SE SI PARLA DI MARIA -L’INNO AKATHISTOS

SE SI PARLA DI MARIA -L’INNO AKATHISTOS

È uno tra i più famosi inni che la Chiesa Ortodossa dedica alla Theotokos(Genitrice di Dio).
Akathistos si chiama per antonomasia quest’inno liturgico del secolo V, che fu e resta il modello di molte composizioni innografiche e litaniche, antiche e recenti

”Akathistos” non è il titolo originario, ma una rubrica:”akathistos” in greco significa “non-seduti”, perché la Chiesa ingiunge di cantarlo o recitarlo “stando in piedi”, come si ascolta il Vangelo, in segno di riverente ossequio alla Madre di Dio.

Inno Akatistos Maria

AudioVideo Marilena Marino

L’Inno Akathistos è l’inno greco più bello alla Madre di Dio del secolo V, da sempre cantato e celebrato nelle Chiese Bizantine d’Oriente e ora accolto e indulgenziato anche nella Chiesa Cattolica d’Occidente

Inno Akathistos con organo - Stanze 1-12

L’Akathistos è una composizione davvero ispirata. Conserva un valore immenso: 
a motivo del suo respiro storico-salvifico, che abbraccia tutto il progetto di Dio coinvolgendo la creazione e le creature, dalle origini all’ultimo termine, in vista della loro pienezza in Cristo;
a motivo delle fonti, le più pure: la Parola di Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento, sempre presente in modo esplicito o implicito; la dottrina definita dai Concili di Nicea (325), di Efeso (431) e di Calcedonia (451), dai quali direttamente dipende; le esposizioni dottrinali dei più grandi Padri orientali del IV e del V secolo, dai quali desume concetti e lapidarie asserzioni;
 a motivo di una sapiente metodologia mistagogica, con la quale — assumendo le immagini più eloquenti dalla creazione e dalle Scritture — eleva passo passo la mente e la porta alle soglie del mistero contemplato e celebrato: quel mistero del Verbo incarnato e salvatore che — come afferma il Vaticano II — fa di Maria il luogo d’incontro e di riverbero dei massimi dati della fede (cf Lumen Gentium 65)
.

Inno Akathistos con organo - Stanze 13-24

PARTE NARRATIVA

1. Il più eccelso degli Angeli fu mandato dal Cielo
per dir “Ave” alla Madre di Dio.
Al suo incorporeo saluto
vedendoti in Lei fatto uomo,
Signore,
in estasi stette,
acclamando la Madre così:

Ave, per Te la gioia risplende;
Ave, per Te il dolore s’estingue.
Ave, salvezza di Adamo caduto;
Ave, riscatto del pianto di Eva.
Ave, Tu vetta sublime a umano intelletto;
Ave, Tu abisso profondo agli occhi degli Angeli.
Ave, in Te fu elevato il trono del Re;
Ave, Tu porti Colui che il tutto sostiene.
Ave, o stella che il Sole precorri;
Ave, o grembo del Dio che s’incarna.
Ave, per Te si rinnova il creato;
Ave, per Te il Creatore è bambino.
Ave, Sposa non sposata!

2. Ben sapeva Maria
d’esser Vergine sacra e così a Gabriele diceva:
«Il tuo singolare messaggio
all’anima mia incomprensibile appare:
da grembo di vergine
un parto predici, esclamando:
Alleluia!»
 
3. Desiderava la Vergine
di capire il mistero
e al nunzio divino chiedeva:
«Potrà il verginale mio seno
mai dare alla luce un bambino?
Dimmelo!»
E Quegli riverente
acclamandola disse così:

Ave, Tu guida al superno consiglio;
Ave, Tu prova d’arcano mistero.
Ave, Tu il primo prodigio di Cristo;
Ave, compendio di sue verità.
Ave, o scala celeste
che scese l’Eterno;
Ave, o ponte che porti gli uomini al cielo.
Ave, dai cori degli Angeli cantato portento;
Ave, dall’orde dei dèmoni esecrato flagello.
Ave, la Luce ineffabile hai dato;
Ave, Tu il «modo» a nessuno hai svelato.
Ave, la scienza dei dotti trascendi;
Ave, al cuor dei credenti risplendi.
Ave, Sposa non sposata!
 
4. La Virtù dell’Altissimo
adombrò e rese Madre
la Vergine ignara di nozze:
quel seno, fecondo dall’alto,
divenne qual campo ubertoso per tutti,
che vogliono coglier salvezza 
cantando così:
Alleluia!

5. Con in grembo il Signore
premurosa Maria
ascese e parlò a Elisabetta.
Il piccolo in seno alla madre
sentì il verginale saluto,
esultò,
e balzando di gioia
cantava alla Madre di Dio:

Ave, o tralcio di santo Germoglio;
Ave, o ramo di Frutto illibato.
Ave, coltivi il divino Cultore;
Ave, dai vita all’Autor della vita.
Ave, Tu campo che frutti ricchissime grazie;
Ave, Tu mensa che porti pienezza di doni.
Ave, un pascolo ameno Tu fai germogliare;
Ave, un pronto rifugio prepari ai fedeli.
Ave, di suppliche incenso gradito;
Ave, perdono soave del mondo.
Ave, clemenza di Dio verso l’uomo;
Ave, fiducia dell’uomo con Dio.
Ave, Sposa non sposata!
 
6. Con il cuore in tumulto 
fra pensieri contrari
il savio Giuseppe ondeggiava:
tutt’ora mirandoti intatta 
sospetta segreti sponsali, o illibata!
Quando Madre ti seppe
da Spirito Santo, esclamò:
Alleluia!
 
7. I pastori sentirono 
i concerti degli Angeli 
al Cristo disceso tra noi. 
Correndo a vedere il Pastore, 
lo mirano come agnellino innocente 
nutrirsi alla Vergine in seno, 
cui innalzano il canto: 

Ave, o Madre all’Agnello Pastore,
Ave, o recinto di gregge fedele.
Ave, difendi da fiere maligne,
Ave, Tu apri le porte del cielo.
Ave, per Te con la terra esultano i cieli,
Ave, per Te con i cieli tripudia la terra.
Ave, Tu sei degli Apostoli la voce perenne,
Ave, dei Martiri sei l’indomito ardire.
Ave, sostegno possente di fede,
Ave, vessillo splendente di grazia.
Ave, per Te fu spogliato l’inferno,
Ave, per Te ci vestimmo di gloria.

Ave, Vergine e Sposa!
 
8. Osservando la stella
che guidava all’Eterno, 
ne seguirono i Magi il fulgore. 
Fu loro sicura lucerna 
andando a cercare il Possente, 
il Signore. 
Al Dio irraggiungibile giunti, 
l’acclaman beati: 
Alleluia!
 
9. Contemplarono i Magi 
sulle braccia materne 
l’Artefice sommo dell’uomo. 
Sapendo ch’Egli era il Signore 
pur sotto l’aspetto di servo, 
premurosi gli porsero i doni, 
dicendo alla Madre beata:

Ave, o Madre dell’Astro perenne,
Ave, o aurora di mistico giorno.
Ave, fucine d’errori Tu spegni,
Ave, splendendo conduci al Dio vero.
Ave, l’odioso tiranno sbalzasti dal trono,
Ave, Tu il Cristo ci doni clemente Signore.
Ave, sei Tu che riscatti dai riti crudeli,
Ave, sei Tu che ci salvi dall’opre di fuoco.
Ave, Tu il culto distruggi del fuoco,
Ave, Tu estingui la fiamma dei vizi.
Ave, Tu guida di scienza ai credenti,
Ave, Tu gioia di tutte le genti.

Ave, Vergine e Sposa!
 

10. Banditori di Dio 
diventarono i Magi 
sulla via del ritorno. 
Compirono il tuo vaticinio 
e Te predicavano, o Cristo, 
a tutti, noncuranti d’Erode, 
lo stolto, incapace a cantare:
Alleluia!
 
11. Irradiando all’Egitto 
lo splendore del vero, 
dell’errore scacciasti la tenebra: 
ché gli idoli allora, o Signore, 
fiaccati da forza divina caddero; 
e gli uomini, salvi, 
acclamavan la Madre di Dio:

Ave, riscossa del genere umano,
Ave, disfatta del regno d’inferno.
Ave, Tu inganno ed errore calpesti,
Ave, degl’idoli sveli la frode.
Ave, Tu mare che inghiotti il gran Faraone,
Ave, Tu roccia che effondi le Acque di Vita.
Ave, colonna di fuoco che guidi nel buio,
Ave, riparo del mondo più ampio che nube.
Ave, datrice di manna celeste,
Ave, ministra di sante delizie.
Ave, Tu mistica terra promessa,
Ave, sorgente di latte e di miele.

Ave, Vergine e Sposa!
 
12. Stava già per lasciare 
questo mondo fallace 
Simeone, ispirato vegliardo. 
Qual pargolo a lui fosti dato, 
ma in Te riconobbe il Signore perfetto, 
e ammirando stupito 
l’eterna sapienza esclamò:
Alleluia!

PARTE TEMATICA

13. Di natura le leggi 
innovò il Creatore, 
apparendo tra noi, suoi figlioli: 
fiorito da grembo di Vergine, 
lo serba qual era da sempre, inviolato: 
e noi che ammiriamo il prodigio 
cantiamo alla Santa:

Ave, o fiore di vita illibata,
Ave, corona di casto contegno.
Ave, Tu mostri la sorte futura,
Ave, Tu sveli la vita degli Angeli.
Ave, magnifica pianta che nutri i fedeli,
Ave, bell’albero ombroso che tutti ripari.
Ave, Tu in grembo portasti la Guida agli erranti,
Ave, Tu desti alla luce Chi affranca gli schiavi.
Ave, Tu supplica al Giudice giusto,
Ave, perdono per tutti i traviati.
Ave, Tu veste ai nudati di grazia,
Ave, Amore che vinci ogni brama.

Ave, Vergine e Sposa!

 
14. Tale parto ammirando, 
ci stacchiamo dal mondo 
e al cielo volgiamo la mente. 
Apparve per questo fra noi, 
in umili umane sembianze l’Altissimo, 
per condurre alla vetta 
coloro che lieti lo acclamano: 
Alleluia!
 
15. Era tutto qui in terra, 
e di sé tutti i cieli 
riempiva il Dio Verbo infinito: 
non già uno scambio di luoghi, 
ma un dolce abbassarsi di Dio verso l’uomo 
fu nascer da Vergine, 
Madre che tutti acclamiamo:

Ave, Tu sede di Dio, l’Infinito,
Ave, Tu porta di sacro mistero.
Ave, dottrina insicura per gli empi,
Ave, dei pii certissimo vanto.
Ave, o trono più santo del trono cherubico,
Ave, o seggio più bello del seggio serafico.
Ave, o tu che congiungi opposte grandezze,
Ave, Tu che sei in una e Vergine e Madre.
Ave, per Te fu rimessa la colpa,
Ave, per Te il paradiso fu aperto.
Ave, o chiave del regno di Cristo,
Ave, speranza di eterni tesori.

Ave, Vergine e Sposa!
 
16. Si stupirono gli Angeli 
per l’evento sublime 
della tua Incarnazione divina: 
ché il Dio inaccessibile a tutti 
vedevano fatto accessibile, uomo, 
dimorare fra noi 
e da ognuno sentirsi acclamare:
Alleluia!
 
17. Gli oratori brillanti 
come pesci son muti 
per Te, Genitrice di Dio: 
del tutto incapaci di dire 
il modo in cui Vergine e Madre Tu sei. 
Ma noi che ammiriamo il mistero 
cantiamo con fede:

Ave, sacrario d’eterna Sapienza,
Ave, tesoro di sua Provvidenza.
Ave, Tu i dotti riveli ignoranti,
Ave, Tu ai retori imponi il silenzio.
Ave, per Te sono stolti sottili dottori,
Ave, per Te vengon meno autori di miti.
Ave, di tutti i sofisti disgreghi le trame,
Ave, Tu dei Pescatori riempi le reti.
Ave, ci innalzi da fonda ignoranza,
Ave, per tutti sei faro di scienza.
Ave, Tu barca di chi ama salvarsi,
Ave, Tu porto a chi salpa alla Vita.

Ave, Vergine e Sposa!
 
18. Per salvare il creato, 
il Signore del mondo, 
volentieri discese quaggiù. 
Qual Dio era nostro Pastore, 
ma volle apparire tra noi come Agnello: 
con l’umano attraeva gli umani, 
qual Dio l’acclamiamo: 
Alleluia!
 
19. Tu difesa di vergini, 
Madre Vergine sei, 
e di quanti ricorrono a Te: 
che tale ti fece il Signore 
di tutta la terra e del cielo, o illibata, 
abitando il tuo grembo 
e invitando noi tutti a cantare:

Ave, colonna di sacra purezza,
Ave, Tu porta d’eterna salvezza.
Ave, inizio di nuova progenie,
Ave, datrice di beni divini.
Ave, Tu vita hai ridato ai nati nell’onta,
Ave, hai reso saggezza ai privi di senno.
Ave, o Tu che annientasti il gran seduttore,
Ave, o Tu che dei casti ci doni l’autore.
Ave, Tu grembo di nozze divine,
Ave, che unisci i fedeli al Signore.
Ave, di vergini alma nutrice,
Ave, che l’anime porti allo Sposo.
Ave, Vergine e Sposa!  

20. Cede invero ogni canto 
che presuma eguagliare 
le tue innumerevoli grazie. 
Se pure ti offrissimo inni 
per quanti granelli di sabbia, Signore, 
mai pari saremmo ai tuoi doni 
che desti a chi canta: 
Alleluia!
 
21. Come fiaccola ardente 
per che giace nell’ombre 
contempliamo la Vergine santa, 
che accese la luce divina 
e guida alla scienza di Dio tutti, 
splendendo alle menti 
e da ognuno è lodata col canto:

Ave, o raggio di Sole divino,
Ave, o fascio di Luce perenne.
Ave, rischiari qual lampo le menti,
Ave, qual tuono i nemici spaventi.
Ave, per noi sei la fonte dei sacri Misteri,
Ave, Tu sei la sorgente dell’Acque abbondanti.
Ave, in Te raffiguri l’antica piscina,
Ave, le macchie detergi dei nostri peccati.
Ave, o fonte che l’anime mondi,
Ave, o coppa che versi letizia.
Ave, o fragranza del crisma di Cristo,
Ave, Tu vita del sacro banchetto.

Ave, Vergine e Sposa!
 
22. Condonare volendo 
ogni debito antico, 
fra noi, il Redentore dell’uomo 
discese e abitò di persona: 
fra noi che avevamo perduto la grazia. 
Distrusse lo scritto del debito, 
e tutti l’acclamano:
Alleluia!
 
23. Inneggiando al tuo parto 
l’universo ti canta 
qual tempio vivente, o Regina! 
Ponendo in tuo grembo dimora 
Chi tutto in sua mano contiene, il Signore, 
tutta santa ti fece e gloriosa 
e ci insegna a lodarti:

Ave, o «tenda» del Verbo di Dio,
Ave, più grande del «Santo dei Santi».
Ave, Tu «Arca» da Spirito aurata,
Ave, «tesoro» inesausto di vita.
Ave, diadema prezioso dei santi sovrani,
Ave, dei pii sacerdoti Tu nobile vanto.
Ave, Tu sei per la Chiesa qual torre possente,
Ave, Tu sei per l’Impero qual forte muraglia.
Ave, per Te innalziamo trofei,
Ave, per Te cadon vinti i nemici.
Ave, Tu farmaco delle mie membra,
Ave, salvezza dell’anima mia.
Ave, Vergine e Sposa!
 

24. Grande ed inclita Madre,
Genitrice del sommo fra i Santi,
Santissimo Verbo,
or degnati accogliere il canto!
Preservaci da ogni sventura, tutti!
Dal castigo che incombe
Tu libera noi che gridiamo:

Alleluia!

Note

Dopo essere andati un po’ alle radici di questo meraviglioso inno in omaggio a Maria, visto che siamo nel mese di Maggio, vorrei condividere con voi la mia esperienza di preghiera con il rosario mariano cristiano.

Vorrei parlarvi di questa preghiera che mi sta molto a cuore: lo so, forse pensate che sia qualcosa di ripetitivo, una vecchia moda… Ma vi assicuro che non è così! Il rosario è una preghiera bellissima, ricca di significato e di grazia. E soprattutto è una preghiera che ci fa stare vicini a Gesù e a Maria, i nostri migliori amici.

E’ una delle devozioni più belle e potenti che possiamo praticare come figli di Dio e della Madonna. Con il rosario infatti meditiamo i misteri della vita di Gesù e di Maria, dalla loro nascita alla loro gloria in cielo. Il rosario ci fa entrare nel cuore del Vangelo e ci fa scoprire la ricchezza della fede cristiana.

E’ anche una preghiera semplice e umile, come lo era Maria. Non serve essere dei teologi o dei santi per recitarlo. Basta avere un po’ di tempo, una corona benedetta e un cuore aperto alla grazia. Il rosario si può pregare da soli o in famiglia, in chiesa o a casa, al mattino o alla sera. L’importante è farlo con amore e devozione, cercando di seguire il ritmo delle Ave Maria e di riflettere sui misteri che si propongono.

Il rosario è anche una preghiera efficace e potente, perché ci mette in comunione con Maria, la madre di Dio e nostra madre. Maria ci ascolta sempre quando le parliamo con il rosario e intercede per noi presso suo Figlio Gesù. Lei sa quello che ci serve meglio di noi stessi e ci ottiene le grazie che desideriamo o che sono necessarie per la nostra salvezza. Con il rosario possiamo affidarle le nostre intenzioni personali, quelle della Chiesa e del mondo intero.

Il rosario è infine una preghiera gioiosa ed entusiasta, perché ci fa gustare le meraviglie che Dio ha compiuto nella storia della salvezza. Con il rosario celebriamo la gioia dell’Incarnazione, della Natività, dell’Annunciazione, della Visitazione, della Presentazione al Tempio, del Ritrovamento al Tempio; la luce del Battesimo nel Giordano, delle Nozze di Cana, dell’Annuncio del Regno di Dio, della Trasfigurazione sul Tabor, dell’Istituzione dell’Eucaristia; il dolore dell’Agonia nell’Orto degli Ulivi, della Flagellazione alla Colonna, della Coronazione di Spine, del Portamento della Croce, della Crocifissione; la gloria della Risurrezione,
dell’Ascensione al Cielo, della Discesa dello Spirito Santo, dell’Assunzione di Maria al Cielo, della sua Incoronazione come Regina dell’universo.

Vi invito quindi a pregare ogni giorno il rosario mariano cristiano con fede e fervore. Scoprirete così quanto sia bella questa preghiera e quanto sia grande l’amore di Dio per noi attraverso Maria. Il rosario vi darà pace nel cuore,
forza nella prova, speranza nella difficoltà, gioia nella vita.
Il rosario vi avvicinerà sempre più a Gesù e vi farà sentire sempre più figli amati di Maria.

Come possiamo definire il rosario? In poche parole, è una corona di rose spirituali che offriamo alla Madonna per ringraziarla e per chiederle la sua intercessione.

Ogni rosa è un’Ave Maria che recitiamo mentre meditiamo i misteri della vita di Gesù e di Maria:

In essi sono scritti gli episodi fondamentali della storia della nostra salvezza. Meditandoli possiamo conoscere meglio Gesù e Maria e imparare da loro come vivere da veri cristiani. Il rosario non è solo una ripetizione meccanica di parole ma un dialogo d’amore con la Mamma celeste che ci porta per mano verso suo Figlio.

Il rosario non è nemmeno una preghiera difficile o lunga. Basta avere un po’ di fede e di devozione. E poi si può recitare ovunque: a casa, in chiesa, in macchina (ma attenti alla strada!), a piedi… Io lo recito spesso quando faccio jogging o quando faccio le pulizie domestiche. Mi aiuta a rilassarmi e a sentirmi più vicino al Signore.

Il rosario ha anche molti benefici spirituali ed umani. Ci aiuta ad avere pace nel cuore e nella mente; ci protegge dal male; ci ottiene molte grazie da Dio; ci fa crescere nella fede; ci rende più generosi; ci fa apprezzare le cose semplici; ci fa scoprire il valore del silenzio; ci fa sentire parte della Chiesa universale…

Insomma il rosario è una preghiera meravigliosa che tutti dovremmo fare ogni giorno. Non lasciamoci scoraggiare dalla pigrizia o dalla distrazione. La Madonna ci aspetta con ansia per donarci il suo sorriso e il suo amore.

Vi invito quindi ad abbracciare questa devozione mariana con entusiasmo e con gioia. Vi assicuro che ne vale la pena! E se volete approfondire ancora di più il significato del rosario vi consiglio di leggere l’esortazione apostolica Rosarium Virginis Mariae del santo papa Giovanni Paolo II. È un documento bellissimo che vi farà innamorare ancora di più del rosario.

Al quarto paragrafo del decreto del Concilio Vaticano II sull’Apostolato dei Laici c’è scritto testualmente: «Maria viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudini familiari e di lavoro».

Intanto, Maria viveva sulla terra.

Non sulle nuvole. I suoi pensieri non erano campati in aria. I suoi gesti avevano come soggiorno obbligato i perimetri delle cose concrete.

Anche se l’estasi era l’esperienza a cui Dio spesso la chiamava, non si sentiva dispensata dalla fatica di stare con i piedi per terra.

Lontana dalle astrattezze dei visionari, come dalle evasioni degli scontenti o dalle fughe degli illusionisti, conservava caparbiamente il domicilio nel terribile quotidiano.

Ma c’è di più: Viveva una vita comune a tutti.

Simile, cioè, alla vita della vicina di casa. Beveva l’acqua dello stesso pozzo. Pestava il grano nello stesso mortaio. Si sedeva al fresco dello stesso cortile.

Anche lei arrivava stanca alla sera, dopo una giornata di lavoro.

Anche a lei un giorno le dissero: «Maria, ti stai facendo i capelli bianchi». Si specchiò, allora, alla fontana e provò anche lei la struggente nostalgia di tutte le donne, quando si accorgono che la giovinezza sta sfiorendo.

Le sorprese, però, non sono finite, perché venire a sapere che la vita di Maria fu piena di sollecitudini familiari e di lavoro come la nostra, ci rende questa creatura così inquilina con le fatiche umane, da farci sospettare che la nostra penosa ferialità non debba essere poi così banale come noi pensiamo.

Sì, anche lei ha avuto i suoi problemi di salute, di economia, di rapporti, di adattamento. Chi sa quante volte è tornata dal lavatoio col mal di capo, o sovrappensiero perché Giuseppe da più giorni in bottega non aveva molto lavoro.

Chi sa a quante porte ha bussato chiedendo qualche giornata di lavoro per il suo Gesù, nella stagione dei frantoi.

Chi sa quanti meriggi ha malinconicamente consumato a rivoltare il pastrano già logoro di Giuseppe, e ricavarne un mantello perché suo figlio non sfigurasse tra i compagni di Nazaret.

Come tutte le mogli, avrà avuto anche lei dei momenti di crisi nel rapporto con suo marito, del quale, taciturno com’ era, non sempre avrà capito i silenzi.

Come tutte le madri, ha spiato pure lei, tra timori e speranze, nelle pieghe tumultuose dell’adolescenza di suo figlio.

Come tutte le donne, ha provato pure lei la sofferenza di non sentirsi compresa, neppure dai due amori più grandi che avesse sulla terra. E avrà temuto di deluderli. O di non essere all’altezza del ruolo.

MARIA, DONNA DEI GIORNI FERIALI

O Maria, donna dei giorni feriali,
parlaci delle cose piccole e semplici
nelle quali si sente il sapore vero
del pane buono di un tempo,
impastato dalle mani della mamma.

O Maria, donna dei giorni feriali,
liberaci dalla tentazione della bontà
che cerca il palcoscenico
e si spegne insieme ai riflettori.
Aiutaci ad essere veri sempre e dovunque!

O Maria, donna dei giorni feriali, aiutaci
a riscoprire il fascino delle giornate normali:
fa che i nostri sguardi siano messaggi,
i nostri sorrisi siano abbracci di pace
e i nostri gesti siano regali colmi di gioia.

O Maria, donna dei giorni feriali,
aiutaci ad aprire la porta di casa
per condividere la festa della nostra vita
e per diffondere il canto dei figli di Dio
sulle strade della fatica di ogni giorno.

O Maria, aiutaci a capire
che la festa è Dio:
Accolto e amato nella casa
dei giorni feriali. Amen.

+ ANGELO COMASTRI

Idea Pogettazione Video a cura di Marilena Marino vocedivina.it

La Santa degli impossibili-Rita da Cascia

La Santa degli impossibili-Rita da Cascia

Meditazioni Mese Mariano di Maria

I vari volti della santità. Pensiamo a Maria sposa, madre, sorella, anche lei Donna dell’impossibile che ha reso tutto possibile!

Come tu mi vuoi
Eccomi Signor, vengo a te mio Re
Che si compia in me la tua volontà
Eccomi Signor vengo a te mio Dio
Plasma il cuore mio e di te vivrò
Se tu lo vuoi Signore manda me e il tuo nome annuncerò
Santa Rita nacque a Roccaporena (Cascia) verso il 1380. Secondo la tradizione era figlia unica e fin dall’adolescenza desiderò consacrarsi a Dio ma, per le insistenze dei genitori, fu data in sposa ad un giovane di buona volontà ma di carattere violento. Dopo l’assassinio del marito e la morte dei due figli, ebbe molto a soffrire per l’odio dei parenti che, con fortezza cristiana, riuscì a riappacificare. Vedova e sola, in pace con tutti, fu accolta nel monastero agostiniano di santa Maria Maddalena in Cascia. Visse per quarant’anni anni nell’umiltà e nella carità, nella preghiera e nella penitenza. Negli ultimi quindici anni della sua vita, portò sulla fronte il segno della sua profonda unione con Gesù crocifisso. Morì il 22 maggio 1457. Invocata come taumaturga di grazie, il suo corpo si venera nel santuario di Cascia, meta di continui pellegrinaggi. Beatificata da Urbano VIII nel 1627, venne canonizzata il 24 maggio 1900 da Leone XIII. E’ invocata come santa del perdono e paciera di Cristo.Patronato: Donne maritate infelicemente, Casi disperati
Etimologia: Rita = accorc. di Margherita
Martirologio Romano: Santa Rita, religiosa, che, sposata con un uomo violento, sopportò con pazienza i suoi maltrattamenti, riconciliandolo infine con Dio; in seguito, rimasta priva del marito e dei figli, entrò nel monastero dell’Ordine di Sant’Agostino a Cascia in Umbria, offrendo a tutti un sublime esempio di pazienza e di compunzione.

   

E’ la piccola borgata di Roccaporena, in Umbria, a dare i natali, molto probabilmente nel 1371, a Margherita Lotti, chiamata col diminutivo “Rita”. I genitori, modesti contadini e pacieri, provvedono a farle avere una buona educazione scolastica e religiosa nella vicina Cascia, dove l’istruzione è curata dai frati agostiniani. Matura in tale contesto la devozione verso Sant’Agostino, San Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, che Rita sceglie come suoi santi protettori.

Rita moglie e madre

Intorno al 1385 sposa Paolo di Ferdinando di Mancino. Contese e rivalità politiche sono i tratti che contraddistinguono la società di allora; anche il marito di Rita ne è coinvolto. Ma la giovane sposa, con la preghiera, la sua pacatezza e con quella capacità di pacificare appresa dai genitori, lo aiuta pian piano a vivere una condotta più autenticamente cristiana. Con l’amore, la comprensione e la pazienza, quella di Rita e Paolo diviene così un’unione feconda, allietata dall’arrivo di due figli maschi: Giangiacomo e Paolo Maria. Al sereno focolare domestico si contrappone però la spirale d’odio delle fazioni dell’epoca. Lo sposo di Rita vi si trova coinvolto anche per i vincoli di parentela, e viene assassinato. Per evitare di indurre i figli alla vendetta, nasconde loro la camicia insanguinata del padre. In cuor suo Rita perdona chi ha ucciso il marito, ma la famiglia di Mancino non si rassegna, fa pressioni; ne scaturiscono rancori ed ostilità. Rita non smette di pregare perché non si sparga altro sangue e fa della preghiera la sua arma e consolazione. Eppure le tribolazioni non vengono meno. Una malattia provoca la morte di Giangiacomo e Paolo Maria: l’unico conforto è pensare le loro anime salve, non più nel pericolo della dannazione nel clima di ritorsioni suscitato dall’assassinio del coniuge.

Monaca agostiniana
Rimasta sola, Rita comincia una vita di più intensa preghiera, per i suoi cari defunti, ma anche per i “di Mancino”, perché perdonino e trovino la pace. All’età di 36 anni chiede di essere accolta tra le monache agostiniane del Monastero Santa Maria Maddalena di Cascia, ma la sua richiesta viene respinta: le religiose, forse, temono con l’ingresso di Rita – vedova di un uomo assassinato – di mettere a repentaglio la sicurezza della loro comunità. Le preghiere di Rita e le intercessioni dei suoi santi protettori portano invece alla pacificazione tra le famiglie coinvolte nell’uccisione di Paolo di Mancino e dopo tanti ostacoli avviene l’ingresso in monastero. Si racconta che, durante il noviziato, la badessa, per provare l’umiltà di Rita, le abbia chiesto di innaffiare un arido legno e che la sua obbedienza sia stata premiata da Dio con una vite tutt’ora rigogliosa. Negli anni Rita si distingue come religiosa umile, zelante nella preghiera e nei lavori affidatile, capace di frequenti digiuni e penitenze. Le sue virtù divengono note anche fuori dalle mura del monastero, pure a motivo delle opere di carità cui Rita si dedica insieme alle consorelle, che alla vita di preghiera affiancano le visite agli anziani, la cura degli ammalati, l’assistenza ai poveri.


La santa delle rose
Sempre più immersa nella contemplazione di Cristo, Rita chiede di poter partecipare alla sua Passione e nel 1432, assorta in preghiera, si ritrova sulla fronte la ferita di una spina della corona del Crocifisso che persiste fino alla morte, per 15 anni. Nell’inverno che precede la sua morte Rita, malata e costretta a letto, chiede a una cugina, venuta in visita da Roccaporena, di portarle due fichi e una rosa dall’orto della casa paterna. É il mese di gennaio, la donna l’asseconda, pensandola nel delirio della malattia. Rientrata, trova, stupefatta, la rosa e i fichi e li porta a Cascia. Per Rita sono segno della bontà di Dio che ha accolto in cielo i suoi due figli e il marito. Rita spira nella notte tra il 21 e il 22 maggio dell’anno 1447. Per il grande culto fiorito immediatamente dopo, il suo corpo non è mai stato sepolto. Oggi lo custodisce un’urna in vetro. Rita ha saputo fiorire nonostante le spine che la vita le ha riservato, donando il buon profumo di Cristo e sciogliendo il gelido inverno di tanti cuori. Per tale ragione, e a ricordo del prodigio di Roccaporena, il simbolo ritiano per eccellenza è la rosa.

 Fra le tante stranezze o fatti strepitosi che accompagnano la vita dei santi, prima e dopo la morte, ce n’è uno in particolare che riguarda santa Rita da Cascia, una delle sante più venerate in Italia e nel mondo cattolico, ed è che essa è stata beatificata ben 180 anni dopo la sua morte e addirittura proclamata santa a 453 anni dalla morte.
Quindi una santa che ha avuto un cammino ufficiale per la sua canonizzazione molto lento (si pensi che sant’Antonio di Padova fu proclamato santo un anno dopo la morte), ma nonostante ciò s. Rita è stata ed è una delle più venerate ed invocate figure della santità cattolica, per i prodigi operati e per la sua umanissima vicenda terrena.
Rita ha il titolo di “santa dei casi impossibili”, cioè di quei casi clinici o di vita, per cui non ci sono più speranze e che con la sua intercessione, tante volte miracolosamente si sono risolti.
Nacque intorno al 1381 a Roccaporena, un villaggio montano a 710 metri s. m. nel Comune di Cascia, in provincia di Perugia; i suoi genitori Antonio Lottius e Amata Ferri erano già in età matura quando si sposarono e solo dopo dodici anni di vane attese, nacque Rita, accolta come un dono della Provvidenza.
La vita di Rita fu intessuta di fatti prodigiosi, che la tradizione, più che le poche notizie certe che possediamo, ci hanno tramandato; ma come in tutte le leggende c’è alla base senz’altro un fondo di verità.
Si racconta quindi che la madre molto devota, ebbe la visione di un angelo che le annunciava la tardiva gravidanza, che avrebbero ricevuto una figlia e che avrebbero dovuto chiamarla Rita; in ciò c’è una similitudine con s. Giovanni Battista, anch’egli nato da genitori anziani e con il nome suggerito da una visione.
Poiché a Roccaporena mancava una chiesa con fonte battesimale, la piccola Rita venne battezzata nella chiesa di S. Maria della Plebe a Cascia e alla sua infanzia è legato un fatto prodigioso; dopo qualche mese, i genitori, presero a portare la neonata con loro durante il lavoro nei campi, riponendola in un cestello di vimini poco distante.
E un giorno mentre la piccola riposava all’ombra di un albero, mentre i genitori stavano un po’ più lontani, uno sciame di api le circondò la testa senza pungerla, anzi alcune di esse entrarono nella boccuccia aperta depositandovi del miele. Nel frattempo un contadino che si era ferito con la falce ad una mano, lasciò il lavoro per correre a Cascia per farsi medicare; passando davanti al cestello e visto la scena, prese a cacciare via le api e qui avvenne la seconda fase del prodigio, man mano che scuoteva le braccia per farle andare via, la ferita si rimarginò completamente. L’uomo gridò al miracolo e con lui tutti gli abitanti di Roccaporena, che seppero del prodigio.
Rita crebbe nell’ubbidienza ai genitori, i quali a loro volta inculcarono nella figlia tanto attesa, i più vivi sentimenti religiosi; visse un’infanzia e un’adolescenza nel tranquillo borgo di Roccaporena, dove la sua famiglia aveva una posizione comunque benestante e con un certo prestigio legale, perché a quanto sembra ai membri della casata Lottius, veniva attribuita la carica di ‘pacieri’ nelle controversie civili e penali del borgo.
Già dai primi anni dell’adolescenza Rita manifestò apertamente la sua vocazione ad una vita religiosa, infatti ogni volta che le era possibile, si ritirava nel piccolo oratorio, fatto costruire in casa con il consenso dei genitori, oppure correva al monastero di Santa Maria Maddalena nella vicina Cascia, dove forse era suora una sua parente.
Frequentava anche la chiesa di s. Agostino, scegliendo come suoi protettori i santi che lì si veneravano, oltre s. Agostino, s. Giovanni Battista e Nicola da Tolentino, canonizzato poi nel 1446. Aveva tredici anni quando i genitori, forse obbligati a farlo, la promisero in matrimonio a Fernando Mancini, un giovane del borgo, conosciuto per il suo carattere forte, impetuoso, perfino secondo alcuni studiosi, brutale e violento.
Rita non ne fu entusiasta, perché altre erano le sue aspirazioni, ma in quell’epoca il matrimonio non era tanto stabilito dalla scelta dei fidanzati, quando dagli interessi delle famiglie, pertanto ella dovette cedere alle insistenze dei genitori e andò sposa a quel giovane ufficiale che comandava la guarnigione di Collegiacone, del quale “fu vittima e moglie”, come fu poi detto.
Da lui sopportò con pazienza ogni maltrattamento, senza mai lamentarsi, chiedendogli con ubbidienza perfino il permesso di andare in chiesa. Con la nascita di due gemelli e la sua perseveranza di rispondere con la dolcezza alla violenza, riuscì a trasformare con il tempo il carattere del marito e renderlo più docile; fu un cambiamento che fece gioire tutta Roccaporena, che per anni ne aveva dovuto subire le angherie.
I figli Giangiacomo Antonio e Paolo Maria, crebbero educati da Rita Lottius secondo i principi che le erano stati inculcati dai suoi genitori, ma essi purtroppo assimilarono anche gli ideali e regole della comunità casciana, che fra l’altro riteneva legittima la vendetta.
E venne dopo qualche anno, in un periodo non precisato, che a Rita morirono i due anziani genitori e poi il marito fu ucciso in un’imboscata una sera mentre tornava a casa da Cascia; fu opera senz’altro di qualcuno che non gli aveva perdonato le precedenti violenze subite.
Ai figli ormai quindicenni, cercò di nascondere la morte violenta del padre, ma da quel drammatico giorno, visse con il timore della perdita anche dei figli, perché aveva saputo che gli uccisori del marito erano decisi ad eliminare gli appartenenti al cognome Mancini; nello stesso tempo i suoi cognati erano decisi a vendicare l’uccisione di Fernando Mancini e quindi anche i figli sarebbero stati coinvolti nella faida di vendette che ne sarebbe seguita.
Narra la leggenda che Rita per sottrarli a questa sorte, abbia pregato Cristo di non permettere che le anime dei suoi figli si perdessero, ma piuttosto di toglierli dal mondo, “Io te li dono. Fa’ di loro secondo la tua volontà”. Comunque un anno dopo i due fratelli si ammalarono e morirono, fra il dolore cocente della madre.
A questo punto inserisco una riflessione personale, sono del Sud Italia e in alcune regioni, esistono realtà di malavita organizzata, ma in alcuni paesi anche faide familiari, proprio come al tempo di s. Rita, che periodicamente lasciano sul terreno morti di ambo le parti. Solo che oggi abbiamo sempre più spesso donne che nell’attività malavitosa, si sostituiscono agli uomini uccisi, imprigionati o fuggitivi; oppure ad istigare altri familiari o componenti delle bande a vendicarsi, quindi abbiamo donne di mafia, di camorra, di ‘ndrangheta, di faide familiari, ecc.
Al contrario di santa Rita che pur di spezzare l’incipiente faida creatasi, chiese a Dio di riprendersi i figli, purché non si macchiassero a loro volta della vendetta e dell’omicidio.
Santa Rita è un modello di donna adatto per i tempi duri. I suoi furono giorni di un secolo tragico per le lotte fratricide, le pestilenze, le carestie, con gli eserciti di ventura che invadevano di continuo l’Italia e anche se nella bella Valnerina questi eserciti non passarono, nondimeno la fame era presente.
Poi la violenza delle faide locali aggredì l’esistenza di Rita Lottius, distruggendo quello che si era costruito; ma lei non si abbatté, non passò il resto dei suoi giorni a piangere, ma ebbe il coraggio di lottare, per fermare la vendetta e scegliere la pace. Venne circondata subito di una buona fama, la gente di Roccaporena la cercava come popolare giudice di pace, in quel covo di vipere che erano i Comuni medioevali. Esempio fulgido di un ruolo determinante ed attivo della donna, nel campo sociale, della pace, della giustizia.
Ormai libera da vincoli familiari, si rivolse alle Suore Agostiniane del monastero di S. Maria Maddalena di Cascia per essere accolta fra loro; ma fu respinta per tre volte, nonostante le sue suppliche. I motivi non sono chiari, ma sembra che le Suore temessero di essere coinvolte nella faida tra famiglie del luogo e solo dopo una riappacificazione, avvenuta pubblicamente fra i fratelli del marito ed i suoi uccisori, essa venne accettata nel monastero.
Secondo la tradizione, l’ingresso avvenne per un fatto miracoloso: si narra che una notte, Rita, come al solito, si era recata a pregare sullo “Scoglio” (specie di sperone di montagna che s’innalza per un centinaio di metri al di sopra del villaggio di Roccaporena) e che qui ebbe la visione dei suoi tre santi protettori sopra citati, i quali la trasportarono a Cascia, introducendola nel monastero; era l’anno 1407. Quando le suore la videro in orazione nel loro coro, nonostante tutte le porte chiuse, convinte dal prodigio e dal suo sorriso, l’accolsero fra loro.
Quando avvenne ciò Rita era intorno ai trent’anni e benché fosse illetterata, fu ammessa fra le monache coriste, cioè quelle suore che sapendo leggere potevano recitare l’Ufficio divino, ma evidentemente per Rita fu fatta un’eccezione, sostituendo l’ufficio divino con altre orazioni.
La nuova suora s’inserì nella comunità conducendo una vita di esemplare santità, praticando carità e pietà e tante penitenze, che in breve suscitò l’ammirazione delle consorelle. Devotissima alla Passione di Cristo, desiderò di condividerne i dolori e questo costituì il tema principale delle sue meditazioni e preghiere.
Gesù l’esaudì e un giorno nel 1432, mentre era in contemplazione davanti al Crocifisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte, producendole una profonda piaga, che poi divenne purulenta e putrescente, costringendola ad una continua segregazione.
La ferita scomparve soltanto in occasione di un suo pellegrinaggio a Roma, fatto per perorare la causa di canonizzazione di s. Nicola da Tolentino, sospesa dal secolo precedente; ciò le permise di circolare fra la gente.
Si era talmente immedesimata nella Croce, che visse nella sofferenza gli ultimi quindici anni, logorata dalle fatiche, dalle sofferenze, ma anche dai digiuni e dall’uso dei flagelli, che erano tanti e di varie specie; negli ultimi quattro anni si cibava così poco, che forse la Comunione eucaristica era il suo unico sostentamento e fu costretta a restare coricata sul suo giaciglio.
E in questa fase finale della sua vita avvenne un altro prodigio: essendo immobile a letto, ricevé la visita di una parente la quale, nel congedarsi, le chiese se desiderava qualcosa della sua casa di Roccaporena; Rita rispose che le sarebbe piaciuto avere una rosa dall’orto; la parente obiettò che si era in pieno inverno e quindi ciò non era possibile. Ma Rita insistè. Tornata a Roccaporena, la parente si recò nell’orticello e, in mezzo ad un rosaio, vide una bella rosa sbocciata. Stupita, la colse e la portò da Rita a Cascia la quale, ringraziando, la consegnò alle meravigliate consorelle.
Così la santa vedova, madre, suora, divenne la santa della ‘Spina’ e la santa della ‘Rosa’; nel giorno della sua festa questi fiori vengono benedetti e distribuiti ai fedeli.
Il 22 maggio 1447 (o 1457, come viene spesso ritenuto) Rita si spense, mentre le campane da sole suonavano a festa, annunciando la sua ‘nascita’ al cielo. Si narra che il giorno dei funerali, quando ormai si era sparsa la voce dei miracoli attorno al suo corpo, comparvero delle api nere, che si annidarono nelle mura del convento e ancora oggi sono lì: sono api che non hanno un alveare, non fanno miele e da cinque secoli si riproducono fra quelle mura.
Per singolare privilegio il suo corpo non fu mai sepolto, in qualche modo trattato secondo le tecniche di allora, fu deposto in una cassa di cipresso, poi andata persa in un successivo incendio, mentre il corpo miracolosamente ne uscì indenne e riposto in un artistico sarcofago ligneo, opera di Cesco Barbari, un falegname di Cascia, devoto risanato per intercessione della santa.
Sul sarcofago sono vari dipinti di Antonio da Norcia (1457), sul coperchio è dipinta la santa in abito agostiniano, stesa nel sonno della morte su un drappo stellato; il sarcofago è oggi conservato nella nuova basilica costruita nel 1937-1947; anche il corpo riposa incorrotto in un’urna trasparente, esposto alla venerazione degli innumerevoli fedeli, nella cappella della santa nella Basilica-Santuario di santa Rita a Cascia.
Accanto al cuscino è dipinta una lunga iscrizione metrica che accenna alla vita della “Gemma dell’Umbria”, al suo amore per la Croce e agli altri episodi della sua vita di monaca santa; l’epitaffio è in antico umbro ed è di grande interesse quindi per conoscere il profilo spirituale di santa Rita.
Bisogna dire che il corpo rimasto prodigiosamente incorrotto e a differenza di quello di altri santi, non si è incartapecorito, appare come una persona morta da poco e non presenta sulla fronte la famosa piaga della spina, che si rimarginò inspiegabilmente dopo la morte.
Tutto ciò è documentato dalle relazioni mediche effettuate durante il processo per la beatificazione, avvenuta nel 1627 con papa Urbano VIII; il culto proseguì ininterrotto per la santa chiamata “la Rosa di Roccaporena”; il 24 maggio 1900 papa Leone XIII la canonizzò solennemente.
Al suo nome vennero intitolate tante iniziative assistenziali, monasteri, chiese in tutto il mondo; è sorta anche una pia unione denominata “Opera di santa Rita” preposta al culto della santa, alla sua conoscenza, ai continui pellegrinaggi e fra le tante sue realizzazioni effettuate, la cappella della sua casa, la cappella del “Sacro Scoglio” dove pregava, il santuario di Roccaporena, l’Orfanotrofio, la Casa del Pellegrino.
Il cuore del culto comunque resta il Santuario ed il monastero di Cascia, che con Assisi, Norcia, Cortona, costituiscono le culle della grande santità umbra.

Supplica a Santa Rita

Santa Rita da Cascia, modello di donna, di sposa, di mamma e di religiosa, io ricorro alla tua intercessione nei momenti difficili della mia vita. Tu sai che spesso la tristezza mi opprime perché non so trovare la via d’uscita in tante situazioni dolorose.
Ottienimi dal Signore le grazie di cui ho bisogno, specialmente la serena fiducia in Lui e la tranquillità interiore. Fa’ che io imiti la tua dolce mitezza, la tua forza nelle prove e la tua eroica carità e chiedi al Signore che sappia sopportare le mie sofferenze perché possano giovare a tutti i miei cari e che tutti possano camminare sereni verso la Patria eterna, dove tu ci attendi nella gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre

Ideazione Progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it