LA VIA CRUCIS – Devozione e Storia

LA VIA CRUCIS – Devozione e Storia

La Via Crucis affonda le sue origini nella pietà popolare verso il Cristo sofferente sviluppatasi fra il XII e il XV secolo. Questa devozione intende evocare il pellegrinaggio lungo la Via dolorosa a Gerusalemme. Originariamente questa pia pratica non aveva un numero preciso e definito di quadri, soste o “stazioni”. Queste erano lasciate alle tradizioni della pietà locale, la quale attingeva anche da testi devoti non scritturistici.

Così è per l’incontro di Gesù con la madre, per il numero delle cadute, per l’incontro con Veronica. Il numero delle “stazioni” e il loro contenuto furono precisati dall’autorità ecclesiastica nel 1731, accogliendo la prassi allora più diffusa che comprendeva anche questi momenti non presenti nei Vangeli. Dal 1975 è possibile sostituire le stazioni tradizionali con altri momenti della Passione desunti dai Vangeli e concludere sempre con la Risurrezione di Gesù.

VIA CRUCIS, UNA STORIA LUNGA SECOLI

14/04/2017  Le prime tracce a Gerusalemme, alla fine del IV secolo. Come la conosciamo noi risale al Medio Evo inoltrato. San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), san Francesco d’Assisi (1182-1226) e san Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274), prepararono il terreno su cui nacque la pratica di pietà. Le 14 stazioni.

Il passaggio di una pesante croce lungo la Via Dolorosa a Gerusalemme. Foto Ansa, 29 marzo 2013.

Il passaggio di una pesante croce lungo la Via Dolorosa a Gerusalemme. Foto Ansa, 29 marzo 2013.

Ha radici profonde. E attraversa il tempo. La Via Crucis è un rito che intreccia Parola di Dio, storia e preghiera. Richiama l’ultimo tratto del cammino percorso da Gesù durante la sua vita terrena: da quando egli e i suoi discepoli, « dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli ulivi » (Mc 14, 26), fino a quando il Signore fu condotto al « luogo del Golgota » (Mc 15, 26), fu crocifisso e sepolto in un sepolcro nuovo, scavato nella roccia di un giardino vicino.

La Chiesa di Gerusalemme manifestò molto presto la sua attenzione per i «luoghi santi». Reperti archeologici attestano l’esistenza di espressioni di culto cristiano già nel secondo secolo dopo Cristo, nell’area cimiteriale dove era stato scavato il sepolcro di Gesù. Alla fine del IV secolo, la pellegrina Eteria ci dà notizia di tre edifici sacri eretti sulla cima del Golgota. E ci informa della processione che in certi giorni si snodava d due di esse, più precisamente dall’Anastasis al Martyrium. Non si trattava, per la verità, di una Via Crucis o di una Via Dolorosa. Come non lo era quella sorta di cammino attraverso i santuari di Gerusalemme, che si desume dalle varie « cronache di viaggio » dei pellegrini dei secoli V e VI. Ma quella processione, con i suoi canti e il suo stretto legame con i luoghi della passione, è ritenuta da alcuni studiosi una forma embrionale della futura Via Crucis.

Gerusalemme è la città della Via Crucis storica. Essa sola ha questo grande tragico privilegio. Lungo il Medio Evo il fascino dei « luoghi santi » suscita il desiderio di riprodurli nella propria terra: alcuni pellegrini, al ritorno da Gerusalemme, li “ricostruiscono” nelle loro città. Il complesso delle sette chiese di Santo Stefano a Bologna è ritenuto l’esempio più notevole di tali « riproduzioni ». Ma cf’è anche Kalwaria Zebrzydowska, in Polonia, a circa 40 chilometri da Cracovia e a 15 chilometri da Wadowice, paese natale di Karol Wojtyla, papa Giovanni Paolo II.

La Via Crucis, nel senso attuale del termine, risale al Medio Evo inoltrato. San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), san Francesco d’Assisi (1182-1226) e san Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274) prepararono il terreno su cui sorgerà il pio esercizio. Al clima di pietà compassionevole verso il mistero della Passione si deve aggiungere l’entusiasmo sollevato dalle Crociate che proponevano di ricuperare il Santo Sepolcro, il rifiorire dei pellegrinaggi a partire dal secolo XII e la presenza stabile, dal 1233, dei Frati minori francescani nei «luoghi santi».

Donne ortodosse pregano durante la Via Crucis  a Gerusalemme. Foto Reuters, 29 aprile 2016.

Donne ortodosse pregano durante la Via Crucis a Gerusalemme. Foto Reuters, 29 aprile 2016.

Verso la fine del tredicesimo secolo, ci ricorda l’apposito sito della Santa Sede in cui monsignor Piero Marini, Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie ne ricostruisce la storia con rigore scientifico, la Via Crucis è già menzionata, non ancora come pio esercizio, ma come cammino percorso da Gesù nella salita al Monte Calvario e segnato da una successione di «stazioni». Intorno al 1294 un frate domenicano, Rinaldo di Monte Crucis, nel suo Liber peregrinationis afferma di essere salito al Santo Sepolcro «per viam, per quam ascendit Christus, baiulans sibi crucem», e ne descrive le varie stationes: il palazzo di Erode, il Litostrato, dove Gesù fu condannato a morte, il luogo dove Egli incontrò le donne di Gerusalemme, il punto in cui Simone di Cirene prese su di sé la croce del Signore. E così via.

Sullo sfondo della devozione alla passione di Cristo e con riferimento al cammino percorso da Gesù nella salita al Monte Calvario, la Via Crucis, come pio esercizio, nasce direttamente da una sorta di fusione di tre devozioni che si diffusero, a partire dal XV° secolo, soprattutto in Germania e nei Paesi Bassi: – la devozione alle «cadute di Cristo » sotto la croce; se ne enumerano fino a sette; – la devozione ai « cammini dolorosi di Cristo», che consiste nell’incedere processionale da una chiesa all’altra in memoria dei percorsi di dolore – sette, nove e anche di più -, compiuti da Cristo durante la sua passione: dal Getsemani alla casa di Anna (cf. Gv 18, 13), da questa alla casa di Caifa (cf. Gv 18, 24; Mt 26, 56), quindi al pretorio di Pilato (cf. Gv 18, 28; Mt 27, 2), al palazzo del re Erode (cf. Lc 23, 7); e la devozione alle «stazioni di Cristo», ai momenti in cui Gesù si ferma lungo il cammino verso il Calvario o perché costretto dai carnefici, o perché stremato dalla fatica, o perché, mosso dall’amore, cerca ancora di stabilire un dialogo con gli uomini e le donne che partecipano alla sua passione spesso.

Nel lungo processo di formazione della Via Crucis sono da segnalare due elementi: la fluttuazione della «prima stazione» della Via Crucis e la varietà delle stazioni stesse. Per quanto concerne l’inizio della Via Crucis, gli storici segnalano almeno quattro episodi differenti, scelti quale «prima stazione»: 1) l’addio di Gesù a sua Madre; si tratta di una «prima stazione» che non sembra aver avuto una larga diffusione, probabilmente a causa del problematico fondamento biblico; 2) la lavanda dei piedi; questa «prima stazione», che si situa nell’ambito dell’Ultima Cena e dell’istituzione dell’Eucaristia, è attestata in alcune Via Crucis della seconda metà del secolo XVII, che ebbero larga fortuna; 3) l’agonia del Getsemani; il giardino degli ulivi, dove Gesù, in estrema e amorosa obbedienza al Padre, decise di bere fino all’ultima goccia il calice della passione, costituisce l’inizio di una Via Crucis del secolo XVII, breve – comprende solo sette stazioni -, notevole per il suo rigore biblico, diffusa ad opera soprattutto dei religiosi della Compagnia di Gesù; 4) la condanna di Gesù nel pretorio di Pilato, «prima stazione» assai antica, che segna efficacemente l’inizio dell’ultimo tratto del cammino di dolore di Gesù: dal pretorio al Calvario.

Anche il soggetto delle stazioni era vario. Nel XV° secolo regnava ancora la più grande diversità nella scelta del loro numero e ordine. Nei vari schemi di Via Crucis si trovano stazioni quali la cattura di Gesù, il rinnegamento di Pietro, la flagellazione, le accuse diffamatorie in casa di Caifa, lo scherno della veste bianca nel palazzo di Erode, che non figurano in quello che diverrà la traccia definitiva.  La Via Crucis, nella sua forma attuale, con le stesse quattordici stazioni disposte nello stesso ordine, è attestata in Spagna nella prima metà del diciassettesimo secolo, soprattutto in ambienti francescani. Dalla penisola iberica essa passò prima in Sardegna, allora sotto il dominio della corona spagnola, e poi nella penisola italica. Qui incontrò un convinto ed efficace propagatore in San Leonardo da Porto Maurizio (+ 1751), frate minore, instancabile missionario; egli eresse personalmente oltre 572 Via Crucis, delle quali è rimasta famosa quella eretta nel Colosseo, su richiesta di Benedetto XIV, il 27 dicembre 1750, a ricordo di quell’Anno Santo.

Una Via Crucis a Gerusalemme, lungo la Via Dolorosa. Foto Reuters, 3 aprile 2015

Una Via Crucis a Gerusalemme, lungo la Via Dolorosa. Foto Reuters, 3 aprile 2015

Le 14 stazioni della Via Crucis, nella forma definitiva arrivata a noi, sono le seguenti: 1) Gesù è condannato a morte 2) Gesù è caricato della croce 3) Gesù cade per la prima volta 4) Gesù incontra sua Madre 5) Simone di Cirene aiuta Gesù a portare la croce 6) la Veronica asciuga il volto di Gesù 7) Gesù cade per la seconda volta 8) Gesù ammonisce le donne di Gerusalemme 9) Gesù cade per la terza volta 10) Gesù è spogliato delle vesti 11) Gesù è inchiodato sulla croce 12) Gesù muore in croce 13) Gesù è deposto dalla croce 14) il corpo di Gesù è collocato nel sepolcro

https://www.famigliacristiana.it/articolo/storia-della-via-crucis-una-pratica-religiosa-che-attraversa-i-secoli.aspx

Jesus Christ Superstar (1973) - The Last Supper
Percorso Quaresimale: Fame Digiuno Sete

Percorso Quaresimale: Fame Digiuno Sete

Ascolta la Voce Audio -Spazio Meditativo Percorso Spirituale

La fame il digiuno la sete…..al primo istinto dei crampi che senti allo stomaco vuoi alzarti a mordere qualcosa, desideri addentare del cibo, un pezzo di pane, pensi ai più svariati piatti da mangiare..ci hai fatto mai caso? Vuoi bere, hai un bisogno prepotente di esistere, toccare degli alimenti, odorare, vedere, gustare.. sono tutti sensi che ti dicono che sei vivo, che esisti, che il tuo corpo morrà se non sfami questo vuoto…senti tutti i segnali del finito, del perduto…tu hai necessità di vivere, invece, eccome, non puoi morire…che senso ha questo soffrire, questo privare il tuo corpo che va invece curato, coccolato…perché trattarti male, perché sottoporre alla carne una tortura indicibile e disgustosa..se Dio è amore, non può volere la fine del tuo corpo..

Se Dio è amore, non può volere la fine del tuo corpo

Che senso sa ha, dunque, entrare in questa privazione

Che senso sa ha, dunque, entrare in una privazione, in questa assurda lotta.. non siamo mica masochisti.. l’uomo è fatto per vivere, per amare, per godere delle mille sensazioni di cui la vita è piena e, allora, perché questa ostinata rinuncia, perché lo stesso Gesù è entrato in questa voluta astinenza? Vale la pena aspettare, lottare, assoggettare il nostro corpo, vincere i barbari istinti che lo costringono a partecipare all’immediata soddisfazione compulsiva.. già…sarà perché non siamo più abituati a soffrire, a rinunciare.. bisognerebbe invece domarlo, questo nostro impulso a cercare vita, sempre, e comunque, desiderando soddisfare quella immediata e spasmodica soddisfazione che altro non porta, molte volte, ad accontentare un capriccio, che ci regala sempre la consapevolezza che ricevendo un piccolo briciolo di vita possiamo allungare di un’ora la nostra esistenza! Gesù ci insegna in questo tempo speciale anche ad educare il corpo, la mente per prepararlo alla lotta contro il tempo, contro gli istinti bestiali, irruenti, come la sensualità, concupiscenza..la meta? Arrivare ad una contemplazione più alta che permette la nascita di una persona completamente nuova, leggere, luminosa..possiamo tentare con l’aiuto di Gesù di fare un piccolo esperimento, un esercizio, per fortificare tutto il nostro essere composto di sensibilità e percezione corporea al fine di arrivare un pò al traguardo della vittoria finale…sì, non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.. l’uomo è fatto per il cielo, per gustare oltre i sensi la vera pace, la vera dimensione spirituale che ci unisce a Dio.. forse, dopo aver vinto questa piccola lotta con noi stessi, potremo riprendere il viaggio.. dopo aver combattuto anche solo per un pò, potremo assaporare una nuova intensità anche spirituale.. siamo fragili creature, vero, ma unite a Cristo possiamo sperimentare che non si muore se ci priviamo momentaneamente del cibo, che si può andare oltre l’istinto, l’accanita soddisfazione del narcisistico ego.. siamo fatti per il cielo, siamo fatti per una dimensione che va oltre l’umano, lontana da quelle esigenze che la nostra carne ci impone…solo dopo aver lottato, potremo prepararci alla Pasqua, a quella liberazione definitiva delle catene che attanagliano l’uomo a questa terra, a questo deserto che è stato necessario attraversare per capire che abbiamo parlato con Dio, che Dio stesso ci è venuto a visitare nei nostri limiti per farsi conoscere da noi…finalmente…perchè “della lotta lui è il premio”!

Elaborazione Progetto Audio Voce Testi di Marilena Marino

Il Rosa della IV Domenica di Quaresima Laetare

Il Rosa della IV Domenica di Quaresima Laetare

Rallégrati, Gerusalemme,
e voi tutti che l’amate, riunitevi.
Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza:
saziatevi dell’abbondanza
della vostra consolazione.
Antifona di ingresso
(cf. Is 66,10-11)

In questo giorno la Chiesa sospende le tristezze della Quaresima; i canti della messa non parlano che di gioia e di consolazione;
si fa risentire l’organo, rimasto muto nelle tre Domeniche precedenti,si sostituiscono i paramenti viola con quelli rosa.
Gli stessi riti li abbiamo visti praticare durante l’Avvento, nella terza domenica chiamata Gaudete.
Perché in questa quarta domenica di quaresima la Chiesa ci invita a gioire, a rallegrarci?
Perché la domenica “laetare”?
Il motivo è il grande amore di Dio verso l’umanità, anche quando la situazione sembra disperata, Dio interviene, offrendo all’uomo la salvezza e la gioia.
«Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza» (antifona d’ingresso).
Dio, infatti, non se ne sta in disparte, ma entra nella storia dell’umanità, si “immischia” nella nostra vita, entra, per animarla con la sua grazia e salvarla.
“Può capitare di essere presi dall’angoscia, dall’inquietudine per il domani, dalla paura della malattia e della morte, ma questo non deve spaventarci.
E’ bene conoscere i propri limiti, le proprie fragilità, dobbiamo conoscerle, ma non per disperarci, ma per offrirle al Signore” (papa Francesco).
Lui ci aiuta, ci prende per mano, e mai ci lascia da soli!
Dio è con noi e per questo ci “rallegriamo” oggi: “Rallegrati, Gerusalemme”, dice, perché Dio è con noi.
La nostra gioia è avere accanto un Dio ricco di misericordia, che ci tiene a noi.
E’ vero ci sono limiti, tristezze, debolezze, ma il nostro alleato è un “prode valoroso” (Ger. 20,11).
Per molti studiosi la domenica Laetare, con stazione papale a S. Croce in Gerusalemme, trae la sua origine dalla terza domenica di quaresima del rito bizantino, che comportava, e comporta a tutt’oggi, l’adorazione della S. Croce, cui si tributava un omaggio di fiori profumati. A Roma si volle imitare l’uso, per cui il papa andava nella basilica di S. Croce in Gerusalemme dove si conservava un grande frammento della vera Croce, portando in mano una rosa d’oro profumata di musco, in memoria della Passione e della Resurrezione del Signore, volendo così ricordare l’omaggio fatto a lui da Maria nella cena di Betania (Gv 12,3).

La prima testimonianza diretta della rosa è del papa Leone IX nell’anno 1049, ma dal testo del pontefice si desume che questa era già una consuetudine romana. Le monache di S. Croce in Bamberga dovevano ogni anno mandare al papa la rosa dorata o di prezioso materiale affine, che con l’andare del tempo venne consacrata col crisma per poi, dopo l’omaggio alla Croce, essere donata a qualche uomo insigne o ad una città. Ancora con Paolo VI si conservava questo uso.

Dalla centralità nella celebrazione della rosa potrebbero essere sorti i colori liturgici di questa domenica che non solo esprimeva la grande gioia nella dimensione liturgica, ma anche era ricca di chiassose feste popolari.

Per la domenica terza di avvento, la cosiddetta Gaudete dalla prima parola dell’antifona di ingresso, diversi studiosi pensano ad una derivazione dalla domenica Laetare del ciclo quaresimale.

Tra tutte le domeniche di avvento questa era la più popolare per la particolare stazione papale in S. Pietro caratterizzata da una particolare ufficiatura descritta nei rituali del sec. XII (Ordo XI) e XII (Ordo X). In questa domenica piena di gioia tutta particolare per l’approssimarsi del Natale del Signore, contro l’uso di tutto il tempo di avvento, si cantava anche il Gloria.

Il colore liturgico, l’uso dei fiori e il suono dell’organo possono essere, dunque, derivati dalla domenica quaresimale. Comunque sia, al di là del gusto del nostro lettore, la collocazione che la Chiesa romana ha dato a queste particolari domenica risponde alla necessità di interrompere i lunghi e serrati ritmi del digiuno di questi due tempi liturgici. Non una prefesta, ma la risposta ad una necessità «fisiologica» dei fedeli tutti tesi a preparare le grandi solennità seguenti, il Natale del Signore e la sua Resurrezione.

Il colore rosa è un misto tra il viola, il simbolo della penitenza, e il bianco, usato nelle festività.

Questo colore, come detto, che viene utilizzato solo due volte in tutto l’anno liturgico, è tradizionalmente associato ad un senso di gioia in mezzo a una stagione di penitenza. In entrambe le domeniche (“Gaudete” in Avvento e “Laetare” in Quaresima), il rosaceo ci ricorda che la stagione di preparazione sta arrivando al termine e si sta rapidamente avvicinando una grande festività.

colori dei paramenti liturgici, quali il piviale, la casula, la dalmatica, la stola, rimandano al tempo liturgico o all’occasione festiva presente. I colori liturgici in uso sono stati codificati per volontà di Paolo VI nel Rito romano nel 1969 e sono quattro: biancoverderosso e viola. A questi colori se ne aggiungono altri, come il rosa, l’azzurro, l’oro e il nero, utilizzati nei paramenti liturgici solo in alcune occasioni particolari o come alternativa ai colori canonici. Esaminiamoli uno per uno.

Il bianco simboleggia la gioia e la purezza derivanti dalla Fede. È uno dei colori più ricorrenti nei paramenti liturgici che vengono utilizzati ogni giorno dai sacerdoti, a prescindere dal tempo liturgico e dalla festività in corso. È legato in particolare all’adorazione di Gesù e della Madonna e agli Uffici pasquali e natalizi. Simboleggia anche la risurrezione, il Cristo risorto nell’esultanza della Fede.

Dopo il bianco, il colore più utilizzato nelle messe domenicali e feriali, al di fuori di festività definite, è il verde, simbolo di speranza, costanza e ascolto perseverante. Accompagna il cammino quotidiano dei sacerdoti e dei fedeli che ad essi si rivolgono.

Il colore viola richiama la penitenza, l’attesa e il lutto. Viene utilizzato in particolare durante l’Avvento e la Quaresima. I paramenti liturgici viola caratterizzano le Messe per i defunti, nelle quali possono essere sostituiti da paramenti di colore nero.

Il rosso simboleggia la passione di Cristo e il sangue versato nel martirio da lui e dai santi. Per questo viene utilizzato per i paramenti liturgici la domenica delle Palme, il Venerdì santo, a Pentecoste, nelle celebrazioni dedicate alla Passione del Signore, nelle feste degli Apostoli, degli evangelisti e dei Santi Martiri.

Per quanto riguarda i colori non codificati, l’azzurro si utilizza soprattutto per le celebrazioni in onore della Beata Vergine Maria, specialmente nei paesi di cultura spagnola o portoghese, il rosa, indica gioia e solennità per la III domenica di Avvento e la IV domenica di Quaresima, mentre infine l’oro simboleggia la regalità e può sostituire tutti i colori in ogni occasione, sebbene di solito venga utilizzato solo in alcune Solennità di particolare importanza.

Una Quaresima diversa con San Francesco di Assisi

Una Quaresima diversa con San Francesco di Assisi

Dalla follia della croce ai segni della Passione

" ALTO E GLORIOSO DIO " Marco Frisina

O alto e glorioso Dio,
illumina le tenebre de lo core mio.
Et dame fede dricta, speranza certa e carità perfecta,
senno e cognoscemento, Signore,
che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen.
(Preghiera davanti al crocifisso)

Rapisca, ti prego, o Signore,
l’ardente e dolce forza del tuo amore
la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo,
perché io muoia per amore dell’amor tuo,
come tu ti sei degnato morire
per amore dell’amor mio.
(Preghiera Absorbeat)

La Verna il “Crudo Sasso” di Francesco

“Monte di Dio! Monte Santo! Mons in quo beneplacitum est Deo habitare!”

La quaresima è un tempo liturgico che ci invita a prepararci alla Pasqua con la preghiera, il digiuno e l’elemosina. Ma come ha vissuto la quaresima San Francesco di Assisi, il santo che ha fatto della povertà e della semplicità il suo stile di vita?

San Francesco non si accontentava di vivere una sola quaresima all’anno, ma ne praticava diverse, seguendo il ritmo delle feste liturgiche e il modello di Cristo. Vediamo quali erano le sue quaresime e come le viveva.

La quaresima “benedetta”

La prima quaresima che San Francesco faceva era quella che iniziava il lunedì dopo l’Epifania e terminava il Giovedì Santo. Era chiamata da lui “benedetta” perché era ispirata al digiuno di Gesù nel deserto per quaranta giorni.

San Francesco viveva questa quaresima in solitudine e penitenza, mangiando solo mezzo pane al giorno e pregando intensamente. Un episodio dei Fioretti racconta che una volta si ritirò in un’isola del lago di Perugia con due panetti e vi rimase fino al Giovedì Santo, quando un suo amico lo andò a riprendere.

Questa quaresima era per lui un modo di entrare nel mistero della passione e morte di Cristo, meditando il suo amore infinito per noi.

La quaresima d’Avvento

Un’altra quaresima che San Francesco faceva era quella in preparazione alla Natività di Cristo, detta “Quaresima d’Avvento”. Iniziava con la festa di Tutti i Santi, il primo novembre, e terminava con la vigilia di Natale.

San Francesco aveva una grande devozione per il mistero dell’Incarnazione, cioè del fatto che Dio si è fatto uomo per salvarci. Per questo voleva celebrare con gioia e gratitudine la nascita del Bambino Gesù nella grotta di Betlemme.

San Francesco viveva questa quaresima con spirito di povertà e umiltà, cercando di imitare Maria, la “Vergine fatta Chiesa”. Si dedicava anche alle opere di carità verso i poveri e i bisognosi, seguendo l’esempio di san Martino.

La quaresima dell’Assunta

L’ultima quaresima che San Francesco faceva era quella che iniziava il giorno dopo l’Assunta (16 agosto) e terminava il giorno della festa dei santi Arcangeli (29 settembre). Era una quaresima scaturita dall’amore che il santo nutriva per la Chiesa, rappresentata da Maria assunta in cielo.

San Francesco viveva questa quaresima con spirito di obbedienza e fedeltà alla volontà di Dio. Si affidava alla protezione degli angeli custodi e dei santi patroni. Si impegnava anche nella predicazione del Vangelo ai fratelli e alle sorelle.

Come possiamo imparare da San Francesco?

Le quaresime di San Francesco ci insegnano che non basta osservare alcune pratiche esteriori per vivere bene questo tempo liturgico. Occorre piuttosto coltivare un atteggiamento interiore di conversione continua al Signore.

San Francesco ci invita a seguire Cristo povero ed umile, a meditare i misteri della sua vita terrena ed eterna, a servire i poveri ed i sofferenti con amore fraterno.

Se vogliamo vivere una buona quaresima possiamo ispirarci al suo esempio ed alla sua preghiera:

Laudato sii, o mi’ Signore. Laudato sii, o mi’ Signore.
Laudato sii, o mi’ Signore. Laudato sii, o mi’ Signore.

E per tutte le tue creature, per il sole e per la luna,
per le stelle e per il vento e per l’acqua e per il fuoco.

Per sorella madre terra, ci alimenta e ci sostiene,
per i frutti, i fiori e l’erba, per i monti e per il mare.

Perché il senso della vita è cantare e lodarti
e perché la nostra vita sia sempre una canzone.

E per quelli che ora piangono e per quelli che ora soffrono
e per quelli che ora nascono e per quelli che ora muoiono.

Santuario Averna

San Francesco d’Assisi è il primo santo della storia cristiana ad aver ricevuto le stigmate, cioè le ferite di Cristo crocifisso sulle mani, sui piedi e sul costato. Questo prodigio avvenne nell’estate del 1224, quando il santo si ritirò in preghiera e digiuno sul monte della Verna, un luogo solitario e selvaggio donatogli dal conte Orlando Catani.

Francesco era già malato e provato dalle fatiche della sua missione. Aveva appena ottenuto l’approvazione della sua regola da parte del papa Onorio III e aveva rinunciato a guidare personalmente il suo ordine. Sentiva il bisogno di ritrovare l’intimità con Dio e di imitare Gesù nella sua passione.

La quaresima di San Michele, che va dalla festa di Tutti i Santi (1° novembre) alla Natività del Signore (25 dicembre), era per lui un tempo privilegiato di penitenza e di contemplazione. Così decise di trascorrerla sulla Verna, insieme a pochi frati compagni.

A metà settembre, mentre pregava nella cella vicino alla chiesetta dedicata a Maria Santissima degli Angeli, Francesco ebbe una visione straordinaria: vide un serafino con sei ali infocate che gli apparve nel cielo e gli mostrò un crocifisso. Il santo rimase estasiato e turbato allo stesso tempo: come poteva conciliarsi la sofferenza del crocifisso con la beatitudine del serafino?

Le stigmate di San Francesco

Il serafino gli parlò al cuore e gli fece capire che Dio lo aveva scelto per conformarlo al suo Figlio nel segno dell’amore più grande: quello che si dona fino alla morte. Poi scomparve, lasciando nel corpo di Francesco le impronte delle cinque piaghe.

Francesco provò una gioia immensa ma anche un dolore acuto. Cercò di nascondere le stigmate ai suoi frati, ma non poté celare la trasformazione interiore che lo aveva investito. Era diventato la parola d’amore che per anni aveva meditato, vissuto e annunciato.

Le stigmate furono per lui un dono e una croce, una grazia e una responsabilità. Lo fecero partecipe della passione di Cristo ma anche della sua gloria. Lo confermarono nella sua vocazione di minorità e povertà ma anche nella sua missione di testimone del Vangelo.

Quello che rende unico san Francesco è il suo rapporto con Cristo. Egli non si limitò a seguire i suoi insegnamenti, ma cercò di imitarlo in tutto, fino a identificarsi con lui. Ai piedi del Cristo crocifisso, per esempio, la sua preghiera si trasformò in contemplazione profonda: “Sommo e glorioso Dio, illumina le tenebre del cuore mio, e dammi fede retta, speranza certa e carità perfetta, saggezza e conoscimento, o Signore, affinché io faccia il tuo santo e verace comandamento” (Preghiera davanti al Crocifisso). Le stimmate sono le ferite che Cristo portava sul corpo dopo la sua passione: le mani e i piedi trafitti dai chiodi della croce e il costato aperto dalla lancia del soldato romano. San Francesco fu il primo santo ad averle ricevute miracolosamente sul suo corpo come segno della sua unione mistica con Cristo. Morì due anni dopo aver ricevuto le stigmate, il 3 o il 4 ottobre 1226 ad Assisi. Le sue ferite furono viste da molti prima della sepoltura e testimoniate da diverse fonti storiche. La Chiesa lo canonizzò nel 1228 e lo proclamò patrono d’Italia nel 1939.

Perché l’immedesimazione con Cristo di san Francesco è così importante per noi oggi? Perché ci mostra che il cristianesimo non è solo una dottrina o una morale da seguire, ma una relazione personale ed esistenziale con Dio fatto uomo. Ci mostra che seguire Cristo significa amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente (Mt 22:37) e conformare la nostra vita alla sua (Rm 8:29). Ci mostra che essere cristiani significa essere testimoni della sua presenza nel mondo attraverso le opere di carità (Gv 13:35).

In questa Quaresima riflettiamo sulla vita di san Francesco d’Assisi come modello di immedesimazione con Cristo.

Ricordiamo che nella basilica superiore di Assisi si possono ammirare gli affreschi di Giotto che raccontano le sue storie. Tra questi c’è quello dell’omaggio dell’uomo semplice che stese le vesti dinanzi al beato Francesco riconoscendolo degno di ogni riverenza.

di Marilena Marino Vocedivina.it

Percorso Quaresimale: Il Vuoto

Percorso Quaresimale: Il Vuoto

Ascolta l‘Audio di Marilena -Spazio Meditativo – Riflessione Spirituale

Quand’è che il vuoto diventa presenza?

Che cos’è il vuoto.. assenza di qualcosa o presenza di qualcuno? Assenza delle nostre cose più concrete che ci vengono a mancare o di persone che non popolano più il nostro immaginario, non scandiscono più le nostre ore.. o è qualcosa, invece, che assomiglia ad una presenza.. una presenza concreta, reale, che riempie quel contenitore vuoto, quella scatola che se chiudi gli occhi assomiglia tanto al nostro corpo in stand by, un fermarsi del tempo, uno stato di calma apparente, interminabile, che ti dice che non sei vivo, che quel vuoto che stai assaporando ti fa sentire come morto…morto perché i tuoi sensi non gustano più niente. Se apri per un istante gli occhi attorno a te, vedi tante cose, ma in fondo, è come se non vedessi nulla, quel vuoto che hai dentro, è per assurdo, assordante, invadente, contiene tanti, troppi rumori, sono come tamburi battenti che al posto dell’orologio segnano inesorabilmente la tua fine! Cos’è il vuoto? Un non vivere più, avverti i morsi della fame, non ti connetti con gli altri, puoi sentire, anzi, risuonare la tua stessa voce, come un eco, dentro di te.. quel vuoto è mancanza di abitudini, di gesti rituali, di consuetudini.. e quand’è che, invece, il vuoto diventa presenza? Quand’è che il vuoto si trasforma fino ad essere un contenitore di spirito, di presenza consistente e assordante che può assomigliare tanto a Dio. Lui che chiede il permesso di assumere il tuo vuoto ,che viene a visitarlo, a riempirlo, invadendo quello spazio che tu reputi insignificante, come avesse una forma di materia solida, voce che ti riempie al punto di non sentire, all’improvviso, né fame, ne sete, né desiderio di circondarti di costanti rumori che ti ricordano che sei vivo, mentre in verità’ non fanno altro che distoglierti ..la trasformazione è avvenuta, l’assenza si è fatta presenza, il vuoto si è popolato di sentimenti, emozioni.. Come si fa, dunque, a riempire questo vuoto che scandisce e colora di angoscia il momento in cui decidi di fermarti, di chiudere gli occhi e di provare a pensare? Respira, cerca la calma, Il silenzio, concentrati sulla preghiera, su una piccola frase, anche su un piccolo ricordo che ti ha reso felice, che ti ha emozionato, qualcosa di bello che ti riporta a Dio..

Quaresima-Tempo di Riflessione

Tempo di vuoto interiore. Paura di sentire un vuoto dentro da riempire. Forse vi sarà capitato di provare questa sensazione. Ma perché abbiamo questa paura? E come possiamo superarla? Cerchiamo fuori da noi stessi delle risposte che in realtà dovremmo trovare dentro.

Non è facile affrontare la paura del vuoto interiore, ma ne vale la pena. Se riusciremo a riempire il nostro cuore con l’amore non avremo più bisogno di cercare altrove quello che già abbiamo dentro.

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