15 – La partecipazione della vita divina nella vita dell’uomo
Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO di Marilena Marino
La Parola, dunque, già esisteva fin dall’eternità: Dio ha rotto l’incomunicabilità con l’uomo, si è reso visibile attraverso suo figlio Gesù Cristo, mediante la presenza della sua carne, anche con la percezione sensoriale di cui l’uomo è partecipe, con l’udito, con la vista, con gli occhi.
Questa Parola fatta carne è venuta al mondo, addirittura, per essere toccata con le mani, essere vista, accolta, ascoltata. L’amore del Padre ha voluto raggiungere l’umana creatura attraverso l’incarnazione del Figlio, totalmente.
Senza ombra di dubbio, possiamo affermare che Dio non è affatto lontano, irragiungibile, ma è presente nella nostra esistenza attraverso suo figlio Gesù Cristo e noi abbiamo la possibilità di conoscerlo, non solo attraverso i racconti della Sacra Scrittura: Lui è entrato nel tempo della storia, ha attraversato i cieli, è venuto sulla terra, viene ancora oggi attraverso la presenza dei sacerdoti, dei poveri, del tabernacolo, della forma del pane e del vino.
Gv1,14; 1Gv1,1-3; 2Gv7 … “Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito,quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della Parola della vita…”
Questo passo tratto dalla lettera di Giovanni ci dice che noi siamo suoi testimoni, che Gesù si rende presente attraverso la percezione dei nostri sensi, attraverso la Parola che si incarna, vuole parlare agli uomini di questa generazione.
Il testimone è colui che, avendo ricevuto anche il dono dei cinque sensi, non solo ha la possibilità, ma anche il dovere di rendere presente Gesù attraverso l’adempimento perfetto del proprio ministero.
Il lettore, il catechista, colui che è chiamato a proclamare la parola di Dio, ha un compito autorevole, perché è chiamato ad offrire la sua testimonianza attraverso la proclamazione di una lettura che, a sua volta, rende presente Gesù Cristo all’Assemblea.
Abbiamo parlato della presenza del Signore, dei segni liturgici nelle celebrazioni, nella presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucarestia; ma anche nella Parola scritta e orale è contenuta la presenza del Signore perché lui vuole parlare attraversando i nostri sensi, desidera raccontarci di quello che ha fatto, di quello che ha sentito, di quello che è avvenuto e toccato, di quello che ha odorato.
Noi siamo trasmettitori tangibili del mandato di Gesù che ci ha resi annunciatori nella sua Parola; anzi, ci ha comandato di annunciare proprio questa vita eterna, questa Parola incarnata che esisteva nel seno del Padre fin dall’inizio dei tempi, della creazione del mondo.
Dunque, quindi non è soltanto un mandato, ma è un ordine, una priorità, un comando di vitale importanza, una necessità impellente, per questo dice che questa Parola deve essere tramandata, annunciata, diffusa in tutto il mondo fino agli estremi confini della terra, affinché tutto quello che è stato visto, che è stato udito, sia una veritiera testimonianza della presenza di Gesù Cristo in mezzo al popolo.
Riallacciare con l’umanità la stessa comunione, la stessa alleanza che Gesù aveva col Padre e che anela ad essere riconosciuta anche dai Figli di questa generazione, conclude la lettera, descrivendo una gioia, un particolare stato di comunione, di estasi vissuta realmente grazie a questo rapporto filiale rigenerativo.
Si può sperimentare questo nella vita di tutti i giorni, se si rimane attaccati a questa Parola, se la si proclama, se la si testimonia con la propria vita e la si mette in relazione con i fratelli, come abbiamo letto in Giovanni, si parla addirittura di una gioia perfetta, condivisa, non di una gioia qualunque, effimera, che passa e poi svanisce come molte volte la scena del mondo ci propone.
La contentezza del mondo molto spesso rischia di passare velocemente a ben guardare. Se riflettiamo, dopo i primi barlumi di felicità che stordiscono, l’amarezza lascia un profondo vuoto nell’anima delle persone che sono sempre costrette a rinnovare questo stato di ebbrezza effimera, una gioia passeggera che molte volte funziona da anestetico e si cerca di trovare in spensieratezze momentanee, in momenti che sembrano lì per lì arrecare piacevoli sensazioni, ma che purtroppo sfumano velocemente lasciando spazio a vuoti esistenziali profondi.
La gioia perfetta consiste in un’illuminazione della grazia derivante dalla comunione con lo Spirito Santo, in una profonda intimità che richiama la semplicità dei bambini che gioiscono, proprio perché sono come in braccio ai genitori e si abbandonano con fiducia alla loro provvidenziale guida.
La perfetta letizia di cui si parla nasce da questa perfetta sintonia con Dio Padre ed è frutto sicuramente anche della preghiera che è il nutrimento dell’anima, ma si ciba anche degli stessi sacramenti: è importante questo contatto, questo punto di ritrovamento per non perdere questo stato di felicità che è possibile instaurare continuamente dentro di noi.
Grazie alla contemplazione, al silenzio, alla percezione dei nostri sensi, abbiamo la possibilità di rendere presente ogni giorno, ogni momento, dentro di noi, il Signore, anche nella nostra semplice quotidianità.
La centralità di Gesù Cristo nella nostra vita è essenziale, perché solo recuperando questa centralità e dando priorità alla sua presenza, potremo ritrovare tutte le altre dimensioni; cerchiamo di monitorare tutte quelle zone del corpo che ci consentono di riattivare e sviluppare la nostra sensorialità per poterlo toccare, sentire, gustare, vedere e ascoltare in tutti i momenti della giornata.
I lettori, gli oratori, che hanno il compito privilegiato di annunciare la parola di Dio, dovrebbero ristabilire questo tipo di contatto con i propri sensi, sarebbe una grande stimolazione, dal momento che potrebbero approfondire su come la parola di Dio possa essere gustata, vista, sentita, toccata, sollecitata dall’olfatto.
La stessa gioia perfetta è la stessa che si gusta, si vede, si tocca, si ascolta, si adora, nella comunione del Figlio con il Padre e lo Spirito Santo e che può essere sollecitata e risvegliata attraverso queste parti del nostro corpo che spesse volte è addormentato e assopito, reso insensibile dalla nostra stessa incapacità di non prendere in considerazione i cinque sensi.
Nei tempi frenetici che viviamo in questa società odierna in continua evoluzione, si corre il serio rischio di non pensare affatto di mettere Dio al centro delle nostre azioni.
Non vediamo, non sentiamo, non tocchiamo, non ascoltiamo, non gustiamo più la presenza di Gesù Cristo, forse perché nessuno ce lo ha mai fatto vedere, toccare, gustare, conoscere, ascoltare sufficientemente e percepiamo solo in maniera istintiva e percettiva quello che ci arriva da fuori sotto forma di impulsi.
C’è davvero bisogno di testimoni e annunciatori di Gesù Cristo nel mondo di oggi, dal momento che tutti i nostri sensi o sono troppo sollecitati e quindi distratti, o si trovano avviluppati come da un torpore.
Gli stimoli esterni a cui sono sottoposti continuamente, fanno vedere, gustare, odorare, toccare e sentire i sensi sotto un’altra forma di piacevolezza, non abbiamo nessuna voglia di approfondire cosa si muove in profondità, invece del solo livello epidermico.
Sensazioni che fluttuano, vanno e vengono, investono la nostra sensibilità in modo repentino, cambiano a seconda delle mode, dell’evoluzione degli stessi costumi.
Questo sentimento si manifesta in maniera molto veloce, non attecchisce in profondità, non ha la possibilità di penetrare e agire realmente dentro la vita delle persone, sfiora soltanto la superficie e non l’interiorità.
L’uomo stesso non si ferma mai, è preso da un vortice costante di sensazioni, vuole gestire l’esistenza a seconda delle proprie pulsioni, di quel che gli gira al momento, è concentrato molto sul proprio egoico tornaconto, e, sottoposto com’è agli stimoli di così tante percezioni, profumi, odori, stimolazioni ottiche, acustiche, sensoriali che si succedono continuamente, non capisce nemmeno il perché la sua vita dovrebbe, invece, avere un solo punto di riferimento, dal momento che ne ha tanti e si trova bene così.
C’è anche l’analisi opposta e cioè che, ritornando a fissare un solo punto d’obiettivo e ricentrando lo sguardo e la nostra percezione in Gesù Cristo, potremmo ritrovare un contatto più profondo con noi stessi, con la sua divinità e approfondire allo stesso tempo tutte le altre dinamiche relazionali che ci competono.
La calma e la riflessione ci condurrebbero a un porto più sicuro e ritroveremmo, assieme a Gesù Cristo, tutto il resto, anche la nostra stessa vita.
Per questo è fondamentale il compito degli annunciatori: la parola di Dio, annunciata, proclamata, non può volare semplicemente sopra le teste delle persone, ma va trasmessa in modo vero, forte, incarnato, deve raggiungere il traguardo di arrestare quel vortice di stordimento sensoriale che travolge l’uomo di oggi e che lo costringe a non fermarsi mai per non pensare al vero senso della vita, ai veri valori che contano.
La parola di Dio, attraverso la bocca del predicatore, dovrebbe far sì che quello che lui pronuncia, metta in discussione critica tutto il suo essere, lo scuota, faccia mettere radici profonde.
La persona che si imbatte in questa Parola, attraverso una predicazione kerigmatica, seria, vitale, può rigenerare, dare vita e, a sua volta, rigenerare vita in qualcun altro, come un’onda che si propaga in cerchi concentrici a non finire.
Bisogna cercare quindi di svolgere bene questa grande missione che ci è stata affidata e badare bene ad usare tutti i mezzi che abbiamo nella nostra persona per trasmettere a tutti un messaggio efficace e duraturo.
L’essere umano è provvisto di tutti questi sensi per vivere ogni giorno bene se volesse, se fosse guidato dalla parola di Dio e se riscoprisse il ruolo centrale che ricopre, potrebbe ridare senso e valore a tutto quello che fa.
Per esempio, se immaginassimo che per una malattia o altro ci venisse a mancare un senso nel nostro corpo, per esempio, l’udito, la vista, o se si affievolisse il senso del tatto, del gusto, vedremmo sviluppare una serie di problematiche che ci impedirebbero di realizzare appieno, in totalità, la vita che vorremmo!
L’uomo è capace di filtrare qualsiasi senso ma non filtra l’unico senso vero che dovrebbe invece cercare, che è, per assurdo, proprio quello più importante… il senso della vita!
Noi abbiamo sviluppato i cinque sensi, vero, ma spesso manchiamo del senso più importante che è quello di dare sapore e consistenza a quello che facciamo, alle nostre piccole o grandi azioni.
Se impiegassimo il tempo, ogni istante, a coinvolgere come in una saggia centrifuga tutte le nostre facoltà, tutta la nostra sensorialità, facendo vivere dentro di noi la presenza di Dio e indirizzando così il senso della vita nella ricerca della sua volontà, l’uomo potrebbe trovare davvero questa gioia perfetta, questa ricetta della felicità profonda di cui si parlava nella lettera di Giovanni, innescando immediatamente il contatto con quel Padre.
Fin dall’inizio dell’eternità Dio ha pensato di connettersi con l’uomo attraverso l’incarnazione di suo Figlio Gesù Cristo, ha voluto toccare con mano concreta e reale la condizione del genere umano.
Poteva benissimo restare a parlare all’uomo soltanto dall’alto della montagna o dei cieli, attraverso il decalogo dell’Antico Testamento, ma, come dice la Scrittura, quando venne la pienezza del tempo Egli mandò suo Figlio Gesù Cristo in una carne umana, a prendere cioè la condizione umana e sposandola in tutte le sue modalità terrene, comprese quelle della sofferenza e della condizione fragile.
“Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!” (Galati 4,4-6).
Se consideriamo questo, possiamo comprendere come Cristo ha voluto l’uomo in tutte le sue dimensioni, inserendosi appieno nel mondo usando lui stesso il corpo i sensi, conducendo una vita terrena soggetta alla fame, alla sete, alla precarietà anche fisica, gioendo, soffrendo, come fanno tutti.
Era sua volontà far giungere l’uomo alla purificazione anche del corpo e dei sensi, per fare di lui un essere spirituale, celeste, non soggetto alla carnalità che distrugge, imbrutisce. Attraverso la sofferenza la stessa carne viene sottomessa al crogiuolo del dolore, per rivolgere i sensi a un gradino superiore di sensibilità che ci riporti a quella condizione libera e senza passioni che viveva all’origine.
Ciò che Dio ha vissuto sulla terra attraverso la persona di suo Figlio può farci avvicinare molto alla riflessione che Lui è venuto davvero in questo mondo e questa è davvero un’occasione per noi per creare quel contatto intenso con un Padre che molte volte pensiamo lontano.
Se l’uomo di oggi che, per certi versi, sembra essere distante ancora adesso dalla fede, per i motivi citati prima, ritorna a sviluppare questa forma di sensibilità, di percezione anche corporea, mettendo al centro della sua vita Gesù Cristo e la sua esperienza terrena, si può ritornare a considerare quell’intimo dialogo del Padre e ricominciare con la stessa relazione filiale interrotta con il peccato e la separazione da Dio nel Paradiso.
C’è un desiderio di riportare l’uomo alla primitiva condizione, fare di lui una nuova creatura vivificata dallo Spirito Santo, purificata.
Quando Adamo nel Giardino dell’Eden si distaccò da Dio, il peccato, la superbia di fare a meno di Lui, entrò inesorabilmente nella sua vita anche attraverso i sensi, purtroppo: se consideriamo bene quel frutto proibito che Adamo non doveva toccare e che viene mostrato da Eva, attraverso la vista in tutta la bellezza, quel gustoso frutto desiderabile e affascinante per gli occhi, viene anche gustato attraverso la bocca, toccato attraverso la mano, guardato dalla concupiscenza dell’occhio, dalla malizia della conoscenza che, non a caso, si apre alla loro mente.
La mela del peccato, il pomo di quella discordia primordiale è ascoltato persino appieno attraverso il sibilo e il fruscio del serpente.
Perché non ristabilire, allora, lo stesso contatto con Dio che si era perso in quel luogo bellissimo a causa proprio di quei sensi gestiti male dall’uomo?
Non ci vuole molto a immaginare questo rinnovamento anche se, non è solo la rinnovata partecipazione dei sensi che permette la salvezza dell’uomo, ma, analizzato il tutto, potrebbe rappresentare una via di analisi interessante per ripartire dalla valorizzazione dell’intera persona umana.
Se solo pensassimo come, attraverso la percezione sensoriale del corpo, potremmo rigustare, rivedere, risentire, riascoltare, toccare di nuovo, alla luce della parola di Dio proclamata, la presenza e l’intimità con il nostro Padre vero, di cui Gesù Cristo è il tramite, assieme allo Spirito Santo, potremmo forse, anzi, sicuramente, ripensare a quel contatto, ridisegnare quell’amicizia perfetta che viene in soccorso non solo dell’uomo, ma anche delle relazioni col prossimo.
Come dice la lettera di Giovanni, il Verbo si è incarnato, si è reso visibile, la vita si è manifestata nella comunione del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.
Qui si parla cioè, di comunione, di relazione, di rapporti interpersonali, di perfetta sintonia, di una rete diffusiva riguardo all’amicizia, alla letizia perfetta, possibili soltanto se noi siamo disposti a ricucire una vera dimensione corporale e spirituale.
L’uomo, come Gesù Cristo, è fatto sia di umanità, sia di divinità e, anche se la sua tensione è di avvicinarsi il più possibile allo spirito, tralasciando i desideri della carne, Dio ci ha regalato questa possibilità di ritornare alla casa del Padre credendo all’incarnazione di suo Figlio per ricevere lo Spirito che ci fa nuove creature, uomini e donne rinate dall’alto, come cita l’episodio di Nicodemo e della donna samaritana.
Possiamo vivere questa nuova dimensione attraverso il nostro battesimo, tutti i segni liturgici, la presenza reale del corpo e sangue di Cristo, ma anche attraverso la Parola, i sacerdoti che la spezzano nell’omelia, i lettori, i catechisti, gli oratori che hanno il privilegio di diffondere il messaggio cristiano grazie alla professionalità e alla preparazione dovuta.
Salmo 34 (33)
“Benedirò il Signore in ogni tempo
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore,
ascolti non gli uomini e si rallegrino.
Celebrate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore e mi ha risposto
e da ogni timore mi ha liberato.
Guardate a lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
l’ho libera da tutte le sue angosce.
L’Angelo del Signore si accampa
su quelli che lo temono e li salva.
Gustate e vedete quanto è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.
Temete il Signore, suoi santi,
nulla manca a coloro che lo temono.
I ricchi impoveriscono e hanno fame,
ma chi cerca il Signore non manca di nulla”.
In questo Salmo di lode troviamo continui riferimenti ai sensi, al corpo dell’uomo, a verbi che riflettono l’azione di questo… “questo povero grida e il Signore lo ascolta”, ”gustate e vedete quanto è buono il Signore”, “gli occhi del Signore sui giusti”, “i suoi orecchi al loro grido di aiuto”, “gridano e il Signore li ascolta”, “ guardate a lui e sarete raggianti”.
Ma ritorniamo ancora alla Lettera ai Romani 10,8-15, la rimarchiamo perché fondamentale….
“Che cosa dice dunque? Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore, cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.
Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!”
Vediamo come ancora una volta Cristo si rende visibile all’uomo e incarna totalmente e pienamente tutta la sua corporeità quando dice che la Parola è accessibile a tutti, che la salvezza vuole arrivare a tutta l’umanità, senza distinzione alcuna e che questa Parola di salvezza è vicina, molto vicina, più di quanto si possa credere, vicina e prossima: alla bocca, al cuore, e, soprattutto, risveglia alla fede colui che la predica e chi l’ascolta.
C’è necessità di proclamare bene la Parola del Signore affinché questa raggiunga il cuore dell’uomo che ha bisogno di credere fermamente che Gesù è il Salvatore dell’umanità.
Chi riceve l’annuncio di questa Parola ha la certezza, fosse solo anche per un momento, che non è solo in questa vita, che non è lasciato solo al suo destino, che c’è qualcuno che provvede a lui.
Il cuore ha bisogno di credere a questa Buona Notizia per ottenere la giustizia secondo la grazia, ma anche colui che la proclama, e cioè l’oratore, deve poter professare questa fede con la sua bocca, oltre che col cuore, ed essere veramente credibile.
Egli annuncia Gesù stesso che deve poter arrivare a persone che neanche hanno sentito non solo parlare di lui, ma che non lo conoscono affatto o non credono.
Le persone lontane, come possono invocare colui nel quale non hanno creduto o di cui non hanno mai sentito parlare, e come crederanno in colui del quale non conoscono nulla, e come ne sentiranno parlare, senza qualcuno che lo annunci?
C’è bisogno di lettori, catechisti adulti e preparati, annunciatori veraci ma, soprattutto, di testimoni credibili anche con la stessa vita, per poter incarnare la Buona Notizia, la Resurrezione di Gesù Cristo.
Come le persone che non lo conoscono ne sentiranno parlare senza, appunto, che qualcuno lo annunci?
E come lo annunceranno, se non sono stati inviati nel ministero del lettorato, della parola, nel ministero straordinario dell’Eucarestia, nei catechisti, in coloro che anche semplicemente leggono un salmo, lo cantano, lo declamano con dedizione?
Deve essere visibile questa urgenza, questa importanza dell’annuncio della Parola e anche della serietà della testimonianza:
oggi più che mai il mondo ha bisogno della Rivelazione di fede!
Possiamo confidare in Gesù Cristo che chiama sempre da ogni parte della terra discepoli, suscita carismi ad opera dello Spirito Santo, evangelizzatori, rendendoli fervidi credenti che, grazie anche alla predicazione della Parola, diventano a loro volta annunciatori e testimoni, anche nella semplicità della loro vita.
È Gesù che li invia, è sempre sua l’iniziativa di designare uomini e donne, dicendo di andare ad annunciare a tutti i popoli la lieta novella fino all’estremità della terra:
“quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!”
Il Signore si serve di piedi, mani, occhi, orecchi, ma soprattutto della bocca che annuncia la parola e fa la sua grande professione di fede.
"Questo libro è dedicato a tutte le persone che desiderano imparare ad avere profonda consapevolezza delle PAROLE della Bibbia e riuscire a proclamarle con autorevolezza e sicurezza"
Racchiude 35 anni di esperienza nella Chiesa condensati in 430 pagine di puro valore.
Non perdertelo per niente al mondo!"
Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino.
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