50 Giorni dopo la Pasqua-Dai segni alla realtà significata
Con la domenica di Pasqua di risurrezione si è aperto nella Chiesa il tempo della celebrazione della Pasqua che durerà 50 giorni, ossia fino alla Pentecoste. E’ il tempo più intenso dell’intero anno. Viene inaugurato nella Veglia pasquale e si celebra per sette settimane fino alla Pentecoste, festa della venuta dello Spirito Santo. È la Pasqua di Cristo Signore, che è passato dalla morte alla vita, alla sua esistenza definitiva e gloriosa. L’evento della Risurrezione del Signore è un fatto tanto importante e trascendentale che la Chiesa ha stabilito che sia preparato dai 40 giorni della Quaresima e che fosse seguito – come continuità della celebrazione, come se fosse un unico giorno di festa – da altri 50 giorni fino alla Pentecoste.
Un documento, in verità poco conosciuto che porta il titolo Paschalis sollemnitatis per la Preparazione e celebrazione delle feste pasquali pubblicato il 16 gennaio 1988 dalla Congregazione per il Culto divino al numero 100 scrive: “La celebrazione della pasqua continua nel tempo pasquale. I cinquanta giorni che si succedono dalla domenica di risurrezione alla domenica di Pentecoste, si celebrano nella gioia come un solo giorno di festa, anzi come «la grande domenica». Le domeniche di questo tempo vengono considerate come domeniche di Pasqua”. In realtà tutti i giorni che seguono e seguiranno all’evento pasquale della Risurrezione del Signore Gesù fino alla discesa dello Spirito Santo sono Tempo di Pasqua. Non accadrà più nella storia della Chiesa un avvenimento così trascendentale e misterioso fino al ritorno del Signore con potere e gloria grande a giudicare i vivi e i morti. Intanto con la Chiesa camminiamo verso quell’appuntamento, convinti che siamo stati salvati dalla Passione, Morte e Risurrezione del Signore attraverso il sacramento del Battesimo e l’azione dello Spirito Santo e viviamo nella attesa della sua ultima venuta. In questi 50 giorni la Chiesa pone uno speciale impegno perché i risorti con Cristo vivano secondo la nuova vita inaugurata dal Signore Gesù con la sua Risurrezione dai morti e iniziata in per mezzo del Battesimo.
Questa vita nuova si caratterizza dal fatto che una vita nello Spirito e secondo lo Spirito del Signore. Lo Spirito Santo è il dono del Signore Risorto, il Dono dei doni, dal quale tutti gli altri derivano. Dono gratuito, che tuttavia, deve essere accolto e corrisposto.
La vita secondo lo Spirito si connota dai segni e dai carismi che la accompagnano. Tanto negli incontri del Signore risorto con i suoi discepoli, come nella Discesa dello Spirito Santo, così come nella vita delle comunità cristiane originate dalla fede in Cristo risorto e dalla Pentecoste si riscontrano tra i doni e i carismi: la pace, la gioia, la libertà, la fraternità nella comunità dei discepoli, lo spirito di preghiera, la celebrazione della Eucarestia e della Parola di Dio, il sentirsi inviati quali testimoni della Risurrezione e della speranza cristiana con la stessa missione con la quale furono inviati i primi discepoli del Signore che dopo la discesa dello Spirito Santo andarono in tutto il mondo ad annunciare le grandi meraviglie compiute dal Gesù di Nazareth il Cristo della fede.
Per alimentare e mantenere la vita nuova del risorto con Cristo sono a nostra disposizione la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, la vita sacramentale, la vita della comunità cristiana.
Fin dal principio i discepoli del Signore ebbero come forte punto di riferimento la celebrazione della Domenica, il giorno del Signore che è il signore dei Giorni. Esso divenne subito il giorno della comunità per vivere l’esperienza dell’incontro di tutta la comunità con il Signore e con tutti i fratelli e porre in comune la vita vissuta nel corso della settimana e prendere forza per continuare a vivere da cristiani in mezzo al mondo durante la nuova settimana che inizia.
Gli antichi abitanti di Abitene dicevano: “Senza la domenica non possiamo vivere!”
Quando finisce Pasqua? Non certo il giorno di Pasqua, anzi è proprio dal triduo pasquale che inizia il tempo più gioioso per la comunità ecclesiastica : il tempo pasquale. Parlare di gioia in questo momento è un toccasana per cui è importante raccontare meglio i 50 giorni fino alla Pentecoste.
Dopo la Pasqua altri due momenti importanti segnano l’anno del cristiano: l’Ascensione e la Pentecoste. Due feste tra le più significative del tempo liturgico a distanza di pochi giorni l’una dall’altra . Proprio per questo diciamo che il tempo pasquale è un periodo non solo forte, ma addirittura fortissimo della fede.
A 40 giorni dalla Pasqua l’Ascensione celebra l’ascesa di Cristo al cielo in carne e ossa svelando quale sia il destino dei Figli di Dio e quindi di tutti noi grazie alla salvezza veicolata attraverso il sacrificio pasquale.
A 50 giorni giorni dalla Pasqua la Pentecoste segna un altro momento fondamentale: l’effusione dello Spirito Santo e la creazione della Chiesa.
Sono questi due momenti che completano la Pasqua. Senza di loro la morte di Gesù resterebbe un mistero e non si riuscirebbe a capire il senso della redenzione attraverso il sacrificio del corpo di Cristo.
Il tempo pasquale però non è solo un tempo di attesa della festa, ma è un tempo attivo in cui Gesù continua ad apparire ai suoi discepoli per insegnare, dando prova a tutti noi fedeli che la morte non è la fine di tutto e che Cristo è sempre presente nella sua Chiesa.
La gioia espressa dall’ Alleluja, il cero pasquale, la presenza via via sempre più forte dello Spirito Santo (fino a Pentecoste) , la forza dell’Eucarestìa e dei Sacramenti fanno da bussola a questi 50 giorni.
Di tutti questi segni però l’Eucarestìa e l’adorazione eucaristica sono il vero cuore del tempo pasquale: non a caso tra i precetti della fede c’è quello di confessarsi e comunicarsi almeno una volta l’anno, preferibilmente in questi giorni.
Ma la Chiesa si spinge ben oltre, perché al di là del “minimo” dovuto, l’invito è quello a vivere quotidianamente l’Eucarestìa almeno in questi 50 giorni, proprio per assaporare la festa e il banchetto perenne di questa finestra temporale.
La cinquantina che va dalla Risurrezione di Cristo alla Pentecoste è il tempo del Signore Risorto e dello Spirito Santo. I catecumeni che divengono nella notte di Pasqua fedeli a pieno titolo con il Battesimo, non ricevono più l’istruzione catechistica ma la mistagogia, catechesi mistagogica, in quanto sono ormai iniziati al Mistero di Gesù Cristo, morto e Risorto.
I nostri adulti che hanno riscoperto nella notte di Pasqua il valore del loro Battesimo, s‚impegnano a vivere una vita nuova in Cristo. La conversione è dono di Dio, l’uomo è chiamato a rispondere e collaborare ogni giorno, perché è un “rinnovato” che sempre si rinnova. L’uomo, credente adulto nella fede, deve sì avere entusiasmo e slancio religioso, ma questi devono emergere dal mistero di Gesù Cristo, il Risorto di cui egli è testimone, dall’approfondimento della Parola, dai Sacramenti, dalla Liturgia che diventa vita, dalla ferialità del mistero di Cristo nella nostra storia quotidiana.
Ora, la stessa liturgia essendo culmine e fonte (SC 10), ha bisogno sia di una preparazione catechetica che di una prosecuzione mistagogica. Volendo presentare la realtà del tempo pasquale, tempo fortemente battesimale, secondo una prospettiva catechetico-mistagogica, è opportuno partire dai segni per risalire alla realtà da essi significata.
Secondo il Rinnovamento della catechesi (RdC), infatti,i segni vanno utilizzati con questi accorgimenti:
Devono lasciar trasparire la realtà divina che in essi si esprime e si comunica all’uomo;
devono essere traduzione-attuazione della gloria divina per l’uomo;
ciò che conta non è tanto il loro “simbolismo naturale” quanto piuttosto la verità di salvezza che esso evoca e misticamente realizza;
la pedagogia del segno esige che esso renda familiare il passaggio dai segni visibili agli invisibili misteri;
si eviterà un duplice rischio: parlare dei segni senza riferimento al mistero, presentare il mistero senza riferimento ai segni (RdC 32,78,115,175).
Il Fuoco
Nella notte di Pasqua, nella solenne Veglia, la celebrazione si arricchisce in modo evidente del simbolismo del fuoco. Il braciere, che arde fuori della chiesa e da cui si accende il cero, attrae l’attenzione dei fedeli in questo primo momento che prepara la celebrazione pasquale. Il trionfo della luce sulle tenebre, del calore sul freddo, della vita sulla morte (mistero poi solennemente proclamato da letture e azioni sacramentali della più solenne tra le notti) è già sinteticamente espresso in questo concreto linguaggio del fuoco nuovo, intorno al quale si riunisce la comunità. Seguirà la processione con il grido gioioso: “La luce di Cristo”, e la luce si comunicherà progressivamente ad ogni partecipante. La preghiera del Messale Romano che accompagna la benedizione del fuoco, ci appare piuttosto espressiva: “O Padre, che per mezzo del tuo Figlio ci hai comunicato la fiamma viva della tua gloria, benedici questo fuoco nuovo, fa che le feste pasquali accendano in noi il desiderio del cielo, e ci guidino, rinnovati nello spirito, alla festa dello splendore eterno“.
Il fuoco è presente, nella liturgia, anche in altre occasioni o realtà: nelle lampade e nei ceri accesi durante la celebrazione o davanti al tabernacolo. Qui, oltre al simbolismo della luce, vi ritroviamo la misteriosa realtà del fuoco: la fiamma che si consuma lentamente mentre illumina, abbellisce e riscalda, dando senso poetico e familiare alla celebrazione. Altra solenne occasione, sebbene meno conosciuta, è il rito della Dedicazione della chiesa. Si accende il fuoco in un braciere che è posto sull’altare e vi si brucia l’incenso. Su quella mensa sta per rinnovarsi il memoriale del sacrificio di Cristo. Nell’Antico Testamento era il fuoco a consumare i sacrifici; ora s‚invoca in qualche modo la forza santificatrice di Dio sul nostro sacrificio. Il fuoco, com‚è detto chiaramente dal canto del “Veni Creator”, è lo Spirito Santo, invocato in ogni Eucaristia sui doni del pane e del vino per operare la loro misteriosa trasformazione nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Il fuoco è il simbolo del sacrificio di Cristo e del potere santificante di Dio, che prende possesso dell’altare e di ciò che su di esso sarà celebrato.
Il cero pasquale acceso e la luce
Nell’anno liturgico, se esiste una celebrazione il cui inizio è un vero gioco simbolico di luce, questa è la Veglia pasquale. Il popolo, riunito nell’oscurità, così come abbiamo già commentato, vede la nascita del fuoco nuovo da cui si accende il cero pasquale, simbolo di Cristo.
Il cero pasquale, infatti, è il segno del Cristo risorto luce vera del modo che illumina ogni uomo; è la luce della vita che impedisce di camminare nelle tenebre. è il segno della vita nuova in Cristo che, strappandoci dalle tenebre, ci ha trasferito con i santi nel regno della luce; Cristo brillò su di noi che eravamo tenebre, ma ora siamo luce nel Signore (Ef 5,14). è il segno che ci permette di vivere come figli della luce (Ef 5,8), di rigettare le opere delle tenebre (Rm 13,12), di restare in comunione con Dio (1 Gv 1,5), di conservare l’amore con i fratelli (1 Gv 2,8-11). è anche segno di fedeltà a Dio e vigilanza nella preghiera e nell’attesa.
Dietro questo cero acceso cammina processionalmente la comunità cantando per tre volte un grido di giubilo. Ogni volta si accendono le candele: i cristiani restano contagiati dalla luce di Cristo, che incarna il simbolismo, e questa si espande sempre di più. Infine il cantore del preconio pasquale (diacono possibilmente) intona le lodi della beata notte, illuminata dalla luce di Cristo. Non sono necessarie molte spiegazioni del simbolismo della luce in questa Veglia. La sua intenzione è evidente, tanto da contagiare e avvolgere i credenti, comunicando loro con la sua forza espressiva l’entusiasmo del mistero celebrato: “Questa notte fonte di luce sconfigge il male, lava le colpe, restituisce la gioia agli afflitti·”
Durante i cinquanta giorni di Pasqua, in tutte le celebrazioni accendiamo il cero pasquale come in altri momenti diamo grande importanza al simbolismo della luce.
L’acqua
L’acqua è davvero una realtà polivalente: disseta, pulisce e purifica, ci rinfresca nei giorni di calura; è fonte di vita per i campi e dà origine alla forza idraulica. Nella liturgia della solenne notte e in altri riti liturgico sacramentali essa assume significato come acqua che purifica; segno di Cristo, acqua viva che spegne ogni sete e simbolo di vita e di morte. Tralasciando tutti gli altri riti, nella Veglia pasquale, la notte battesimale per eccellenza, l’acqua, come linguaggio simbolico, raggiunge l’apice di solennità e di significato.
Anche quando non ci sono battesimi, in quella notte in tutte le comunità cristiane si commemora il Battesimo, sacramento per mezzo del quale siamo radicalmente assunti e incorporati alla pasqua di Cristo, passaggio dalla morte alla vita. Le altre domeniche sono come il prolungamento e rinnovazione settimanale della domenica per eccellenza, la festa di Pasqua.
Il simbolo dell’acqua lo terremo presente innanzitutto per il sacramento del Battesimo (immersione o infusione). Poi si rivive tale ricordo battesimale attraverso: l’aspersione all’inizio della Messa domenicale (soprattutto nella cinquantina pasquale), il gesto di prendere l’acqua benedetta entrando in chiesa, le varie benedizioni in cui si asperge con l’acqua benedetta, il rito della Dedicazione della Chiesa dove si asperge il popolo e le pareti del tempio. l’aspersione dell’acqua è proposta più volte come gesto facoltativo anche nell’unzione degli infermi ed, infine, anche nella celebrazione delle Esequie.
l’acqua, per noi cristiani, è un simbolo d‚affetto con il quale Dio ha voluto purificarci, appagare la nostra sete e farci rinascere nel mistero della pasqua di Cristo.
Abbiamo scelto solo alcuni dei segni della Pasqua. Dai segni che esprimono il linguaggio del mistero, bisognerà passare ai segni della vita. I cristiani, infatti, devono annunciare Cristo, qui e ora, con la loro vita e non con tante parole, solo così la fede diventa creativa, personalizzata, illuminante.
La maturità del cristiano si manifesta con l’attenzione alla storia e alla cultura, nelle quali è chiamato a far rivivere Cristo mediante la sua imitazione (il “per me il vivere è Cristo” di San Paolo) in maniera originale ed unica, mediante una spiritualità feriale e metodica (il quotidiano). Allora i Sacramenti e la Parola diventano fonti di passione, di gioia e di slancio missionario.
I cristiani diventano i “segni” che il Signore tramanda nella storia mediante i suoi discepoli testimoni. I testimoni d‚ogni tempo si riconoscono dai frutti dello Spirito: carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza.
Come Gesù con i discepoli di Emmaus, anche noi siamo chiamati ad annunciare il Kerigma contro l’antievangelo dei discepoli disperati, purificandoli con il fuoco del sacrificio di Cristo, illuminandoli con la luce della sua Risurrezione, immergendoli in Cristo, acqua che zampilla per la vita eterna, e sostenendoli nella fede del Signore Risorto che rimane con noi fino alla fine dei tempi.
(da Alleluja.net)
Idea Progettazione a cura di Marilena Marino Vocedivina.it