartiene all’intenzione di Dio, che è Dio della cura, mai complice del male, anche se l’uomo (fuori e dentro la religione) ha sempre la tentazione di immaginarlo come un prevaricatore dalle intenzioni indecifrabili.
Sotto la croce Maria Maddalena compare ancora nei Vangeli nel momento più terribile e drammatico della vita di Gesù. Nel suo attaccamento fedele e tenace al Maestro Lo accompagna sino al Calvario e rimane, insieme ad altre donne, ad osservarlo da lontano. È poi presente quando Giuseppe d’Arimatea depone il corpo di Gesù nel sepolcro, che viene chiuso con una pietra. Dopo il sabato, al mattino del primo giorno della settimana – si legge al capitolo 20 del Vangelo di Giovanni – torna al sepolcro: scopre che la pietra è stata tolta e corre ad avvisare Pietro e Giovanni, i quali, a loro volta, correranno al sepolcro scoprendo l’assenza del corpo del Signore.
L’incontro con il Risorto Mentre i due discepoli fanno ritorno a casa, lei rimane, in lacrime. E ha inizio un percorso che dall’incredulità si apre progressivamente alla fede. Chinandosi verso il sepolcro scorge due angeli e dice loro di non sapere dove sia stato posto il corpo del Signore. Poi, volgendosi indietro, vede Gesù ma non lo riconosce, pensa sia il custode del giardino e quando Lui le chiede il motivo di quelle lacrime e chi stia cercando, lei risponde: «“Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”» (Gv 20,15-16). Il cardinale Carlo Maria Martini al riguardo commentava: «Avremmo potuto immaginare altri modi di presentarsi. Gesù sceglie il modo più personale e il più immediato: l’appellazione per nome. Di per sé non dice niente perché “Maria” può pronunciarlo chiunque e non spiega la risurrezione e nemmeno il fatto che è il Signore a chiamarla. Tutti però comprendiamo che quell’appellazione, in quel momento, in quella situazione, con quella voce, con quel tono, è il modo più personale di rivelazione e che non riguarda solo Gesù, ma Gesù nel suo rapporto con lei. Egli si rivela come il suo Signore, colui che lei cerca». Il dialogo al sepolcro prosegue: Maria Maddalena, «si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!”, che significa: “Maestro!”. Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Maria di Magdala andò ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e anche ciò che le aveva detto» (Gv 20, 16-18). La maternità della Maddalena «La Maddalena è la prima fra le donne al seguito di Gesù a proclamarlo come Colui che ha vinto la morte, la prima apostola ad annunciare il gioioso messaggio centrale della Pasqua», osserva la teologa Cristiana Dobner, carmelitana scalza. «Ella esprime la maternità nella fede e della fede ossia quella attitudine a generare vita vera, una vita da figli di Dio, nella quale il travaglio esistenziale comune ad ogni uomo trova il suo destino nella risurrezione e nell’eternità promesse e inaugurate dal Figlio, «primogenito» di molti fratelli (Rom 8,29). Con Maria Maddalena si apre quella lunga schiera, ancor oggi poco conosciuta, di madri che, lungo i secoli, si sono consegnate alla generazione di figli di Dio e si possono affiancare ai padri della Chiesa: insieme alla Patristica esiste anche, nascosta ma presente, una Matristica. La decisione di Francesco è un dono bello, espressione di una rivoluzione antropologica che tocca la donna e investe l’intera realtà ecclesiale. L’istituzione di questa festa, infatti, non va letta come una rivincita muliebre: si cadrebbe stolidamente nella mentalità delle quote rosa. Il significato è ben altro: comprendere che uomo e donna insieme e solo insieme, in una dualità incarnata, possono diventare annunciatori luminosi del Risorto».
Nella storia dell’arte: la mirofora Maria Maddalena, nel corso dei secoli, è stata raffigurata principalmente in quattro modi: «Anzitutto – afferma monsignor Timothy Verdon, docente di storia dell’arte alla Stanford University e direttore del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze – è spesso ritratta come una delle mirofore, le pie donne che la mattina di Pasqua si recarono al sepolcro portando gli unguenti per il corpo del Signore. Fra loro la Maddalena è riconoscibile per il fatto che, a partire dalla fine del Medioevo, viene raffigurata con lunghi capelli sciolti, spesso biondi: questo fa capire che gli artisti, secondo una tradizione affermatasi in Occidente (e non condivisa nell’Oriente cristiano), la identificavano con la donna peccatrice che aveva asciugato i piedi di Gesù con i propri capelli. I capelli lunghi sono quindi un’allusione a questo intimo contatto e alla condizione di prostituta: le donne per bene non andavano in giro con i capelli sciolti».
La penitente Nell’arte del tardo Medioevo Maria Maddalena compare anche come penitente perché – spiega Verdon – secondo una leggenda ella era una grande peccatrice che, dopo la conversione e l’incontro con il Risorto, era andata a vivere come romitessa nel sud della Francia, vicino a Marsiglia, dove annunciava il vangelo: «Il culto della Maddalena penitente ha affascinato molti artisti, che l’hanno considerata il corrispettivo femminile di Giovanni Battista. In genere viene raffigurata con abiti simili a quelli del Battista oppure è coperta solo dai capelli. La bellezza esteriore l’ha abbandonata, il volto è segnato dai digiuni e dalle veglie notturne in preghiera, ma è illuminata dalla bellezza interiore perché ha trovato pace e gioia nel Signore. La statua della Maddalena penitente di Donatello, scolpita per il Battistero di Firenze, è un autentico capolavoro».
L’addolorata Sovente la Maddalena è ritratta anche ai piedi della croce: una delle opere più significative, a giudizio di Verdon, è un piccolo pannello di Masaccio (esposto a Napoli) nel quale la Maddalena è ritratta di spalle, sotto la croce, le braccia protese a Cristo, i lunghi capelli biondi che cadono quasi a ventaglio su un enorme mantello rosso: «Un’immagine di forte drammaticità. Non di rado il dolore composto della Vergine è stato contrapposto a quello della Maddalena, quasi senza controllo. Si pensi ad esempio, alla Pietà di Tiziano, nella quale la donna avanza come volesse chiamare il mondo intero a riconoscere l’ingiustizia della morte di Gesù, che giace fra le braccia di Maria; oppure si pensi al celebre gruppo scultoreo di Niccolò dell’Arca, nel quale fra le molte figure la più teatrale è proprio quella della Maddalena che si precipita con la forza di un uragano verso il Cristo morto».
Chiamata per nome Vi sono inoltre molte raffigurazioni dell’incontro con il Risorto: «Esemplari e magnifiche sono quelle di Giotto, nella Cappella degli Scrovegni, e del Beato Angelico nel convento di san Marco», conclude Verdon. «Maria Maddalena ha vissuto un’esperienza di salvezza profonda per opera di Gesù: quando si sente chiamata per nome in lei si accende il ricordo dell’intera storia vissuta con Lui: c’è tutto questo nell’iconografia della scena che chiamiamo “Noli me tangere”».
Papa Giovanni Paolo II e Papa Francesco hanno riproposto nella Chiesa cattolica la figura della Maddalena che il Vangelo ci offre: discepola, testimone, partecipe e collaboratrice nell’evangelizzazione con i 12, “apostola della nuova e più grande speranza”.
La sete di tutte le donne che cercano la Resurrezione. Ricordiamole come ricercatrici di un’unica sete.
Il forestiero - Adriano Celentano (Gesù e la Samaritana)
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