SANTA TERESA D’AVILA

SANTA TERESA D’AVILA

 Santa Teresa di Gesù. Il suo nome significa, dal greco, cacciatrice e dal tedesco donna forte e dolce. La sua storia

Giovedì 15 ottobre 2015, la chiesa cattolica venera  Santa Teresa d’Ávila, vergine e dottore della chiesa. Il suo vero nome era Teresa Sánchez de Cepeda Dávila y Ahumada, nacque ad Ávila, in Spagna, il 28 marzo 1515, da una nobile famiglia. Aveva solo due anni quando Lutero fece pubblicare le sue 95 tesi contro la vendita delle indulgenze. Santa Teresa d’Ávila, dopo essere fuggita da casa a solo vent’anni, entrò nel Carmelo di Ávida in preda ad un tormentoso travaglio interiore. La giovane lo identificò come la sua conversione alla religione cattolica avvenuta all’età di 39 anni. A solo 21 anni venne nominata Carmelitana del Monastero dell’Incarnazione di Ávila. Si dedicò, con fervore, a riformare l’Ordine dei Carmelitani, dando origine all’Ordine dei Carmelitani Scalzi. Scrisse numerose opere mediante le quali spiegò sia le basi della sua dottrina di origine mistica e spirituale che gli ideali della sua riforma. Santa Teresa d’Ávila, il 24 agosto 1562, fondò il suo primo Monastero dedicandolo a San Giuseppe. Divenne la prima sede delle monache carmelitane scalze, qui le religiose vivevano secondo i principi degli antichi monaci del Monte Carmelo ed in totale clausura. Fino al 1582, Santa Teresa d’Ávila continuò a fondare altri monasteri su tutto il territorio spagnolo. Percorrendo in lungo ed in largo la Castiglia, Santa Teresa d’Ávila fece conoscere le fondamenta della sue fede religiosa facendo costruire numerosi chiostri tra cui quello di Medina, di Salamanca, Toledo, Pastrana, Alba de Tormes, Segovia, di Siviglia, eccetera. 

Nel 1568 Santa Teresa d’Ávila iniziò a riformare anche l’ordine dei frati Carmelitani. In seguito all’incontro con San Giovanni della Croce, che divenne suo accompagnatore e sostenitore, Santa Teresa d’Ávila si fece promotrice della costruzione del primo convento di Carmelitani Scalzi che venne eretto nel villaggio di Durvelo. Con la morte del nunzio Nicolas Ormaneto, sostenitore e protettore dei carmelitani scalzi, Santa Teresa si trovò senza protezione. Il nuovo sostituto ed acerrimo nemico dei Carmelitani Scarzi, Filippo Sega, fece scomunicare le religiose carmelitane, nel 1577, per il solo fatto di aver eletto come priora del convento Santa Teresa d’Ávila. Venne rinchiusa nel convento di San José e San Giovanni della Croce arrestato. Santa Teresa d’Ávila chiese al re di Spagna, Filippo II, di salvaguardare la sua riforma tutelando sia le monache che i frati carmelitani. Grazie al Papa Gregorio XIII, nel 1580, l’ordine dei carmelitani, maschili e femminili, ottenne una provincia separata. Santa Teresa d’Ávila si spegne ad Alba de Tormes, nella provincia di Salamanca, il 4 ottobre 1582. E’ stata beatificata nel 1614 da Papa Paolo V e canonizzata nel 1622 da Papa Gregorio XV. Ha lasciato numerosi opere tra cui Autobiografia, il Cammino di Perfezione, le Fondazioni, i Pensieri, le Lettere, le Poesie, il Castello Interiore, eccetera. Etimologicamente, il suo nome significa, dal greco, cacciatrice e, dal tedesco, donna forte e dolce. Il suo emblema è un giglio ed è rappresentata con l’abito delle Carmelitane scalze e con il cuore trafitto. E’ la patrona degli scrittori, dei malati, degli orfani e dei religiosi.

UN MONDO IN FIAMME? LA VIA DI SANTA TERESA D’AVILA, MISTICA SEMPRE ATTUALE

15/10/2022  Ricorre il 15 ottobre la festa della santa spagnola, le cui intuizioni nel XVI secolo sono valide ancor oggi, tempo di pandemia, crisi e guerra.

Sono passati più di quattro secoli dalla morte di Teresa di Gesù. Le testimonianze di chi le è stata accanto nei momenti finali della sua vita ci raccontano che fra le sue ultime parole ci sia stata questa espressione: “Signore, infine è tempo di incontrarci”. Incontrare Gesù è stato il fil rouge che ha attraversato tutta la sua vita, una vita esuberante, vivace, fatta di alti e bassi, di cadute e riprese, di lotta, di progetti, di successi e fallimenti. Una vita passata in cammino, seppur nel paradosso della scelta della vocazione claustrale.

Teresa bambina voleva andare nella terra dei mori per poter essere martire.

Teresa adolescente attraversa tutte le inquietudini tipiche di quell’età e deve fare i conti con la morte della madre.

Teresa ragazza decide di entrare in monastero, anche se è lei stessa a dirci che lo fece “più mossa da un timore servile che dall’amore” (Libro della Vita 3,6).

Teresa giovane monaca si scontra con la sua incoerenza e con un fisico che cede sotto il peso di un ideale troppo distante dalla realtà.

Teresa ormai quarantenne ricomincia a vivere: “Da qui in avanti si tratta di una vita totalmente nuova. Fin qui era la mia vita… ora è Dio che vive in me” (Libro della Vita 23,1).

Teresa anziana fonda sedici monasteri di monache e due conventi di frati: in quella fase della vita che noi consideriamo essere quella del declino, ella conosce il periodo più fecondo, affaccendato e contagioso.

Ha ancora senso per noi, donne e uomini del 2022 – di un mondo globalizzato, digitalizzato, complesso e conflittuale – guardare alla figura di questa donna? La risposta sta in una sua celebre frase che si trova proprio al primo capitolo de “Il cammino di perfezione”: “Il mondo è in fiamme! Vogliono di nuovo processare Cristo!”. Ecco, questo dovrebbe bastare: le epoche sono certamente diverse fra loro, la cultura cambia, gli esseri umani cambiano, ma le dinamiche della storia, delle relazioni, della politica e delle persone stesse in definitiva viaggiano su binari profondi che si assomigliano: gli uomini amano o odiano, coltivano amicizia o inimicizia, cercano il potere o lo combattono. Certo: il mondo è in fiamme! Mai come oggi possiamo dirlo. Come si fa a vivere in un mondo percorso da così tante tensioni e segnato da così tanta precarietà? Con il salmista verrebbe da dire: “Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto?”.

Il fil rouge di Teresa è un fil rouge possibile a tutti. Nel libro della Vita, al capitolo 22, ce lo spiega bene: “Noi non siamo angeli, ma abbiamo un corpo; volerci ritenere angeli mentre siamo sulla terra è uno sproposito”. Ecco il realismo carico di buon senso di questa donna: non c’è un mondo ideale; c’è solo un mondo che conosce la pesantezza del corpo, la pesantezza della materia e delle sue leggi. Dunque, che il mondo sia in fiamme parrebbe la cosa più logica! Ma poi Teresa continua: “… negli affari e nelle persecuzioni e nelle fatiche… e in periodi di aridità, Cristo è un amico molto buono, perché lo possiamo guardare come uomo e lo vediamo debole e affaticato, e ci fa compagnia, e se ci abituiamo è molto facile trovarlo vicino a noi…”. Questo è il dono che ci è fatto: Cristo è molto vicino a noi. Se è così, allora ha senso ancora oggi mettersi in ascolto dei testimoni del passato. Ci sono figure che ci hanno indicato la via per fare esperienza della vicinanza di Cristo e non è una questione di poca importanza; piuttosto si tratta di vita o di morte, perché affrontare la vita in solitudine è tutt’altra cosa dall’affrontarla in quanto “accompagnati”. Teresa è certamente una di queste figure e per questo possiamo ancora oggi guardarla, non perché il nostro sguardo si fissi in lei, ma perché ella ci sia maestra nell’imparare a guardare Cristo… che ci è vicino. 

                                                            Le sorelle del Carmelo di Legnano (Milano) e Massimo Fiorucci

Strumenti per la Consegna: 17 – Prova e Sperimenta le Tecniche per dominarle

Strumenti per la Consegna: 17 – Prova e Sperimenta le Tecniche per dominarle

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

A questo punto una indicazione finale: ricorda che questo ministero del lettore ti è stato affidato da Dio!

Quindi vuol dire che hai una capacità innata di riuscire in questo; devi solo assumere l’impegno seriamente sviluppando al massimo le tue potenzialità espressive.

Il lavoro per diventare un Lettore efficace, se fatto con amore, non è faticoso e nemmeno impossibile quando lo Spirito ti guida; devi solo aggiungere il tuo impegno, la tua sincerità, la tua Fede, la tua passione per centrare l’obiettivo di questo servizio, così come, occorre tutto questo, in ogni ambito della vita.

Per farlo è necessario solo un pò di studio e disciplina, basta leggere un capitolo al giorno di questo libro o le pagine che puoi e riuscire ogni giorno ad esercitarsi nella pratica.

Un passo alla volta e riuscirai a padroneggiare gradualmente queste tecniche. Un poco alla volta riuscirai a fare tue queste modalità ed applicarle poi nel concreto.

Devi cercare di avere il controllo assoluto del tuo strumento vocale per arrivare dopo alcune correzioni ad ottenere la capacità di enunciare perfettamente.

Quello che “proclami” deve essere letto in modo completamente chiaro, acuto e articolato.

È importante lavorare su questo percorso facendo regolarmente esercizi in modo da poter modellare il tuo strumento vocale prima che arrivi il momento fatidico di leggere sull’ambone.

Ricordati di applicare quei piccoli ma tanti suggerimenti per la salute della voce e quindi bere molta acqua e assicurarti che i tuoi seni nasali siano puliti prima della lettura.

Come dicevamo nei capitoli precedenti l’importante è che tu sia coinvolto con tutto il corpo, con tutta la tua persona, in questo processo di lettura, reagendo seriamente ed emotivamente al messaggio che stai inviando all’Assemblea.

Il metodo migliore per perfezionare le tue capacità vocali sarà parlare e leggere ad “alta voce” il più spesso possibile; puoi farlo provando con brani di diverso carattere, testare i tuoi timbri vocali naturali e varie sfumature di voce che potresti utilizzare e sperimentare anche le diverse tecniche vocali di enfasi, mordente ecc. che abbiamo elencato.

Esercitati a leggere ad alta voce!

Questo tipo di pratica è essenziale per padroneggiare la lettura e trasformarla da una lettura “fredda” ad una efficace e comunicativa.

Non limitarti a leggere le parole con una voce monotona, impegnati a leggere i brani sacri con emozione.

Leggi la Parola nel “carattere” dei personaggi che sono presentati; o trova altre opportunità per leggere la Parola o anche qualche brano non sacro ad altri. Leggi libri di fiabe ai bambini; leggi articoli di riviste agli amici, leggi poesie alla tua famiglia o in qualsiasi altra occasione tipo eventi, matrimoni, assemblee, situazioni di lavoro, ecc.

Questo è un consiglio semplice, ma incredibilmente importante, perché dopo diverse prove non sarai più tentato di tenere la testa bassa china sul Libro ma acquisirai la disinvoltura di proiettare il tuo contatto visivo a chi ti ascolta; l’Assemblea vuole vedere le tue espressioni facciali, se provi emozioni nella lettura, se credi in modo vero in quello che stai proclamando e che non ti stai nascondendo dietro a quel Libro.

Sappiamo tutti che la pratica rende perfetti, ma questo non è un consiglio valido solo nell’ambiente scolastico; il consiglio è valido anche per questo nostro compito di Lettori della Parola.

Anche se pensate di essere dei lettori esperti, provare a leggere ad alta voce quotidianamente garantisce una sicurezza ed una modalità fluida nella proclamazione; così come un cantante o un atleta deve esercitarsi tutti i giorni per mantenere alte le sue performance, e lo stesso atteggiamento è valido anche per questa missione importante che vi è stata affidata.

 

 

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Leggere letture della Bibbia ad alta voce quotidianamente è un allenamento che produce dei risultati importanti:

  • Aumenta sempre di più la vostra comprensione profonda della parola di Dio.

  • Leggendo ad alta voce inneschi un processo di trasformazione per cui le parole scritte pronunciate entrano nel tuo spirito per convertire realmente anche la tua vita.

  • Esercitandoti nella lettura dei brani della Bibbia ad alta voce, ti aiuta ad essere più concentrato e aiuta la tua mente ad essere focalizzata sul messaggio.

La prima volta che leggi un brano forse sarai più focalizzato sul modo di leggere quella Parola; e successivamente comincerai a studiare come articolare bene quella lettura e controllare i vari meccanismi espressivi che abbiamo presentato nei precedenti capitoli.

Ma in una fase successiva riuscirai a toccare più in profondità il significato; e questa esperienza viva più chiara trasformerà il messaggio della Parola in idee per il nostro Spirito, fino ad avere una reale “immersione con il cuore” che apre ad una comprensione più elevata e spirituale della volontà di Dio per noi.

Arrivati a questo alto livello siamo così pronti ad esternare questi sentimenti vissuti sinceramente.

Questo genera spontaneamente i giusti toni per la lettura nella assemblea e i nostri sentimenti aiutano il messaggio di Dio ad arrivare alle persone che ci ascoltano.

Se abbiamo fatto un buon lavoro e ci siamo esercitati attraverso: studio, prove e letture quotidiane, sicuramente la musicalità e l’articolazione della nostra voce trasmetterà in modo preciso e vissuto il messaggio spirituale e anche i nostri ascoltatori entreranno in risonanza spirituale con noi.


Per concludere uno schemino pratico di cosa deve fare un lettore per prepararsi a leggere una lettura.

Questo elenco di operazioni da fare se espletato con determinazione e impegno consentirà al lettore di studiare e approfondire progressivamente e sotto i diversi aspetti il testo della parola di Dio.

  1. Sapere in anticipo quando e quale sarà la lettura assegnata: in genere queste comunicazioni circolano nel gruppo lettori, che si occupa anche di stabilire i turni dei lettori; abbiamo già detto che non si deve scegliere il lettore poco prima della liturgia o peggio ancora mentre la celebrazione è iniziata.

  2. Leggere e studiare qualche giorno prima il testo per capirne bene il significato: ci si può aiutare con un commento nel web e partecipando alle riunioni del gruppo liturgico parrocchiale.

  3. Individuare il “genere letterario” del testo: comprendendo il genere del libro da cui è stata tratta la lettura e il tipo specifico di lettura.

  4. Cercare le parole o le frasi chiave del brano: perché è su queste poche parole o frasi chiave che la lettura dovrà focalizzarsi e trovare il modo di enfatizzarle.

  5. Studiare il testo dal punto di vista tecnico: allo scopo di leggerlo correttamente, cioè ricercare come una “punteggiatura orale” nascosta nel testo (pause, incisi, cambiamenti di intonazione, di ritmo, ecc.), evidenziare le parole di difficile pronuncia, e pensare il tipo d’interpretazione adatto al testo.

  6. Leggere la lettura ad alta voce più volte: fare delle prove, possibilmente di fronte a qualcuno che ascolta o anche registrarsi e poi risentire in modo critico la registrazione.

Non è necessario fare tutto subito e alla perfezione.

Ma è importante cercare di assimilare questa modalità gradualmente e confrontarla ad ogni celebrazione con l’esperienza pratica diretta.

Con l’impegno dovuto e la costanza è possibile mettere in pratica tutte queste cose, preparando ogni volta la propria lettura. Un classico è dire che “non si ha tempo” per questo; ma data l’importanza di questo impegno settimanale e se troviamo il tempo per fare altre cose anche meno importanti, perché non possiamo trovarlo per svolgere questa missione di Dio?

 

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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Strumenti per la Consegna: 16 – Amplificazione Sonora e microfoni

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Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

Altro elemento critico da considerare al fine di avere una buona lettura durante la liturgia è quella di comprendere, magari anche in modo elementare, come funzionano gli impianti usati per amplificare la voce.

Un impianto di amplificazione è composto da tre tipi di attrezzature:

  • i microfoni, che servono a raccogliere la voce di chi parla, posizionati negli amboni.

  • L’amplificatore, che ha lo scopo di amplificare, potenziare i suoni catturati dai vari microfoni.

  • gli altoparlanti, colonnine verticali che servono a ritrasmettere fedelmente nell’ambiente i suoni catturati e amplificati. (voci o strumenti)

Per sfruttare meglio le potenzialità di queste attrezzature bisogna almeno capire alcune differenze fondamentali dei microfoni.

I microfoni si suddividono in 4 gruppi, in base alle caratteristiche interne di ogni tipo di microfono:

  • i microfoni onnidirezionali: che ricevono i suoni provenienti da ogni direzione;

  • i microfoni direzionali: che captano soltanto i suoni provenienti dalla direzione frontale.

  • i microfoni dinamici: che hanno una membrana interna poco sensibile per cui il lettore deve avvicinarsi molto (2/3 centimetri) per ottenere un suono consistente e hanno una qualità sonora medio bassa.

  • i microfoni a condensatore: che hanno un piccolo condensatore interno che li rende molto sensibili e di alta qualità, il lettore può parlare anche ad una distanza di 10/20 centimetri dal microfono; sono in genere protetti da una spugna “antipop” che riduce i picchi di volume generati spesso dalle consonanti “p” o “b”; sono cosi sensibili che il lettore NON deve assolutamente avvicinarsi troppo al microfono.

Normalmente un ambone funzionale deve essere dotato di un microfono direzionale e di tipo a condensatore.

Durante la lettura è importante usare variazioni di volume. Questo si può ottenere variando sia il volume della propria voce, ma anche variando la distanza della bocca rispetto al microfono.

La posizione media ideale con i microfoni a condensatore consiste nel disporre il microfono a circa venti centimetri dalla bocca, e leggermente rivolto verso l’alto.

Quando è necessario, si può variare la distanza della bocca dal microfono, con spostamenti completi della persona in modo che questi spostamenti siano visivamente meno invadenti; ogni spostamento va fatto senza abbassare la testa, cosa questa che produce un gesto troppo vistoso e poco elegante.

Va tenuto in debito conto anche la “proiezione” del suono; con questo termine s’intende la distanza a cui si vuole far giungere la propria voce. È diverso se si vuole far arrivare la propria voce a 5 o a 20 metri, perché ciò esige uno sforzo differente. Un bravo lettore deve esercitarsi a regolare la proiezione della propria voce a seconda del luogo, dell’impianto di amplificazione, dell’Assemblea e del testo.

Si possono distinguere tre zone, corrispondenti a tre distanze dai microfoni:

  • la zona dell’intimità (da 2 a 10 cm) che richiede di parlare a basso volume, in tono confidenziale;

  • la zona della conversazione (da 10 a 20 cm) che richiede di parlare come facciamo normalmente;

  • la zona del parlare in pubblico, o della proclamazione (da 20 a 35 cm) che richiede di parlare come se ci trovassimo in un locale di grandi dimensioni, con molte persone e senza microfono.

 

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Consigli pratici:

  • Prima che inizi la liturgia: controllare con un colpetto sul microfono che tutto l’impianto acustico sia acceso e controllare soprattutto l’efficienza di tutti i microfoni.

  • Sempre prima dell’inizio della liturgia: assicurarsi che all’ambone sia predisposto tutto quanto è necessario per lo svolgimento del rito.

  • Una volta arrivato all’ambone e prima d’iniziare a leggere, ogni lettore deve preoccuparsi di regolare bene il microfono alla giusta altezza, con movimenti delicati, evitando di innescare brutti rumori nell’ambiente.

  • Verificare che il Lezionario sia alla pagina esatta per la propria lettura e ben collocato per le proprie esigenze.

  • Dare uno sguardo all’Assemblea e attendere che tutti abbiano preso posto.

  • A questo punto inizia la lettura vera e propria del testo biblico.

  • Non parlare direttamente in direzione del microfono, ma leggermente spostati di lato al microfono; per evitare quei rumori sgradevoli che si producono quando si pronunciano a distanza ravvicinata nel microfono le consonanti più potenti (P e B) e quelle sibilanti (S e Z).

  • Quando si parla o canta assieme all’Assemblea (nel ritornello del salmo, o nelle acclamazioni alla preghiera dei fedeli, o nel canto in generale, ecc.) bisogna usare un volume moderato per non coprire l’Assemblea stessa.

    Se la nostra voce è troppo forte e schiaccia l’Assemblea, l’effetto che otterremo è quello che molti dell’Assemblea canteranno o risponderanno in modo molto più basso, sentendo che la propria voce ha una potenza insignificante ed è schiacciata dal cantore o dal lettore.

  • Ricordati di spegnere il telefono durante la lettura, ma non tanto per evitare che in quel momento qualcuno ti telefoni ma anche perché può trasmettere interferenze ache l’amplificazione può amplificare e diffondere in chiesa.

  • Ricorda che anche i fogli dei libri che leggiamo o i nostri movimenti su vecchi amboni di legno possono essere fonti di rumore che il microfono può rilevare.

  • Ricordati che i microfoni più sensibili amplificano tutto: il rumore di una collana o di un bracciale al polso, un problema respiratorio, di asma ecc. Anche il rumore delle vibrazioni della propria asta su cui è fissato o del leggio; quindi cerca di utilizzare il microfono con molta cautela.

  • Attenzione al cosiddetto effetto Larsen; questo è il classico “fischio” che il microfono innesca se regolato troppo alto di volume. Quindi i microfoni non devono mai essere rivolti verso i diffusori acustici presenti. E quello che il lettore puo fare per “tentare” di interrompere questo fischio tecnico è quello di alzare rapidamente il microfono verso l’alto e allontanarsi dal microfono. Mai e dico mai commettere l’errore di chiudere il microfono nel pugno della mano come per fermare questo suono fastidioso: questo gesto provocherà subito un aumento immediato del fischio in modo fastidiosissimo.

  • Davanti al microfono, ATTENZIONE, non parlare, a qualcuno che ti sta vicino, non fare commenti, non fare colpi di tosse, starnuti ecc. vicino al microfono acceso, perché il microfono amplificherà pure questi. Se devi farlo girati e allontanati dal microfono.

 

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Strumenti per la Consegna: 15 – Carattere musicale, Articolazione, Mordente

Strumenti per la Consegna: 15 – Carattere musicale, Articolazione, Mordente

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

I compositori musicali scrivono all’inizio di ogni partitura degli aggettivi per indicare, a chi eseguirà la musica, il carattere generale della composizione.

Lo strumentista esecutore, guidato anche dal direttore d’orchestra, viene così facilitato ad entrare nella corretta interpretazione.

Se guardiamo le partiture musicali più importanti, troviamo all’inizio di ogni sezione degli aggettivi del tipo: andante, maestoso, brillante, e molte altre parole simili che danno l’idea del carattere generale che tutta la partitura musicale deve avere. Da notare che, dovunque nel mondo, questi aggettivi usati nelle partiture sono espressi in termini “italiani” perché l’Italia è stata veramente la culla della musica.

Possiamo raggruppare questi aggettivi in gruppi simili e avere una idea delle aree espressive che si possono ottenere anche con la voce:

CARATTERE TRISTE:

Malinconico, triste, severo, doloroso, commosso, dolente, patetico, tragico…

CARATTERE CALMO:

Tranquillo, intimo, quieto, delicato, sognante, calmo, dimesso, dolce…

CARATTERE ESPRESSIVO:

Poetico, lirico, espressivo, amabile, amoroso, patetico…

CARATTERE SOLENNE:

Solenne, nobile, maestoso, trionfale, imponente, grandioso…

CARATTERE BRILLANTE:

Ironico, scherzoso, gioioso, animato, agitato, vivo, brillante, energico…

Il nostro corpo è un pò come uno strumento musicale naturale; abbiamo l’aria che entra nei polmoni e che spinta nell’apparato fonatorio produce un suono che si ripercuote risuonandoin tutto il nostro corpo, nelle ossa fino al cranio. Questo per dire che tutta la nostra persona è come uno strumento musicale molto particolare che esprime diversi suoni con innumerevoli espressioni musicali, come possiamo sperimentare bene nel canto.

Quindi la potente espressività della nostra voce va usata proprio come fosse uno strumento, applicando ai brani letti una certa “musicalità”, come quella che viene suggerita nelle partiture delle grandi opere musicali. La differenza è che nei brani sacri, chiaramente, non ci sono scritti questi aggettivi, ma siamo noi che, approfondendo la lettura dei testi, dobbiamo percepire la sua caratteristica; così quell’aggettivo particolare che impostiamo forse mentalmente “colorerà” tutto il brano che leggeremo.

Abbiamo quindi esaminato tutti gli elementi espressivi della voce che un lettore deve applicare.

Questi elementi hanno una funzione ben chiara e distinguibile per le persone che ascoltano; ogni lettore deve studiare, quindi, approfondire e controllare questi elementi organizzandoli e immettendoli nella lettura secondo la propria sensibilità, in modo che chi ascolta, senta che la lettura è vera, vissuta e significativamente espressiva.

Ora ti suggerisco un piccolo esercizio: prendiamo una filastrocca di Gianni Rodari: “Il primo giorno di scuola”.

Leggendo questa filastrocca devi TROVARE il carattere “musicale” che è nascosto in ogni sezione e poi “disegnare” a fianco dei segni o dei suggerimenti per la sua lettura; poi leggerai ad alta voce la filastrocca trovando la sua musicalità che per te è più adatta.

Un secondo esercizio sarà quello di assegnare un carattere musicale alla filastrocca e cercare di rileggerla più volte secondo la “chiave” che hai deciso di impostare; ad esempio: sognante, o solenne, o tragico, o ironico ecc.

Il primo giorno di scuola

Suona la campanella;

scopa, scopa la bidella;

viene il bidello ad aprire il portone;

viene il maestro dalla stazione;

viene la mamma, o scolaretto,

a tirarti giù dal letto…

Viene il sole nella stanza:

su, è finita la vacanza.

Metti la penna nell’astuccio,

l’assorbente nel quadernuccio,

fa la punta alla matita

e corri a scrivere la tua vita.

Scrivi bene, senza fretta

ogni giorno una paginetta.

Scrivi parole diritte e chiare:

Amore, lottare, lavorare.


Passiamo ora a descrivere l’ARTICOLAZIONE.

Semplificando: per una buona articolazione è indispensabile parlare con la bocca ben aperta, soprattutto per articolare bene le vocali.

L’articolazione è il modo di come vengono creati i suoni attraverso i movimenti degli organi designati per la voce: labbra, lingua, denti, palato duro, velo palatino, cavità nasali; messi in movimento o risonanza dal flusso d’aria che fuoriesce dalle corde vocali mentre espiriamo.

L’articolazione influisce molto nella pronuncia e affinché ogni parola sia chiara occorre che sia ben “articolata”. L’uso combinato degli organi detti sopra rendono “articolato” il suono che le corde vocali producono.

Articolare significa, dunque, formare nettamente le sillabe. La sillaba è la più piccola unità fonetica che possa essere articolata e udita e nella quale una parola può essere divisa.

Il “rumore dell’articolazione” è dato dalle consonanti più sonore che si creano in bocca. Una cattiva articolazione è indotta dalla pigrizia, che induce molti a parlare con il minimo movimento dei muscoli facciali e degli organi che collaborano alla formazione delle parole.

 

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Molti non sono consapevoli della cattiva articolazione che hanno nel parlare. Se l’articolazione è fatta bene, chi ascolta può distinguere le parole anche se pronunciate a voce bassa. Al contrario se questa non è scandita bene sentirai spesso chi ti ascolta ripetere… “come?…”, “non ho capito bene…”, o peggio accigliare le sopracciglia, senza parlare, e con una espressione interrogativa, perché non ha capito proprio niente di quello che stai dicendo.

Una buona sillabazione è la prima regola per una altrettanto buona articolazione delle parole. Mentre vi esercitate davanti allo specchio, osservate il movimento dei vostri muscoli facciali. Magari “esagerate” questi movimenti nell’esercizio per ottenere una articolazione più sonora.

Si scoprirà, che per dire “ba” e “pa” si adoperano soltanto le labbra, che per dire “va” e “fa” bisogna chiedere anche l’aiuto dei denti, che per dire “na” occorre: la punta della lingua sul palato, i denti e il naso…

Insomma, bisogna vedere che l”apparecchio vocale” è formato da tanti strumenti diversi, il cui perfetto funzionamento garantisce la chiarezza dell’articolazione.

La dizione è il modo in cui articoliamo la voce. Così come la calligrafia chiara permette a chi legge di capire quello che scriviamo, così la corretta dizione consente a chi ascolta di comprendere le sillabe e le parole che pronunciamo.

Il suo obiettivo è quello di essere più chiaramente udibili a tutti nella lettura; e non solo quello di eliminare difetti di pronuncia, ma anche mirare alla efficace articolazione delle singole parole, in modo che le frasi fluiscano senza incertezze.

La perfetta dizione riesce ad ottenere una espressione vocale neutra, cioè priva di inflessioni regionali e tale da permettere una più funzionale esposizione verbale. Più otteniamo una voce neutra, più chi ascolta comprende chiaramente il messaggio che presentiamo, senza inutili distrazioni.

Parlare bene in italiano è importante soprattutto nel settore professionale; anche se in ambito familiare a volte sono ammessi intercalari dialettali o personali.

In alcune professioni, dove è importante l’uso della voce, la perfetta dizione e articolazione sono fondamentali vedi: attori, doppiatori, cantanti, presentatori, giornalisti, conduttori televisivi e radiofonici, dj, ma anche per politici, insegnanti, avvocati, formatori, guide, manager, liberi professionisti, ecc.

Possedere controllo e proprietà di linguaggio, scioltezza, padronanza dei vocaboli e consapevolezza nell’uso della voce, aumentano l’efficacia comunicativa, danno forza al messaggio e valorizzano la personalità di chi parla.

Parlare bene significa usare nel sociale una lingua comune, esente dai dialetti; questi infatti rendono difficile la comprensione e creano barriere discriminatorie; d’altro canto rappresentano anche e comunque un patrimonio culturale regionale da conservare.

Altri esercizi utili per l’articolazione sono gli scioglilingua.

Gli scioglilingua servono come dice la parola a sciogliere la lingua o meglio esercitarsi con parole difficili nella “articolazione”. Qualcuno può anche dire che servono per garantire qualche risata a cuore aperto fra amici.

Gli scioglilingua sono consigliati anche da logopedisti e coach per mantenere la concentrazione ed allenare la mente e per migliorare la propria pronuncia.

Eccovi dei “classici” da usare come esercitazione:

Sopra la panca la capra campa. Sotto la panca la capra crepa.

Una rana nera e rara sulla rena errò una sera.

Oggi seren non è, doman seren sarà, se non sarà seren si rasserenerà.

Tre tigri contro tre tigri.

Pietro Ponzio Paolo, pittore poco pratico, pensò partir per Pisa portando parecchi pappagalli parlatori.

Trentatré trentini scendevano giù da Trento tutti e trentatré trotterellando.

Apelle figlio di Apollo, Fece una palla di pelle di pollo, Tutti i pesci vennero a galla, Per vedere la palla di pelle di pollo, Fatta da Apelle figlio di Apollo.

Sul tagliere gli agli taglia, non tagliare la tovaglia, la tovaglia non è aglio, se la tagli fai uno sbaglio.

La strega stringendo lo straccio, strapazzò lo straborrito animale che stramazzò al suolo con strepito straziante.

Eva dava l’uva ad Ava, Ava dava le uova ad Eva, ora Eva è priva d’uva mentre Ava è priva d’uova

Sul campanil d’Antraccoli c’è una biribaula con trecento biribaulini: se la biribaula muore, chi li sbiribaulinerà i trecento biribaulini?

33 corridori attraversano di corsa 33 coppie di rotaie rosse, mentre 33 treni che corrono sulle 33 coppie di rotaie rosse sono costretti a rallentare la corsa per non travolgere i 33 corridori che attraversano le 33 coppie di rotaie rosse.

Ripetete questi scioglilingua, crescendo progressivamente in velocità finché non diventate maestri nel ripeterli; così potrete anche stupire gli amici ad una cena.

In funzione del lavoro che si svolge e a seconda degli obiettivi che ci si pone, ci sono diversi livelli di miglioramento della articolazione per perfezionare l’uso della corretta pronuncia italiana.

Per gli attori, presentatori, giornalisti, conduttori radiofonici, è d’obbligo frequentare una scuola di dizione per migliorare la pronuncia corretta dell’italiano e raggiungere un modo di parlare senza inflessioni dialettali o altri difetti di pronuncia. Ricorrono alle scuole di dizione tutti coloro per i quali parlare correttamente l’italiano è un prerequisito essenziale per accedere al mondo del lavoro.

Subito dopo ci sono tutte le persone che desiderano avere una buona dizione e correggere i difetti di pronuncia per esigenze personali o per accrescere la propria professionalità. In questo caso un corso di dizione può essere una soluzione adeguata. Esistono anche numerosi corsi di dizione online, che prevedono lezioni teoriche, esercizi per articolare bene le parole e test di autovalutazione.

Passiamo ora a descrivere il MORDENTE

Se cerchiamo di capire cosa significa il termine, “mordente” troviamo questo:

Spirito aggressivo, grinta, determinazione, capacità di fare presa sugli altri di persuadere gli altri, una forza determinata alla persuasione, che incide sull’animo e sulla sensibilità degli altri.

Quindi in un discorso denota uno stile di parola “ricco”, una lettura che “gioca di anticipa” e riesce a trasmettere un messaggio con grinta e determinazione

Nella tecnica musicale: abbellimento alla nota cui è applicato.

Che si tratti di una tesina di maturità, di laurea, dell’esame di scuole medie o di leggere la parola di Dio, riuscire in un’esposizione chiara, piena di “mordente” e capace di catturare l’attenzione di chi ti ascolta, può fare la differenza per il raggiungimento del massimo risultato.

Quindi il Mordente è una “tensione” di tutto il corpo, della muscolatura della voce che si esprime in una particolare articolazione vocale generale.

Il mordente è un insieme di tensioni, vibrazioni, contrazioni, modi personali espressivi che vengono immessi nel discorso e nella lettura, nell’impeto di trasmettere un coinvolgimento interiore e un trasporto umano.

Questo rende la comunicazione viva, piena di emozioni, espresse attraverso le vibrazioni vocali che la persona riesce ad immettere nelle parole pronunciate.

Un modo di rendere la lettura “penetrante”, sagace, con uno stile eloquente che riesce ad esprimere animosità, determinazione e carattere.

Quindi è anche una modalità difficile da descrivere, ma diventa come un “abbellimento” personale generato dalla sensibilità del Lettore e da una profonda rielaborazione interiore del testo.

Questo sempre si ottiene con uno studio e una concentrazione sul brano che viene letto, cercando di far vibrare la propria espressività vocale tesa a valorizzare al massimo l’intenzione dell’autore dell’opera.

 

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Non perdertelo per niente al mondo!"

Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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Strumenti per la Consegna: 14 – Linguaggio del corpo e Contatto visivo

Strumenti per la Consegna: 14 – Linguaggio del corpo e Contatto visivo

Pillole dal Libro: LA BOCCA DI DIO  di  Marilena Marino

La comunicazione non verbale è un elaborato codice segreto che non è scritto da nessuna parte, non è conosciuto da nessuno ed è compreso da tutti. (Edward Sapir)La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto. (Peter Drucker)

Se non vi è accordo tra le parole e quel che esprimono linguaggio del corpo e voce, l’interlocutore finirà col seguire il messaggio non verbale. (Henrik Fexeus)

Qualunque cosa tu stia facendo, la comunicazione non verbale è come un accompagnamento costante; non puoi smettere di mostrare l’espressione del tuo volto o la tua gestualità, né puoi nascondere il tono di voce. (Daniel Goleman)

Oggi si tende a inserire nelle email degli strumenti di supporto alla corretta decodifica: gli emoticon, che in fondo non sono altro che dei surrogati della comunicazione non verbale che è venuta a mancare. (Pietro Trabucchi)

Sia che tu ne sia consapevole o meno, in qualsiasi interazione con gli altri, dai e ricevi tutta una serie di segnali che vanno oltre le parole pronunciate. Ogni tuo gesto, la tua postura, il tuo tono di voce o il modo in cui mantieni il contatto visivo con i tuoi interlocutori comunicano messaggi ben precisi.

Tutto questo viene definito come: comunicazione non verbale e influisce più di quanto tu possa immaginare nelle tue relazioni. Ma ancor più durante le liturgie svolgendo il tuo ministero dall’ambone. L‘Assemblea, si ti ascolta, ma ha anche gli occhi puntati su quello che fai “oltre le parole”, cioè quello che succede “intorno” alle parole.

Il linguaggio del corpo include diverse tipologie di comunicazione non verbale:

  1. Espressioni facciali. Il volto umano è estremamente espressivo e riesce a comunicare un’ampia varietà di emozioni per avvalorare o contraddire ciò che leggiamo. Sebbene possano essere controllate, le espressioni facciali spesso si palesano senza che la persona se ne renda conto. Ecco perché sono molto importanti, perché rivelano la “verità” di ciò che l’interlocutore prova, diversamente da quello che formalmente vorrebbe manifestare a parole!

  2. Movimenti e postura. Il modo in cui le persone siedono, camminano o tengono la testa influenza la nostra percezione sulla comunicazione che ci arriva. Pensa ad esempio ad una persona che non ti guarda mai negli occhi… ti fideresti o pensi che ti sta nascondendo qualcosa?

  3. Gesti. Uno dei principali metodi di comunicazione è quello dei gesti. Gesticoliamo per rafforzare ciò che diciamo, per sintetizzare i concetti; anche se, i gesti che facciamo, non hanno lo stesso significato in tutte culture.

  4. Contatto visivo. Il modo in cui guardiamo i nostri interlocutori può comunicare diverse sensazioni tra cui interesse, affetto, ostilità, attrazione… e quindi può mantenere più o meno attiva la conversazione.

  5. Tatto. Il modo in cui stringiamo le mani, stringiamo oggetti o tocchiamo elementi dello spazio intorno a noi, comunica tutta una serie di informazioni che sfuggono dal nostro controllo.

  6. Spazio. È un’area entro cui non vogliamo che entrino altre persone. Ogni persona identifica il suo “spazio vitale” con una distanza diversa. Modificare lo spazio equivale spesso a modificare la comunicazione che vogliamo dare all’esterno.

  7. Voce. Non stiamo parlando delle parole delle nostre letture, ma in questo caso ci concentriamo su ciò che comunichiamo con la nostra voce oltre le semplici parole. Elementi come il tono di voce, le pause, le esitazioni e l’attitudine generale che tieni mentre leggi.

Quindi qualsiasi nostra comunicazione principalmente passa per la nostra bocca, ma la comunicazione si completa e si precisa dettagliatamente con tutte le altre componenti del nostro corpo: occhi, testa, mani, braccia, bocca, sopracciglia, labbra, guance, e anche le nostre gambe i piedi e la postura del nostro corpo per intero.

In definitiva studi scientifici certificano che l80% della nostra comunicazione passa a livello non verbale e solo il 20% a livello verbale. Se pensiamo alle comunicazioni moderne su WhatsApp, tutti si sono accorti che le sole parole scritte comunicano spesso concetti ambigui e che molte volte danno adito a cattive interpretazioni o rapidi litigi per incomprensioni; perché le stesse parole scritte nei social suonerebbero molto diversamente se fossero pronunciate “in presenza” e completate da tutto il restante 80% di espressioni non verbali.

La comunicazione non verbale può offrire delle informazioni aggiuntive alla comunicazione verbale, come quelle che riguardano lo stato d’animo del soggetto e l’intenzione del messaggio (per esempio far ridere o esprimere ironia). Nel corso di un dialogo, i soggetti trasmettono dei segnali che vanno oltre il significato semantico delle parole pronunciate e che possono fornire ulteriori indicazioni, utili alla comprensione e all’interpretazione del messaggio.

Questi “indizi” non verbali possono “supportare” i dati forniti verbalmente, aggiungendo enfasi al messaggio che si vuole trasmettere (per esempio quando il soggetto esprime verbalmente la propria tristezza mentre piange).

L’interpretazione del messaggio va valutata tenendo conto non solo dei differenti indizi forniti (verbali e non verbali), ma anche del contesto della conversazione e del contesto fisico in cui si trovano i soggetti, così come della conoscenza che si ha della persona che diffonde il messaggio.

La comunicazione non verbale fa riferimento alle azioni che vengono inviate in maniera intenzionale.

Molti però hanno un pregiudizio e sono indotti a credere che certa gestualità del linguaggio del corpo sia inappropriata in alcuni ambienti come le nostre chiese; e che questo disturba la lettura.

Certo, in alcune circostanze questa considerazione può essere anche vera, ma vale il fatto che paralizzarsi e bloccare qualsiasi forma di comunicazione non verbale è per forza anche questa una forma di comunicazione e il risultato può essere veramente pessimo.

La missione che siamo chiamati a svolgere, che il lettore è chiamato a svolgere, è una missione, come dicevamo, molto importante per le persone che ascoltano, per cui la parola merita di essere trasmessa con ogni strumento di comunicazione che abbiamo. L’importante è che la comunicazione sia naturale, sincera, reale e credibile, senza drammatizzazione teatrale; se la lettura, compreso anche il linguaggio del corpo, viene fatta in modo naturale, la comunicazione raggiunge il suo effetto.

La conferma se il nostro linguaggio del corpo è appropriato al contesto, al messaggio e all’ambiente, possiamo verificarla quando vediamo che l’Assemblea si sente a proprio agio e c’è stata una comprensione profonda di quello che è stato detto.

Nell’Antico Testamento spesso le parole sono suggellate con un gesto delle mani, molte volte compare la frase: “…stese la mano…” per confermare con una azione gestuale, un accadimento importante. Ma anche “…prese la mano…” per sottolineare l’azione di Dio. E ancora altre azioni gestuali sia nel Nuovo che nell’Antico Testamento con la parola “…toccò…” o con la parola “…mani…” in occasione di miracoli o imposizione delle mani.

Nelle Liturgie ogni proclamazione del Vangelo è preceduta da un “canto di ALLELUIA…”; se leggiamo nella Treccani cosa significa vediamo che è:


Esclamazione di gioia in inni e orazioni della chiesa; è una formula liturgica ebraica che ricorre in alcuni salmi detti alleluiatici, passata poi nella liturgia cristiana come acclamazione di trionfo, grido di santo tripudio: è il canto proprio del tempo pasquale”

Quindigioia, trionfo, grido di tripudio, Pasqua, cioè il passaggio dalla Morte alla Vita……….

Non mi sembra che queste emozioni che la liturgia cerca di vivere possano escludere un atteggiamento anche gestuale più alleluiatico e festoso!

Quindi se negli stessi testi sacri troviamo della gestualità, perché non dovremmo usarla noi per completare il messaggio divino se chiaramente riuscissimo a fare questo con naturalezza e cautela del contesto? E inoltre controllando sempre di non mettere a disagio nessuno e considerando anche le abitudini liturgiche delle diverse assemblee che possono esistere?


Ecco alcuni esempi di cosa intendiamo e di come usare il linguaggio del corpo durante la lettura; sono suggerimenti che poi vanno studiati seriamente per capire il limite e i confini di applicazione:

  • Si può sorridere gentilmente per esprimere accoglienza e gioia nella proclamazione; il sorriso denota servizio, sottomissione come a voler dire… non sono una minaccia, voglio aiutarti sinceramente.

  • Spesso i Lettori proclamano la Parola con un fare “tetro”, serioso, ammonitorio… ma chi sorride di rado, non sembra apparire servizievole, ma anzi come un giudice che proclama una sentenza…

  • Il sorriso è invece contagioso e predispone chi lo riceve ad ascoltare di buon grado chi lo ha lanciato.

  • Alzare le sopracciglia per sottolineare meraviglia o sorpresa.

  • Sollevare appena una mano in un punto particolare della lettura.

Santa Monica

  • Allungare una mano verso l’Assemblea quando il testo si riferisce a “te” o “voi”.

  • La mano aperta, col palmo verso l’Assemblea indica in genere disponibilità.

  • Espressione accigliata per mostrare preoccupazione o dispiacere inclinare il corpo verso l’Assemblea per dare enfasi ad una frase importante.

  • Scuotere leggermente la testa in segno di negazione o “no” o viceversa annuire di “si”.

  • Leggere smorfie di disappunto se si trasmette disprezzo o azioni deprecabili.

  • Appoggiare le mani nel Libro sull’ambone per confermare la Verità delle Parole lette.

  • Inclinare la testa di lato per indicare tenerezza o curiosità.

  • Spostare il peso del corpo da un piede ad un altro quando il dialogo passa ad un altro personaggio.

  • O cambiare la direzione in cui si punta il viso nei cambi di persone che dialogano.

Questi sono alcuni esempi, ma se ne possono usare anche altri sempre che rimangano naturali, accennati, non troppo enfatizzati, ma solamente come piccoli segni di “punteggiatura” del corpo.

Ora descriviamo alcuni gesti che sono da evitare, perché sono segnali che il corpo invia istintivamente, ma che comunicano incertezza, falsità, imbarazzo:

  • La mano sulla bocca: come a trattenere una bugia.

  • Toccarsi il naso: quando si mente, vengono liberate le “catecolamine” che provocano prurito al naso.

  • Stropicciarsi l’occhio: si verifica quando non si vuole vedere la persona alla quale si sta mentendo.

  • Sfregarsi l’orecchio: è come per non sentire, lo fanno i bambini quando si tappano le orecchie per non ascoltare i genitori.

  • Grattarsi il collo: denota dubbio o incertezza.

  • Scostarsi il colletto: perché il collo suda a seguito di un imbarazzo o di una menzogna.

  • Le dita in bocca: quando si è sotto pressione o stress elevato e c’è bisogno come di rassicurazione.

Dunque, come hai potuto intuire, comunicare in maniera efficace può essere complesso. Controllare i segnali trasmessi dal corpo più o meno involontariamente, servirà a diventare più esperto ed efficace nel servizio della Parola.

Il contatto visivo è una componente molto importante della comunicazione non verbale. Nel contatto visivo vi sono molteplici significati, si passa dal voler comunicare interesse, fino ad arrivare ad un messaggio di sfida. Ovviamente sia il contesto in cui avviene la comunicazione che l’aspetto socio culturale influenzano anche questo elemento del linguaggio non verbale.

Lo sguardo ha una forte importanza comunicativa, tanto che negli anni è entrato anche a far parte di molti modi di dire ad esempio: “lo avrebbe ucciso con lo sguardo”, “aveva una luce particolare negli occhi”, “guardare in cagnesco”, “uno sguardo sfuggente” o “uno sguardo affascinante”, “guardare con la coda dell’occhio” ed altri.

Nel corso della conversazione, lo sguardo svolge diverse funzioni a livello non verbale: attraverso il contatto oculare si può esprimere simpatia e confermare l’andamento della relazione; è provato che tendiamo a fissare di più coloro che ci sono più simpatici.

Nell’Antico e nel Nuovo Testamento ci sono circa 800 versetti dove viene citata la parola “occhi” e ci sono molti passi dove sono descritti personaggi che parlano con altri e che fanno il gesto di “alzare gli occhi” o di “guardare”. Lo scopo che dobbiamo immettere come Lettori, usando bene il contatto visivo con l’Assemblea, è quello di aiutare, chi sta ascoltando, a mantenere l’interesse per la Parola e a connettersi intimamente con essa.

Il contatto visivo è una delle cose più difficili da gestire, ed esso deve cambiare in base ai differenti contesti che ci troviamo ad affrontare. Ma usato insieme agli altri strumenti di comunicazione come le pause, i toni di voce, o sottolineare parti importanti del discorso, serve a completare e rendere naturale e comunicativa la lettura che stai proclamando. Il consiglio generale da seguire è quello di non fissare troppo a lungo l’interlocutore, o alcune persone dell’Assemblea, ma neanche di distogliere o evitare sistematicamente lo sguardo!


Per fare un esempio se leggi un brano particolarmente importante puoi rallentare il ritmo, assumere un tono più serio e proclamare le ultime parole della lettura, come una “chiusura finale”, guardando negli occhi l’Assemblea e continuando a farlo anche nella seguente piccola pausa finale.

Nella maggior parte delle culture se si vuole instaurare un rapporto che sia valido, si deve incrociare lo sguardo per il 60-70% del tempo, questo atteggiamento induce nell’altro apprezzamento.

Leggendo alcuni brani che contengono parole rivolte alle persone come: “tu, tuo, noi”, può essere importante usare il contatto visivo per comunicare all’Assemblea in modo più diretto che quello che stai leggendo è importante e riguarda “me e te o tutti noi”.

Enfatizzando, con il contatto visivo, alcune parti che contengono ad esempio il “noi” dobbiamo proiettare il messaggio con un tono caldo e avvolgente, facendo capire che quella Parola è per tutti in modo inclusivo.

Può inoltre accadere che chi parla distolga lo sguardo ogni tanto, per poi riprendere il contatto visivo e questo comportamento diventa istintivo come per appurare se chi ha di fronte lo sta ascoltando o meno e per assicurarsi se è ancora interessato al discorso e lo sta comprendendo.

Nel versante opposto, chi ascolta una conversazione dimostra che ne è interessato, se mantiene il più possibile la frequenza alta del contatto visivo.

Oppure l’ascoltatore dimostrerà di non essere interessato alla conversazione e quindi annoiato o disorientato o in disaccordo con quanto detto, se il contatto visivo si ridurrà al minimo. Se ancora chi ascolta è intento a guardare costantemente da un’altra parte, allora significa che è intervenuto un qualsiasi fattore serio che ha causato la caduta completa della sua attenzione.

Quindi lo sguardo del Lettore contribuirà a mantenere un contatto vivo con l’Assemblea, e leggendo sui loro occhi potrà ricevere altre informazioni importanti, come: controllare quante persone sono “coinvolte” o se chi ascolta è attento o è distratto o non interessato o se è d’accordo con quello che dice e se capisce veramente il brano letto o anche se… è ancora sveglio!

In definitiva, anche tenere abbassato lo sguardo e fisso nel Libro senza mai alzare gli occhi, può suggerire a chi ascolta e vede… varie “impressioni” sul lettore:

  • Che non gli interessa se le persone sono o non sono attente a seguirlo.

  • Che è stanco fisicamente e sta abbassando anche la testa, decontraendo anche le spalle, quasi concentrato sul proprio “ombelico”.

  • Che è triste e svogliato nel fare il servizio, tutto il contrario di dimostrare la Resurrezione del cristiano.

  • Sta provando diverse emozioni negative: imbarazzo o addirittura senso di colpa, dimostra di essere stato messo li per forza e non per piacere.

Chiaramente sono tutte “impressioni” che il nostro linguaggio non verbale lascia trasparire all’esterno, nonostante noi cerchiamo di “nasconderle” all’Assemblea.

Come abbiamo visto, saper osservare il proprio interlocutore è complesso. Ci sono mille sfumature da considerare per interpretare lo sguardo della persona di fronte a te. Però sapere come usare il proprio sguardo significa ottenere un vantaggio notevole nella conversazione.

Se nella lettura si prova un pò di nervosismo ed imbarazzo, nel momento di guardare negli occhi qualcuno dell’Assemblea, può tornare utile puntare la direzione dello sguardo sul muro in fondo, appena sopra le teste delle persone.

Migliore però, è la modalità di guardare negli occhi le persone saltuariamente o in modo casuale o ampio cioè qualcuno sul lato destro, poi sul lato sinistro e poi sulle prime sedie o sul fondo o sulla zona mediana.

Con questa modalità i singoli individui dell’Assemblea presteranno più attenzione perché non sapranno dove casualmente si poserà il prossimo sguardo del Lettore.

Nel contatto visivo la durata è importante, cioè più il contatto visivo è lungo e più è efficace la comunicazione. Ma certo per un Lettore sarà più difficile usare delle durate lunghe se deve comunque leggere la Parola del Libro. Per questo è sempre meglio prepararsi e studiare bene ogni brano ed esercitarsi con delle prove, fissando i punti strategici e necessari dove alzare lo sguardo con sicurezza e usare il contatto visivo con alcuni dell’Assemblea.

Altri suggerimenti da segnalare sono quelli di non usare il contatto visivo in passaggi che hanno sapore accusatorio o di condanna, perché la persona che incrocia il tuo sguardo in quel preciso momento potrebbe sentirsi come accusata o condannata personalmente!

Devi fare anche attenzione, se vuoi usare questo strumento comunicativo, perché alzando lo sguardo potresti perdere il segno del fluire della lettura; una strategia semplice è quella di leggere continuamente seguendo le righe con il dito della mano sinistra e mantenere ferma la mano a tenere il “segno” nel momento in cui si alza lo sguardo all’Assemblea.

Per concludere, anche con il contatto visivo la comunicazione sarà efficace solo se questo verrà usato in modo “naturale” come accade in una conversazione spontanea, normale.

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Questo articolo è stato estratto dal libro “La Bocca di Dio” di Marilena Marino. 
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