Il Poema delle 4 Notti
La notte della Pasqua i cristiani la celebrano attorno alla mensa dell’agnello, mangiano il pane della vita e devono il calice della salvezza, nutriti quindi del corpo e del sangue di Cristo.
Pane azzimo dell’ostia e calice del vino sono nel segno della continuità dell’eucarestia con il banchetto pasquale ebraico pur nella novità della presenza reale del Signore Gesù.
Perciò la liturgia della Veglia pasquale canta così: “Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti del Cristo dall’oscurità del peccato e della corruzione del mondo, li consacra all’amore del padre e li unisce alla comunione dei santi.. Questa è la notte in cui Cristo , spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro.
Nel dialogo tra padre e figlio (Es.13,14) seduti intorno alla mensa del Pessach risuona una domanda : “ Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti ?”
Perché si fa memoria della schiavitù di Egitto , ci si dispone a gustare il sapore della libertà bevendo alle quattro coppe della salvezza.
Quattro, come le tipologie di figli, e di benedizioni, identificate dal midrash e che rappresentano la varietà di posizioni raggiunta nel tempo dalle generazioni, alla quale il genitore deve adeguatamente rispondere: il saggio, il malvagio, il semplice, colui che non sa porre domande. Il figlio saggio, che non esclude se stesso dall’obbligo di eseguire i comandamenti di Dio e che riconosce le sue radici; il malvagio, che considera quei “riti” irrilevanti per lui, autoescludendosi dalla comunità (secondo l’Haggadah è l’unico non meritevole della liberazione dalla schiavitù, l’unico che sarebbe stato lasciato in Egitto); il semplice, il quale domanda “che significato ha tutto questo?”, merita una risposta altrettanto semplice, lineare, elementare sulle ragioni dell’Esodo; infine il figlio che non sa porre domande: è disinteressato, non ribelle, e quindi — a differenza del malvagio — secondo la Torah è meritevole lo stesso della ritrovata libertà anche solo per la semplice appartenenza (non rinnegata) al popolo ebraico.
La notte di Pessach è la notte che rivela le innumerevoli meraviglie di salvezza che l’altissimo ha operato: quattro, dalle quali derivano tutte le altre e tutte e quattro si sono compiute nella notte e nel buio del cuore, la luce è venuta a salvarci.
Il racconto delle quattro notti è riferito nella tradizione ebraica in rapporto alla benedizione ( o qiddush) delle quattro coppe in un antico documento che ne parla ed è il TARGUM ONKELOS a Es. 12,42.”In realtà quattro notti sono scritte nel libro del memoriale. LA PRIMA NOTTE fu quando il Signore si manifestò nel mondo per crearlo: il mondo era deserto vuoto e la tenebra si estendeva sulla superficie nell’abisso ma il Verbo del Signore era la luce e illuminava. Ed egli la chiamò notte prima (QIDDUSH della prima coppa) .
LA SECONDA NOTTE fu quando il Signore si manifestò ad Abramo dell’età di cento anni,mentre Sara sua moglie ne aveva novanta,affinché si compisse ciò che dice la scrittura : certo Abramo genera all’età di cento anni e Sara partorisce all’età di novant’anni. Isacco aveva trentasette anni quando fu offerto sull’altare. I cieli si abbassarono e discesero e Isacco ne contemplò la perfezione e i suoi occhi rimasero abbagliati per le loro perfezioni. Ed egli la chiamò : notte seconda (QIDDUSH della seconda coppa).
LA TERZA NOTTE fu quando il Signore si manifestò contro gli egiziani durante la notte : la sua mano uccideva i primogeniti di Egitto e la sua destra proteggeva i primogeniti di Israele per compiere la parola della Scrittura : Israele è il mio primogenito (Es. 4,22) Ed egli la chiamò : la notte terza ( QIDDUSH della terza coppa).
LA QUARTA NOTTE sarà quando il mondo giungerà alla sua fine per essere redento. Le sbarre di ferro saranno spezzate e le generazioni degli empi saranno distrutte.E Mosè salirà dal deserto e il Re dall’alto: e il Verbo camminerà in mezzo a loro ed essi cammineranno insieme., E’ la notte di Pasqua nel nome del Signore ,notte predestinata e preparata per la redenzione di tutti i figli d’Israele in ogni generazione (QIDDUSH della quarta coppa).”
Far memoria di queste quattro notti aiuta ad entrare intensamente nella notte di Pasqua, culmine e fonte della salvezza nostra e di tutte le creature che sono al mondo. Come quattro tappe esse scandiscono il cammino, teso a fare sempre più di noi , per tanti aspetti figli della notte, i figli della luce redenti dall’Amore.
Perché questa notte è diversa dalle altre? Perché non mangiamo pane lievitato ma solo pane azzimo non lievitato? E perché erba amara al posto delle normali verdure? Festa della libertà ritrovata (dopo la liberazione dalla schiavitù in Egitto), festa della primavera (Torah e Talmud collocano l’avvenimento nella stagione dal clima migliore), Pesach — la Pasqua ebraica — è anche festa dei bambini. Le loro domande, durante le due cene del Seder (rito che apre gli otto giorni di celebrazione), sono frutto dello stupore di trovarsi davanti una tavola apparecchiata in modo differente, dopo che l’intera famiglia, per giorni, ha eliminato scrupolosamente dalla casa ogni forma di alimento lievitato. Le risposte le troveranno nell’Haggadah, la raccolta di interpretazioni rabbiniche narranti gli eventi che hanno portato all’Esodo, dalle dieci piaghe d’Egitto all’apertura del Mar Rosso guidati da Mosè, dalla manna scesa dal cielo ai dieci comandamenti. È infatti quasi sempre il più giovane, generalmente un bambino, a recitare e cantare i brani più significativi.
Nishtanah (Cosa differenzia questa sera dalle altre sere?), il testo con le tradizionali “quattro domande”. In quel preciso “ordine” (traduzione italiana del termine Seder), in quella sequenza di atti di intensa partecipazione, i più giovani scoprono le origini, una parte essenziale della loro storia.
Pesach, “passare oltre”, come fece il Signore (Esodo, 12, 13) vedendo il sangue d’agnello su stipiti e architravi delle case dei figli d’Israele — era stato Dio stesso a dire a Mosè e ad Aronne di segnare le porte in questo modo — la notte in cui colpì ogni primogenito nella terra d’Egitto. Ed è così che quel giorno, il quattordicesimo del mese di Nissan, è diventato per gli ebrei l’inizio, un “memoriale” (zikkaron), rito perenne da celebrare di generazione in generazione. Quest’anno, secondo il calendario ebraico, che è calcolato su base lunare, Pesach comincerà la sera del 27 marzo per concludersi il 4 aprile. La meticolosa preparazione al Seder è dunque già cominciata, preceduta dalla pulizia della casa, dalla quale deve scomparire qualsiasi residuo di lievito. Quella sera, la prima, sulla tavola imbandita compariranno piatti decorati dove non devono mancare — prodotti rigorosamente kasher — il pane non lievitato (matzot), a ricordare la precipitosa fuga dall’Egitto, un gambo di sedano, erba amara, il maror (i romani sono soliti mettere delle foglie di lattuga), a rappresentare la durezza della schiavitù, una zampa di capretto (a simboleggiare l’agnello sacrificato al posto dei primogeniti del popolo ebraico), un uovo sodo, per il lutto ma anche per la vita che ricomincia, il charoset, impasto che ricorda l’argilla per comporre i mattoni, e poi quattro bicchieri di vino.
Intorno alla tavola si riuniscono le famiglie, si invitano gli amici, anche gli ospiti di passaggio. Al termine, l’augurio “l’anno prossimo a Gerusalemme” con la speranza, anzi la certezza, di rivedersi al Pesach successivo. Dalla schiavitù alla libertà. Il testo dell’Haggadah è pieno di frasi che inducono a rinnovare questo passaggio. Una di esse si trova proprio all’inizio: «Chi ha fame venga e mangi, chi ha necessità venga e faccia Pesach (con noi)». La libertà, spiega il rabbino Giuseppe Momigliano su “Moked”, «non è un bene che si risolve nel privato, non ci autorizza a chiuderci in noi stessi; la celebrazione del Seder ci ricorda che libertà è anche “invitare a fare Pesach”, cioè condividere con chi è materialmente privo del necessario per la festa, e coinvolgere chi, per circostanze della vita, si trova in solitudine, fisica o esistenziale». Come l’arrivederci a Gerusalemme, Leshanà habbà beJerushalaim, che conclude la cerimonia, non è semplicemente un auspicio ma la promessa, il richiamo a una città, osserva ancora Momigliano, «luogo aperto e accessibile, di preghiera e di incontro per tutte le genti e per ogni fede».
Un breve video per aiutare anche i più piccoli ad incominciare a conoscere questa antica tradizione e a confrontarsi con culture diverse.
https://www.osservatoreromano.va/it/news/2021-03/quo-067/pesach-la-liberta-onorata.html
Idea Progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it