15 – La partecipazione della vita divina nella vita dell’uomo

15 – La partecipazione della vita divina nella vita dell’uomo

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

La Parola, dunque, già esisteva fin dall’eternità: Dio ha rotto l’incomunicabilità con l’uomo, si è reso visibile attraverso suo figlio Gesù Cristo, mediante la presenza della sua carne, anche con la percezione sensoriale di cui l’uomo è partecipe, con l’udito, con la vista, con gli occhi.

Questa Parola fatta carne è venuta al mondo, addirittura, per essere toccata con le mani, essere vista, accolta, ascoltata. L’amore del Padre ha voluto raggiungere l’umana creatura attraverso l’incarnazione del Figlio, totalmente.

Senza ombra di dubbio, possiamo affermare che Dio non è affatto lontano, irragiungibile, ma è presente nella nostra esistenza attraverso suo figlio Gesù Cristo e noi abbiamo la possibilità di conoscerlo, non solo attraverso i racconti della Sacra Scrittura: Lui è entrato nel tempo della storia, ha attraversato i cieli, è venuto sulla terra, viene ancora oggi attraverso la presenza dei sacerdoti, dei poveri, del tabernacolo, della forma del pane e del vino.

Gv1,14; 1Gv1,1-3; 2Gv7 … “Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito,quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della Parola della vita…”

Questo passo tratto dalla lettera di Giovanni ci dice che noi siamo suoi testimoni, che Gesù si rende presente attraverso la percezione dei nostri sensi, attraverso la Parola che si incarna, vuole parlare agli uomini di questa generazione.

Il testimone è colui che, avendo ricevuto anche il dono dei cinque sensi, non solo ha la possibilità, ma anche il dovere di rendere presente Gesù attraverso l’adempimento perfetto del proprio ministero.

Il lettore, il catechista, colui che è chiamato a proclamare la parola di Dio, ha un compito autorevole, perché è chiamato ad offrire la sua testimonianza attraverso la proclamazione di una lettura che, a sua volta, rende presente Gesù Cristo all’Assemblea.

Abbiamo parlato della presenza del Signore, dei segni liturgici nelle celebrazioni, nella presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucarestia; ma anche nella Parola scritta e orale è contenuta la presenza del Signore perché lui vuole parlare attraversando i nostri sensi, desidera raccontarci di quello che ha fatto, di quello che ha sentito, di quello che è avvenuto e toccato, di quello che ha odorato.

Noi siamo trasmettitori tangibili del mandato di Gesù che ci ha resi annunciatori nella sua Parola; anzi, ci ha comandato di annunciare proprio questa vita eterna, questa Parola incarnata che esisteva nel seno del Padre fin dall’inizio dei tempi, della creazione del mondo.

Dunque, quindi non è soltanto un mandato, ma è un ordine, una priorità, un comando di vitale importanza, una necessità impellente, per questo dice che questa Parola deve essere tramandata, annunciata, diffusa in tutto il mondo fino agli estremi confini della terra, affinché tutto quello che è stato visto, che è stato udito, sia una veritiera testimonianza della presenza di Gesù Cristo in mezzo al popolo.

Riallacciare con l’umanità la stessa comunione, la stessa alleanza che Gesù aveva col Padre e che anela ad essere riconosciuta anche dai Figli di questa generazione, conclude la lettera, descrivendo una gioia, un particolare stato di comunione, di estasi vissuta realmente grazie a questo rapporto filiale rigenerativo.

Si può sperimentare questo nella vita di tutti i giorni, se si rimane attaccati a questa Parola, se la si proclama, se la si testimonia con la propria vita e la si mette in relazione con i fratelli, come abbiamo letto in Giovanni, si parla addirittura di una gioia perfetta, condivisa, non di una gioia qualunque, effimera, che passa e poi svanisce come molte volte la scena del mondo ci propone.

La contentezza del mondo molto spesso rischia di passare velocemente a ben guardare. Se riflettiamo, dopo i primi barlumi di felicità che stordiscono, l’amarezza lascia un profondo vuoto nell’anima delle persone che sono sempre costrette a rinnovare questo stato di ebbrezza effimera, una gioia passeggera che molte volte funziona da anestetico e si cerca di trovare in spensieratezze momentanee, in momenti che sembrano lì per lì arrecare piacevoli sensazioni, ma che purtroppo sfumano velocemente lasciando spazio a vuoti esistenziali profondi.

La gioia perfetta consiste in un’illuminazione della grazia derivante dalla comunione con lo Spirito Santo, in una profonda intimità che richiama la semplicità dei bambini che gioiscono, proprio perché sono come in braccio ai genitori e si abbandonano con fiducia alla loro provvidenziale guida.

La perfetta letizia di cui si parla nasce da questa perfetta sintonia con Dio Padre ed è frutto sicuramente anche della preghiera che è il nutrimento dell’anima, ma si ciba anche degli stessi sacramenti: è importante questo contatto, questo punto di ritrovamento per non perdere questo stato di felicità che è possibile instaurare continuamente dentro di noi.

Grazie alla contemplazione, al silenzio, alla percezione dei nostri sensi, abbiamo la possibilità di rendere presente ogni giorno, ogni momento, dentro di noi, il Signore, anche nella nostra semplice quotidianità.

La centralità di Gesù Cristo nella nostra vita è essenziale, perché solo recuperando questa centralità e dando priorità alla sua presenza, potremo ritrovare tutte le altre dimensioni; cerchiamo di monitorare tutte quelle zone del corpo che ci consentono di riattivare e sviluppare la nostra sensorialità per poterlo toccare, sentire, gustare, vedere e ascoltare in tutti i momenti della giornata.

I lettori, gli oratori, che hanno il compito privilegiato di annunciare la parola di Dio, dovrebbero ristabilire questo tipo di contatto con i propri sensi, sarebbe una grande stimolazione, dal momento che potrebbero approfondire su come la parola di Dio possa essere gustata, vista, sentita, toccata, sollecitata dall’olfatto.

La stessa gioia perfetta è la stessa che si gusta, si vede, si tocca, si ascolta, si adora, nella comunione del Figlio con il Padre e lo Spirito Santo e che può essere sollecitata e risvegliata attraverso queste parti del nostro corpo che spesse volte è addormentato e assopito, reso insensibile dalla nostra stessa incapacità di non prendere in considerazione i cinque sensi.

Nei tempi frenetici che viviamo in questa società odierna in continua evoluzione, si corre il serio rischio di non pensare affatto di mettere Dio al centro delle nostre azioni.

Non vediamo, non sentiamo, non tocchiamo, non ascoltiamo, non gustiamo più la presenza di Gesù Cristo, forse perché nessuno ce lo ha mai fatto vedere, toccare, gustare, conoscere, ascoltare sufficientemente e percepiamo solo in maniera istintiva e percettiva quello che ci arriva da fuori sotto forma di impulsi.

C’è davvero bisogno di testimoni e annunciatori di Gesù Cristo nel mondo di oggi, dal momento che tutti i nostri sensi o sono troppo sollecitati e quindi distratti, o si trovano avviluppati come da un torpore.

Gli stimoli esterni a cui sono sottoposti continuamente, fanno vedere, gustare, odorare, toccare e sentire i sensi sotto un’altra forma di piacevolezza, non abbiamo nessuna voglia di approfondire cosa si muove in profondità, invece del solo livello epidermico.

Sensazioni che fluttuano, vanno e vengono, investono la nostra sensibilità in modo repentino, cambiano a seconda delle mode, dell’evoluzione degli stessi costumi.

Questo sentimento si manifesta in maniera molto veloce, non attecchisce in profondità, non ha la possibilità di penetrare e agire realmente dentro la vita delle persone, sfiora soltanto la superficie e non l’interiorità.

L’uomo stesso non si ferma mai, è preso da un vortice costante di sensazioni, vuole gestire l’esistenza a seconda delle proprie pulsioni, di quel che gli gira al momento, è concentrato molto sul proprio egoico tornaconto, e, sottoposto com’è agli stimoli di così tante percezioni, profumi, odori, stimolazioni ottiche, acustiche, sensoriali che si succedono continuamente, non capisce nemmeno il perché la sua vita dovrebbe, invece, avere un solo punto di riferimento, dal momento che ne ha tanti e si trova bene così.

C’è anche l’analisi opposta e cioè che, ritornando a fissare un solo punto d’obiettivo e ricentrando lo sguardo e la nostra percezione in Gesù Cristo, potremmo ritrovare un contatto più profondo con noi stessi, con la sua divinità e approfondire allo stesso tempo tutte le altre dinamiche relazionali che ci competono.

La calma e la riflessione ci condurrebbero a un porto più sicuro e ritroveremmo, assieme a Gesù Cristo, tutto il resto, anche la nostra stessa vita.

Per questo è fondamentale il compito degli annunciatori: la parola di Dio, annunciata, proclamata, non può volare semplicemente sopra le teste delle persone, ma va trasmessa in modo vero, forte, incarnato, deve raggiungere il traguardo di arrestare quel vortice di stordimento sensoriale che travolge l’uomo di oggi e che lo costringe a non fermarsi mai per non pensare al vero senso della vita, ai veri valori che contano.

La parola di Dio, attraverso la bocca del predicatore, dovrebbe far sì che quello che lui pronuncia, metta in discussione critica tutto il suo essere, lo scuota, faccia mettere radici profonde.

La persona che si imbatte in questa Parola, attraverso una predicazione kerigmatica, seria, vitale, può rigenerare, dare vita e, a sua volta, rigenerare vita in qualcun altro, come un’onda che si propaga in cerchi concentrici a non finire.

Bisogna cercare quindi di svolgere bene questa grande missione che ci è stata affidata e badare bene ad usare tutti i mezzi che abbiamo nella nostra persona per trasmettere a tutti un messaggio efficace e duraturo.

L’essere umano è provvisto di tutti questi sensi per vivere ogni giorno bene se volesse, se fosse guidato dalla parola di Dio e se riscoprisse il ruolo centrale che ricopre, potrebbe ridare senso e valore a tutto quello che fa.

Per esempio, se immaginassimo che per una malattia o altro ci venisse a mancare un senso nel nostro corpo, per esempio, l’udito, la vista, o se si affievolisse il senso del tatto, del gusto, vedremmo sviluppare una serie di problematiche che ci impedirebbero di realizzare appieno, in totalità, la vita che vorremmo!

L’uomo è capace di filtrare qualsiasi senso ma non filtra l’unico senso vero che dovrebbe invece cercare, che è, per assurdo, proprio quello più importante… il senso della vita!

Noi abbiamo sviluppato i cinque sensi, vero, ma spesso manchiamo del senso più importante che è quello di dare sapore e consistenza a quello che facciamo, alle nostre piccole o grandi azioni.

Se impiegassimo il tempo, ogni istante, a coinvolgere come in una saggia centrifuga tutte le nostre facoltà, tutta la nostra sensorialità, facendo vivere dentro di noi la presenza di Dio e indirizzando così il senso della vita nella ricerca della sua volontà, l’uomo potrebbe trovare davvero questa gioia perfetta, questa ricetta della felicità profonda di cui si parlava nella lettera di Giovanni, innescando immediatamente il contatto con quel Padre.

Fin dall’inizio dell’eternità Dio ha pensato di connettersi con l’uomo attraverso l’incarnazione di suo Figlio Gesù Cristo, ha voluto toccare con mano concreta e reale la condizione del genere umano.

Poteva benissimo restare a parlare all’uomo soltanto dall’alto della montagna o dei cieli, attraverso il decalogo dell’Antico Testamento, ma, come dice la Scrittura, quando venne la pienezza del tempo Egli mandò suo Figlio Gesù Cristo in una carne umana, a prendere cioè la condizione umana e sposandola in tutte le sue modalità terrene, comprese quelle della sofferenza e della condizione fragile.

Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!” (Galati 4,4-6).

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Se consideriamo questo, possiamo comprendere come Cristo ha voluto l’uomo in tutte le sue dimensioni, inserendosi appieno nel mondo usando lui stesso il corpo i sensi, conducendo una vita terrena soggetta alla fame, alla sete, alla precarietà anche fisica, gioendo, soffrendo, come fanno tutti.

Era sua volontà far giungere l’uomo alla purificazione anche del corpo e dei sensi, per fare di lui un essere spirituale, celeste, non soggetto alla carnalità che distrugge, imbrutisce. Attraverso la sofferenza la stessa carne viene sottomessa al crogiuolo del dolore, per rivolgere i sensi a un gradino superiore di sensibilità che ci riporti a quella condizione libera e senza passioni che viveva all’origine.

Ciò che Dio ha vissuto sulla terra attraverso la persona di suo Figlio può farci avvicinare molto alla riflessione che Lui è venuto davvero in questo mondo e questa è davvero un’occasione per noi per creare quel contatto intenso con un Padre che molte volte pensiamo lontano.

Se l’uomo di oggi che, per certi versi, sembra essere distante ancora adesso dalla fede, per i motivi citati prima, ritorna a sviluppare questa forma di sensibilità, di percezione anche corporea, mettendo al centro della sua vita Gesù Cristo e la sua esperienza terrena, si può ritornare a considerare quell’intimo dialogo del Padre e ricominciare con la stessa relazione filiale interrotta con il peccato e la separazione da Dio nel Paradiso.

C’è un desiderio di riportare l’uomo alla primitiva condizione, fare di lui una nuova creatura vivificata dallo Spirito Santo, purificata.

Quando Adamo nel Giardino dell’Eden si distaccò da Dio, il peccato, la superbia di fare a meno di Lui, entrò inesorabilmente nella sua vita anche attraverso i sensi, purtroppo: se consideriamo bene quel frutto proibito che Adamo non doveva toccare e che viene mostrato da Eva, attraverso la vista in tutta la bellezza, quel gustoso frutto desiderabile e affascinante per gli occhi, viene anche gustato attraverso la bocca, toccato attraverso la mano, guardato dalla concupiscenza dell’occhio, dalla malizia della conoscenza che, non a caso, si apre alla loro mente.

La mela del peccato, il pomo di quella discordia primordiale è ascoltato persino appieno attraverso il sibilo e il fruscio del serpente.

Perché non ristabilire, allora, lo stesso contatto con Dio che si era perso in quel luogo bellissimo a causa proprio di quei sensi gestiti male dall’uomo?

Non ci vuole molto a immaginare questo rinnovamento anche se, non è solo la rinnovata partecipazione dei sensi che permette la salvezza dell’uomo, ma, analizzato il tutto, potrebbe rappresentare una via di analisi interessante per ripartire dalla valorizzazione dell’intera persona umana.

Se solo pensassimo come, attraverso la percezione sensoriale del corpo, potremmo rigustare, rivedere, risentire, riascoltare, toccare di nuovo, alla luce della parola di Dio proclamata, la presenza e l’intimità con il nostro Padre vero, di cui Gesù Cristo è il tramite, assieme allo Spirito Santo, potremmo forse, anzi, sicuramente, ripensare a quel contatto, ridisegnare quell’amicizia perfetta che viene in soccorso non solo dell’uomo, ma anche delle relazioni col prossimo.

Come dice la lettera di Giovanni, il Verbo si è incarnato, si è reso visibile, la vita si è manifestata nella comunione del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.

Qui si parla cioè, di comunione, di relazione, di rapporti interpersonali, di perfetta sintonia, di una rete diffusiva riguardo all’amicizia, alla letizia perfetta, possibili soltanto se noi siamo disposti a ricucire una vera dimensione corporale e spirituale.

L’uomo, come Gesù Cristo, è fatto sia di umanità, sia di divinità e, anche se la sua tensione è di avvicinarsi il più possibile allo spirito, tralasciando i desideri della carne, Dio ci ha regalato questa possibilità di ritornare alla casa del Padre credendo all’incarnazione di suo Figlio per ricevere lo Spirito che ci fa nuove creature, uomini e donne rinate dall’alto, come cita l’episodio di Nicodemo e della donna samaritana.

Possiamo vivere questa nuova dimensione attraverso il nostro battesimo, tutti i segni liturgici, la presenza reale del corpo e sangue di Cristo, ma anche attraverso la Parola, i sacerdoti che la spezzano nell’omelia, i lettori, i catechisti, gli oratori che hanno il privilegio di diffondere il messaggio cristiano grazie alla professionalità e alla preparazione dovuta.

Salmo 34 (33)

Benedirò il Signore in ogni tempo

sulla mia bocca sempre la sua lode.

Io mi glorio nel Signore,

ascolti non gli uomini e si rallegrino.

Celebrate con me il Signore,

esaltiamo insieme il suo nome.

Ho cercato il Signore e mi ha risposto

e da ogni timore mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,

non saranno confusi i vostri volti.

Questo povero grida e il Signore lo ascolta,

l’ho libera da tutte le sue angosce.

L’Angelo del Signore si accampa

su quelli che lo temono e li salva.

Gustate e vedete quanto è buono il Signore;

beato l’uomo che in lui si rifugia.

Temete il Signore, suoi santi,

nulla manca a coloro che lo temono.

I ricchi impoveriscono e hanno fame,

ma chi cerca il Signore non manca di nulla”.

In questo Salmo di lode troviamo continui riferimenti ai sensi, al corpo dell’uomo, a verbi che riflettono l’azione di questo… “questo povero grida e il Signore lo ascolta”, ”gustate e vedete quanto è buono il Signore”, “gli occhi del Signore sui giusti”, “i suoi orecchi al loro grido di aiuto”, “gridano e il Signore li ascolta”, “ guardate a lui e sarete raggianti”.

Ma ritorniamo ancora alla Lettera ai Romani 10,8-15, la rimarchiamo perché fondamentale….

Che cosa dice dunque? Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore, cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.

Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!”

Vediamo come ancora una volta Cristo si rende visibile all’uomo e incarna totalmente e pienamente tutta la sua corporeità quando dice che la Parola è accessibile a tutti, che la salvezza vuole arrivare a tutta l’umanità, senza distinzione alcuna e che questa Parola di salvezza è vicina, molto vicina, più di quanto si possa credere, vicina e prossima: alla bocca, al cuore, e, soprattutto, risveglia alla fede colui che la predica e chi l’ascolta.

C’è necessità di proclamare bene la Parola del Signore affinché questa raggiunga il cuore dell’uomo che ha bisogno di credere fermamente che Gesù è il Salvatore dell’umanità.

Chi riceve l’annuncio di questa Parola ha la certezza, fosse solo anche per un momento, che non è solo in questa vita, che non è lasciato solo al suo destino, che c’è qualcuno che provvede a lui.

Il cuore ha bisogno di credere a questa Buona Notizia per ottenere la giustizia secondo la grazia, ma anche colui che la proclama, e cioè l’oratore, deve poter professare questa fede con la sua bocca, oltre che col cuore, ed essere veramente credibile.

Egli annuncia Gesù stesso che deve poter arrivare a persone che neanche hanno sentito non solo parlare di lui, ma che non lo conoscono affatto o non credono.

Le persone lontane, come possono invocare colui nel quale non hanno creduto o di cui non hanno mai sentito parlare, e come crederanno in colui del quale non conoscono nulla, e come ne sentiranno parlare, senza qualcuno che lo annunci?

C’è bisogno di lettori, catechisti adulti e preparati, annunciatori veraci ma, soprattutto, di testimoni credibili anche con la stessa vita, per poter incarnare la Buona Notizia, la Resurrezione di Gesù Cristo.

Come le persone che non lo conoscono ne sentiranno parlare senza, appunto, che qualcuno lo annunci?

E come lo annunceranno, se non sono stati inviati nel ministero del lettorato, della parola, nel ministero straordinario dell’Eucarestia, nei catechisti, in coloro che anche semplicemente leggono un salmo, lo cantano, lo declamano con dedizione?

Deve essere visibile questa urgenza, questa importanza dell’annuncio della Parola e anche della serietà della testimonianza:

oggi più che mai il mondo ha bisogno della Rivelazione di fede!

Possiamo confidare in Gesù Cristo che chiama sempre da ogni parte della terra discepoli, suscita carismi ad opera dello Spirito Santo, evangelizzatori, rendendoli fervidi credenti che, grazie anche alla predicazione della Parola, diventano a loro volta annunciatori e testimoni, anche nella semplicità della loro vita.

È Gesù che li invia, è sempre sua l’iniziativa di designare uomini e donne, dicendo di andare ad annunciare a tutti i popoli la lieta novella fino all’estremità della terra:

quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!”

Il Signore si serve di piedi, mani, occhi, orecchi, ma soprattutto della bocca che annuncia la parola e fa la sua grande professione di fede.

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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14 – La Riscoperta della Parola

14 – La Riscoperta della Parola

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

Siamo ormai avvolti, pervasi e imbevuti in un mondo di segni e di simboli che ci arrivano da notevoli contaminazioni elettroniche, televisive ed estetiche; ma abbiamo perso quasi del tutto la realtà a cui il significato di questi segni rimanda.

Si è come persa la dimensione di una certa sacralità, l’importanza della celebrazione liturgica dove si rende presente Gesù Cristo nella storia, venuto a santificare il tempo e lo spazio.

Gli edifici del culto cristiano sono stati da sempre gli strumenti con cui la Chiesa ha manifestato al mondo la presenza di Dio, ma con l’andar del tempo, abbiamo assistito a questa perdita di senso e le persone spesso si sono allontanate dal concetto stesso di sacralità.

Per questo, è compito del cristiano, in questo caso anche di chi è predisposto al ministero della proclamazione della Parola, di far riaffiorare il senso della Resurrezione, di rendere maggiore gloria a quello che si celebra, a quello che si legge, a quello che si trasmette oralmente, a quello che si tramanda con la Scrittura, cercando di riedificare la stessa proclamazione della parola di Dio.

Assistiamo oggigiorno ad un certo svuotamento dello stesso senso della festa, che è la parte vitale e celebrativa della collettività, in cui il popolo è chiamato a partecipare attivamente.

L’incontro dell’umanità di Cristo che si cala nella vita di tutti i giorni, nel quotidiano vivere ha perso molto della sua valenza, non soltanto nelle celebrazioni.

Uno svuotamento anche della perdita del senso del sacro, per cui è necessario rivestire di nuova luce tutto quello che è nascosto dietro la Parola, usare tutte le forme più opportune per rivitalizzare il senso cristiano della missione del lettore, del catechista, del liturgista.

Abbiamo smarrito il gusto vero della gioia partecipativa alla liturgia, perché sopraffatti, forse, da una cultura troppo edonistica, troppo volta ad un senso del piacere, e smarrito quella gioia interiore vera, profonda che si percepisce come Resurrezione; colpa della secolarizzazione e della perdita delle tradizioni che hanno bussato in questo nuovo tempo della nostra società, che, molte volte, si ritrova a vivere soltanto l’aspetto piacevole e superficiale riguardo alla gioia, viene a mancare la felicità dell’incontro con la resurrezione di Cristo Risorto la cui gioia risiede nel sentire, nel fedele stesso, la voglia spirituale di accendersi di felicità.

Abbiamo la necessità di ritrovare la partecipazione a un concetto di festa più reale che possa sensibilizzare i nostri sensi, perché la stessa vita ritrovi una vera motivazione, dando voce ai desideri dello spirito insieme ai bisogni del corpo, che coinvolga gli elementi della creazione, i linguaggi dell’arte, assieme al coinvolgimento di una gioia che impregna di calore e luce l’esistenza dell’uomo.

C’è necessità di vivere in prima persona la Resurrezione che incontriamo già nei gesti della liturgia durante l’Eucarestia, ma che hanno necessità di prolungarsi in una liturgia quotidiana, feriale, di ogni giorno, in cui l’essere umano prolunghi questa gioia che riceve nella Messa settimanale: è arrivato il momento di celebrare ogni giorno la morte, la Resurrezione, la Pasqua del Signore Nostro Gesù Cristo, rispolverando e riempiendo di senso tutti quei gesti, tutti quegli atti, tutti quei sensi di cui abbiamo parlato che hanno il potere di rianimare la stessa parola di Dio.

Affinché questa Parola come dice la Scrittura, resti viva ogni giorno, ogni minuto, ogni ora nello spirito del cristiano, c’è bisogno, veramente, di meditare, studiare e approfondire in senso profondamente spirituale questi segni, coinvolgendo tutto il nostro essere nelle Sacre Scritture e assimilandole con tutta la nostra umanità, con tutta la nostra corporeità, meditando su cosa si nascondeva dietro il gesto di Gesù quando camminava, quando guariva, quando ammaestrava le folle, quando benediceva e quando faceva i miracoli.

Occorre sentire come sentiva Gesù, quando in preghiera si ritirava ad ascoltare la voce del Padre, sentire col cuore come faceva lui quando si faceva carico dei bisogni dei poveri, di chi aveva bisogno di essere guarito, toccare come lui toccava la disperazione dei tanti bisognosi infermi che si avvicinavano per una sua parola di conforto, per sfiorare un solo lembo di mantello.

Occorre provare la sua stessa fame di vita eterna, di giustizia, di verità, la sua stessa sete quando stava sulla croce, occorre annusare la medesima voglia di cielo, d’intimità nel fare la volontà del Padre, sentire con l’udito la voce dell’infinito, la voce del silenzio, la voce della paura nel Getsemani, della solitudine, della tentazione, e del tradimento amaro dei compagni.

C’è bisogno di gustare come Gesù quella fame delle Beatitudini:

di assaggiare con ansia il cibo di vita eterna dell’Eucarestia, dell’ultima ultima cena che aveva mangiato con i suoi discepoli; occorre vedere davanti agli occhi il deserto, l’amarezza, lo sconforto, ma anche la meta fissata di bere il calice fino alla fine, il colore del vino nelle giare alle nozze di Cana, incrociare lo sguardo della Madre, delle pie donne.

C’è necessità di assaggiare con tutti i sensi possibili la precarietà, la povertà, ripercorrere tutte le realtà che aveva davanti a lui, scrutare con la vista interiore dentro l’anima delle donne, degli uomini, dei reietti; annusare l’ipocrisia dei capi del popolo, la dolcezza dei fanciulli, sfiorare con la profondità del cuore tutte le sfumature dei sentimenti, la tenerezza, l’odio, l’amore, la rabbia, la supplica, l’arroganza, la saccenza dei dotti, la povertà negli ultimi, la disperazione delle donne, l’ingiustizia sociale, l’amore per la lealtà, la verità, l’amore per la libertà dell’uomo, il coraggio di lavare i piedi facendosi ultimi.

man kneeling in front of wooden cross

Bisogna fare esperienza, sperimentare, attraverso i nostri sensi, i sensi che Gesù stesso ha avuto come essere umano,

Lui che essendo di natura Divina, non tenne conto della sua uguaglianza con Dio, ma annullò se stesso e si fece ultimo, si fece uomo, assumendo la condizione di servo. Lui, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di Croce” (Lettera ai Filippesi 2,6.8).

Bisogna dare “corpo” a questa Parola.

La parola di Dio non può adeguatamente esprimersi solo con delle parole. Quando Dio ha voluto parlare agli uomini ha mandato suo Figlio.

La Parola è proclamata perché poi prenda corpo, s’incarni nella nostra vita. Altrimenti resta una parola del passato, al massimo un poema e non una parola per noi di oggi.

Questo esige anche che chi è ministro della Parola nell’Assemblea liturgica lo sia anche fuori di questo contesto: diventi cioè animatore di gruppi di ascolto della parola di Dio, catechista, ecc.

Solo se riusciremo a percepire il coinvolgimento corporeo e a entrare con tutto il nostro essere nella Scrittura, saremo veramente servitori della Parola, riusciremo ad attualizzare ciò che leggiamo, a entrare più profondamente in quella che è la Parola viva, incarnata di un Dio che per amore all’uomo, si fa piccolo e viene spezzato oltre che nell’Eucaristia, anche nella Parola.

Attraverso i ministri ordinati, attraverso i laici, attraverso i fedeli che mostrano amore e impegno nel carisma loro affidato dalla madre Chiesa, è possibile svolgere questo bellissimo ministero a beneficio di tutti.

Il mondo è uno, il mondo spirituale, nella sua totalità, si manifesta nella totalità del mondo sensibile”, diceva Massimo il confessore, “ed è misticamente espresso mediante immagini simboliche per coloro che hanno occhi per vedere”,

così come parla l’apostolo in Romani 1,20 Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute”.

Cioè da sempre le cose poco comprensibili di Dio sono riconosciute dall’uomo attraverso le sue stesse creature.

San Bernardo di Chiaravalle commentando lo stesso passo scriveva:

Questo mondo sensibile è come un libro aperto a tutti, e legato da una catena così che vi si possa leggere la sapienza di Dio qualora lo si desideri”.

Quindi, se lo desideri veramente, c’è una sapienza nascosta internamente alla Creazione che bisogna saper penetrare: i ministri della Parola e coloro che sono predisposti a tale servizio dovrebbero capire l’importanza di rendere, dunque, visibile e accessibile tutto quello che la sapienza divina nasconde ma che vuol essere manifestata agli uomini.

Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena” (Prima lettera di Giovanni cap. 1,1-4).

Per concludere “dare corpo alla Parola” vuol dire che il lettore per proclamare la parola di Dio deve “impegnare” la sua vita, e questo esige una formazione biblica e liturgica, anche atteggiamenti spirituali e disponibilità al servizio, ma richiede anche un giusto comportamento fisico per una migliore efficacia del ministero esercitato.

E questo deve essere visibile anche durante la liturgia; la coerenza del comportamento del ministro della parola inizia già dal momento in cui si reca all’ambone o al luogo dove svolge il suo ufficio.

Non è consigliabile che il ministro lasci il suo posto prima che sia terminata l’azione liturgica precedente. Mentre il celebrante conclude la preghiera comune, non è bello vedere i lettori che si recano verso l’ambone, quasi fossero estranei all’Amen finale della colletta.

Le monizioni da premettere alla lettura, al salmo o alla preghiera e al canto, vanno fatte dal commentatore, ma nel caso che mancasse e il compito toccasse al lettore, questi avrà l’accorgimento di cambiare tono di voce e di fare una pausa vera perché non sembri che la monizione sia già parte della lettura o la lettura sia ancora la monizione.

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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13 – Il coinvolgimento dei sensi nella Liturgia.

13 – Il coinvolgimento dei sensi nella Liturgia.

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

Quanto più tutti i sensi dell’uomo sono coinvolti, tanto più intensa è l’esperienza legata a ciò che vogliamo manifestare; bisogna approfondire con intensità il senso della vista, il senso dell’udito, dell’olfatto, del gusto e del tatto, per cercare di coinvolgere in modo potente sia il lettore che fa uso della parola di Dio, sia quando si ascolta il messaggio della Parola.

San Tommaso affermava, per esempio, che:

nulla è nell’intelletto che non si trovi prima nei sensi”.

La nostra ricerca spirituale, deve passare attraverso l’esperienza concreta del vissuto umano, e dev’essere fondata nella comunicazione con le persone e le esperienze mediante i sensi, per rendere più efficace il calarsi del Divino, della spiritualità, nell’umana persona e nell’incarnazione.



Abbiamo bisogno che la nostra vita spirituale parta dalle esperienze sensoriali, cercando di utilizzare i sensi nel centro della nostra fede e che questa esperienza emozionale si rifletta presente nella liturgia.



Anche nelle stesse celebrazioni e nelle Sante Messe assistiamo all’utilizzo e ai gesti dei sensi da parte del sacerdote, per esempio, quando ascoltiamo dall’Assemblea la parola di Dio, e quando nelle celebrazioni più importanti siamo pervasi dall’odore dell’incenso, della cera, dei fiori che addobbano l’altare o le altre zone della Chiesa, quando gustiamo con la bocca e il palato il Pane dell’eucarestia, o quando il sacerdote beve alla coppa il vino, nello scambio della pace con i fedeli e infine quando ci sembra di toccare la mano che ci benedice o quando ci bagna, direttamente dall’aspersorio, l’acqua santa.

In questi modi concreti riusciamo con i sensi ad entrare nella forza spirituale della celebrazione, partecipando in modo visibile e sensoriale alla Salvezza universale che viene celebrata in Cristo.



Noi diamo poca importanza alle componenti sensoriali nella liturgia, ci sembra che queste sensazioni corporee abbiano solo una importanza secondaria e occasionale, ma i simboli sacramentali sono fondamentali e descrivono ancora meglio la componente umana della presenza di Cristo.

Quindi la componente dei sensi che percepiamo durante le azioni liturgiche non è un accessorio ma è strettamente legata alla componente spirituale della nostra Fede.



Infatti credere nel nostro Dio è credere anche in Gesù che parla con noi, che ha assunto la nostra carne, che si dona a noi nell’incarnazione e, dunque, possiamo, allo stesso tempo, credere che in una liturgia ci sia tutta la corporeità umana dal momento che essa non è lontana dal nostro vivere e dal nostro sentire corporeo.

Se mancano queste componenti anche le liturgie perdono la loro efficacia e perdono quel potere evangelico della reale presenza di Cristo.



Partendo dal senso della vista pensiamo, per esempio, quando nella veglia Pasquale celebriamo Cristo luce del mondo, ripensiamo a quella luce che illumina la sala che accende il cero, che fa vedere i luoghi della celebrazione, che risplende dando luce anche alla nostra vista.

Gli stessi quadri, gli stessi mosaici, le stesse icone che si ammirano in tante Chiese, sono segno e simboli importanti da vedere con il senso della vista e che arrivano a emozionare la nostra anima e sostenere la nostra fede.

Sono sempre gli occhi che vedono e apprezzano una Chiesa ben illuminata in tutte le sue parti, adeguatamente pulita, vedere tutte le parti della Chiesa ben ordinate, vedere durante le celebrazioni i colori che ci rimandano al preciso periodo liturgico da vivere, la disposizione dei fiori con armonia che ci da subito un senso di accoglienza e bellezza naturale.

Da questi esempi possiamo capire che adoperiamo la vista per riconoscere la bellezza, anche nell’atto di leggere una Parola, di spezzare una catechesi, di fare un’omelia o di leggere un salmo.

Il senso dell’udito ci consente di ascoltare, di preparare l’orecchio all’ascolto, ma anche essere in grado di recepire bene le parole, il messaggio proclamato, non solo acusticamente attraverso i suoni che passano dagli strumenti tecnologici predisposti per l’ascolto, ma anche dal punto di vista della percezione interiore, a proposito di quella voce che è all’interno di noi che analizza il nostro essere dal punto di vista psicologico.



Ascoltare, dicevamo, per potersi ascoltare e adoperare questo senso per intensificare la nostra percezione corporea, qualità non tanto praticata, in quanto non si è molto abituati ad avere il giusto contatto con il nostro corpo, con la nostra respirazione e la nostra gestualità.



Abbiamo ricordato, a proposito del senso dell’udito, come sia necessario registrare la voce e ascoltarla per prepararla con i toni giusti, alla comunicazione verbale che prevede codici vocali molto articolati e differenti.



Non è possibile proporre le letture durante una celebrazione, se prima i lettori non si siano ben preparati e non abbiano assimilato il contenuto, o non curino prima l’intonazione opportuna per leggere quella Parola.

Sono necessarie anche modalità espressive diverse, sulla base delle funzioni dei vari interventi previsti, perché una cosa è proclamare un’orazione, altro è acclamare Dio, altro ancora è invitare tutti alla preghiera.



L’olfatto, nella liturgia, ci apre alla riflessione di infinite informazioni, perché parlando di questo senso, possiamo pensare subito all’odore diverso dei fiori che ispirano subito gioia, festa, omaggio; e anche dell’incenso, del suo profumo, l’odore della cera che accende l’immaginazione, dal momento che tutti i sensi sono collegati tra loro e sviluppano, ascoltandoli, stimolazioni anche visive; persino ciò che si legge può rimandare alla percezione dell’odore.



Anzi, sarebbe opportuno soffermarsi sulle sensazioni che le parole emanano a partire proprio dal loro odore, quasi che quello che stiamo leggendo, riesce a far salire alle narici l’odore di certi aggettivi, di certi verbi, di certe definizioni, di certe ambientazioni.

Se si prova a sperimentare questo, è possibile far risvegliare anche in chi ascolta, lo stesso gusto, lo stesso olfatto.



Aristotele considerava l’olfatto come ultimo per importanza tra i sensi, e anche Kant asseriva che esso era il meno utile alla conoscenza e meno gratificante.

Forse nella liturgia non è proprio così; perché, se siamo molto attenti ad esaltare il gusto, dell’olfatto, possiamo scoprire un importante valore riguardo a questo senso dal momento che gli odori agiscono come segnale, stimolo e provocano nelle persone delle reazioni spontanee.



Citiamo, per esempio, l’odore del buon cibo, dei fiori nelle varie stagioni, l’odore dell’aria, l’odore del mare, della salsedine, del cielo con le nuvole cariche di pioggia, quando si respira umidità, caldo, l’odore degli aromi, delle sostanze profumate, l’odore dell’olio, delle spezie.

Annusando questi odori ad occhi chiusi, se proprio vogliamo fare un piccolo esercizio, possiamo sentire il risveglio nel nostro corpo di tutta la percezione sensibile ed emozionale che potrebbe agire a favore delle letture che leggiamo e acuiscono di molto il modo di far risaltare i colori di cui sono impregnate le parole.

 

man kneeling in front of wooden cross

 A proposito dell’olio, ricordiamo l’odore dell’olio che si usa per l’unzione dei malati, e prima quell’olio usato per la preparazione del Crisma che unge e profuma i battezzati, ma è soprattutto un segno che rimanda… che rimanda al profumo stesso di Cristo, pensiamo all’odore del sacro, della sacralità che risveglia il senso di qualcosa di importante che sale alle narici e che può arrivare a profumare la stessa Parola che proclamiamo e diffondiamo all’Assemblea dall’ambone.

Per quanto riguarda il senso del tatto, possiamo ricordarci di Isacco e di quell’episodio in cui è cieco e la moglie Rebecca, che da sempre ha preferito Giacobbe, spinge questo a farsi benedire dal padre morente dopo averlo rivestito con una pelle di montone in modo da farlo sembrare peloso come il primogenito Esaù; Isacco, cieco, può fidarsi solo del senso del tatto ma è così che viene poi ingannato.

La storia biblica di Giacobbe, inizia proprio con il senso del tatto, ma anche nelle celebrazioni liturgiche ritroviamo lo scambio della pace, le strette di mano, gli abbracci, il battersi il petto del “mea culpa”, e il toccarsi nel “segno della croce” e in tanti altri piccoli gesti.

La sensibilità tattile del calore che attraversa il corpo, e tante altre manifestazioni risvegliano questo senso tattile e ci mettono concretamente in connessione con gli altri.

Quando ci accingiamo a preparare un orazione, a fare una preghiera, a declamare una lettura, un salmo, ricordiamoci sempre di usare questo senso e di gustare tutto quello che facciamo attraverso la sensibilità corporea per rendere più credibile la missione che c’è stata assegnata.

Gustare, infatti, la parola di Dio nella liturgia è importantissimo: ci torna alla mente, a proposito del sale, quando il sacerdote, nel battesimo, metteva un pizzico di sale nella bocca del neonato, prima del Concilio, dicendogli: “Ricevi il sale della Sapienza, che ti giovi per la vita eterna”.

Dunque il gusto, l’essenza del gusto, è stato il primo senso dei bambini coinvolti nella liturgia.

Certo si tratta di molti anni fa, ma la sensazione gustativa del sale ci può far comprendere come anche quest’altro senso fa parte della nostra partecipazione corporea alla liturgia ma a ben vedere il senso del gusto è considerato il fondamento storico e antropologico del gesto più alto della ritualità Cristiana e cioè l’Eucaristia stessa.

Il “banchetto eucaristico”, la “mensa” rimandano subito al gusto e al piacere del “vino eucaristico” da gustare; un invito a qualcosa che è “buono” da mangiare, cioè utile importante ed essenziale per la nostra vita.

Provare gusto”, “prenderci gusto”, “Che gusto”, sono delle frasi molto conosciute e molto comuni che molte volte ripetiamo nel nostro gergo quotidiano familiare.

Ma se scaviamo a fondo dietro questo significato del Gusto, potremmo trovare un senso molto profondo che appartiene non solo all’umanità dell’uomo ma anche alla liturgia stessa.

Sarebbe veramente molto bello poter scalare questo senso del gusto nel servizio del lettore perché egli prenda possesso pienamente del “gusto” della Vita Divina dentro di lui finché tutta la sua missione di lettore possa essere assaporata e possa essere trasmessa a vantaggio di chi ascolta le sue parole con un sapore nuovo, con un sapore che ha tutto il fascino di una Parola spezzata viva e che sa di resurrezione.

Quante volte, parlando di pienezza, abbiamo espresso frasi del tipo “Sì questa cosa mi è gustata molto”, nel senso che mi è piaciuta molto, l’ho assaporata con gusto, con piacere, ho provato una sensazione profonda che mi ha fatto stare bene.

Nella scrittura troviamo al passo di Giovanni 8,51 “Chi custodisce la mia Parola non gusterà la morte mai”.

Pascal affermava che la Scrittura sa parlare all’uomo in qualunque situazione di vita si trovi, essendo la parola di Dio, spada e miele, martello e acqua fecondatrice. Sia che la vita abbia un sapore amaro, sia che la gustiamo come miele, la Parola ci accompagna sempre; nei salmi possiamo sperimentare che il modo di gustare la vita è direttamente proporzionale al modo che abbiamo di gustare la Parola.

Quando ci manca il Divin nutrimento, in realtà, prima dell’uomo, se ne rattrista Dio.

Gutenberg, inventore della stampa, disse che Dio soffre perché la moltitudine degli uomini non può essere toccata dalla Parola Sacra.

Più circola la parola Divina, più cresce il gusto di assaporarla e più possibilità si danno di condurre una vita santa.

Un padre del deserto suggerì di far sentire in bocca la freschezza che viene dal ruminare la Parola.

Il Gusto della Parola, insomma, garantisce il gustare pienamente la vita allontanando quanto c’è che la rende priva di profumi e di freschezza.

Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame” (Giovanni 6,35).

 

Un cenno particolare al “luogo” della Parola: L’Ambone.

L’Ambone è il luogo della Parola, non “delle parole”.

Intendo dire che solo le letture bibliche si fanno all’ambone.

Certo dall’ambone si può fare l’omelia e la preghiera dei fedeli. Ma il commentatore, il cantore o l’animatore del canto e tanto meno l’annunciatore della prossima festa parrocchiale, della partita di calcio all’oratorio, della offerta per la nuova canonica, non devono essere fatte all’ambone, ma presso un leggio ordinario che non sia la copia dell’ambone.

Questo perché il luogo specifico della proclamazione della Parola si deve diversificare architettonicamente dal resto, deve essere posto in uno spazio sopraelevato, stabile, decoroso, e sobriamente ornato da fiori ed accessori.

Questo luogo non può essere realizzato con un leggio mobile, spoglio e traballante, perché svilirebbe l’austerità della Parola, la stima e la venerazione che merita.

Ogni ambone nella sua forma, nello splendore architettonico e nella sua imponenza, deve proclamare anche solo vedendolo che esso è il luogo da dove Dio continua a parlare al suo popolo.

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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12 – Il coinvolgimento dei sensi – Seconda Parte

12 – Il coinvolgimento dei sensi – Seconda Parte

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

Non ci si può affidare solo al caso, all’istintività o alla quantità di doti che abbiamo o al fatto che, “avendo tanta fede”, il risultato sia scontato!

Impegniamoci affinché questo canto, questo nuovo approccio metodologico, queste tecniche e modalità di espressione riviste e corrette, questa voce, insomma, possano concorrere a formare una nuova figura competente e matura in grado di esercitare al meglio il ministero del lettore.

In definitiva, l’augurio è che si possa scoprire più equilibrio, armonia, passione in questo carisma e che possa essere anche sinonimo di pulizia, bellezza, gratuità, riconoscenza per l’alto compito ricevuto; che possa richiamare, in poche parole, alla perfezione e alla dignità dell’intero essere umano assieme a tutta l’autorevolezza e alla gioia per quello che è il grande ministero del lettore, dell’oratore o del catechista.

Sarebbe davvero un segno di gratitudine poter riconoscere un grande dono in quel fratello, sorella, lettore o lettrice che svolgono con amore il servizio e da parte di questi, allo stesso tempo, sentire la stessa benedizione divina per aver trasmesso con amore il senso della parola di Dio ai fedeli.

Se infatti pensiamo che grazie a questo ministero, dopo aver ascoltato con fede letture proclamate bene della Sacra Scrittura, il popolo si è sentito pienamente coinvolto, rivivendo appieno e assaporando con spirito di partecipazione il messaggio trasmessogli, una lode corale a nome di tutta la Chiesa salirebbe immediatamente al cielo!

Se poi Gesù stesso è presente e benedicente in questo corpo, quale esultanza e migliore occasione di grazia si spanderebbe nell’Assemblea, quale giubilo sperimenterebbe tutta l’adunanza per aver accolto e fatta sua la potenza di quella Parola, di quella Buona Notizia che cambia il cuore e lo rallegra?

Il fedele non ascolta, dunque, una “favola”, ma si anima pensando che lì c’è davvero qualcuno che è presente per raccontargli qualcosa di sensazionale, unico, prezioso, qualcuno che vuole parlargli sul serio, fargli una rivelazione importante, un regalo gratuito d’amore!

Oggigiorno, soprattutto con l’avvento dei mass media, abbiamo tutti la possibilità di ascoltare qualsiasi cosa, ci sintonizziamo su tante notizie, ma quando si dà, invece, l’avvenimento con la “A” maiuscola che rivoluziona l’esistenza?

Si dà questo avvenimento solo quando la parola di Dio, in un’assemblea, ha la possibilità di calarsi in colui che è disposto ad ascoltare con fede.

Qual è la differenza fondamentale?

Tra l’ascoltare un vero oratore che ti fa cambiare quasi vita, che tu vai a sentire con curiosità e che è capace di coinvolgere tutti i tuoi sensi perché ti cattura dentro, perché ti colpisce quello che dice, come lo dice e perché lo dice e l’ascoltare, invece, una favola, un racconto da internet, una fiction, dove c’è un episodio accaduto ad altri che vorresti accadesse a te e che invece puntualmente non si verifica, restando purtroppo solo una mera illusione?

Poniti questo serio interrogativo!

E pensa se la tua voce, quello che tu leggi, o scrivi, o annunci, può catturare, ha il potere di entrare veramente nella vita delle persone, ha questa potenzialità; addirittura, medita se, la parola di Dio, che di per sé è già potente in quanto parola di Dio e, dunque è perfetta, veicolata grazie alla tua bocca può contenere in germe questa scintilla divina per cambiare il cuore della gente!

Certo, caro lettore, asserirai che è qualcosa di troppo grande, e in effetti lo è, ma non farti irretire dal timore o dalla paura che, proprio perché è qualcosa di grandioso, Dio non voglia servirsi di te per onorare e svolgere questo ministero del lettore o del catechista.

Alla fine l’intento è che si arrivi al cuore della gente, di tutta la gente, che si riesca a farla commuovere, che ci si provi a metterla in sintonia con Dio!

Essere servi della Parola, annunciatori della Parola, significa fare da ponte tra il lettore e Dio, essere messaggeri alati di una Parola che, dopo essere giunta al lettore, possa germogliare a sua volta nel cuore del fedele e, così, essere traghettatori, conquistatori di anime riempite di fede. Di questo Dio si compiace, che la sua Parola si faccia carne in chi l’ascolta, oggi, come allora!

Quindi è importante svolgere questo servizio facendo un’analisi profonda di tutto, ma soprattutto bisogna convincersi che essere lettore vuol dire anche avere l’attitudine di voler cambiare e mettersi in discussione, approfondire anche le motivazioni perché vogliamo essere lettori.

Si richiede una mentalità, un nuovo modo di essere, un’attenzione quasi psicologica e una delicata cura che promuova l’entrare in relazione con le persone che si hanno davanti quando ci esponiamo e regaliamo ad altri pezzi di noi stessi.

Certo la persona che hai davanti e che ti ascolta, è vero che deve avere l’orecchio aperto per recepire il messaggio, ma credo che debba essere anche del lettore, il vero compito di aprire l’orecchio agli altri, ma se per aprire questo orecchio alle persone il lettore si presenta visivamente in modo disordinato, sciatto, con una voce stancante, che non cattura l’attenzione, hai voglia ad aprire l’orecchio, al massimo il pubblico aprirà la bocca per sbadigliare!

Non si tratta di avere una voce formidabile, potente da grande attore o performer, ma parliamo di energia, di cura della voce, perché ogni voce può essere bella o particolare, può essere modificata, migliorata; soprattutto il “canto” che hai nella voce può essere trasformato in meglio, a patto che desideri anche tu incuriosirti e appassionarti a questa causa per il bene tuo e degli altri.

Pensiamo a Gesù, a come si comportava, a come agiva, quali sentimenti infondeva, a come parlava alle folle, con quale intimità, con quanto amorevole sguardo si avvicinava alle persone, ascoltando i loro cuori e guardandoli con occhi di profonda attenzione, pieni d’amore…

Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò”. Mc 10,21

Come possiamo pretendere che l’uditore ci ascolti, oppure che venga interessato, stimolato a reagire, che renda credibile in sé stesso il messaggio che Dio gli invia attraverso il lettore?

Isaia 50,4-5:

Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,

perché io sappia indirizzare

una parola allo sfiduciato.

Ogni mattina fa attento il mio orecchio

perché io ascolti come i discepoli.

Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio

e io non ho opposto resistenza,

non mi sono tirato indietro”.

È il Signore che apre l’orecchio, come dice la Scrittura, certo, molte volte anche il pubblico è distratto, viene ad ascoltare quello che gli pare, preso dai propri problemi, oppure capta soltanto quello che vuole, è attento in modo parziale, discontinuo, non si lascia, cioè, sedurre da un messaggio che sembra arrivare da troppo lontano, non allineato coi tempi… tutte cause che si verificano molto spesso, ma non dobbiamo arrenderci e farci impressionare!

Resta il nostro grande dovere, impegno e senso di responsabilità nell’attirare l’attenzione, o meglio ancora, distrarre l’ascoltatore dall’atteggiamento distaccato con cui era venuto già a sentire, e fare in modo che questa persona abbandoni il pensiero a cui stava dedicando le sue energie, che lo distraeva per riconvertirla verso il discorso che tu hai intenzione di portare avanti in modo incisivo, qualunque fossero gli impedimenti!

Ci vogliono tante componenti per fare l’oratore, il catechista, il lettore; senza bisogno di rielencarle tutte, ma riassumendo un pochino, abbiamo bisogno di:

  1. Rimuovere gli ostacoli che sono innanzitutto dentro di noi, perché anche la nostra lingua non sia impacciata nel parlare.

  2. Modificare anche esteticamente la nostra persona, per quanto possibile apportando miglioramenti anche piccoli.

  3. Rendere piacevole il “canto” che ci portiamo dentro da sempre e farlo fluire in modo naturale e consapevole facendoci aiutare anche dalla nostra sensorialità.

  4. Partecipare a qualche lezione di dizione per la pronuncia, se ci accorgiamo di qualche difetto, di qualche cadenza dialettale che pregiudica la lettura.

  5. Osservare e correggere anche la postura, l’articolazione facciale e la respirazione.

Conta avere anche la forza, la passione, l’energia necessaria affinché la parola di Dio possa diventare soffio vitale, brezza leggera, incarnata prima dall’oratore stesso, e poi, effusa dal soffio della bocca su chi l’ascolta, sul fedele, grazie all’azione dello Spirito Santo che agisce tramite il Signore stesso.

Sappiamo anche, però, che la potenza di Dio si manifesta nella debolezza dell’uomo, come dice San Paolo:

Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza(2 Cor 12,9) e che, dunque, siamo quello che siamo, (2 Cor 4,7-15): Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita. Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio”.

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E ancora… Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco. In esso infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto: Il giusto per fede vivrà” (Rom 1,16-17).

Molte volte anche la tempistica delle omelie, la loro durata, l’intensità, lasciano a desiderare in quanto a ritmo e questo può compromettere la bellezza dell’intera liturgia, come anche la lentezza nel rispondere delle assemblee, la mancata partecipazione ai canti, l’acustica non proprio efficiente…

A volte si nota un’attitudine a stancarsi, a non ascoltare con emozione le Sante Eucarestie, non tanto per gli argomenti esposti o i contenuti che possono essere anche forti e ben evidenziati, ma proprio per il senso del ritmo che manca, per la tempistica non equilibrata che non conferisce il giusto valore alle funzioni celebrative.

Non bisogna scadere nell’abitudine routinaria che non fa decodificare bene quel che si ascolta dall’esterno: occorre riabilitare il senso del ritmo, la freschezza, la dinamicità delle azioni in seno alla liturgia dove la Parola occupa un posto importantissimo, anche per quanto riguarda la declamazione delle antifone, delle acclamazioni nella colletta, nell’offertorio, nelle preghiere universali, nella distribuzione dei canti e della musica; insomma, lo Spirito Santo esprime sempre un rinnovamento in seno al popolo di Dio.

Se la Chiesa, come corpo di Cristo che si raduna assieme, riesce a rivitalizzarsi con qualche piccola nota di perfezionamento, tutto riesce a vantaggio e gloria di Dio e dei fedeli.

Un esempio. Se tante volte le omelie, le celebrazioni durano tanto tempo, non è tanto per la formula con cui vengono dette, per il contenuto, ma è per il ritmo, il tempo, la durata: anche la celebrazione necessita di un ritmo, di una dinamicità.

La Parola, per sua natura, è dinamica, in movimento, e determina a far sì che poi quella liturgia abbia un inizio, uno svolgimento e una fine ma in modo dinamico, evolutivo, fluido, non stancante.

Tutto dovrebbe avere un certo sapore di evoluzione, partecipazione attiva, per essere vero servizio.

Dobbiamo anche metterci al posto di chi ascolta, delle persone, dell’Assemblea, del popolo che dovrebbe sentire anche il piacere di partecipare, deve venire come attratto da ciò che si svolge attorno.

A proposito della partecipazione attiva ideale della Sacrosanctum Concilium e, a proposito della natura, della modalità e delle nuove ministerialità laicali, è scritto…

La partecipazione attiva del popolo costituisce lo scopo primo e immediato della riforma liturgica, dal momento che la madre Chiesa desidera ardentemente che tutti i fedeli vengano guidati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione delle Celebrazioni Liturgiche.

La Liturgia, infatti, è la prima e per di più necessaria sorgente, dalla quale i fedeli possono attingere uno spirito veramente Cristiano e, dal momento che la liturgia educa, forma, comunica, non è possibile sottovalutare questo strumento di comunicazione. La partecipazione attiva del popolo di Dio è il modo ordinario di prendere parte al mistero Pasquale nella dinamica umana della comunicazione, per cui il rito non è un semplice rivestimento esterno, ma costituisce l’evento stesso di grazia. La persona incontra il mistero di Dio con tutta la sua umanità e non solo con le idee. La celebrazione ha un ritmo che non tollera né fretta, né lungaggini e chiede equilibrio tra parola, canto e silenzio” (VMP8).

Viviamo tempi in cui la nostra società si evolve in maniera anche troppo precipitosa, con ritmi serrati, frenetici e anche se una celebrazione ha diritto ad avere i propri tempi, bisogna capire che le persone sono soggette a questi cambiamenti e forse si è perso, purtroppo, il senso del silenzio, di concentrazione, di ascolto, di apprezzamento di certe simbologie; cercare di ottimizzare questa partecipazione attiva e ideale del popolo cristiano significa trovare delle maniere idonee per consentire, all’interno delle liturgie, di stimolare questa partecipazione senza stravolgere nulla ma, intuendo quali miglioramenti apportare per valorizzare ancora di più questo incontro tra Dio e l’uomo.

Cerchiamo di rendere più snelle, a volte, le ambientazioni delle letture, arricchirle, appunto, di dinamicità e freschezza nel modo di esporle, non allungarle eccessivamente per evitare di stancare, di allontanare l’ascolto per eccesso di tempi, stiamo attenti alla forma esponenziale delle omelie, delle catechesi, anche della lettura, facendo anche un piccolo passo indietro, partendo da questi piccoli accorgimenti di cui si è parlato finora e analizzare cosa c’è che non va nei tempi, nella forma, nel ritmo di queste liturgie.

Spesso la gente si annoia, critica i lunghi i tempi delle assemblee, vorrebbe che tutto si svolgesse in modo più leggero, energico, con più bellezza, armonia, partendo proprio, dalla gestione della voce, di come lo stesso orante o lettore svolge questo compito.

Da ricordare che questo compito affidato, non è per un tornaconto personale, ma per essere in sintonia anche con tutti gli altri membri che stanno in quel momento celebrando la liturgia: c’è bisogno, quindi, di rinfrescare il carisma con metodologie di apprendimento che possono tornare utili allo scopo. E operare una concatenazione di accorgimenti determinanti che vanno presi come inizio di una riflessione innovativa.

Per aprire uno spaccato di quello che sta succedendo nei nostri giorni, nella nostra epoca che si è aperta ormai da anni alla tecnologia e all’uso dei media, capita di vedere molti sacerdoti, laici, consacrati registrare le loro catechesi attraverso canali YouTube e altre piattaforme di cui il panorama digitale è pieno.

Questo, da una parte può essere anche positivo, dal momento che la Parola giunge all’orecchio anche di chi non va in Chiesa e non frequenta i sacramenti, di chi è immobilizzato dalla malattie e altri impedimenti, di chi è lontano da Dio e, per questo, è cosa anche buona il fatto che possa loro giungere una Parola, una catechesi attraverso internet.

Al tempo stesso ci si pone un serio punto di domanda:

perché, in tali condizioni, certe persone dovrebbero scegliere di venire in celebrazione, visto che una messa è anche a portata di click?

E escludendo chi davvero non può muoversi da casa per malattia, perché non scegliere fra le alternative un motivo ben più convincente, come quello di venire attratti dalla modalità di partecipare in maniera attiva e personale all’Eucarestia e ascoltare “dal vivo” la parola di Dio in maniera sicuramente più emozionante?

Non potrebbe bastare ed essere convincente il fatto davvero saliente che venire ad una celebrazione significa avere “voglia” di gustare, percepire, ascoltare, sentire, toccare in prima persona la bellezza della presenza di Dio? Cosa permette di fare quello scatto in più, di avere quella voglia in più, per venire a Messa nell’epoca attuale?

Sono interrogativi che dobbiamo porci per avere sufficiente criticità per migliorare il nostro carisma, il nostro ministero di lettore o catechista.

Come un’ape che viene attirato dal fiore o il fiore che nella sua fioritura attira l’ape, bisognerebbe un pò anche prendere spunto da queste meditazioni per far sì che le persone possano davvero andare in una Chiesa e trovare l’accoglienza, la bellezza anche di certe forme espressive, della Parola proclamata nelle varie forme.

Certo in rete si sviluppano queste nuove possibilità innovative, sotto forma di evangelizzazione mediatica che, ripeto, possono essere anche a volte interessanti, ma che non possono mai raggiungere la concreta possibilità di nutrirsi attraverso i segni sacramentali del pane e del vino nella forma Eucaristica, né tanto meno sostituire la presenza vera delle persone, per quanto riguarda il contatto dal vivo reale e fisico.

Considerazioni queste che danno per scontato che tutti “comprendano” il valore e l’efficacia dei Sacramenti; mentre il web potrebbe essere uno strumento molto interessante per un primo avvicinamento delle persone lontane dalla Chiesa.

Non resta dunque che svegliarsi e cercare di mettere in pratica anche questi accorgimenti che abbiamo suggerito ed escogitare tutte quelle forme per far risplendere questa bellezza di cui abbiamo parlato finora. Affascinare di nuovo le persone ad incontrare il Signore, non solo attraverso i media, ma accompagnandoli sui sagrati delle chiese e all’interno per poter ascoltare una bella omelia di un sacerdote, una edificante lettura proclamata in maniera consona ed efficace, che faccia vibrare alle orecchie del popolo di Dio che:

Dio è un Padre presente e mai lontano nelle storie dell’umanità.

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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12 – Il coinvolgimento dei sensi – Prima Parte

12 – Il coinvolgimento dei sensi – Prima Parte

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

Come possiamo osservare, se abbiamo letto attentamente, facendo passi avanti e indietro e cercando di capire cosa succede alla parola scritta, prima che diventi parola orante, è molto interessante notare questo scendere, inabissarsi nelle fibre più nascoste del lettore, questo moto dinamico, affinché questa Parola diventi Parola incarnata e affinché dal Sacro testo essa possa liberarsi come energia vitale per andare a depositarsi all’orecchio di chi abbiamo davanti quando ci apprestiamo a leggerla, che sia un Salmo, che sia un passo tratto dal Vangelo o una lettera degli Atti degli Apostoli o l’intera Bibbia.

Che sia un libro profetico, storico, sapienziale, il lettore deve aver ben presente che è tutto il suo corpo ad essere coinvolto, tutta la sua anima, la sua professionalità e la sua consapevolezza di incarnare veramente il messaggio di Dio che sta trasmettendo agli altri; quanto più intenso sarà il suo coinvolgimento, tanto più efficace sarà l’opera che lui mette in atto.

È di vitale importanza essere coinvolti con tutti i nostri sensi nella proclamazione della Parola, dal momento che potremmo rischiare di coinvolgere soltanto una minima parte di noi nell’interpretare la Scrittura.

Forse dovremmo ascoltarci e potremmo sentire che la nostra voce, il nostro canto che risuona, forse, è buono ma forse può essere anche non proprio soddisfacente.

Potrebbe risuonare monotono, distaccato, proiettato fuori dal contesto in cui la Parola si situa e, questo, forse perché non entriamo con tutto il nostro corpo e i nostri sensi in quello che leggiamo, ma ne facciamo soltanto un’esposizione esteriore.

Sembra che spesso, andando a leggere all’ambone, quando c’è da preparare un discorso, un’omelia, una catechesi, dobbiamo soltanto svolgere un dovere, un compito che ci è stato assegnato, dobbiamo ottemperare ad un semplice incarico, ma non è esattamente questo; come se la persona è da una parte e il contesto in cui si svolge la lettura è dall’altra.

Questa scissione avviene molto spesso. Succede che il ministero del lettore, molte volte, venga svolto a caso, la scelta dei lettori sembra fatta a sorteggio, si bada piuttosto alla quantità che non alla qualità, mentre bisognerebbe approfondire molto lo studio sull’esposizione del testo e non dare marginali insegnamenti su quel che si legge.

Si rischia di non far entrare chi ascolta

nella realtà del racconto che si sta proclamando.

Si legge con lo stesso tono con cui si inizia la lettura e si termina con lo stesso andamento: in pratica, non succede niente durante quei pochi minuti che si ascolta; lo svolgimento degli avvenimenti, la sensazione provata dai protagonisti nella stessa narrazione, l’espressione di chi sta dietro il leggio che dovrebbe essere declinata con una variegata sfumatura coerente al contesto narrato, invece sembra essere monotono e identico anche se il decorso letterario del testo cambia, come se non ci si rendesse minimamente conto di cosa si dice! Senza conferire colore, vitalità agli aggettivi, ai verbi, ai pronomi, senza contestualizzare e vivere con il nostro corpo e con i nostri sensi quello che stiamo leggendo.

Occorre una meditazione prima di svolgere questo compito, ma non tanto per non sbagliare i verbi o gli aggettivi o la grammatica, che pure sono importantissimi, ma per interpretare e soprattutto vivere con gli occhi, l’udito, la vista, il tatto, il gusto, l’olfatto, quello che stiamo proclamando affinché il contenuto non giunga all’orecchio dell’uditore in maniera astratta, sciatta, o senza senso.

A un orecchio attento, questo si verifica molte volte: c’è sempre il rischio di proiettarci al di fuori di quello che stiamo leggendo, di non vivere, di non assimilare con la nostra sensorialità ciò che si vuol dire.

Come si può ovviare a tutto ciò? Come possiamo modificare in meglio questi atteggiamenti ed entrare nel totale coinvolgimento di tutta la persona mentre si legge?

Non siamo individui scissi, spaccati, l’uomo è un insieme armonico di tutte le percezioni, di tutta una corporeità e una spiritualità che deve diventare un composto omogeneo per far sì che il Divino coincida con l’umano; dobbiamo, in armonia, far venir fuori, mentre leggiamo, tutta la grazia che il Signore ha diffuso nella nostra persona.

La parola di Dio può diventare carne se, dal momento in cui esce dalla nostra bocca, si posa, attraverso l’orecchio, nel cuore dell’altro, realizzando quel grande mistero che è la presenza del Signore in mezzo a noi.

Che cosa dice dunque? «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore», cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso». Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato». Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: «Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!» Ma non tutti hanno obbedito al Vangelo. Lo dice Isaia: «Signore, chi ha creduto dopo averci ascoltato?» Dunque, la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo” (Romani 10,8-17).

Spiegando l’intervento dei sensi nel nostro modo di esercitare il lettorato, possiamo ricongiungerci alla Bibbia, che ha sempre privilegiato, per esempio, il senso dell’udito rispetto alla vista; Dio incontra l’uomo manifestandosi attraverso la Parola perché, se anche Dio è invisibile, l’uomo può udirne la voce.

Riporta la Dei Verbum:

La rivelazione di Dio avviene attraverso eventi e parole intimamente connessi”.

Dio interviene o agisce nella storia dell’uomo e spiega il senso del suo intervento, Dio parla all’uomo, lo chiama a un rapporto di comunione, per questo è importante da parte nostra “ascoltare”.

Per la Bibbia il vero credente è la persona che si apre all’ascolto, accoglie questa Parola e poi risponde; lo stesso Salmo 94 ogni mattina, nella liturgia delle ore, ci dice: “Ascoltate oggi la sua voce, non indurite il vostro cuore”.

La Parola infatti è creatrice, come dice il Salmo 39, è Parola salvifica capace di risanare l’umanità.

Salmo 15, è “Parola fedele, è stabile come il cielo”; Salmo 188, è “lampada per i miei passi e luce sul mio cammino”.

Dio ci dà la sua Parola, ma bisogna aprire anche il cuore e la mente per riceverla e farci grembo come Maria per farla crescere e poi manifestarla al mondo.

Deuteronomio 6,4-9:

Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”.

Capiamo che stiamo trattando un argomento veramente vasto e profondo che non ci esime dal riconsiderare ogni singolo aspetto che riguarda il modo di esprimere questa Parola. Se continuiamo ad agire in modo anonimo e impersonale, andiamo incontro all’inconveniente di scivolare addosso all’uditore, di inciampare nel percorso perché essa non penetra nel suo orecchio, e non tanto perché l’ascoltatore è distratto, (che può anche succedere per vari motivi), ma perché chi legge o proclama la lettura non sta mettendo in campo le sue facoltà anche sensoriali, non si sta coinvolgendo in prima persona, quindi potrebbe essere sua, la responsabilità del perché la Parola non ha risuonato e non è giunta in maniera forte all’orecchio del popolo!

Se l’uditore si distrae, se l’uditore non assimila ciò che ha sentito nell’Assemblea, molte volte, non è per sua leggerezza: è responsabilità del lettore che non ha usato abbastanza efficacemente il suo coinvolgimento, non ha sviluppato le qualità che ha a disposizione per rendere vivo ed efficace quello che gli è stato consegnato.

Forse alla base di questa problematica c’è anche l’errore di dare tutto per scontato e pensare che, siccome siamo investiti di questo ministero, rendiamo secondaria la discussione sulla percezione sensoriale e dell’esigenza di un approccio di studio, riguardo gli argomenti che stiamo trattando.

Sovente si pensa al risultato, ci facciamo prendere dalla fretta, dal tempo, e non si pensa invece che, se noi mettessimo in atto veramente tutti gli accorgimenti adeguati, potremmo giungere a degli ottimi risultati.

Dovremmo come svegliarci da un sonno, da un’apatia, da una monotonia nello svolgere questo servizio.

Forse non c’è stato mai detto, insegnato, e per questo dobbiamo come tornare alle basi, alla sorgente, alla scoperta di noi stessi e della parola di Dio, per destare quel senso assopito e impersonale di leggere e parlare.

Può essere capitato a tutti, qualche volta, nelle assemblee, di esserci sorpresi nell’ascoltare un pò annoiati un certo modo di proclamare letture, omelie, salmi, catechesi, decantati con lo stesso monotono tono, spenti, interminabili per lunghezza, senza ritmo, contenuto, lette quasi in modo lamentoso, con la medesima intonazione vocale!

Come mai succede? Forse perché non ci si rende proprio conto, di avere una grande e impegnativa responsabilità, di possedere nella voce una grande potenzialità non valorizzata, lasciata cadere nel vuoto o buttata a caso per aria.

man kneeling in front of wooden cross

Dovremmo necessariamente registrarci, per il bene nostro e degli altri e riascoltarci, per esempio, e dirci in tutta franchezza: ma che canto ha la mia voce? Sto esprimendo cosa? Come…? È una voce gradevole, che può interessare o ha un timbro lagnoso, senza ritmo? Sto svolgendo bene il mio servizio di lettore, di catechista, di ministro? Come posso apportare modifiche e permettere all’altro di capire bene ciò che dico? Sono dentro a quel che leggo o dico o ripeto per routine o forza di inerzia?

Essere critici innanzitutto verso noi stessi, per accorgerci di alcuni difetti è un grande atto di sincera umiltà: intervenire dove ci sono queste lacune che provengono in moltissimi casi da una mancata percezione della nostra voce e dalla funzione che essa svolge o non svolge.

Nella maggior parte dei casi questo lavoro di autocritica fa sorgere l’esigenza di ritornare sui nostri passi e alle radici della vocalità, alle radici della nostra corporeità e anche della nostra fede, per poterci trasformare in questo canale energetico, vivo ed efficace, della Parola di Dio e svolgere anche il servizio di risvegliare anche l’amore per la parola di Dio.

Quando ci capita di tenere una catechesi o leggere un salmo, una lettura, prestiamo orecchio al nostro tono vocale, all’espressione, alla punteggiatura, a quelle che sono le tecniche finora elencate e che abbiamo provato a consigliare a chi svolge questo ministero; portiamo agli altri il sentimento, l’autorevolezza, diamo efficacia al testo o al discorso che vogliamo fare inserendo le dovute espressioni, non solo guardando la punteggiatura, a quelle che sono le accezioni tecniche della grammatica, non rendiamo vano quello che stiamo facendo!

Poco importa il ruolo che ricopriamo, perché, se non sappiamo leggere con autorità, con emozione, forse,non abbiamo portato a termine il nostro compito, perché tutto quello che diciamo può restare campato in aria, impersonale, freddo, senza emozioni.

Chiediamoci se anche il nostro corpo, i nostri sensi e la nostra voce sono freddi, avulsi da qualsiasi vibrato, come continuassimo ad essere due persone, una che proclama la Parola e l’altra che vive in un’altra condizione sensoriale lontana, come un esecutore formale la cui vita, forse, non ha niente a che fare con quello che dice.

Non abbiamo mai considerato che, il più delle volte, quello che diciamo può restare come “parole al vento” che non si realizzano nella vita di nessuno!

Dio voleva affidarci qualcosa di importante da dare agli altri e noi, che probabilmente non abbiamo creduto per primi a quello che voleva consegnarci, siamo stati così lontani o distratti, che non siamo riusciti ad operare efficacemente negli altri questo importante compito.

Sappi che il ritmo che scandisci mentre leggi, è lo stesso ritmo che coinvolge chi ascolta: se sei lento, l’ascoltatore si addormenta; se sei vivo, l’ascoltatore si sveglia; se sei freddo e anestetizzato, l’ascoltatore sente freddo e si anestetizza; se sei caldo, l’ascoltatore si riscalda e si mette in un’attitudine di ricezione positiva e accogliente.

Quando si proclama una lettura con poca convinzione, chi sta dall’altra parte, percepisce che qualcosa non va, gli sembra quasi di sentire una favola, un raccontino, qualcosa successo tanti secoli fa, una storiella più o meno interessante; e questo toglie credibilità alla stessa parola di Dio.

Chi ha il compito di declamarla, deve farlo con autenticità, e anche con energia!

Può capitare di perdere questo sapore, questo contatto con Dio e la preghiera e non credere fino in fondo a quello che si sta leggendo; a volte, anche senza pensarci, ci viene in mente, quasi, di non aver bisogno nemmeno noi stessi di quella Parola. Che bisogno c’è che essa ci parli, si realizzi nella nostra vita? Tanto la conosciamo già…!

Abbiamo la sensazione che sia sempre qualcosa che riguardi altre persone e non noi, la storia di qualcun altro e non la nostra: ci trasciniamo per routine, per stanchezza, dai mille pensieri di ogni giorno, siamo con la nostra stessa vita lontani da quella Parola che sembra che non ci parli più, non rappresenta più la nostra bussola, ha perso la sua funzione vitale, quella di “darci vita”.

È necessario, dunque, ridestarsi dall’intorpedimento stagnante del quieto vivere, c’è bisogno di riascoltare di nuovo quella Voce che ci chiama, ci attira, che ci fa provare l’arsura di sentire sete e ci sprona a riaccostarci alla vera sorgente per abbeverarci a quella eterna e zampillante fontana che è la parola di Dio.

C‘è urgenza di sentire la necessità, ogni giorno, di scoprire cosa Dio vuole dire alla nostra vita, cosa dobbiamo fare per rendere di nuovo importante il ministero che svolgiamo.

Mettersi a servizio della scuola della Parola, non solo in modo intellettuale, ma in modo esperienziale sensoriale, di percezione corporea e affettiva, di correzione grammaticale e sintattica.

Dobbiamo diventare catechisti, oratori, lettori che risvegliano la fede in chi ascolta, dei trascinatori della Parola, dei carri che conducono alla meta le persone con energia, non conduttori apatici che sembrano trascinare a forza un peso dietro enorme ogni volta che parliamo, che leggiamo!

Che significa essere servitori della Parola?

Essere servi della Parola significa usare tutte le proprie forze, tutta la bellezza, tutte le proprie energie, tutto quello che in fin dei conti la persona è, per poter veicolare un messaggio con efficacia, senza, d’altra parte, aggiungere e togliere nulla al contenuto, né essere spettacolari giocolieri: è un lavoro complicato, delicato, come si può ben notare, e non è così semplice avere una sintesi perfetta di tutte queste componenti, essere umili e professionali allo stesso tempo, energici ma equilibrati, leggere con tante sfumature ma senza eccedere. Però… possiamo riuscirci se ci si impegna!

Da dove partire per assimilare tutti questi concetti?

Dalla nostra persona, da quel che si è: osservandosi, ascoltandosi e ripartendo da zero per ricostruire una figura autorevole e competente.

Dobbiamo cercare di far capire agli altri, e anche al nostro orecchio poco educato all’ascolto, per esempio, la differenza che passa tra la proclamazione della Parola e una catechesi, l’applicazione delle regole espressive per diversificare il tipo di lettura che ci si appresta a fare, il rischio che si corre per non far sì che tutto diventi un minestrone, un suono indistinto e confuso.

Nell’istruire i lettori o i catechisti, chi è predisposto, dovrebbe argomentare con chiarezza sulla differenza che intercorre tra una parabola e un passo tratto da un Proverbio, tra una lettera degli Atti degli Apostoli e un passo del Vangelo, tra un Salmo o un testo tratto dal Vecchio Testamento; e ancora, un conto è ammonire una catechesi e gestire capacità oratorie, un altro proclamare una lettura.

Abbiamo così due possibilità: o risvegliare la fede negli altri e condurli al desiderio di Cristo o non accendere a sufficienza come si voleva quella fiammella della mensa della Parola!

Indubbiamente è una grande responsabilità se pensiamo a questo e neanche dobbiamo spaventarci nel comprendere tutto ciò, né sentirci intimoriti, ma non parlarne neanche sarebbe stato venir meno allo scopo di aver scritto questo manuale per cercare di migliorare la situazione!

Vero, che in un discorso possono starci tante incongruenze dettate dagli errori di pronuncia, dalle barriere limitanti che pur vanno corrette nel miglior modo possibile, ma, ritengo, che è quel “canto” che ci trasciniamo dietro e che di cui non ci rendiamo neanche conto, che va analizzato in profondità. E quello sicuramente può essere corretto facilmente se lo analizziamo noi o se qualcuno ce lo fa notare.

Sapete cos’è questo “canto”?

Se ascoltassimo la nostra voce registrata, ed oggi, ci sono infinite possibilità di verificare questo, attraverso messaggini telefonici, con strumenti semplici mediatici, potremmo farne davvero il punto di partenza per analizzare la nostra vocalità, e capire tantissime cose.

Non stiamo parlando adesso di errori di pronuncia, ma di canto, di melodia che ognuno esprime nel semplice parlare.

Sarebbe utile filmare anche un piccolo video per poter notare, senza paura, i nostri difetti, la nostra postura, vedere come noi ci poniamo.

Dovete sapere che tutte le voci hanno un “canto”, una melodia, un certo modo di appoggiare le parole a questo “canto”, la tua persona ha un “canto”, se non lo sai. Se nessuno finora non te lo ha mai detto, sappi che non si tratta qui di essere artisti o esercitare il mestiere di cantanti!

Tu possiedi comunque un canto nella voce, volente o nolente, hai un canto mentre discuti, mentre ti arrabbi, mentre sorridi, mentre ridi a squarciagola, mentre parli al telefono, mentre piangi; la nostra voce non è la stessa durante una giornata.

Cambia quando cambiamo anche noi. Noi abbiamo nel nostro vivere quotidiano una melodia, un canto, un’espressività… ci hai mai riflettuto?

Non l’hai ascoltata abbastanza! Semplice, ma dobbiamo partire da qui!

Non siamo uguali durante il giorno, perché la nostra persona, i nostri sentimenti cambiano e anche la voce muta di espressione, per cui se, facendo la prova della registrazione e del video, tu noti che parli alla stessa maniera in cui leggi, oppure mentre sei al telefono hai sempre quella stessa melodia, quella cantilena o quell’acuto nella voce che si protrae sempre lungo le battute del discorso, vuol dire che la tua voce non è sviluppata nei vari stadi, non la moduli, è monotona, non sviluppa, cioè, tutti quei toni espressivi e quei volumi, quelle altezze e intensità, nell’arco della giornata, e così rimane un “canto” a metà.

Lo stesso accade quando ti ritrovi a leggere: usi, cioè, lo stesso format linguistico, la medesima intonazione.

Il canto è una forma espressiva, non è tanto saper cantare, è un suono che giunge alle nostre orecchie, giunge alle altre persone; quindi, prima di poter andare a leggere e svolgere il ministero del lettore o dell’oratore, del catechista, dovremmo perfezionare questa melodia, questo canto incorporato che ci trasciniamo dietro, dovremmo registrarci, vederci, ascoltarci.

Questa tua postura, questa tua melodia, può essere un canto, un’espressione di bellezza, di dolcezza, ma, molte volte, purtroppo, è espressione anche di noia, di lamento, si modula con un suono irritante, rigido, ma a volte può trasformarsi in un qualcosa di anche armonioso, brillante.

E pensare che questo suono riprodotto inconsapevolmente, ce lo portiamo dietro da sempre, avremmo voluto modificarlo tante volte, magari, dopo esserci ascoltati, consapevoli del fatto che ci era poco simpatico, ma non sapevamo come fare per trasformarlo… quel mangiarci le parole, quell’inceppare nelle sillabe, quella musica che fuoriesce dalla nostra bocca così stancante, a volte, forse banale…

Quel canto, insomma, che è anche espressione di vita, di comportamento esteriore, non lascia scampo: ci segue sia quando siamo al telefono, che quando parliamo con gli amici, in casa, con i familiari, con i colleghi di lavoro… oppure in pubblico…

Imbarazzante quando poi, prendendone consapevolezza e, non sopportando quella particolare cadenza o pronuncia, questo canto ti provoca anche un certo imbarazzo quando, ad esempio, sei costretto ad esporti in una relazione durante qualche conferenza o meeting o se devi tenere una catechesi a un gruppo di persone.

Vogliamo, dunque, correggere o no questo canto che abbiamo nella voce?

Questo canto che portiamo dietro in eredità senza rendercene neanche conto?

Possiamo correggere il suo tono, la sua melodia, il suo dipanarsi mentre parliamo, leggiamo: è doveroso, direi, perché nel momento in cui ci presentiamo soprattutto in pubblico o in video alle persone, queste, anche solo “a pelle”, recepiscono istintivamente fastidio, repulsione, disagio, o, per contro, provano accoglienza, dolcezza, tenerezza.

Dalla nostra voce, dai contenuti espressi bene, ma anche dall’impatto visivo, per tornare ancora sull’argomento estetica, abbiamo la garanzia della riuscita della nostra missione.

  "Questo libro è dedicato a tutte le persone che desiderano imparare ad avere profonda consapevolezza delle PAROLE della Bibbia e riuscire a proclamarle con autorevolezza e sicurezza"
Racchiude 35 anni di esperienza nella Chiesa condensati in 430 pagine di puro valore. 
Non perdertelo per niente al mondo!"

Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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